Consiglio di Stato
Adunanza plenaria
Sentenza 22 aprile 2014, n. 12
FATTO
Con la sentenza n. 1531 del 24.5.2013, il T.A.R. Sicilia, sezione staccata di Catania, rigettava il ricorso proposto dal dott. Vincenzo A. avverso l'esclusione dal concorso pubblico, per titoli ed esami indetto dall'Azienda Sanitaria Provinciale di Siracusa per la copertura di 5 posti di dirigente amministrativo.
Il dott. Vincenzo A. proponeva appello contro la suddetta sentenza avanti al Consiglio di Stato, chiedendone, previa sospensione, l'annullamento e/o la riforma.
L'appellata Azienda Sanitaria Provinciale eccepiva in via preliminare l'inammissibilità dell'appello, poiché quest'ultimo era stato proposto avanti al Consiglio di Stato anziché al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia, e nel merito chiedeva la reiezione dell'appello.
Nella camera di consiglio del 3.10.2013, fissata per l'esame dell'istanza di sospensione proposta in via cautelare dall'appellante, la causa veniva rinviata a quella successiva del 7.11.2013 e trattenuta in decisione.
Con ordinanza n. 5443 del 15 novembre 2013, la Sezione rimetteva la questione a questa Adunanza plenaria per la soluzione della questione di diritto di seguito riassunta.
DIRITTO
L'art. 6, comma 6, e l'art. 100 c.p.a. insieme all'art. 4, comma 3, del d.lgs. 373/2003 stabiliscono che gli appelli contro le sentenze pronunziate dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia devono essere proposti innanzi al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia.
La giurisprudenza è costante nell'affermare l'inammissibilità di un appello contro una sentenza del T.A.R. Sicilia erroneamente proposto innanzi al Consiglio di Stato (Cons. St., 4.7.1978, n. 21). Il suddetto principio, incidenter tantum, è stato pure di recente ribadito da questa Adunanza plenaria (Cons. St., ad. plen., 19.11.2012, n. 34).
Tuttavia, come correttamente ricorda la Sezione remittente, non vi è completa unanimità rispetto alle conseguenze che discendono dalla dichiarata inammissibilità.
Secondo una prima tesi, prevalente, dall'inammissibilità deriva il passaggio in giudicato della sentenza, poiché si è consumato il potere di impugnazione (ex plurimis Cons. St., sez. IV, 21.10.1993, n. 898; Cons. St., sez. IV, 19.2.1990, n. 103).
Secondo altra tesi, minoritaria, la dichiarazione di inammissibilità non preclude la riassunzione, poiché non produce la consumazione del potere di impugnare (Cons. St., sez. III, 16.4.2011, n. 2340).
Talora la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha richiamato l'art. 50 c.p.c., per il quale, in caso di incompetenza, la causa prosegue davanti al giudice competente se riassunta nei termini previsti, e ha invocato anche il principio di effettività contenuto nell'art. 24 Cost. (Cons. St., sez. V, 21.7.2009, n. 4580). Peraltro il nuovo codice del processo amministrativo potrebbe rendere superfluo, nel caso di adozione del secondo orientamento, il richiamo al codice di procedura civile poiché l'art. 15, comma 4, del c.p.a., con norma dettata per il primo grado di giudizio, disciplina l'ipotesi in cui il processo continua davanti al giudice competente.
Chiede pertanto la Sezione remittente di stabilire se il principio della translatio iudicii esprima un principio generale che possa essere applicato anche al giudizio di appello o se tale principio receda innanzi alla regola per cui l'impugnazione dichiarata inammissibile, pur per difetto di competenza, comporta il passaggio in giudicato della sentenza impugnata. La Sezione da una parte richiama i valori costituzionali della tutela giurisdizionale e del giusto processo espressi dagli artt. 24 e 111 Cost. e l'importanza che il principio della translatio iudicii assume in un processo colmo di termini decadenziali. D'altra parte il Collegio rammenta tuttavia che nel giudizio di appello, essendo le regole sull'individuazione del giudice assolutamente univoche, l'eventuale errore della parte non presenta quei margini di scusabilità che possono sussistere nell'esercizio dell'azione di primo grado.
Al riguardo, al fine di decidere la questione, va premesso che il problema del contrasto fra questi due fondamentali principi è emerso con frequenza in sede processuale civile.
La Corte di Cassazione ha stabilito che l'individuazione del giudice dell'appello non può ricondursi alla nozione di competenza risultante dal codice di procedura civile, Capo primo, Titolo primo, Libro primo. Le attribuzioni dei poteri in primo e in secondo grado non hanno, infatti, eadem ratio e dunque non si possono applicare analogicamente gli artt. 50 e 38 c.p.c. per la individuazione della cognizione in grado di appello. Ne deriva, ed è principio consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte, che l'erronea individuazione del giudice legittimato a decidere dell'impugnazione non è inquadrabile quale questione di competenza, ma come questione di ammissibilità del gravame, da dichiararsi preclusa se prospettata a un giudice diverso da quello individuato per legge dall'art. 341 c.p.c. L'appello a un giudice diverso da quello indicato dal citato articolo può dunque determinare la consumazione del potere di impugnare, ove siano decorsi i termini per il gravame, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata (Cass., sez. I, 7.12.2011, n. 26375).
Un precedente e minoritario orientamento della Cassazione ha ritenuto che l'appello proposto davanti ad un giudice incompetente non configura un'ipotesi di inammissibilità dell'impugnazione e ha dichiarato possibile la riassunzione del processo nella sola ipotesi di incompetenza territoriale, mentre l'ha comunque negata per i casi di incompetenza funzionale del giudice adito (Cass., sez. I, 30.8.2004, n. 17395).
L'indirizzo prevalente e più recente della Cassazione, tuttavia, esclude l'applicazione al giudizio di appello dell'art. 50 c.p.c, relativo alla translatio iudicii avanti al giudice competente in primo grado. L'orientamento si fonda su un argomento testuale, ossia la mancata attribuzione delle funzioni ai giudici delle impugnazioni in termini espressi di "competenza", e su uno sistematico, ovverosia l'incoerenza fra l'affermare un principio di favore per chi esercita il diritto di impugnazione, sbagliando ad individuare il giudice, e il rispetto delle regole in materia di inammissibilità e improcedibilità, cui il legislatore ha subordinato l'esercizio di impugnazione (Cass., sez. III, 10.2.2005, n. 2709).
In particolare le Sezioni Unite affermano che l'individuazione del giudice di appello, ex art. 341 c.p.c., attiene a una "competenza" territoriale del tutto sui generis, che prescinde dai comuni criteri di collegamento tra una causa e un luogo: dipende indefettibilmente dalla sede del giudice a quo, sicché è dotata di un carattere prettamente funzionale che impedisce il definitivo suo radicamento presso un giudice diverso, per il fatto che la questione non sia stata posta in limine litis (Sezioni Unite civili, 22.11.2010, n. 23594).
Questa Adunanza Plenaria ritiene che le richiamate considerazioni addotte dalla Corte di Cassazione a sostegno della conclusione dell'impossibilità di estendere al giudizio di appello le disposizioni dettate per il primo grado in materia di translatio iudicii, attesa la diversità strutturale del ricorso al Giudice in primo e in secondo grado, debbano estendersi anche al processo amministrativo.
Anche in tale rito, infatti, l'erronea individuazione del giudice di appello da parte del ricorrente non determina un problema di competenza territoriale.
Sin dalla sua istituzione, con l'emanazione del decreto legislativo presidenziale del 6 maggio 1948 n. 654 attuativo dell'art. 23 dello Statuto della Regione Siciliana, il Consiglio di Giustizia amministrativa assolve, nella Regione siciliana alle stesse funzioni consultive e giurisdizionali del Consiglio di Stato.
Il più recente d.lgs. n. 376/2003, recando "Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana concernenti l'esercizio nella regione delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato", stabilisce che le sezioni del Consiglio di giustizia amministrativa funzionano come sezioni staccate del Consiglio di Stato (art. 1, comma 2) e che in sede giurisdizionale il Consiglio di giustizia amministrativa esercita le funzioni del giudice di appello avverso le pronunce del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia (art. 4, comma 3).
Il Consiglio di Giustizia amministrativa è pertanto titolare di un'attribuzione specifica che può essere sintetizzata, come già ha fatto la giurisprudenza amministrativa nella citata decisione della quarta Sezione del Consiglio di Stato n. 103 del 19 febbraio 1990, nella formula "competenza funzionale inderogabile".
Competenza funzionale che, nonostante la comune radice linguistica, è nozione ontologicamente e strutturalmente diversa dalla competenza territoriale.
È a tale nozione che va ricondotto il dato testuale dell'art. 100 c.p.a. che fa salva la "competenza" del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana per gli atti proposti contro le sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia.
Nel processo amministrativo, pertanto, le norme che individuano il giudice dell'appello, avendo carattere funzionale, non attengono alla competenza territoriale in senso tecnico, ma al luogo dove ha sede il giudice naturale.
Va dunque esclusa la possibilità di estendere le norme che, in primo grado, disciplinano la riassunzione del processo avanti al giudice competente.
L'appello a un giudice diverso da quello individuato dalla legge determina pertanto la consumazione del potere di impugnare, ove siano decorsi i termini per il gravame, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata.
Nel caso esaminato, l'appello avverso la sentenza pronunziata dal T.A.R. Sicilia, erroneamente proposto al Consiglio di Stato anziché al Consiglio di giustizia amministrativa, è pertanto da ritenere inammissibile.
Sulla base delle sopra esposte considerazioni non può essere disposta la riassunzione del giudizio avanti al Consiglio di giustizia amministrativa, essendosi definitivamente consumato il potere di impugnare.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in euro 1.000 (mille).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna la parte appellante alle spese, liquidate in euro 1.000 (mille).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.