Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 20 marzo 2014, n. 14293

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Catanzaro riformava parzialmente la pronuncia di primo grado dell'8 ottobre 2012, riconoscendo all'imputato la circostanza attenuante di cui al comma 5 dell'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, con giudizio di prevalenza sulla recidiva aggravata, e rideterminando la pena finale, e confermava nel resto la medesima pronuncia con la quale il Tribunale di Paola, all'esito di rito abbreviato, aveva condannato Giuseppe A. in relazione al reato di cui all'art. 73, comma 1-bis, d.P.R. cit., per avere illegalmente detenuto sostanza stupefacente del tipo marijuana del peso di circa 67 grammi, che, per modalità di confezionamento e conservazione, essendo la sostanza suddivisa in 17 distinti involucri, e per luogo di detenzione, essendo stata occultata all'interno della propria abitazione, sotto il letto, era destinata alla cessione a terzi o, comunque, ad un uso non esclusivamente personale.

Rilevava la Corte di appello come le emergenze processuali acquisite durante le indagini, utilizzabili in ragione dell'instaurato giudizio abbreviato, avessero dimostrato la colpevolezza dell'imputato in ordine al reato ascrittogli; e come al prevenuto potesse essere riconosciuta l'attenuante del fatto di lieve entità, prevalente sulla recidiva reiterata e infraquinquennale, in ragione del suo stato di tossicodipendenza, nonché della qualità e quantità della droga, dal predetto consegnata spontaneamente ai carabinieri operanti.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso l'A., con atto sottoscritto dal suo difensore avv. Cesare B., il quale, con un unico motivo, ha dedotto la violazione di legge, in relazione agli artt. 125 e 192 c.p.p. ed alle norme di diritto penale sostanziale contestate, ed il vizio di motivazione, per contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale ingiustificatamente valorizzato dati di conoscenza privi di valenza dimostrativa certa e trascurato, invece, altri elementi di conoscenza, quali quelli legati allo svolgimento, da parte dell'imputato, di lavori saltuari, ed al mancato ritrovamento di bilancino e altri attrezzi per la preparazione delle dosi, che avrebbero dovuto indurre a ritenere la droga sequestrata destinata all'esclusivo consumo personale del prevenuto, come dallo stesso riferito.

In via subordinata, il ricorrente ha chiesto di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis del d.l. n. 272 del 2005, convertito nella l. n. 49 del 2006, nella parte in cui ha modificato la disciplina sanzionatoria del più volte citato art. 73.

3. Ritiene la Corte che il ricorso sia fondato, nei limiti di seguito precisati.

3.1. Il motivo formulato in via principale è inammissibile perché presentato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.

Al di là del formale dato enunciativo, avendo il ricorrente fatto riferimento tanto al vizio di motivazione quanto alla violazione delle norme afferenti ai criteri di valutazione della prova, il predetto non ha prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilità delle premesse dell'argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni; né è stata propriamente lamentata una incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte del procedimento.

Il ricorrente, invero, si è limitato a criticare il significato che la Corte di appello di Catanzaro aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante le indagini. Tuttavia, bisogna rilevare come il ricorso, lungi dal proporre una reale violazione di legge ovvero un "travisamento delle prove", vale a dire un'incompatibilità tra l'apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell'intera motivazione, è stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi di "travisamento dei fatti" oggetto di analisi, sollecitando un'inammissibile rivalutazione dell'intero materiale d'indagine, rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale nell'ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente.

Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio di diritto secondo il quale, a seguito delle modifiche dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., ad opera dell'art. 8 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di "travisamento della prova", che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto permesso dedurre il vizio del "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra le tante, Sez. 3, n. 39729 del 18 giugno 2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048 del 25 settembre 2007, Casavola, Rv. 238215).

La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede una stringente e completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, avendo la Corte calabrese analiticamente spiegato come il peso totale della sostanza stupefacente sequestrata, risultata pari a 54 grammi di marijuana, la percentuale di principio attivo, idonea alla formazione di 121 dosi medie, il fatto che la droga fosse suddivisa in ben diciassette distinti pacchettini, ed ancora la circostanza che l'A. fosse del tutto privo di un lavoro lecito che potesse permettergli introiti per l'acquisto dello stupefacente, fossero elementi che, valutati congiuntamente, facevano fondatamente ritenere che la droga fosse destinata allo spaccio in favore di terzi e, comunque, al consumo non esclusivamente personale (v. pag. 2 sent. impugn.).

Soluzione interpretativa nella quale la Corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio di diritto, agevolmente desumibile dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il superamento dei limiti tabellari indicati dall'art. 73, comma 1-bis, lett. a), d.P.R. n. 309 del 1990, pur non determinando alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale, può essere considerato come un indizio a carico dell'indagato (così, da ultimo, Sez. 6, n. 6575 del 10 gennaio 2013, Mansi, Rv. 254575), da valutarsi unitamente agli ulteriori parametri indicati nella predetta disposizione normativa, in maniera tale da poter sostenere che le modalità di presentazione e le altre circostanze dell'azione sono tali da escludere una finalità esclusivamente personale della detenzione (così, ex multis, Sez. 6, n. 12146 del 12 febbraio 2009, P.M. in proc. Delugan, Rv. 242923).

3.2. In relazione alla richiesta subordinata avanzata dal ricorrente, va evidenziato come, proprio giudicando fondata un'analoga questione di legittimità costituzionale, la Corte costituzionale ha recentemente dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del d.l. n. 272 del 2005 (contenente "Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell'Amministrazione dell'interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309"), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della l. n. 49 del 2006 (Corte cost. n. 32 del 2014). L'effetto di tale pronuncia è stato quello di una reviviscenza della disciplina dettata dall'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 nella sua versione precedente alle modifiche introdotte con la citata legge di conversione n. 49 del 2006, che, come noto, aveva - tra l'altro - parificato, ai fini sanzionatori, le droghe "pesanti" a quelle "leggere", con l'eliminazione delle quattro distinte tabelle di cui al d.m. previsto dall'art. 14 dello stesso d.P.R., pure modificando i limiti edittali.

L'eliminazione, con effetto ex tunc, della disciplina dichiarata costituzionalmente illegittima e la riacquistata efficacia della disciplina previgente ha palesi effetti pratici nel caso di specie, atteso che l'imputato è stato condannato dai Giudici di merito in base all'ipotesi attenuata dell'art. 73, comma 5, d.P.R. cit. che, nella versione ora abrogata, prevedeva la pena da uno a cinque anni di reclusione e da 3.000 a 26.000 euro di multa, laddove l'effetto della dichiarazione di illegittimità comporta la reviviscenza della vecchia disciplina del medesimo art. 73, comma 5, che, in relazione alle droghe "leggere", di cui alle citate tabelle II e IV (tra cui la marijuana), stabilisce la pena da sei mesi a quattro anni di reclusione, oltre alla pena pecuniaria corrispondente a quella originariamente fissata da due milioni a venti milioni di vecchie lire.

Si tratta di una modifica del trattamento sanzionatorio evidentemente in melius - dovendosi escludere nella fattispecie l'operatività della più rigorosa disciplina introdotta, nello stesso art. 73, comma 5, d.P.R. cit., dall'art. 2 del d.l. n. 146 del 2013 (contenente "Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria"), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della l. n. 10 del 2014, ius supeveniens non "toccato" dalla sopra considerata sentenza della Consulta, ma applicabile solo ai reati commessi dal 24 dicembre 2013 - che non può non avere effetti favorevoli anche per l'odierno ricorrente, la cui responsabilità ha comportato l'irrogazione di una sanzione sulla base di parametri oggi non più "legali": imputato per il quale, avendo la Corte territoriale a suo tempo determinato la pena staccandosi sensibilmente dai limiti edittali minimi, e dovendosi, perciò, effettuare una nuova globale valutazione del fatto, in maniera tale da adeguarlo all'entità della pena da infliggere in ragione dei nuovi limiti edittali più favorevoli (valutazione di merito non consentita in questa sede di legittimità: in questo senso, tra le altre, Sez. 6, n. 12707 del 24 febbraio 2009, Mazzullo, Rv. 243685; Sez. 6, n. 16176 del 2 aprile 2008, Mecaj, Rv. 239557; Sez. 6, n. 1024 del 17 ottobre 2006, Durante, Rv. 236061), si impone l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.

Rigetta il ricorso nel resto.

Depositata il 26 marzo 2014.