Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli-Venezia Giulia
Sezione I
Sentenza 5 maggio 2014, n. 181
FATTO
Con il ricorso n. 334 del 2010 la ricorrente Pia Zubalic rappresenta che Marco Zugan ha acquistato da lei, con contratto di compravendita del 23.9.2009 il fondo inedificato di cui alla partita tavolare n-921 di S. Maria Maddalena Superiore, debitamente a lui intavolato.
In precedenza la ricorrente aveva ottenuto il permesso di costruire dd. 4.8.2009 per un edificio plurifamiliare da edificarsi sulla stessa particella di cui l'acquirente ha chiesto la voltura.
Peraltro, dopo l'acquisto e prima che iniziassero i lavori di costruzione, il Comune ha comunicato alla ricorrente l'avvio del procedimento in autotutela per l'annullamento del permesso di costruire, a seguito di contestazione da parte della controinteressata confinante Francesca Canazza sul mancato rispetto della distanza di mt. 10 fra l'edificio in progetto e quello a quest'ultima già assentito sul fondo confinante, di cui alle particelle catastali nn-147/3 e 334/4.
La ricorrente e l'acquirente intervenivano nel predetto procedimento, sostenendo, da un lato che prioritariamente doveva provvedersi all'annullamento del permesso di costruire rilasciato, a detta controinteressata in quanto uno degli edifici con esso assentiti non rispetta le distanze dalle finestre presenti sull'edificio di via Giannelli n. 8 del fondo limitrofo ed inoltre le tavole progettuali presentate erano difformi dallo stato reale non indicando la sporgenza dell'edificio limitrofo, che determina la violazione delle distanze, onde dovrebbe essere prioritariamente annullato il permesso di costruire rilasciato alla controinteressata, con ciò determinando retroattivamente la violazione delle distanze in ordine al permesso di costruire rilasciato alla ricorrente.
Sostenevano altresì che le aperture in facciata dell'edificio A della controinteressata non costituiscono finestre, come risulta dal progetto assentito dal Comune, secondo la definizione di cui alla l.r. n. 19/2009.
Anche il progettista esprimeva osservazioni, rilevando che nell'elaborato grafico si è tenuto conto per il calcolo della superficie finestrata soltanto dei fori prospettanti sul porticato e non di quelli sul lato opposto, che non concorrono a tale calcolo, essendo difficilmente apribili, ed inoltre le osservazioni a loro riguardo risultano ormai tardive rispetto alla data del permesso di costruire.
Peraltro il Comune di Trieste disattendeva dette osservazioni con il provvedimento del Dirigente del Servizio edilizia privata del 7.4.2010 per inosservanza delle norme sulle distanze ed annullava il permesso di costruire rilasciato alla ricorrente Zubalic.
Avverso detto provvedimento si propongono i seguenti motivi di gravame:
Illegittimità del previo esercizio del potere di annullamento del permesso di costruire alla controinteressata Canazza. Violazione degli artt. 3 e 21-nonies della l. n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto e incongruità della motivazione sull'insussistenza dell'interesse pubblico all'annullamento e per disparità di trattamento e ingiustizia manifesta.
Le osservazioni della ricorrente Zubalic, on cui si contesta la violazione delle distanze minime fra pareti finestrate da parte della controinteressata, riguardanti l'edificio denominato Unità B2 del suo progetto non sono state esaminate, con ciò implicitamente ammettendo la sua sussistenza, che si rilevava anche nella relativa istruttoria d'ufficio.
Ivi si rilevava che il nuovo edificio bifamiliare della controinteressata verrà a distare ml 1,20 dalle finestre presenti nell'edificio di cui al n. 8 ed inoltre verrà posizionato in aderenza a un pianerottolo delle scale.
Tale vizio non avrebbe dovuto consentire il permesso di costruire dell'11.3.2009, onde, in via prioritaria, avrebbe dovuto essere annullato disposto l'annullamento nei confronti della controinteressata, dato che la finestra rilevata nell'istruttoria tecnica costituisce una veduta, di cui all'art. 90 C.C., consentendo agevolmente l'affaccio, al contrario della contestata apertura prevista sulla casa della ricorrente che, al più, costituisce una mera luce, con ciò non permettendo di qualificare la relativa parete come finestrata.
Il Comune pertanto illegittimamente ammette la riscontrata difformità ma esclude l'autotutela, perché la violazione delle distanze riguarda solo uno dei due edifici autorizzati con il medesimo permesso (quello denominato B2 e non quello denominato A) richiamando i principi di conservazione degli atti giuridici e di proporzionalità dell'azione amministrativa.
Tali principi sono citati a sproposito, perché il permesso di costruire rilasciato alla controinteressata è unico, anche se riguarda due unità separate.
Invero la riscontrata illegittimità comporterebbe, per essere superata, una nuova preventiva richiesta e l'emissione di un nuovo atto abilitativo, in quanto pur sempre, anche se riduttiva in termini volumetrici, rientra tra le "variazioni essenziali" di cui all'art. 32 del d.P.R. 6.6.2001, n. 380.
Appare pertanto singolare che il Comune ammetta di essere a conoscenza delle difformità del progetto della controinteressata per l'edificio B2 e ciononostante non assuma nessun provvedimento nei confronti della controinteressata, con palese disparità di trattamento in caso identico.
Illegittimità del provvedimento di autotutela nei confronti della ricorrente, errore nei presupposti, errata applicazione dell'art. 9 del d.m. 2.4.1968 n. 1444, dell'art. 5.2.6 delle nn.tt.aa. del p.r.g.c. e degli artt. 900-902 c.c. Eccesso di potere per errore nei presupposti e travisamento dei fatti. Disparità di trattamento e ingiustizia manifesta.
Il potere di autotutela non è stato, in ogni caso, rettamente esercitato nei confronti del permesso di costruire rilasciato alla ricorrente, non sussistendone i presupposti.
Se è vero che la parete sud ovest dell'edificio A progettato per la ricorrente si trova a meno di 10 mt. da quello della parete postica della controinteressata essa è da ritenersi parete cieca, perché le aperture progettate non possono definirsi finestre o vedute, in quanto non sono apribili.
Invero il loro serramento è ad anta unica e non può essere aperto senza comportare grave pericolo per la sicurezza, essendo i piani che vi si affacciano privi di parapetti, come invece prescritto dall'art. 67 del Regolamento edilizio.
Al più essi possono servire a date maggior luce ai vani prospettanti e in tal senso sono definiti, cioè come luci e non come vedute, nel progetto dell'edificio della controinteressata, onde la relativa parete postica dell'unità A non può essere ritenuta finestrata.
Non si applicano, quindi, nella specie gli artt. 9 del d.m. 2.4.1968 n. 1444 e 5.2.6 delle norme di attuazione del p.r.g.c.
Il progettista la qualifica come parete finestrata tardivamente, cioè solo nella risposta alla domanda di chiarimenti del Dirigente il servizio, onde tale definizione è priva di valore giuridico in relazione al permesso di costruire.
Se vi erano dubbi al riguardo andavano chiariti prima del rilascio dell'atto abilitativo e non successivamente, per supportare la definizione di vedute alle predette forature.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Trieste, a mezzo della civica Avvocatura, e la controinteressata Canazza.
Con il ricorso n. 514 del 2011 il ricorrente Zugan, che ha acquistato dalla sig.ra Zubalic l'immobile di cui al fondo di cui alla partita tavolare 921 di S. Maria Maddalena Superiore, sul quale la venditrice aveva ottenuto permesso di costruire, che il Comune di Trieste ha annullato in autotutela a seguito di contestazione del confinante sul mancato rispetto delle distanze, provvedimento oggetto del precedente gravame.
Con lo stesso si era contestato alla controinteressata di non aver rispettato a sua volta le distanze con l'abitazione venduta al ricorrente, a mezzo di altra sua costruzione su fondo limitrofo.
La controinteressata si è determinata a non realizzare tale edificio, oggetto di contestazione, con il progetto originario, attivando un procedimento di variante atto a superare le censure mossele, così confermando la loro fondatezza.
Ne ha infatti arretrato la fronte per tutta la sua estensione a fronte della parete finestrata del progettato edificio della ricorrente.
Peraltro tale arretramento comportava che la nuova fronte non era più prevista a confine, in violazione dell'art. 5.2.6 delle nn.tt.aa. del p.r.g.c.
Si è allora cercato di risolvere il problema rivendendo a un terzo la fascia inedificata a seguito dell'arretramento della fronte originariamente prevista, creandone un'altra a cavallo del nuovo confine.
La variante del permesso di costruire richiesta al riguardo è stata assentita appena due anni dopo, ma anche il nuovo progetto non rispetta il citato art. 5.2.6 là dove impone che la distanza dai confini è prevista in metri 5,00, mentre è ammessa l'edificazione a confine.
Non si è potuto infatti, nemmeno con tale variante, regolarizzare l'intervento.
Invero l'edificio B2 della controinteressata, come si evince dagli elaborati grafici, continua ad occupare parte della venduta particella confinante, per cui non è tuttora rispettato l'art. 5.2.6. delle nn.tt.aa. del p.r.g.c.
Non è nemmeno rispettata la prescritta distanza fra gli edifici, che è di mt. 10.00 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, con un arretramento inferiore a quello necessario a rispettare la norma suddetta.
Il presente ricorrente Zugan ha interesse, quale proprietario dell'edificio sulla particella catastale pcn 334/3 ha interesse ad ottenere l'annullamento del permesso di costruire, rilasciato in data 9.9.2011 alla controinteressata Canazza, in quanto la sua attuazione gli precluderebbe qualsiasi intervento edilizio sulla sua proprietà.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Trieste e la controinteressata, controdeducendo.
Con ordinanze n. 128 dd. 30.6.2010 e n. 21 del 2012 sono state respinte le istanze cautelari proposte dalle parti rispettivamente istanti nei ricorsi in esame.
DIRITTO
Attesa l'identità delle parti resistenti e l'indubbio collegamento soggettivo ed oggettivo della vicenda procedimentale in esame, i ricorsi possono essere riuniti e congiuntamente decisi.
Essi sono entrambi infondati.
Riguardo al ricorso n. 334 del 2010 con un primo motivo i ricorrenti, rilevato che dei due edifici la cui costruzione è stata assentita alla Canazza, da denominarsi, come da mappa comunale unità A e Unità B2, peraltro oggetto di unico permesso di costruire, rilevano che questa seconda non osserverebbe le distanze fra costruzioni da altro edificio vicino.
Ne traggono la conseguenza che il Comune, rilevata tale inosservanza, dovrebbe annullare in autotutela il permesso di costruire rilasciato alla suddetta controinteressata, con il che nessuno dei due edifici progettati potrebbe essere realizzato e non si porrebbe più il problema della distanza dalla progettata unità A della controinteressata e il progettato edificio previsto dal permesso di costruire rilasciato alla ricorrente Zubalic e volturato al ricorrente Zugan.
Il Collegio non è di questo avviso.
Invero, come osservato dal Comune, il potere di annullamento d'ufficio non è obbligatorio.
Invero, se l'art. 21-nonies ne ha disciplinato i presupposti e le forme non ha inciso sulla sua natura discrezionale, che non ha trasformato in obbligatorio, né i privati possono pretenderne l'esercizio, rimanendo esso un potere di merito, da esercitare in base a valutazioni riservate all'amministrazione e insindacabili da parte del giudice (cfr. C.d.S., V Sez., 3 maggio 2012, n. 2551; IV Sez., 1° luglio 2011, n. 3949).
Con un secondo motivo i ricorrenti, ammettendo che la facciata postica del progettato edificio, per cui è stato rilasciato alla ricorrente Zubalic il permesso di costruire, dista meno di 10 mt da quello, denominato unità A, assentito alla controinteressata Canazza, dato che una distanza va misurata fra la parete di un edificio e quella finestrata dell'altro, negano in fatto che sulla sua parete insista una veduta, ma al più una luce, non ravvisandosi perciò l'obbligo di mantenere la distanza prevista da apposita norma del p.r.g.c.
Vi sono, invero, due aperture, ma esse non sono apribili, presentando serramenti ad anta unica e sono destinate per lo più all'illuminazione dei vani scala.
In contrario, dalla documentazione in atti risulta che, esaminate le tavole di progetto, l'amministrazione ha riscontrato che sussistono due finestre, una in corrispondenza alla scala di collegamento alta mt. 5.20 e l'altra pari a mt. 3,20 a servizio del disimpegno del primo piano e che dalle tavole di progetto si evince l'esistenza di un'apertura per ogni finestra, costituendo così due vedute.
A definitiva conferma la difesa del controinteressato ha esibito due fotografie in grande formato in cui dette aperture sono chiaramente visibili.
Sussisteva pertanto nell'edificio di parte controinteressata l'esistenza di vedute e quindi una parete finestrata, da cui l'obbligo di osservare la distanza di 10 mt. prevista dal p.r.g. e non osservata dai ricorrenti.
Il ricorso n 334 del 2010 risulta pertanto infondato.
Con il ricorso n. 514 del 2011 il solo ricorrente Zugan, succeduto nella proprietà del fondo in discussione, chiede l'annullamento del permesso di costruire in variante rilasciato dal Comune alla controinteressata Canazza.
Al riguardo sostiene che essa, con riguardo stavolta all'edificio B2 anch'esso oggetto del permesso di costruire precedentemente impugnato, onde evitare la censura con cui si deduceva che anch'essa non avrebbe tenuto conto del rispetto delle distanze, ha posto in atto una complessa operazione di vendita a un terzo di parte del fondo, per ottenere un permesso di costruire in variante che le permettesse l'arretramento della fronte dell'unità B2.
Il rispetto delle distanze con la parete finestrata dell'altro edificio non è stato ottenuto, perché l'edificio tuttora occupa parte della precedente proprietà e non consente, stavolta, il rispetto della distanza tra fabbricati, che per i nuovi edifici è prescritta in 10 mt fra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
Il Comune, rilevando che era sopravvenuta l'adozione di una nuova variante al p.r.g. ha sospeso ogni determinazione e, quando è sopravvenuta l'approvazione ha assentito la contestata variante al permesso di costruire, autorizzando lo spostamento del progettato edificio.
Invero, fatte le opportune verifiche, il Comune ha accertato che il denunciato sconfinamento sulla proprietà altrui non è avvenuto.
Invero l'elaborato grafico di progetto dimostra che la parete perimetrale dell'edificio B2 è l'esatta prosecuzione, nel lato lungo della sua conformazione rettangolare, della parete perimetrale dell'edificio confinante, la quale segna il confine con la particella ceduta a terzi.
Opportunamente nota il Comune che, dato che per due punti può passare una sola retta, l'edificio B2 risulta progettato esattamente sul confine e non sussiste, pertanto, lo sconfinamento denunciato in ricorso con le sue conseguenze sulle distanze.
Di un tanto ha dato puntualmente atto l'istruttoria tecnica, che ha attestato che non sussiste violazione dell'art. 5.2.6 del p.r.g.c., in quanto si è preso a caposaldo per la determinazione del confine un elemento certo, cioè lo spigolo del fabbricato confinante, di cui l'edificio progettato prosegue in linea retta la parete perimetrale.
A conferma sussistono le rappresentazioni grafiche, che prevalgono sui dati numerici.
Anche per questo ricorso la difesa di parte controinteressata ha depositato documentazione fotografica eloquente, a smentita dei motivi di gravame.
Anche il ricorso n. 514 del 2011 va pertanto rigettato.
Il Collegio pertanto, definitivamente pronunziando sui ricorsi in premessa li riunisce e li rigetta. Dato che è stata necessaria una approfondita attività istruttoria procedimentale per accertare l'esito dei ricorsi può concedersi la compensazione delle spese fra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, ne dispone la riunione e li rigetta.
Compensa le spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.