Corte di cassazione
Sezione III civile
Sentenza 9 maggio 2007, n. 10572

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Enzo D.R. intimava a Franco C. precetto di pagamento della somma di lire 183.655.368 e, divenuto il precetto inefficace ai sensi dell'art. 481 c.p.c., altro precetto di pagamento della maggiore somma di lire 186.113.595 comprensiva delle spese del precetto inefficace.

Il C. proponeva opposizione al secondo precetto, sostenendo di non essere tenuto al pagamento delle spese del precetto inefficace.

Il tribunale di Bologna rigettava l'opposizione che, invece, la corte di appello della stessa sede accoglieva con sentenza resa il 7 marzo 2003 su gravame del C., condannando il D.R. alle spese del doppio grado.

Richiamata la sentenza di questa Corte 21 febbraio 1980, n. 1258, secondo la quale all'inefficacia del precetto per mancato inizio dell'esecuzione è applicabile il principio stabilito dall'art. 310 c.p.c. e, cioè, che le spese del processo estinto rimangono a carico della parte che le ha anticipate, la corte ha dichiarato di adeguarsi alla sentenza richiamata, rilevando come non vi sia ragione per discostarsene; ha, poi, posto le spese a carico della parte soccombente, determinandone l'ammontare sulla base del valore della causa.

Il D.R. ha proposto ricorso per cassazione, affidandone l'accoglimento a quattro motivi; l'intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è denunciata errata e/o falsa applicazione degli artt. 1219, 2943 c.c., 95, 479, 480 c.p.c. e del d.lgs. 231/2002; il precetto deve precedere l'esecuzione; esso inoltre svolge la duplice funzione di atto di costituzione in mora e di interruzione della prescrizione; l'art. 95 c.p.c. pone le spese del procedimento esecutivo a carico di chi subisce l'esecuzione, mentre il d.lgs. 231/2002 stabilisce che il debitore deve sopportare tutte le spese finalizzate al recupero del credito, comprese quelle stragiudiziali; quand'anche il primo precetto fosse divenuto inefficace, esso spiegherebbe effetti sostanziali, per cui le spese relative graverebbero sul debitore; l'art. 310 c.p.c. presuppone l'estinzione del processo e non è applicabile nella specie, in cui il processo non è stato neppure iniziato.

2. Con il secondo motivo è denunciata omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censurandosi la sentenza impugnata per non avere considerato che nella specie concorrono motivi che ampiamente giustificano la reiterazione del precetto; motivi consistenti nel fatto che il debitore è stato escusso infruttuosamente.

3. I motivi, da esaminare congiuntamente per l'evidente connessione, non possono trovare accoglimento.

3.1. Occorre premettere che nel procedimento esecutivo l'onere delle spese non segue il principio della soccombenza come nel giudizio di cognizione, ma quello della soggezione del debitore all'esecuzione (Cass. 8 maggio 1998, n. 4653).

Fra le spese giudiziali che fanno carico al debitore esecutato rientrano quelle relative ad atti compiuti prima dell'inizio dell'esecuzione (Cass. 7 ottobre 1967, n. 1816).

3.2. L'art. 95 c.p.c., che contiene la disciplina delle spese del processo esecutivo, va interpretato nel senso che per porre le spese del creditore procedente a carico del debitore esecutato è necessario che il processo si concluda, mentre se si arresta per rinuncia o inattività, in mancanza di diverso accordo delle parti, le spese gravano rispettivamente sul rinunciante o su chi le ha anticipate (Cass. 4 agosto 2000, n. 10306).

3.3. Peraltro, l'art. 632, ultimo comma, c.p.c. prevede che all'estinzione del processo esecutivo si applica l'art. 310 c.p.c. che stabilisce che le spese del processo estinto rimangono a carico della parte che le ha anticipate; a maggior ragione si applica tale disciplina se la causa estintiva è imputabile al creditore procedente il quale abbia rinunciato agli atti o sia rimasto inattivo (Cass. 20 febbraio 1998, n. 1834).

3.4. Si collocano nell'ambito dei concetti sopra esposti Cass. 21 febbraio 1980, n. 1258, richiamata dalla sentenza impugnata, secondo la quale il principio stabilito dall'art. 310 c.p.c. (le spese del processo stanno a carico della parte che le ha anticipate) si applica anche nell'ipotesi di inefficacia del precetto per mancato inizio dell'esecuzione entro novanta giorni dalla notificazione, e Cass. 23 giugno 1997, n. 5577, che in una fattispecie, nella quale il creditore ha intimato un secondo precetto a seguito della perdita di efficacia del primo, ha affermato che il creditore medesimo non può pretendere le spese ed i diritti relativi al primo.

3.5. La corte di merito ha ritenuto che dalla specie esuli qualsiasi ipotesi di giustificazione della reiterazione del precetto e non vale a sostanziare la censura di insufficiente o contraddittoria motivazione la pura e semplice deduzione che successivamente all'intimazione del precetto si è reso necessario assumere informazioni sulle capacità economiche del debitore senza alcuna indicazione delle fonti processuali pretermesse o mal valutate.

3.6. Non può ritenersi costo sostenuto per il recupero delle somme non corrisposte alla scadenza, ripetibili dal debitore ai sensi dell'art. 6 d.lgs. 231/2002, la spesa sopportata per intimare precetto di pagamento divenuto inefficace per decorrenza del termine stabilito dall'art. 481 c.p.c.

4. Con il terzo motivo si lamenta omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione in ordine alla domanda di compensazione delle spese; in definitiva si sostiene che la corte di merito non ha pronunciato su tale domanda; si aggiunge che, ove avesse pronunciato, non avrebbe potuto che accoglierla, concorrendo giusti motivi.

4.1. Il motivo è infondato: la pronuncia di rigetto della domanda di compensazione è implicita in quella di condanna al pagamento delle spese; né, d'altra parte, vi era obbligo di motivazione specifica, non risultando che la domanda fosse supportata dall'allegazione di motivi idonei.

5. Con il quarto ed ultimo motivo si denuncia erronea o falsa applicazione degli artt. 1241 ss. c.c., 82, 83 c.p.c.; vizi di motivazione sul punto che concerne la distrazione delle spese; sussistendo nella specie reciproche ragioni di credito, avrebbe dovuto farsi luogo a compensazione ai sensi degli artt. 1241 ss. c.c.; considerato che la distrazione delle spese è atto discrezionale connesso e collegato alla soccombenza, la corte di merito avrebbe dovuto indicare la ragione per la quale, pur a fronte di un credito di oltre cento volte superiore, non abbia "emesso pronuncia che consentisse la compensazione".

5.1. Pure questo motivo è infondato.

5.2. La censura mossa alla sentenza impugnata non è di non avere accertato la sussistenza delle condizioni richieste per la distrazione, ma di non avere emesso pronuncia tale da consentire la compensazione dei crediti e, cioè, di non avere tenuto conto della possibilità di compensare i crediti medesimi.

Senonché la compensazione non è rilevabile d'ufficio, ma richiede l'eccezione di parte e nella specie non è neppure dedotto che sia stata eccepita.

6. In conclusione il ricorso è rigettato; non avendo l'intimato svolto attività difensiva in questa sede, non vi sono provvedimenti da assumere in ordine alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.