Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 17 gennaio 2014, n. 16711
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 12 luglio 2012 la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza del G.U.P. del Tribunale di Napoli del 25 ottobre 2011, che all'esito del giudizio celebrato col rito abbreviato aveva dichiarato l'imputato Francesco Troia colpevole dei delitti di tentata estorsione aggravata e continuata in danno dell'imprenditore Ciro Borrelli, di tentato omicidio in danno del dipendente di questi, Pasqualino De Luca, di detenzione e porto illegali di una pistola cal. 6,35, arma comune da sparo, nonché di spari in luogo abitato, fatti commessi in San Giorgio a Cremano il 26 aprile 2010, con la recidiva infraquinquennale, e che, per l'effetto, unificati i reati nel vincolo della continuazione, applicata la diminuente per il rito, aveva condannato l'imputato alla pena di anni tredici e mesi quattro di reclusione, al pagamento delle spese processuali e di custodia in carcere, con le pene accessorie di legge e la confisca e la distruzione di quanto in sequestro.
1.1. Da entrambe le sentenze di merito, che avevano reso conforme ricostruzione dei fatti sulla scorta di quanto riferito nel corso delle indagini preliminari da Pasqualino De Luca e Ciro Borrelli, il primo resosi autore anche del riconoscimento fotografico dell'imputato, si deduceva che Francesco Troia, figlio di soggetto ritenuto vicino al clan camorristico dei "Cavallari", operante a San Giorgio a Cremano, appena scarcerato, forte dei legami di affinità con esponenti del clan Aprea, aveva tentato di assumere il controllo della stessa zona, recandosi presso i cantieri edili ivi allestiti per sollecitare gli imprenditori a regolarizzare il pagamento del prezzo dell'estorsione in favore del clan Aprea. In particolare, per quanto riguardava le vicende oggetto del processo, in data 24 aprile 2010 egli si era recato una prima volta a bordo di un ciclomotore con altro soggetto, identificato inizialmente dalla vittima in Raffaele Ceffariello, entrambi non travisati, presso il cantiere dell'imprenditore Ciro Borrelli, sito in via Luigi Sant'Aniello a San Giorgio a Cremano, ove, rivolgendosi all'operaio Pasqualino De Luca, aveva intimato di riferire al suo datore di lavoro di mettersi in regola, pena l'impossibilità di proseguire nei lavori. Vi aveva fatto ritorno una seconda volta il 26 aprile sempre a bordo di un ciclomotore ed in quell'occasione aveva sparato con una pistola contro l'impalcatura ove alcuni operai erano intenti al lavoro, così attingendo alla regione toraco-addominale il De Luca, prontamente soccorso e trasportato in ospedale, ove era stato sottoposto ad intervento chirurgico che gli aveva salvato la vita. Nel corso delle indagini erano state effettuate intercettazioni telefoniche nei confronti dei congiunti dei sospettati ed acquisite le informazioni fornite da Armando De Luca: costui aveva riferito di avere appreso da Mariano Fiorillo, proprio vicino di casa, dell'ospitalità da questi offerta al Troia dopo il delitto, cui aveva partecipato anch'egli, sia conducendo il veicolo col quale avevano raggiunto il cantiere, in seguito riportato presso la sua abitazione, sia occultando l'arma utilizzata per la sparatoria, che era stata effettuata "all'impazzata" dal Troia pur nella consapevolezza della presenza degli operai dell'impresa sull'impalcatura, e del successivo avvicinamento della vittima della sparatoria per farla ritrattare. Sulla scorta di tali indicazioni era stato possibile individuare l'imputato nel nascondiglio ove aveva trovato rifugio dopo i fatti, appunto presso l'abitazione di Mariano Fiorillo, ove era stato tratto in arresto il 1° maggio 2010 dopo un vano tentativo di fuga da una finestra. Inoltre, quanto affermato dall'informatore Armando De Luca aveva ricevuto plurimi elementi di conferma, in quanto:
- il ciclomotore SH scuro, intestato a Ciro Troia, padre dell'imputato, era stato rinvenuto nel parco Bacci di San Giorgio a Cremano, e lo stesso corrispondeva alla descrizione, effettuata dagli operai del cantiere ove era avvenuta la sparatoria, del mezzo a bordo del quale erano sopraggiunti i suoi autori ed allo stesso ritratto da una telecamera posizionata nei pressi del cantiere;
- il secondo ciclomotore di colore bianco, che aveva accompagnato il primo equipaggio, ed a bordo del quale il Troia sarebbe salito per la fuga, era stato filmato dallo stesso impianto di videoregistrazione;
- l'arma cal. 6,35, dotata di manico in legno, in perfetto stato d'uso, completa di un caricatore con due colpi e contenente un terzo colpo in canna, che nella descrizione del De Luca sarebbe stata utilizzata per la sparatoria, era stata fatta rinvenire dal De Luca stesso nei pressi delle abitazioni propria e del Fiorillo, riposta in una busta di cellophane e sotterrata tra alcune sterpaglie;
- sul luogo del delitto nei pressi dei bossoli sparati contro il cantiere era stata rinvenuta la carta d'identità di Francesco Troia, in posizione corrispondente a quella assunta dallo sparatore, senza che ne fosse stata sporta denuncia di furto o di smarrimento e della cui perdita il Troia era stato consapevole, tanto da essersi munito di fotografie da applicare su un nuovo documento, rinvenute in sede di perquisizione nel suo ultimo nascondiglio.
1.2. Sulla scorta di tali dati fattuali i giudici di merito ritenevano integrati tutti i reati contestati, rilevando che la condotta di tentata estorsione rientrava nelle tipiche modalità operative dei clan camorristici, che il tentativo premeditato di omicidio, aggravato dal metodo tipicamente mafioso e dalla finalità di avvantaggiare associazione di stampo camorristico, nel quale si era tradotta la spedizione punitiva, era integrato dallo sparo di otto colpi da arma da fuoco all'indirizzo dell'impalcatura, ove si erano trovati gli operai dipendenti dell'impresa, dall'aver attinto in zona vitale il De Luca, reo di non aver efficacemente avvertito il suo datore di lavoro della richiesta formulata, dall'aver agito il suo autore con dolo alternativo diretto per essere stata l'azione indifferentemente orientata a ferire o ad uccidere i bersagli; che l'arma rinvenuta, risultata perfettamente efficiente alla consulenza balistica, era stata certamente utilizzata nella sparatoria.
1.3. In punto di pena, erano state negate le circostanze attenuanti generiche per la gravità dei fatti e la negativa personalità dell'imputato, nonché la circostanza di cui all'art. 62, n. 6, c.p. in ragione dell'assenza di qualsiasi segno di resipiscenza da parte dell'imputato e dell'avvenuto pagamento da parte dei di lui genitori, i quali avevano provveduto a rimettere alle vittime delle somme di denaro mediante assegni.
2. Avverso detta sentenza ha interposto ricorso per cassazione l'imputato mediante due distinti atti a firma dei suoi difensori.
2.1. Col ricorso presentato dall'avv.to Alfredo Gaito si è dedotto:
a) erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in ordine al delitto di tentato omicidio premeditato per avere la sentenza impugnata affermato in modo illogico che, nonostante il carattere dimostrativo dell'azione di sparo, la stessa rivelava l'"animus necandi", senza che sia comprensibile se l'alternatività del dolo abbia riguardato l'accettazione dell'evento lesivo rispetto a quello intimidatorio programmato, ovvero l'evento morte rispetto a quello di lesioni. Inoltre, la natura dell'elemento soggettivo era stata oggetto di pura intuizione, e non di prova rigorosa, capace di offrire certezza razionale e nel caso concreto, per come ricostruito in sentenza il fatto di tentata estorsione, non era sicuro che le vittime delle minacciate violenze dovessero essere gli operai, anziché il loro datore di lavoro e che l'azione dimostrativa comportasse accettazione dell'evento lesivo nei confronti di terzi estranei e non soltanto del rischio di tale evento, specie perché le minacce erano rivolte all'imprenditore ed era costui a dover essere punito. In ogni caso, nel dubbio avrebbe dovuto essere adottata la conclusione più favorevole all'imputato.
b) Falsa applicazione della legge penale e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della premeditazione con dolo eventuale, incompatibile in quanto la particolare intensità della volizione, propria della circostanza, richiede un evento preliminarmente definito, per cui nel caso di specie poteva dirsi premeditata l'azione intimidatoria, non già le sue eventuali o alternative conseguenze.
c) Erronea applicazione della legge penale quanto al delitto di detenzione di arma da sparo: con l'atto di appello si era dedotta l'impossibilità di configurare contestualmente la condotta di detenzione e di porto della stessa arma per la continenza della prima nella seconda; la motivazione della sentenza impugnata aveva disatteso tale deduzione ma non aveva tenuto conto di quanto argomentato nella sentenza di primo grado, laddove si era affermato che il Fiorillo aveva conservato l'arma di sua iniziativa, anziché distruggerla, per farne eventuale uso contro emissari del clan Vollaro in caso si fossero presentati a reclamare altri pagamenti di forniture di droga, per cui tale azione di detenzione non poteva essere addebitata al ricorrente.
d) Erronea applicazione della legge penale quanto alla circostanza aggravante di cui all'art. 7 l. n. 203/1991, la cui ricorrenza era stata affermata, pur in assenza di un'indagine circa gli ulteriori effetti intimidatori della condotta, nonostante dalla sentenza di primo grado fosse emersa una situazione ambientale tale da rendere inidoneo il fatto a determinare la condizione di assoggettamento ed omertà.
e) Erronea applicazione della legge penale in relazione alla commisurazione della pena ed al diniego di applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 6, c.p.: la sentenza impugnata aveva ritenuto incongrue le somme di denaro rimesse alle parti lese, eludendo però tutti i criteri di quantificazione del danno patito e l'onere di valutazione dell'impegno risarcitorio dell'imputato. Anche in riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche e di quantificazione della pena, le richieste difensive erano state disattese senza valutare il rilievo dei fattori attenuanti indicati con l'atto d'appello, ossia la seria iniziativa risarcitoria assunta e le dichiarazioni confessorie in ordine al delitto estorsivo, rese alla Corte di Appello nel corso dell'udienza del 12 luglio 2012. Infine, anche il reato di cui all'art. 703 c.p. era chiaramente assorbito dal più grave delitto di cui al capo b), questione rilevabile d'ufficio anche in assenza di pregressa impugnazione sul punto per l'illegalità della porzione di pena irrogata per tale fattispecie.
2.2. Con il ricorso a firma dell'avv.to Ercole Ragozzini si è lamentato:
a) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti operata nelle due sentenze di merito ed alla qualificazione dell'azione descritta al capo b) quale tentato omicidio, frutto di una forzatura delle emergenze processuali e dell'omessa considerazione che sotto il profilo dell'elemento psicologico la condotta aveva avuto soltanto finalità intimidatorie e non era stata assistita dall'"animus necandi" secondo quanto riferito "de relato" da Armando De Luca. La Corte territoriale era incorsa in errore di diritto, dal momento che aveva sovrapposto apoditticamente l'intenzione intimidatoria al dolo omicidiario sulla base della sola valutazione dell'astratta idoneità dell'azione e senza esaminare tutti gli altri elementi dell'azione ed in specie la mancanza di direzione inequivoca a provocare la morte, insussistente dal momento che l'autore della sparatoria aveva orientato i colpi verso le tavole del ponteggio, non contro gli operai; l'arma impiegata è pistola semiautomatica con alta probabilità di inceppamento, non di alta precisione ed infallibile, come sostenuto dai giudici di merito, la ferita era poco profonda e non aveva attinto parte vitale del corpo.
Inoltre, la Corte di merito aveva dato per scontato ciò che avrebbe dovuto provarsi, non aveva rilevato che al più poteva ravvisarsi il dolo eventuale, incompatibile con il delitto tentato, aveva fatto ricorso ad una congettura sull'orario della pausa pranzo nei cantieri, frutto di scienza privata, volta a contrastare l'assunto difensivo secondo il quale l'imputato non si era accorto della presenza degli operai.
b) Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della circostanza attenuante della premeditazione, fondata su elementi non univoci, dal momento che poteva riguardare soltanto l'azione intimidatoria per ottenere il denaro prezzo dell'estorsione, non l'azione lesiva contro gli operai del cantiere; inoltre, la Corte di Appello in modo illatorio, senza reale giustificazione, aveva sostenuto che il bersaglio fosse l'operaio De Luca.
c) Violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta ricorrenza della circostanza aggravante di cui all'art. 7 l. n. 203/1991: al riguardo non potevano ritenersi sufficienti la minaccia della chiusura del cantiere ed i rapporti di parentela dell'imputato con appartenenti a clan camorristici, mentre i rilievi difensivi erano stati frettolosamente ritenuti irrilevanti.
d) Violazione di legge e vizio di motivazione quanto all'esclusione della circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 6, c.p.: l'avvenuta erogazione delle somme in favore delle parti lese da parte dei genitori dell'imputato non consentiva di negare l'attenuante per avere costoro agito in nome del figlio, avendo questi richiesto il loro intervento riparatore e l'offerta accettata era stata apoditticamente ritenuta incongrua senza indicare le specifiche componenti patrimoniali di tale giudizio.
e) Violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla determinazione della pena, eccessiva ed incongrua rispetto al comportamento post delictum dell'imputato, sintomatico di resipiscenza, che giustificava, quanto meno, la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati soltanto in parte e vanno accolti nei limiti in seguito specificati.
1. Va premesso che entrambi gli atti d'impugnazione, pur con qualche differente modulazione argomentativa, articolano per lo più le stesse doglianze e non contestano, né l'utilizzabilità degli elementi di prova raccolti, né la ricostruzione in punto di fatto degli episodi criminosi, offerta dalle due sentenze di merito in modo tra loro conforme. In particolare, non viene sottoposta a censura la riferibilità delle azioni criminose alla persona del ricorrente, l'effettiva realizzazione di un tentativo continuato di estorsione, l'avvenuta sparatoria mediante l'utilizzo dell'arma cal. 6,35 poi rinvenuta nei pressi delle abitazioni del Fiorillo e del collaborante Armando De Luca, il ferimento il giorno 26 aprile 2010 della persona di Pasqualino De Luca mentre si era trovato intento al disimpegno delle mansioni di operaio edile sull'impalcatura del cantiere allestito dall'imprenditore Ciro Borrelli in San Giorgio a Cremano.
1.1. Il primo motivo di ricorso s'incentra sulla ritenuta sussistenza del delitto di tentato omicidio pluriaggravato, rispetto al quale la difesa nega sia rintracciabile l'elemento psicologico del dolo e critica sul punto il percorso argomentativo esposto nella motivazione della sentenza impugnata.
1.1.1. Al riguardo la Corte di merito ha ritenuto che l'intento di intimidire l'imprenditore Borrelli, perché mostratosi riottoso a cedere alla richiesta estorsiva, perseguito dal Troia con l'azione di sparo, posta in essere dopo che le prime minacce, di natura verbale, non avevano sortito effetto per essere il loro destinatario rimasto indifferente e non avere assunto alcuna iniziativa diretta a regolarizzare il suo cantiere, non consentisse di escludere la coscienza e volontà di ledere quanti erano stati presenti in cantiere all'atto della sparatoria. Prendendo le mosse da quanto era stato riferito dal collaboratore di giustizia Armando De Luca per averlo appreso dal coimputato Mariano Fiorillo, detta Corte ha confermato che l'autore degli spari, per le caratteristiche oggettive dell'azione, lo strumento impiegato, la distanza dalla quale aveva esploso i plurimi colpi di pistola, la direzione impressa ai colpi in modo da attingere le impalcature ove si erano trovati gli operai dell'impresa intenti al lavoro, aveva agito con la volontà di ledere le persone, indifferente alle conseguenze del gesto: costui aveva previsto e voluto in via alternativa il loro ferimento, oppure la loro morte.
1.1.2. Ad avviso di questa Corte la decisione sul punto è ineccepibile e resiste alle critiche mosse con i ricorsi, che in realtà prescindono dall'analisi della vicenda fattuale, esposta nella sentenza impugnata ed ancora meglio in quella di primo grado, la cui motivazione è stata richiamata in quella d'appello secondo il lecito meccanismo di reciproca integrazione proprio delle pronunce conformi rese in gradi diversi in modo tale che, formando esse un tutt'uno, è a questo che il giudice di legittimità deve riferirsi per riscontrare il vizio motivazionale dedotto.
In particolare, secondo quanto riferito dal collaboratore De Luca, - il cui apporto conoscitivo non è stato oggetto di alcuna doglianza difensiva, né quanto all'attendibilità, né quanto all'efficacia dimostrativa delle informazioni fornite -, il Troia aveva posto in essere la sparatoria in conseguenza dell'atteggiamento attendista del Borrelli e su suggerimento di altro dipendente "prezzolato" dell'impresa, il quale aveva indicato l'opportunità di fare ricorso alle maniere forti per convincere il datore di lavoro a pagare il prezzo dell'estorsione; aveva dunque agito nella consapevolezza che "ove stavano sparando stavano lavorando degli operai e che gli stessi potevano essere colpiti", al punto che aveva esploso colpi all'impazzata, orientando gli spari verso il tavolato ove erano presenti i lavoranti con assoluta indifferenza per gli esiti della propria azione.
1.1.3. Non risponde al vero, invece, che la fonte dichiarativa abbia assegnato all'imputato un mero intento dimostrativo, né che tanto sia stato affermato dalla sentenza impugnata per significare che egli aveva agito mediante l'esplosione dei colpi di pistola al fine di prefigurare a tutti, ed in specie all'imprenditore, altre possibili conseguenze lesive qualora non avesse aderito alla richiesta estorsiva, ma, come già esposto efficacemente nella sentenza di primo grado, ripresa da quella d'appello, aveva attuato un'azione punitiva e ritorsiva, diretta contro il cantiere ed i suoi occupati per punire l'imprenditore recalcitrante. Tale conclusione ha trovato efficace illustrazione esplicativa nella pronuncia in verifica mediante il riferimento a sicuri dati fattuali, consistiti: nell'impiego di arma semiautomatica di sicura efficacia micidiale, dotata di alta precisione e capacità lesiva, secondo gli accertamenti balistici espletati; nell'esplosione di otto colpi di pistola in rapida sequenza; nella loro direzione verso le impalcature ove erano presenti gli operai intenti al lavoro; nella distanza alquanto ravvicinata di appena tre metri tra la posizione assunta dallo sparatore e le impalcature ove si era trovato il De Luca, secondo quanto accertato dai Carabinieri sul luogo del delitto, posizione che gli aveva consentito di percepire la presenza dei lavoratori. Sulla base di tali presupposti concreti e dell'orario dell'attentato, avvenuto in pieno giorno in un momento nel quale era già conclusa la pausa per il pasto, i giudici di merito hanno escluso la possibilità che il Troia avesse ignorato la presenza delle maestranze impegnate nel lavoro; hanno quindi evidenziato che una sparatoria posta in essere a cantiere vuoto e chiuso, nell'assenza del Borrelli e di altri soggetti in grado di riferirgli l'accaduto, non avrebbe assunto alcun significato pratico, né alcuna probabilità di successo, mentre l'esposizione a così elevato pericolo della loro sicurezza poteva esplicare un'efficacia determinante nel convincere il destinatario a superare esitazioni e resistenze. Del resto, è conforme a logica ritenere che, se l'azione avesse dovuto sortire soltanto un effetto dimostrativo o simbolico, lo sparatore avrebbe direzionato i colpi verso l'alto, in aria, senza nemmeno avvicinarsi alle persone, oppure avrebbe danneggiato i beni presenti, ossia avrebbe scelto diverse modalità esecutive non direzionato contro le persone, oppure pregiudicato soltanto interessi patrimoniali; al contrario, l'aver esploso otto colpi ad altezza d'uomo da un punto prossimo al bersaglio, tanto da averlo attinto con due colpi in distretto anatomico vitale, ossia alla zona toracica, ha indotto di escludere ogni possibilità di dubbio sulle reali intenzioni dell'agente e di ravvisare fondatamente il dolo alternativo diretto.
1.1.4. La struttura argomentativa delle due sentenze di merito chiarisce poi che l'alternativa formatasi nella coscienza e volontà dell'imputato non aveva riguardato l'effettività dell'aggressione rispetto all'intimidazione, oggetto di programmazione iniziale, ossia il concreto attentato alla vita dei presenti ovvero la condotta simbolica non pregiudizievole, ma le sole conseguenze del gesto lesivo, certamente e direttamente rappresentato e voluto in termini di ferimento, oppure di morte del bersaglio preso di mira; in tal senso il convincimento dei giudici di merito, che hanno escluso la configurabilità del dolo eventuale, per affermare quella del dolo alternativo, è stato esposto, non come esito di mera intuizione soggettiva ed opinabile, ma quale approdo razionalmente giustificato, esito dell'analisi della condotta e della sua estrinsecazione, ricostruita nella concordanza di dati oggettivi e fonti dichiarative.
1.1.5. La considerazione operata dai giudici di merito dei dati conoscitivi offerti dal collaboratore De Luca e delle modalità di realizzazione dell'azione offrono elementi sicuri per sciogliere anche il dubbio esposto nel ricorso a firma dell'avv.to Gaito circa l'identificazione delle vittime delle violenze, se gli operai, oppure il loro datore di lavoro; non giova al riguardo richiamare l'"id quod plerumque accidit" per sostenere che nella normalità del casi è il soggetto passivo dell'iniziativa estorsiva ad essere il bersaglio di violenze o minacce, sicché l'aver colpito altri dimostrerebbe l'intento di minacciare violenze non volute. Al contrario, sono frequenti nella realtà giudiziaria i casi in cui la vittima di estorsione è fatta oggetto di minacce o violenze indirette, che non colpiscono immediatamente la sua persona o il suo patrimonio, ma che nelle concrete circostanze soggettive ed ambientali di consumazione possono essere altrettanto idonee a coartarne il volere rispetto ad azioni esplicite e dirette. Inoltre, tutti gli elementi di valutazione disponibili, evidenziati nelle pronunce di merito, indicano nel Borelli il destinatario della richiesta non direttamente rivoltagli di pagamento di una somma di denaro, ma espressa ai suoi dipendenti in occasione della prima visita al cantiere del ricorrente, e nei suoi operai i bersagli contro i quali il Troia aveva direzionato la sparatoria quale mezzo per punire in modo eclatante il loro datore di lavoro ed al tempo stesso, per il livello elevato di aggressività attuato e la capacità criminale rivelata, tale da far prefigurare ulteriori azioni analoghe contro la sua persona, costringerlo ad aderire alla richiesta estorsiva.
2. Non ha fondamento nemmeno il secondo motivo di gravame, col quale si contesta la compatibilità della circostanza aggravante della premeditazione rispetto ad evento previsto e voluto come alternativo. I dubbi espressi al riguardo dalla difesa vertono sulle difficoltà di conciliazione della circostanza, postulante un dolo di particolare intensità perché caratterizzato da proposito prefigurato e coltivato per protratto lasso temporale, ed il dolo alternativo, per sua natura consistente in situazione psicologica vaga e nell'accettazione di evento non definito in termini esclusivi.
2.1. Va premesso che il riconoscimento della premeditazione, configurata come circostanza aggravante nei delitti di omicidio volontario e di lesioni personali, è condizionato dal positivo accertamento di due presupposti, uno cronologico, altro soggettivo: il primo è rappresentato da un apprezzabile, ma non preventivamente individuato dalla norma di legge, lasso di tempo intercorso tra l'insorgenza del proposito criminoso e la sua attuazione concreta, tale comunque da consentire la possibilità di riflessione circa la possibilità e l'opportunità del recesso, il secondo dalla perdurante determinazione criminosa nell'agente senza soluzioni di continuità e senza ripensamenti dal momento del concepimento dell'azione antigiuridica fino alla sua realizzazione. Il legislatore ritiene dunque meritevole di una punizione più severa colui che, rispetto alla situazione di ideazione e normale ponderazione che usualmente precede l'agire umano, si distingue per la particolare fermezza e costanza nel tempo dell'intenzione criminosa, di chi persevera senza incertezze nell'intento perché dimostra la maggiore intensità del dolo e quindi una più spiccata capacità a delinquere.
Si è altresì affermato che l'elemento cronologico non si presta in sé ad una quantificazione minima, valevole in astratto per ogni caso, ma richiede comunque un'estensione temporale tale da consentire all'agente la riconsiderazione della decisione assunta e da far prevalere la spinta al crimine rispetto ai freni inibitori. Inoltre, nella giurisprudenza di questa Corte è costante l'affermazione, per cui la ricostruzione probatoria della premeditazione non può esaurirsi nel mero accertamento della preventiva acquisizione dei mezzi, dei luoghi e degli strumenti materiali coi quali tradurre in pratica il proposito illecito, comportamento questo non qualificante perché altrettanto in grado di fungere da antecedente di una risoluzione criminosa assunta in via estemporanea e poi attuata. È piuttosto necessario fare ricorso ad elementi estrinseci e sintomatici, individuati a livello esemplificativo nella causale dell'azione, nell'anticipata manifestazione dell'intento poi attuato, non contraddetto da condotte opposte, nella ricerca dell'occasione propizia, nella meticolosa organizzazione e nell'accurato studio preventivo delle modalità esecutive, nella violenza e reiterazione dei colpi inferti (Cass. S.U., n. 337 del 18 dicembre 2008, Antonucci, rv. 241575; Cass. sez. 1, n. 47880 del 5 dicembre 2011, Zhang Yng, rv. 251409; sez. 1, n. 47250 del 9 novembre 2011, Livadia, rv. 251502 in motivazione; sez. 1, n. 7970 del 6 febbraio 2007, P.G. in proc. Francavilla, rv. 236243; sez. 1, n. 24733 del 21 maggio 2004, Defina, rv. 228510).
2.2. Deve poi tenersi conto che per integrare l'aggravante, di natura soggettiva, non è sufficiente un generico proposito di fare ricorso alla violenza. Seppure, come è pacifico, il dolo, inteso quale rappresentazione del fatto reato tipizzato, non include l'identità personale della prefigurata vittima, in quanto elemento esterno al "fatto" costituente reato (Cass. sez. 1, n. 18378 del 2 aprile 2008, Pecoraro, rv. 240374), ciò nonostante i caratteri di fermezza ed irrevocabilità della risoluzione, necessari per individuare la premeditazione, assumono rilievo se posti in relazione ad un bersaglio specifico, già previamente individuato e contro il quale sia diretta l'azione (sez. 2, n. 21956 del 16 marzo 2005, Laraspata, rv. 231973; sez. 1, n. 47880 del 5 dicembre 2011, Zhang Yong, rv. 251409), sicché la premeditazione non è ravvisabile nel caso in cui, pur essendovi stata accurata programmazione di un'azione letale, la stessa muti poi oggetto nella sua fase attuativa, venendo di fatto impulsivamente compiuta contro persona diversa da quella o da quelle sulle quali si era focalizzata l'ideazione criminosa per l'interferenza di fattori e circostanze non preventivati. L'aggravante è, invece, riconoscibile nella differente situazione dell'"aberractio ictus", in quanto "Le circostanze di reato attinenti all'intensità del dolo, tra le quali deve ricomprendersi la premeditazione prevista dall'art. 577 c.p., comma 1, n. 3, sono valutabili a carico dell'agente anche nel caso dell'aberratio ictus, di cui all'art. 82 c.p., non rientrando esse tra quelle riguardanti le condizioni o qualità della persona offesa o i rapporti tra offeso e colpevole che, ai sensi dell'art. 60 c.p., comma 1, richiamato dal citato art. 82 c.p., non sono poste a carico dell'agente in caso di errore di costui sulla persona dell'offeso" (Cass. sez. 1, n. 43234 del 24 settembre 2001, ric. Scialpi, rv. 220178; sez. 1, n. 1811 del 22 dicembre 2006, Masciopinto, rv. 236072; sez. 6, n. 43275 del 23 giugno 2009, Trubia e altro, rv. 244942). In altri termini, quando per errore nell'esecuzione si porti offesa a persona diversa da quella prefissatasi dall'agente, costui risponde "come se" avesse commesso il reato in danno della persona che intendeva colpire, per cui se l'azione preventivamente ideata e perseguita assume caratteri premeditati, li conserva anche in riferimento all'effetto aberrante conseguito, dal momento che la condotta resta dolosa e qualificata da particolare risoluzione, riflessione e macchinazione esistenti all'origine e sino all'attuazione concreta.
2.3. Nel caso del dolo alternativo i termini della questione non mutano: l'agente si prefigura e vuole sin da un momento anticipato rispetto a quello della realizzazione del suo intento in modo indifferente e alternativo che si verifichi l'uno o l'altro degli eventi causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria, sicché, posto l'atteggiamento psicologico di sostanziale equivalenza rispetto agli effetti conseguibili, egli risponde per quello in concreto determinato. Questa equivalenza di conseguenze dell'azione, previste e perseguite con indifferenza da parte dell'autore del reato, per poter essere compatibile con la premeditazione deve risalire al momento dell'ideazione del progetto criminoso ed essere mantenuta costante per uno spazio temporale apprezzabile e tale da consentire una differente determinazione senza che mai nel frattempo la volontà del soggetto attivo abbia risolto l'alternativa con una risoluzione definitiva per l'evento meno grave.
2.4. Nel caso in esame l'assunto difensivo, secondo il quale la programmazione aveva riguardato la sola azione intimidatoria e non le sue eventuali o alternative conseguenze, è smentita dagli elementi fattuali evidenziati nelle pronunce di merito, dai quali con corretto procedimento inferenziale, giustificato in modo esauriente, quindi non censurabile in questa sede, si è ritenuto sussistere il dolo alternativo con premeditazione, posto che l'agguato era stato deliberato almeno il giorno antecedente ed era stato accuratamente organizzato nelle sue modalità esecutive. Né potrebbe rinvenirsi un elemento ostativo all'individuazione dell'aggravante nel fatto che la spedizione punitiva fosse stata fatta dipendere dalla condizione negativa del mancato pagamento della tangente pretesa o comunque della mancata dichiarazione di disponibilità in tal senso da parte del Borrelli: come già attentamente osservato dal G.U.P. nella sentenza di primo grado, l'avere il soggetto attivo subordinato l'attuazione del proposito criminoso alla verificazione o alla mancanza di un evento ad opera della vittima non impedisce di configurare la premeditazione se la situazione condizionante rientri nell'ambito della previsione (Cass. sez. 1, n. 19974 del 12 febbraio 2013, Zuica, rv. 256180; sez. 1, n. 1079 del 27 novembre 2008, Lancia, rv. 242485; sez. 1, n. 7766 del 30 gennaio 2008, Dettori, rv. 239232; sez. 1, n. 35957 del 1° luglio 2004, Giusti ed altri, rv. 229839; sez. 1, n. 1910 del 25 gennaio 1996, Bima, rv. 203806).
3. Anche il motivo che deduce l'insussistenza del delitto di detenzione dell'arma da fuoco rispetto al concorrente delitto di porto abusivo è infondato; come riportato nel passaggio della motivazione della sentenza di primo grado, richiamato nel ricorso, il collaborante Armando De Luca aveva riferito che il Fiorillo, dopo avergli chiesto di occultare l'arma, al suo rifiuto, l'aveva personalmente pulita, oleata, aveva rimosso le eventuali impronte, l'aveva caricata col colpo in canna, l'aveva imbustata e sotterrata, senza però aver parlato della richiesta del Troia di eliminare o comunque di distruggere l'arma. Sicché, dal mero presupposto dell'intenzione del Fiorillo di farne eventuale uso contro esponenti del clan Vollaro, non è stato affatto desunto che la conservazione e l'occultamento della pistola fossero ascrivibili a decisione individuale ed autonoma del Fiorillo, non riferibile alla volontà del Troia, il quale comunque ne aveva disposto anche prima della sparatoria. Inoltre, come fondatamente rilevato dal P.G. nel corso della discussione, l'imputazione riporta la contestazione della condotta di detenzione come commessa anche in un momento antecedente al porto, tanto da essere stata funzionale alla consumazione del tentativo di omicidio; tale rilievo consente di superare l'obiezione difensiva incentrata sulla porzione di condotta di detenzione successiva all'episodio del 26 aprile.
4. I motivi di gravame che investono la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 7 l. n. 203/1991 non colgono nel segno: la sentenza impugnata ha dato atto che la condotta era stata portata a compimento secondo metodiche tipicamente mafiose, offrendo compiuta illustrazione delle relative ragioni quanto all'accesso in cantiere con la formulazione della richiesta della tangente con la minaccia di chiudere l'attività ed al secondo attuato con finalità ritorsive ed ulteriormente intimidatorie. Le obiezioni difensive muovono dal presupposto che la vittima delle iniziative del ricorrente non aveva avvertito timore, né ritenuto trattarsi di richiesta estorsiva per la mancata indicazione dell'importo e delle modalità di pagamento. Tale comportamento non è però dirimente per escludere l'aggravante in esame.
I giudici di merito hanno correttamente evidenziato che i comportamenti tenuti, a prescindere dall'effettiva militanza del loro autore nei clan camorristici, erano evocativi dell'esistenza di un gruppo criminoso organizzato di stampo mafioso, in grado di controllare il territorio e le attività in esso insediate e di reprimere con estrema violenza qualsiasi atto di opposizione, erano quindi idonei ad evocare il potere di assoggettamento imposto dai poteri mafiosi, ad intimidire ancor più e ad agevolare la commissione dei reati al di là quanto necessario per concretizzare la minaccia o la violenza richiesta per configurare il delitto di estorsione. In tal modo la sentenza impugnata si è uniformata al costante insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 10 del 22 gennaio 2001, Cinalli ed altri rv. 218378; Cass. sez. 6, n. 21342 del 2 aprile 2007, rv. 236628, Mauro; sez. 6, n. 19802 del 22 gennaio 2009, rv. 244261, Napolitano; sez. 6, n. 28017 del 26 maggio 2011, rv. 250541, Mitidieri; sez. 1, n. 17532 del 2 aprile 2012, rv. 252649, Dolce), secondo la quale la circostanza aggravante di cui all'art. 7 d.l. n. 152 del 1991, in entrambe le forme in cui può atteggiarsi, è applicabile a tutti coloro che, in concreto, ne realizzano gli estremi, tanto se siano partecipi di un qualche sodalizio mafioso, oppure ne siano estranei e, pertanto, la possibilità di applicare l'aggravante anche nei confronti di chi, pur non organicamente inserito in associazioni mafiose, agisca con metodi mafiosi, è subordinata ad accertamento rigoroso da condurre in maniera oggettiva, tenendo conto del contesto in cui si svolge l'azione, ma soprattutto analizzando il tipo di comportamento posto in essere alla luce della definizione fornita dall'art. 416-bis c.p., espressamente richiamato dal citato art. 7 e le reazioni delle vittime. In altri termini, il ricorso a metodologie mafiose deve essere idoneo ad esercitare una particolare coartazione psicologica sui soggetti passivi, rientrante nella tipologia di intimidazione derivante dall'organizzazione criminale, che comunque non è necessario sia in concreto presente ed operante in quella realtà, potendo anche essere semplicemente menzionata o presumibile ed essendo sufficiente che la condotta in sé considerata, per le modalità attraverso cui si realizza, sia tale da evocare dietro quell'azione l'esistenza di consorterie amplificatrici della valenza criminale e della temibilità del singolo reato commesso. Non è però richiesto che il soggetto passivo resti effettivamente coartato o condizionato da violenza o minaccia, cui potrebbe resistere a dispetto del clima generalizzato di intimidazione e di omertà per forza d'animo o perché forte di qualche forma di protezione.
5. In merito al trattamento sanzionatorio in primo luogo si censura il mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 6, c.p., ma entrambi i profili di doglianza sono privi di fondamento: l'avvenuta erogazione delle somme in favore delle parti lese da parte dei genitori dell'imputato non consente di rintracciare alcun profilo di resipiscenza e di volontaria attivazione da parte dello stesso per il ristoro dei pregiudizi cagionati dal suo operato. Come già ben evidenziato soprattutto nella sentenza di primo grado, la norma dell'art. 62, n. 6, c.p. implica una condotta spontanea riferibile all'autore del reato, che non può riconoscersi in presenza dei soli effetti di ristoro a favore della parte lesa dei pregiudizi subiti, ma richiede un comportamento di segno positivo capace di neutralizzare il disvalore del reato, non ravvisabile quando il risarcimento dei danni dipenda, non da una libera determinazione del reo, ma da terzi, come i familiari (Cass. sez. 1, n. 42265 del 10 novembre 2010, Santapaola, rv. 249009; Sez. Un., n. 5941 del 22 gennaio 2009, Pagani e altro, rv. 242215; sez. 6, n. 13870 del 6 febbraio 2009, Cappelletti, rv. 243202). Si ammette da parte della giurisprudenza di legittimità che l'imputato possa giovarsi dell'attenuante a fronte dell'adempimento di terzi soltanto quando il meccanismo riparatorio dipenda da contratto assicurativo, la cui operatività a copertura dei danni derivanti da reato sia garantita dal puntuale versamento dei premi relativi, oppure nei casi in cui il contegno di terzi trovi la sua giustificazione nel corretto espletamento del rapporto di lavoro dipendente, ossia in situazioni concrete in cui la previa attivazione dell'imputato renda possibile la riparazione del danno (Cass. sez. 6, n. 12612 del 25 marzo 2010, M., rv. 246742; sez. 4, n. 14523 del 2 marzo 2011, Di Gioia, rv. 249937; sez. 4, n. 23663 del 24 gennaio 2013, Segatto, rv. 256194). Ciò non può riconoscersi nei casi in cui terzi, anche se coniugi o genitori, provvedano personalmente senza che il loro adempimento sia sollecitato dall'imputato e riconducibile alla sua volontà o ai suoi mezzi finanziari in modo che gli esecutori della prestazione operino quali delegati e rappresentanti del soggetto obbligato.
5.1. Oltre a tali rilievi, i giudici di merito hanno già evidenziato che gli importi attribuiti alle parti lese non possono ritenersi congrui ed idonei a ristorare in via integrale i pregiudizi, morali e materiali rispettivamente subiti, anche in ragione della dimostrata soggezione di Paolino De Luca, rimasto vittima della sparatoria, a pressioni illecite da parte di soggetti prossimi al Troia per condizionarne le dichiarazioni in suo favore, il che rendeva di scarsa attendibilità la declaratoria di piena soddisfazione dallo stesso rilasciata. Si ricorda sul punto che "Ai fini della concessione dell'attenuante del risarcimento del danno, la riparazione deve essere integrale, sicché non possono giovare all'imputato, in caso di riparazione parziale o inadeguata, la dichiarazione liberatoria della persona offesa o la considerazione degli sforzi economici affrontati per effettuarla" e che il relativo apprezzamento delle circostanze di fatto e dell'idoneità di quanto attribuito alla vittima del reato compete in via esclusiva al giudice di merito (Cass. sez. 5, n. 13282 del 17 gennaio 2013, Sanchez Jimenez, rv. 255187; negli stessi termini: sez. 2, n. 9143 del 24 gennaio 2013, Corsini e altri, rv. 254880). Nel caso specifico, entrambe le sentenze hanno ritenuto insufficiente il risarcimento erogato con motivazione compiuta ed aderente alle circostanze di fatto, quindi non suscettibile di censura in sede di legittimità.
5.2. Anche la decisione assunta di diniego delle circostanze attenuanti generiche e la commisurazione della pena resiste alle censure che sono state mosse con gli atti d'impugnazione: i giudici di merito hanno giustificato entrambi i profili con ampie argomentazioni, puntualmente aderenti ai dati probatori, circa la gravità oggettiva delle condotte per le loro modalità, le conseguenze lesive ed il pericolo determinato anche per l'incolumità di altri soggetti diversi dall'operaio ferito, le motivazioni sottese alle azioni, legate alla volontà di imposizione dell'autorità e del prestigio criminale dell'imputato e degli interessi del gruppo di appartenenza, lo spregiudicato ricorso alla violenza in forme così eclatanti e sproporzionate alla causale dei delitti, la capacità di organizzare con accuratezza il "raid" punitivo con una pluralità di mezzi e soggetti coinvolti e con l'uso delle armi. A ciò hanno aggiunto la considerazione dagli esiti marcatamente negativi sulla personalità del ricorrente, soggetto appena ventiduenne, ma già pregiudicato per un recente fatto specifico, resosi autore di comportamenti così allarmanti non appena scarcerato dopo un periodo di detenzione ed in seguito datosi alla latitanza, mai indottosi a collaborare con la giustizia ed anzi mandante di iniziative di pressione nei confronti dei soggetti passivi dei reati per condizionarne le dichiarazioni. Si tratta di profili oggettivi e soggettivi di evidente e significativa valenza negativa, ritenuti del tutto preponderanti rispetto al parziale ristoro dei danni operato dai suoi genitori ed alle tardive ammissioni di responsabilità, espresse soltanto nel giudizio di appello nel vano tentativo di attenuare il rigore di un regime sanzionatorio ampiamente prevedibile, ma che risulta del tutto adeguato alla particolare gravità dei fatti ed alla personalità del loro autore.
5.3. L'unica doglianza degli atti di gravame che merita positiva considerazione riguarda il chiesto assorbimento della contravvenzione di cui al capo e) nel delitto di tentato omicidio: la richiesta è fondata, in quanto l'attività di sparo in luogo pubblico è stata già inclusa nella contestazione dell'azione diretta a cagionare la morte, per cui ne deve d'ufficio essere rilevato l'assorbimento nel delitto di cui al capo b) con il conseguente annullamento senza rinvio sul punto della sentenza impugnata e conseguente eliminazione della porzione di sanzione irrogata per tale reato, pari a mese uno e giorni dieci di reclusione, già ridotta di un terzo per il rito alternativo.
Per le considerazioni svolte, i ricorsi vanno accolti nei soli limiti testé stabiliti, mentre nel resto vanno respinti.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato contravvenzionale in quanto assorbito nel delitto di tentato omicidio ed elimina la relativa pena di mesi uno e giorni dieci di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.
Depositata il 16 aprile 2014.