Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Sezione III quater
Sentenza 1° febbraio 2008, n. 900

FATTO

Le società indicate in epigrafe chiedono l'annullamento dei provvedimenti notificati loro dall'INPS, rispettivamente in data 3 ottobre 2007, Cantieristica Laziale; 1° ottobre 2007, Costruzione Montaggi Industriali; 12 ottobre 2007, Nuova CMA Telecomunicazioni, e 10 ottobre 2007, SICOI ed emessi dal direttore della sede INPS di Civitavecchia con i quali sono state rigettate le richieste di accesso alle dichiarazioni rese da loro dipendenti e dall'ENEL in occasione di alcune visite ispettive effettuate dall'Inps nel periodo 18 giugno-17 settembre 2007.

Deducono i seguenti motivi:

1) Violazione degli artt. 24, 97 e 111 della Costituzione e dei principi di buon andamento, trasparenza e giusto procedimento nonché del diritto di difesa. Violazione dell'art. 1 della l. n. 241 del 1990. Violazione e falsa applicazione dell'art. 22 e dell'art. 24, commi 1, 2 e 7 della l. n. 241 del 1990 come modificato dalla l. n. 15 del 2005.

2) Eccesso di potere per illogicità manifesta, contraddittorietà, difetto di motivazione e sviamento.

3) Falsa applicazione dell'art. 17, commi 2 e 3 nonché dell'allegato A parte II n. 12 del regolamento approvato con determinazione del Commissario straordinario INPS n. 1951/1994.

Si è costituita in giudizio l'Amministrazione intimata che ha eccepito l'inammissibilità del ricorso e controdedotto alle argomentazioni delle imprese ricorrenti chiedendo il rigetto del gravame.

All'udienza del 16 gennaio 2008 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Va, preliminarmente, disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso per omessa notifica ad almeno un controinteressato in quanto il ricorso risulta regolarmente notificato a più controinteressati nelle persone di dipendenti delle aziende ricorrenti, secondo le prescrizioni contenute nell'art. 21 della l. n. 1034 del 1971.

Va disattesa, anche, l'eccezione di tardività del medesimo in quanto, ancorché costituisca principio consolidato quello secondo il quale non può essere elusa la perentorietà del termine per impugnare un diniego di accesso ai documenti amministrativi (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 20 gennaio 2003, n. 223), in casi come quello in esame, in cui il termine per impugnare è stato erroneamente indicato dall'Amministrazione nella lettera di risposta agli istanti, in sessanta giorni in luogo dei trenta previsti dalla l. n. 241 del 1990, deve ritenersi indispensabile fare ricorso all'istituto dell'errore scusabile.

Ed invero, è stato sostenuto al riguardo che "L'erronea indicazione, contenuta nell'atto amministrativo, del termine per impugnare e dell'organo dinanzi al quale l'impugnazione va proposta costituisce presupposto per il riconoscimento dell'errore scusabile in sede processuale (Consiglio Stato, sez. VI, 16 giugno 2003, n. 3384)":

Poiché in tema di rimessione in termine, l'istituto dell'errore scusabile risulta finalizzato a garantire l'effettività della tutela giurisdizionale e si fonda su circostanze oggettive (quali comportamento fuorviante dell'amministrazione, complessità della fattispecie, difficoltà di qualificazione dell'atto da impugnare e i suoi effetti, ecc.) che abbiano potuto ingenerare l'errore incolpevole dell'interessato (T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 6 novembre 2000, n. 3501), e tali circostanze, nella situazione all'esame, sussistono consistendo nell'errata indicazione da parte dell'Amministrazione impugnata del termine per impugnare, deve ritenersi che l'impugnativa è tempestiva in quanto proposta nel termine di sessanta giorni erroneamente indicato alle ricorrenti proprio dall'INPS (e corrispondente a quello stabilito per i giudizi impugnatori ordinari avanti al giudice amministrativo).

Va, infine, respinta l'ultima eccezione di inammissibilità del ricorso con la quale l'Inps, in ragione della natura di ricorso collettivo del presente gravame, lamenta la mancata specificazione dell'interesse ad agire in capo a ciascuna ricorrente che impedirebbe di verificare la sussistenza dei presupposti di ammissibilità del ricorso medesimo.

È, certamente, da condividere l'argomento secondo il quale ai fini dell'ammissibilità del ricorso collettivo occorre, oltre al requisito negativo dell'assenza di un conflitto di interessi tra i ricorrenti, quello dell'identità di situazioni sostanziali e processuali, occorre cioè che le domande giurisdizionali siano identiche nell'oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che vengano censurati per i medesimi motivi (Consiglio Stato, sez. IV, 23 settembre 2004, n. 6222).

Nella fattispecie in esame, sia il requisito negativo dell'assenza di un conflitto di interessi tra le ricorrenti - tutte accomunate dall'interesse alla conoscenza delle dichiarazioni rese dai propri dipendenti - sia la richiesta identità sostanziale dell'oggetto del giudizio e processuale, consistente nelle medesime censure, sussistono atteso che non si è soltanto in presenza di identiche censure ma anche del medesimo contenuto dell'atto impugnato e di una richiesta relativa ad un medesimo accertamento.

Nel merito, con riferimento, cioè, all'accesso da parte del datore di lavoro alle dichiarazioni rese da dipendenti in occasione di visite ispettive dell'Inps, il Collegio non ignora l'orientamento ormai consolidato del giudice amministrativo nel senso dell'illegittimità e, quindi, della necessità di disapplicazione dell'art. 17 del regolamento I.N.P.S. 16 febbraio 1994, n. 1951, vale a dire della disposizione tesa a sottrarre all'accesso, a tutela della riservatezza, le dichiarazioni dei lavoratori che costituiscono la base per la redazione dei verbali ispettivi, al fine di prevenire pressioni, discriminazioni o ritorsioni ai danni dei lavoratori medesimi.

Più in generale è noto al Collegio che è stato ritenuto disapplicabile l'art. 2, comma 1, lett. c), d.m. 4 novembre 1994, n. 757, che sottrae al diritto di accesso le dichiarazioni rese dai lavoratori in occasione di indagini ispettive a carico del loro datore di lavoro fino a quando non sia cessato il rapporto, ritenendo tale norma in contrasto con l'art. 24 l. 7 agosto 1990, n. 241 e che sono stati esaminati i limiti al diritto di accesso derivanti dal segreto istruttorio penale.

Osserva che, a tale ultimo riguardo, è stato evidenziato che tra i casi di segreto previsti dall'ordinamento rientra, certamente, quello istruttorio in sede penale, delineato dall'art. 329 c.p.p., a tenore del quale "gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari".

Nel caso in esame non si ha notizia di illeciti penali nel senso che dagli atti dell'indagine ispettiva condotta dagli ispettori del lavoro non risulta sia scaturita la previsione di illeciti diversi da quelli amministrativi sicchè, secondo la giurisprudenza che di seguito si richiama e quella appena accennata, i documenti richiesti, non dovrebbero essere ritenuti segretati e dovrebbero essere disponibili all'accesso (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 12 settembre 2007, n. 7539; TAR Puglia Lecce, sez. II, 27 luglio 2007, n. 3016; C.d.S., sez. VI, 13 dicembre 2006, n. 7389) sia pure attraverso il rilascio di copia della documentazione richiesta previo oscuramento dei dati e delle generalità delle persone fisiche interessate dagli atti rilasciati (T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. II, 24 novembre 2006, n. 2451).

Il Collegio pur concordando, nella sostanza, con i principi appena espressi ritiene, però, che gli stessi meritino alcuni ulteriori approfondimenti.

Osserva che dopo un orientamento (T.A.R. Veneto, sez. I, 25 marzo 1995, n. 456; T.A.R. Veneto, sez. I, 25 marzo 1995, n. 456; T.A.R. Lombardia Brescia, 4 maggio 1996, n. 497) tutto nel senso della non ostensibilità delle dichiarazioni in questione a tutela del lavoratore, ha preso, poi, il sopravvento un orientamento contrario (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 28 giugno 2002, n. 6029) che partendo da una diversa lettura dell'art. 24, comma 6, lettera d), della l. n. 241 del 1990, disciplinante le ipotesi di esclusione dall'accesso, tra le quali quella di cui alla l. n. 801/1977 (segreto di Stato) o quella prevista dall'art. 329 c.p.p. (segreto istruttorio penale) ed ipotesi assimilate (istruttoria nel giudizio contabile per illecito contabile) o, ancora, previste da un regolamento governativo adottato ex art. 17, comma 2, l. n. 400 del 1988, ove si ammette l'esclusione dall'accesso soltanto nel caso in cui siano da salvaguardare precisi interessi, è stata affermata la prevalenza del diritto di difesa sulle esigenze di riservatezza con la conseguenza - prima detta - della disapplicazione delle norme regolamentari limitative dell'accesso (TAR Lombardia Milano, sez. III, 8 marzo 2007, n. 405).

Ha, ovviamente, contribuito a tale interpretazione la lettura completa dell'art. 24, in particolare del comma 7 del predetto articolo, ove si precisa che "Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici" e del comma 4 dello stesso articolo, ove si dispone che l'accesso ai documenti amministrativi non può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento.

L'elemento su cui si è basata la giurisprudenza riferita, è stato quello del diritto alla difesa, prevalente su quello alla riservatezza, al quale si è aggiunto l'altro, in replica alla paventata possibilità di ritorsioni da parte del datore di lavoro, dell'insieme delle tutele riconosciute al lavoratore attraverso istituti previsti dall'ordinamento, sia all'interno della normativa sul lavoro sia dei contratti collettivi di categoria di vario livello ove si prevede il divieto di licenziamento (se non per giusta causa o giustificato motivo) sia, infine, di altre ancora inserite nella l. 20 maggio 1970, n. 300 (TAR Veneto, sezione III, 14 maggio 2003, n. 2760).

Su tutti i profili appena esposti il Collegio ritiene di dover fare alcune precisazioni.

Per quanto riguarda l'insieme di tutele riconosciute dall'ordinamento ai lavoratori, non può essere ignorata l'evoluzione, per meglio dire, il cambiamento intervenuto, a tale proposito, nel mondo del lavoro.

Prima tra tutte il carattere ormai prevalentemente temporaneo del rapporto di lavoro dipendente e, in particolare, la sua cosiddetta precarizzazione tanto da poter escludere che l'argomento considerato nella giurisprudenza richiamata, e ritenuta di rilievo decisivo, possa essere ritenuto tuttora valido.

L'esigenza di tutela del lavoratore da eventuali ritorsioni che in passato era stata ritenuta la ragione principale del divieto di ostensione delle dichiarazioni rese dal medesimo in occasione di visite ispettive dell'Inps, sembra quanto meno riemersa a seguito del profondo mutamento subito dal mondo del lavoro.

Inoltre, ad avviso del Collegio, non tutte le situazioni in cui operano i lavoratori possono essere ritenute equivalenti, nel senso che la struttura entro la quale prestano la loro attività si presenta oggettivamente diversa, e può dar luogo, a conseguenze diverse .

Invero, la situazione di lavoro in cui versa il dipendente di una impresa di medie e grandi dimensioni, è certamente diversa da quella in cui si trova ad operare un lavoratore di un'impresa di piccole dimensioni.

Mentre la dichiarazione resa dal lavoratore operante nella prima situazione, se portata a conoscenza del datore di lavoro nei contenuti, ma non nell'autore, può restare anonima in quanto la riconduzione all'autore può rivelarsi difficile se non, addirittura impossibile, non altrettanto può dirsi nel caso in cui la dichiarazione sia resa da un lavoratore che opera in un'impresa di piccole o piccolissime dimensioni, atteso che in tale caso la dichiarazione da questi resa, ancorché coperta dagli omissis circa il nominativo, può essere facilmente ricondotta al suo autore, con tutti i rischi e le conseguenze che ne possono derivare quanto alla sicurezza del posto di lavoro o alle possibili ritorsioni che il primo orientamento giurisprudenziale intendeva salvaguardare.

Non va poi trascurato che, nel valutare la situazione in esame dal punto di vista astratto, non deve tenersi conto soltanto dell'esigenza descritta, di tutela del lavoratore da ritorsioni, ma anche di quella, pubblicistica, degna di ogni considerazione, di evitare che il pericolo o il timore di azioni discriminatorie, di indebite pressioni e pregiudizi porti il lavoratore a non dichiarare o a dichiarare in modo mendace al fine di tutelare la propria posizione lavorativa, con sacrificio dell'interesse pubblico all'acquisizione di dati necessari per assicurare una contribuzione corrispondente a quella dovuta.

Il Collegio si sofferma ora sulle esigenze di difesa a tutela delle quali è stata ritenuta ostensibile la dichiarazione resa dal lavoratore.

Premesso che la dichiarazione in questione costituisce, di regola, la base del verbale ispettivo nel quale sono contenuti i punti sui quali il datore di lavoro è chiamato a fornire indicazioni o giustificazioni senza che la conoscenza della fonte (intendendo per fonte le dichiarazioni rese dal lavoratore) possa ragionevolmente incidere nel senso che il datore di lavoro dovrà fornire prove o elementi a giustificazione del proprio operato al fine di evitare l'applicazione di sanzioni a suo carico a prescindere da chi abbia reso la dichiarazione e addirittura dalla dichiarazione stessa, ma sulle contestazioni mosse dall'INPS, osserva il Collegio che l'ipotesi in cui l'esigenza di difesa del datore di lavoro appare emergere è quella in cui quest'ultimo, messo a conoscenza delle contestazioni mosse a suo carico, le disconosca e ritenga le medesime il frutto di dichiarazioni non veritiere.

In questo caso, certamente, vi è un'esigenza di difesa che non può essere minimamente compressa da quella alla riservatezza del lavoratore.

Peraltro occorre precisare, a proposito del punto che si sta esaminando, che l'art. 24 della l. n. 241 del 1990 ammette, al comma 6, lettera d), che con regolamento adottato ai sensi dell'art. 17, comma 2, della l. 23 agosto 1988, n. 400, il Governo preveda, quali casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi:

quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi ... professionale, finanziario, ... di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono.

La disposizione esposta deve essere coordinata con quella contenuta nel comma 7 del medesimo articolo ove si afferma che va comunque garantito l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Essa intende tutelare l'interesse "professionale", e non può esservi maggiore esigenza di tutela della sicurezza del proprio posto di lavoro o delle condizioni di svolgimento della propria attività.

Ritiene, pertanto, il Collegio che le disposizioni in parola possano trovare un giusto punto di equilibrio consentendo l'accesso a chi non adduca generiche ragioni di tutela, richiamandosi semplicemente alla disciplina dell'accesso, ma specifichi in modo puntuale tali esigenze, dando concretezza a quell'interesse che la l. n. 241 del 1990 intende tutelare.

Poiché, nel caso in esame, nessuna delle imprese ricorrenti ha specificato le concrete esigenze di difesa in ragione delle quali ritiene necessario accedere alle dichiarazioni rese dai lavoratori dipendenti, ne consegue che la lettera di diniego dell'Inps, impugnata con l'odierno gravame, si rivela del tutto legittima, sicchè il ricorso si appalesa infondato, nella parte riguardante le dichiarazioni rese dai lavoratori dipendenti dalle medesime imprese.

A diversa conclusione potrebbe pervenirsi per quanto riguarda la richiesta di accesso alle dichiarazioni rese dall'ENEL, rispetto alle quali le indicate esigenze di tutela potrebbero non sussistere.

Sussiste, però, l'esigenza dell'instaurazione di un perfetto contraddittorio anche nei riguardi dell'Ente citato, al quale le ricorrenti sono tenute a notificare il presente ricorso entro 30 (trenta) giorni dalla pubblicazione o notificazione, se anteriore, della presente sentenza.

Le stesse parti dovranno fornire prova dell'avvenuta notifica, mediante deposito in Segreteria della Sezione, di copia del ricorso con gli estremi di notifica.

Il presente giudizio, limitatamene a quest'ultima parte, deve essere sospeso, anche per ciò che concerne le spese di lite.

Con riferimento alla parte decisa il Collegio ritiene che le spese di giudizio, in considerazione della questione trattata e dei profili esaminati, possano essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sede di Roma - Sezione III quater respinge in parte il ricorso proposto dalle imprese meglio specificate in epigrafe, mentre lo sospende per la restante parte, ai fini dell'integrazione del contraddittorio nei confronti dell'ENEL cui il ricorso deve essere notificato nei termini indicati in motivazione.

Compensa tra le parti in causa le spese del giudizio relativamente alla parte decisa e rinvia al definitivo la definizione delle stesse per la restante parte.

Rinvia all'Udienza del 12 marzo 2008 per il prosieguo della trattazione del ricorso.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

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