Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Sezione III ter
Sentenza 8 giugno 2007, n. 5280

FATTO

Con atto notificato in data 14 novembre 2006 e depositato il successivo 24 novembre il ricorrente, premesso di essere arbitro del giuoco del calcio iscritto all'A.I.A., ed appartenente al C.A.N. - Comitato Arbitri Nazionali di serie A e di serie B fin dal campionato 1994/1995, espone di essere stato, in data 22 giugno 2006, deferito dal Procuratore Federale della F.I.G.C. dinanzi alla Commissione di Appello Federale della stessa Federazione con la seguente incolpazione: a) per violazione dei principi di cui all'art. 1, I comma, del c.g.s., per violazione dell'art. 6, I e II comma, del c.g.s. in quanto parte di un sistema di rapporti non regolamentari tra diverse persone, tra cui i signori Moggi, Bergamo, Pairetto e Lanese; b) per violazione dei principi di cui all'art. 6, I comma, con riguardo alla gara disputata in data 5 dicembre 2004 tra la Fiorentina ed il Bologna; c) per avere ricevuto ed accolto, conformandosi alle stesse, indicazioni specifiche del designatore arbitrale Paolo Bergamo, circa il comportamento da tenere nel corso della direzione della gara, tendente a scongiurare la vittoria del Parma, con conseguente vantaggio in classifica della Fiorentina.

Con decisione del 14 luglio 2006 la C.A.F. riteneva il ricorrente responsabile della violazione dell'art. 6 del c.g.s. con riferimento alla gara svoltasi in data 29 maggio 2005 tra Lecce e Parma irrogandogli la sanzione della inibizione di anni quattro e mesi sei.

In sede di appello avverso la predetta decisione, la Corte Federale della F.I.G.C., con decisione del 4 agosto 2006, in parziale riforma della decisione di primo grado, condannava il sig. De Santis a quattro anni di inibizione, motivando lo sconto con la di lui presunta sudditanza psicologica nei riguardi del Vice Presidente della F.I.G.C. (Mazzini) e del designatore arbitrale (Bergamo).

Deduce a sostegno del ricorso i seguenti motivi di diritto:

1) Incompetenza della C.A.F. a giudicare quale organo di prima istanza nei riguardi di un tesserato che non ricopra il ruolo di dirigente federale ex art. 26, II comma, del c.g.s.

Ex art. 25, IV comma, del c.g.s. sono le Commissioni disciplinari gli organi competenti a giudicare in prime cure in merito ai fatti contestati ai tesserati che vengano denunciati dagli organi federali.

Ne consegue che i fatti imputati al sig. De Santis, tesserato F.I.G.C., dalla Procura Federale relativamente al campionato di calcio di serie A per l'anno 2004-2005, dovevano essere giudicati in prima istanza dalla Commissione disciplinare, e non dalla C.A.F.; il ricorrente è stato dunque privato del suo giudice naturale.

Né può ipotizzarsi la competenza della C.A.F. derivante dal fatto che la stessa conosce in primo grado dei procedimenti che vedono coinvolti i dirigenti federali (ex art. 26, I comma), ravvisandosi un concorso nella causazione degli illeciti, ovvero una sorta di sodalizio criminale; ed infatti non esiste nella fattispecie alcun sodalizio (la c.d. cupola moggiana) perché i fatti contestati non rispondono ad un medesimo disegno criminoso, e sono tra loro slegati.

2) Omessa comunicazione dell'avvio del procedimento ex art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Il ricorrente non è stato informato dell'avvio del procedimento né dall'Uffico Indagini, né dalla Procura federale, ed ha acquisito la relativa notizia allorché la stampa ha reso noto del deferimento alla C.A.F.

Non ha avuto informazione della trasmissione degli atti dall'Ufficio Indagini alla Procura federale e neppure della conclusione delle indagini, adempimento prescritto dall'art. 28 del c.g.s.; inoltre il ricorrente non conosce neppure il momento in cui l'indagine è stata attivata, ed il relativo atto di iniziativa.

3) Illegittima assunzione ed arbitrario utilizzo delle intercettazioni telefoniche assunte dalla magistratura ordinaria ed utilizzate nel procedimento sanzionatorio.

Il materiale probatorio su cui si è basato il procedimento degli organi di giustizia sportiva è costituito prevalentemente dalle intercettazioni telefoniche provenienti dall'attività di indagine promossa dalla Procura della Repubblica di Torino e dalla Procura della Repubblica di Napoli a proposito di una presunta somministrazione di E.P.O. e di altre sostanze dopanti da parte di tesserati della Juventus a calciatori della medesima compagine sportiva, nel corso della quale si acquisivano conversazioni che prefiguravano una frode sportiva da parte dei dirigenti della stessa società.

I procedimenti penali si sono conclusi con un provvedimento di archiviazione, ma gli atti sono stati trasmessi alla F.I.G.C. ed acquisiti dall'Ufficio Indagini in data 27 settembre 2005; detto Ufficio il successivo 6 marzo 2006 ha trasmesso la relazione alla Procura federale per i conseguenti deferimenti.

Va peraltro evidenziato che l'Uffico Indagini e la Procura federale non hanno acquisito l'intero materiale probatorio su cui si è fondata l'indagine penale, ma hanno vagliato quella parte, frammentaria, del materiale loro trasmesso.

V'è dunque anzitutto un problema di completezza ed integrità del materiale probatorio.

Inoltre lo stesso è stato esaminato senza un effettivo contraddittorio con il tesserato inquisito, chiamato a dare conto delle proprie azioni solo dopo la cernita delle intercettazioni.

4) Inidoneità delle intercettazioni a costituire materiale probatorio nella fattispecie di illecito contestata al sig. De Santis.

La prova della affermata responsabilità del ricorrente è stata desunta solamente dalle intercettazioni telefoniche, mentre le stesse, al più, potevano costituire punto di partenza di un'indagine, volta ad acquisire prove vere e proprie.

Il De Santis ha ammesso di avere fatto le telefonate, ma non ha ammesso di avere commesso gli illeciti a lui riferiti, anzi li ha contestati puntualmente, sostenendo che il contenuto delle intercettazioni fosse stato male interpretato.

5) Inutilizzabilità delle intercettazioni per violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali.

Va considerato che il trattamento dei dati giudiziari e sensibili da parte dei soggetti pubblici, diversi dall'Autorità giudiziaria (dello Stato), sono soggetti alle regole del codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. n. 196/2003), e pertanto la F.I.G.C. avrebbe dovuto procedere all'informativa dell'interessato ex art. 13, IV comma, indicando la categoria dei dati trattati e dei presupposti.

Tutto ciò non è stato fatto, con la conseguenza che i dati acquisiti devono ritenersi inutilizzabili alla stregua di quianto disposto dall'art. 11, II comma, dello stesso corpus normativo.

6) Falsa rappresentazione dei fatti oggetto di indagine alla luce del materiale probatorio utilizzato.

La condotta materiale ascritta al ricorrente è consistita dunque nell'alterazione del risultato della partita di calcio Lecce - Parma; la responsabilità è stata desunta dalle conversazioni intrattenute dal De Santis con il Mazzini e con il Bergamo, senza che siano stati in alcun modo considerati i comportamenti in concreto tenuti dall'arbitro nel corso della manifestazione sportiva.

Il ricorrente ha correttamente diretto la gara, né le decisioni oggetto di gravame hanno posto in evidenza in che modo sia stato alterato lo svolgimento della gara, il risultato sportivo, od ancora il torneo calcistico.

D'altro canto, il sig. De Santis, come ogni altro arbitro, era sottoposto al vaglio e controllo di un osservatore AIA, che, nelle competizioni in esame, nulla ha rilevato circa la condotta della terna arbitrale e del direttore di gara in particolare.

Da ultimo, i provvedimenti impugnati vanno censurati, in quanto del tutto mancanti di motivazione in ordine alla tipologia ed alla misura della sanzione irrogata.

Si consideri che l'art. 6 del c.g.s. prevede per l'illecito sportivo la sanzione della inibizione/squalifica nella misura non inferiore a tre anni; immotivatamente è stata irrogata al De Santis la sanzione di anni quattro, nulla adducendosi circa la particolare gravità oggettiva degli addebiti, ovvero le caratteristiche soggettive del ricorrente.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero per i Giovani e lo Sport, la F.I.G.C. ed il C.O.N.I., eccependo l'improcedibilità del ricorso per mancato esaurimento dei rimedi interni previsti dall'ordinamento sportivo, ed in particolare della fase arbitrale, la sua inammissibilità per difetto assoluto di giurisdizione vertendosi al cospetto di una sanzione disciplinare sportiva, nonchè ancora l'irricevibilità del ricorso per tardiva impugnazione della decisione della Corte Federale, e comunque la sua infondatezza nel merito.

All'udienza del 3 maggio 2007 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Risultando il ricorso infondato nel merito, per economia di giudizio, può prescindersi dall'esame delle preliminari eccezioni di improcedibilità, inammissibilità ed irricevibilità prospettate dalla Federazione e dal C.O.N.I., la cui risoluzione implicherebbe, onde pervenire ad un esito sistematicamente equilibrato e costituzionalmente compatibile, un complesso percorso di approfondimento ermeneutico.

2. Con il primo motivo di ricorso viene dunque dedotta l'incompetenza della C.A.F. a giudicare quale organo di prima istanza nei confronti di un tesserato della Federazione, che non sia dirigente della medesima, tale compito essendo attribuito dall'art. 25, IV comma, del c.g.s. alle Commissioni disciplinari; ciò ha asseritamente sottratto il ricorrente al suo "giudice naturale", privandolo altresì di un grado di giudizio; né sussistono i presupposti di operatività dell'art. 37, I comma, e dell'art. 28, VII comma, delloo stesso c.g.s.

La censura, se non anche inammissibile, è infondata, e deve pertanto essere disattesa.

Occorre anzitutto considerare che tale motivo non è stato dedotto in sede amministrativa, con il reclamo alla Corte federale avverso la decisione della C.A.F., con la conseguenza che, ad instar di quanto avviene nel rapporto tra ricorso amministrativo e ricorso giurisdizionale (in termini, tra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 30 marzo 1994, n. 455; Cons. Stato, Sez. IV, 19 marzo 1996, n. 355), ne dovrebbe essere preclusa la proposizione per la prima volta in sede giurisdizionale.

Ad ogni modo, anche a prescindere da tale, pur serio, profilo di inammissibilità, il motivo, come premesso, è infondato.

Ed invero, come apertis verbis statuito dalla decisione della Corte federale, nella vicenda in esame ha operato il principio della vis atractiva esercitata dall'organo di giustizia sportiva di grado superiore, allo scopo di realizzare la concentrazione dell'intero procedimento nei confronti di tutti gli incolpati (il c.d. simultaneus processus).

Si tratta dunque dell'applicazione di un principio processuale di portata generale, recepito anche dal c.g.s. (cfr. artt. 37, I comma, e 28, VII comma), in cui opera la connessione come criterio di attribuzione della competenza, tra l'altro, in caso di concorso di persone nella commissione di un illecito (a titolo esemplificativo si confronti il combinato disposto degli artt. 12 e 15 del c.p.p.).

Nella fattispecie controversa non è poi contestabile che si verta in presenza di una connessione pluripersonale; la Corte federale invero ha riconosciuto, anche ai fini della dosimetria della sanzione, che "il programma illecito fu ideato dal Vice Presidente federale e dal designatore arbitrale".

Correttamente, dunque, il procedimento è stato instaurato innanzi alla C.A.F. che, ai sensi dell'art. 31, I comma, dello Statuto della F.I.G.C. e dell'art. 26, II comma, del c.g.s. giudica, in prima istanza, in ordine ai procedimenti disciplinari riguardanti i dirigenti federali.

Va precisato, anche se tale aspetto, a bene vedere, travalica ampiamente i limiti della controversia, come la disciplina della connessione non incida sul principio del giudice naturale, la cui nozione va enucleata non solo alla stregua delle norme sulla competenza generale, ma anche di quelle derogatorie, che siano peraltro rispettose della regola della precostituzione dell'organo.

In altri termini, ciò che conta è che la competenza sia determinabile sulla base di regole vigenti nel dies facti.

Allo stesso tempo, va evidenziato come tale modifica della competenza per connessione non abbia affatto privato il ricorrente di un "grado di giudizio", atteso che al plesso Commissione disciplinare - C.A.F. è subentrato il plesso C.A.F. - Corte federale; in entrambe le ipotesi, trova integrale attuazione la regola del doppio grado di giudizio.

3. Con il secondo mezzo di gravame viene dedotta la mancata comunicazione dell'avvio del "procedimento di giustizia domestica", aggiungendosi che il ricorrente non ha avuto notizia della trasmissione degli atti dall'ufficio Indagini alla Procura federale, e neppure della conclusione delle indagini, in violazione di quanto prescritto dall'art. 28 del c.g.s.

Anche tale censura non appare meritevole di positiva valutazione.

Ed invero è incontestato che il ricorrente abbia ricevuto l'atto di deferimento del Procuratore federale del 22 giugno 2006, che costituisce l'avvio dell'azione disciplinare a conclusione delle indagini compiute dall'Ufficio Indagini, senza che dunque sia ravvisabile alcuna violazione dell'art. 28 del c.g.s.

Quanto poi alle altre asserite omissioni (che non hanno peraltro precluso al ricorrente di conoscere che l'Ufficio Indagini ha ricevuto il materiale probatorio in data 27 settembre 2005 e lo ha poi trasmesso alla Procura federale il 6 marzo 2006: cfr. pagg. 11-12 dell'atto di ricorso), ritiene il Collegio che non sussistono norme federali che impongono la comunicazione della data di avvio delle indagini da parte della Procura federale.

4. Con il terzo motivo si allega l'assunzione illegittima e l'uso arbitrario delle intercettazioni telefoniche nell'ambito del procedimento disciplinare che ha portato all'adozione delle decisioni impugnate, nella considerazione che solamente una parte delle intercettazioni disposte dalle Procure della Repubblica di Torino e di Napoli sia stata acquisita dagli uffici federali, con conseguente incompletezza e frammentarietà del quadro probatorio raccolto, che, per di più, è stato utilizzato in assenza di un vero contraddittorio con il tesserato inquisito.

La censura non è fondata.

Si deve in primo luogo evidenziare come il materiale proveniente dai procedimenti penali pendenti dinanzi all'Autorità giudiziaria di Torino e di Napoli è stato acquisito dagli uffici federali ai sensi dell'art. 2, III comma, della legge 13 dicembre 1989, n. 401, che consente agli organi della disciplina sportiva di chiedere copia degli atti del procedimento penale a norma dell'art. 116 del c.p.p.

Ciò premesso, la tesi giusta la quale sul predetto materiale con valenza probatoria non sarebbe stato garantito un esame in contraddittorio appare smentita dall'allegazione della F.I.G.C., non contestata ex adverso, che rammenta come il primo atto adottato dalla C.A.F., su richiesta dei deferiti, sia stato proprio quello di consentire di estrarre copia degli atti della procedura (intercettazioni, rapporti di carabinieri, interrogatori, etc.).

Del tutto generica è poi l'allegazione dell'incompletezza delle intercettazioni derivanti dal procedimento penale, non risultandone comprensibile il rilievo fattuale (nel senso che, ovviamente, sono stati acquisiti solamente gli atti rilevanti per gli organi della disciplina sportiva, secondo quanto recita il citato art. 2, III comma, della legge n. 401/1989) e quello giuridico (che potrebbe evidenziarsi solo ove fosse dimostrata l'insufficienza delle prove a carico).

V'è inoltre una considerazione di fondo che non può essere trascurata, connessa al fatto che le decisioni degli organi di giustizia sportiva in questa sede gravati sono l'epilogo di procedimenti amministrativi (seppure in forma giustiziale), e non già giurisdizionali, sì che non possono ritenersi presidiati dalle garanzie del processo.

In particolare, alla "giustizia sportiva" si applicano, oltre che le regole sue proprie, previste dalla normativa federale, per analogia, quelle dell'istruttoria procedimentale, ove vengono acquisiti fatti semplici e complessi, che possono anche investire la sfera giuridica di soggetti terzi.

Richiamando anche la giurisprudenza formatasi in tema di ricorsi amministrativi di cui al d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, si evidenzia l'inapplicabilità delle regole processuali di formazione in contraddittorio della prova (tipiche specialmente del processo penale).

Pur valorizzando la disciplina contenuta nella legge generale sul procedimento amministrativo, la giurisprudenza costantemente afferma che contraddittorio e partecipazione sono soddisfatti allorché la parte interessata sia adeguatamente informata della natura e dell'effettivo avvio del procedimento, e sia posta in condizione di fornire gli apporti ritenuti utili in chiave istruttoria e logico-argomentativa (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 30 giugno 2003, n. 3925).

5. Con il quarto motivo si assume poi l'inidoneità delle intercettazioni ad assurgere a prova dell'illecito contestato al ricorrente.

La censura è infondata, e va disattesa.

È opportuno prendere le mosse dalla condivisibile valutazione, contenuta nella decisione della Corte federale, e, prima, della C.A.F., secondo cui "le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche ed ambientali non vengono generalmente in rilievo quali prove in sé degli addebiti rivolti ai deferiti, ma come mera circostanza storica - non disconosciuta nella sua esistenza, né nel suo oggetto, né nella sua veridicità, dagli incolpati - suscettibile di lettura critica, interpretazione logica, collegamento con altri elementi probatori acquisiti, in una parola di valutazione di merito".

E tale metodo è stato seguito anche con riguardo alla posizione del De Santis, come inequivocabilmente si evince alle pagg. 102 e 103 della decisione della Corte federale, ove il contenuto delle interlocuzioni, prima e dopo la partita Lecce - Parma del 29 maggio 2005, intervenute tra il ricorrente ed i signori Bergamo e Mazzini è stato sottoposto a vaglio critico, e ritenuto condivisibilmente espressivo di un comune intento fraudolento, tale da integrare la fattispecie di cui all'art. 6 del c.g.s.

Il che è quanto basta a porsi come fondamento di una decisione amministrativa, nella prospettiva precedentemente enucleata, tanto più che vale, in linea generale, il principio della libera utilizzazione degli elementi di prova acquisiti in processi diversi.

E, comunque, occorre considerare come anche la giurisprudenza penale, ai diversi fini, dunque, del giudizio penale, costantemente afferma che nell'interpretazione dei fatti comunicativi le regole del linguaggio e della comunicazione costituiscono il criterio di inferenza (premessa maggiore) che, muovendo dal testo della comunicazione o comunque dalla struttura del messaggio (premessa minore), consente di pervenire alla conclusione interpretativa. Sicchè le valutazioni del giudice di merito sono censurabili solo quando si fondino su criteri interpretativi inaccettabili (difetto della giustificazione esterna), ovvero applichino scorrettamente tali criteri (difetto della giustificazione interna) (in termini Cass. pen., Sez. V, 9 febbraio 2007, n. 5699, nonché Cass. pen., Sez. V, 16 febbraio 2000, n. 6350).

Nel caso di specie, per quanto è dato evincere dagli atti impugnati e dall'ulteriore documentazione versata in giudizio, l'interpretazione del significato delle intercettazioni coinvolgenti il sig De Santis è adeguatamente e logicamente motivata, e compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, secondo la formula ricorrente nella giurisprudenza penale.

Ne consegue che tale interpretazione del fatto comunicativo (id est: della conversazione intercettata) risulta anche incensurabile in questa sede di giurisdizione di legittimità, seppure esclusiva, e sotto tale profilo la doglianza evidenzia dunque profili di inammissibilità.

6. Con il quinto mezzo si allega poi l'inutilizzabilità delle intercettazioni per violazione, da parte della F.I.G.C., della disciplina in materia di trattamento dei dati personali (ed in particolare di dati giudiziari), che avrebbe richiesto l'informativa all'interessato ex art. 13, IV comma, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196.

La censura non è meritevole di positiva valutazione.

Ed invero, a parte che nel caso di specie non è contestata un'ipotesi di violazione delle modalità di trattamento dei dati disciplinate dall'art. 11, I comma, del "codice in materia di protezione dei dati personali", che ne determinerebbe l'inutilizzabilità alla stregua del secondo comma, non v'è comunque dubbio che l'utilizzazione di tali dati è stata effettuata nell'assolvimento delle finalità istituzionali della Federazione, sì che il trattamento può avvenire senza consenso, secondo quanto è dato evincere dall'art. 24 dello stesso corpus normativo.

7. Con il sesto ed ultimo mezzo di gravame si deduce la falsa rappresentazione dei fatti oggetto di indagine, asseritamente discendente dalla mera utilizzazione delle intercettazioni telefoniche, senza che siano stati valutati anche i comportamenti in concreto tenuti dal ricorrente nel corso della competizione calcistica arbitrata, nonché il vizio motivazionale con riguardo alla sanzione irrogata.

Anche tale censura deve essere disattesa.

Sotto il primo profilo, va anzitutto ribadito quanto già esposto al punto sub 5) della presente motivazione con riguardo alla valenza probatoria delle intercettazioni, sì che non può essere condiviso, già in questa prospettiva formale, l'assunto di parte ricorrente, secondo cui la condotta illecita avrebbe dovuto essere desumibile dalle decisioni arbitrali "assunte in campo", idonee ad alterare la gara.

Né appare conferente la complementare allegazione secondo cui l'alterazione del naturale esito sportivo della gara Lecce - Parma non sarebbe stata idonea, di per sé, a beneficiare la Fiorentina.

Ed invero ciò che appare decisivo, dal punto di vista strutturale, è la circostanza che l'illecito sportivo di cui all'art. 6, I e II comma, del c.g.s. si configura come illecito di pericolo, o, meglio, a consumazione anticipata, concretandosi nel "compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica".

Non rileva, dunque, se l'arbitraggio sia stato effettivamente parziale, quanto piuttosto l'idoneità degli atti compiuti a conseguire il risultato lesivo, ovvero la messa in pericolo del bene protetto.

A questo riguardo, la decisione della Corte federale precisa, con motivazione immune da vizi logici, come proprio in occasione della partita Lecce - Parma, nell'ultima giornata di campionato, il programma illecito concepito da Diego Della Valle, Bergamo e Mazzini abbia trovato attuazione con il coinvolgimento del segmento arbitrale, "attraverso esplicite ed inequivoche interlocuzioni tra Bergamo e l'arbitro De Santis ad un paio di ore dall'inizio della gara, la cui portata alteratrice è altrettanto certamente confermata dal colloquio successivo alla gara tra lo stesso arbitro e Mazzini" (pag. 102).

Sottolinea in particolare la Corte federale, alla pagina 103 della decisione, con riferimento alla telefonata intercorsa con il Bergamo, che "si tratta di un linguaggio del tutto insolito rispetto ad un normale colloquio di natura tecnica con un designatore, in cui è insistito il richiamo di De Santis alla necessità di imprimere una vigorosa impronta personale alla partita, governandola con la "testa" e sintomatico il riferimento alla "velata" spiegazione fornita ad uno degli assistenti, con il quale era in confidenza".

Dello stesso tenore la telefonata con il Vice Presidente federale, che, tra ironie del dirigente, autocompiacimento dell'arbitro, e soddisfatta conclusione di Mazzini, consente di desumere "l'insuperabile conferma della chiusura del cerchio fraudolento anche ex post" (pag. 104 della decisione della Corte federale).

7.1. Non è configurabile neppure il dedotto vizio motivazionale in ordine alla sanzione irrogata al De Santis.

Certamente non sussiste tale vizio con riguardo alla tipologia della sanzione (inibizione), perché la stessa è prevista dall'art. 6 del c.g.s.

Per quanto concerne poi l'entità della sanzione, superiore al minimo edittale, la formulazione sintetica della motivazione della Corte federale può essere spiegata con il fatto che detta decisione riduce la condanna irrogata dalla C.A.F., e si sofferma principalmente su tale aspetto (ravvisando una condizione di sudditanza psicologica dell'arbitro al Vice Presidente federale ed al designatore arbitrale); fa peraltro implicitamente rinvio, per l'enucleazione della gravità dell'illecito agli effetti della sanzione, alla motivazione della decisione della C.A.F. (che, per gli arbitri, ha tenuto conto anche della lesione arrecata all'immagine della categoria), come è dato evincere dall'incipit del passaggio motivazionale in questione ("relativamente alla sanzione da irrogare al De Santis, per la grave condotta di cui è stato giudicato colpevole, la Corte stima che debba essere ridotta a quattro anni di inibizione...").

8. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso, con l'annessa domanda risarcitoria, deve essere respinto per l'infondatezza dei motivi dedotti.

Sussistono tuttavia giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Sezione III Ter, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.