Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
Brescia, Sezione I
Sentenza 8 settembre 2015, n. 1151

Presidente: Calderoni - Estensore: Gambato Spisani

Rilevato:

- che il provvedimento impugnato (doc. 1 ricorrente, copia di esso) motiva con riferimento alla insufficienza del requisito reddituale;

- che i fatti di causa sono pacifici, controversa ne è la qualificazione giuridica, nei termini spiegati appresso;

- che in dettaglio la tesi della Questura sottesa al provvedimento impugnato, sostenuta e sviluppata in giudizio dall'Avvocatura dello Stato, può riassumersi così come segue. Il provvedimento in questione dovrebbe essere scrutinato nella presente sede di ricorso giurisdizionale secondo la regola normale del tempus regit actum, ovvero con esclusivo riferimento alle norme di diritto, e per quanto qui interessa alla situazione di fatto, esistente al momento in cui esso viene ad esistere, concetto espresso, in termini generali, ad esempio, da C.d.S., sez. III, 3 ottobre 2013, n. 4884 che si cita per tutte. Ciò posto, la tesi dell'Avvocatura argomenta, in termini di principio, dalla struttura di regola impugnatoria del processo amministrativo, costruito come un "processo all'atto", che decide in primo luogo della conformità o no dello stesso al modello normativo e solo indirettamente della cd. spettanza del bene della vita, ovvero della fondatezza o infondatezza della pretesa del ricorrente all'utilità che dall'amministrazione egli vorrebbe conseguire. Tale concezione del processo, che storicamente è quella tradizionale, si ritiene ribadita anche dal vigente codice, che ad esempio all'art. 7 ragiona, quanto alla giurisdizione di legittimità, di atti e provvedimenti impugnabili. Sempre la tesi dell'Avvocatura non nasconde la presenza, nella materia in esame, di una norma interpretabile come contraria alla propria tesi, nei termini che si vedranno. Si tratta del noto art. 5, comma 5, del t.u. 25 luglio 1998, n. 286, ovvero t.u. immigrazione, per cui "Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati... sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio...". La tesi dell'Avvocatura è infatti nel senso sostenuto in giurisprudenza, per tutte, da ultimo da C.d.S., sez. III, 26 maggio 2015, n. 2645: elementi sopravvenuti rilevanti ai sensi della norma citata sarebbero solo quelli esistenti e rappresentati in via formale all'amministrazione, o al più da essa conosciuti, successivamente alla presentazione della domanda, ma comunque prima dell'adozione del provvedimento, non già quelli successivi, che potrebbero, al più, giustificare un eventuale riesame, in via quindi di autotutela;

- che quindi nei termini appena esposti, la difesa erariale sostiene la legittimità del provvedimento impugnato, poiché gli elementi sopravvenuti a proprio favore dedotti dal ricorrente, pur cronologicamente anteriori, almeno in parte, all'adozione del provvedimento, non le sarebbero stati tempestivamente rappresentati. In fatto, il provvedimento è del 10 febbraio 2015, l'assunzione a tempo indeterminato del ricorrente quale operaio edile è del maggio 2014, e dal 2015 il ricorrente espone buoni guadagni (v. doc. 1 ricorrente, cit. e doc. 4 e 5 ricorrente, copia CUD redditi 2014 e buste paga);

- che opposta è la tesi della difesa del ricorrente, secondo la quale gli elementi sopravvenuti in questione sarebbero pienamente rilevanti, e gli darebbero titolo per ottenere il permesso richiesto. Si tratta, come accennato in premesse, della sua assunzione quale autista (doc. 3 ricorrente, cit.), per una retribuzione di contratto;

- che presupposto logico di questa tesi, in termini di principio è che il processo amministrativo, in virtù della norma speciale dell'art. 5, comma 5, t.u. di cui s'è detto, sarebbe un processo sul rapporto, che quindi dovrebbe accertare in via diretta la spettanza del bene della vita e, sempre in via logica, dovrebbe ciò fare sin quando materialmente possibile. In tali termini, quindi, l'amministrazione dovrebbe tener conto di ogni sopravvenienza, e lo stesso dovrebbe fare il Giudice nel giudizio di impugnazione del relativo diniego, sin quando ciò sia possibile, ovvero sin quando non scatti la preclusione ad introdurre nel processo nuovi elementi istruttori, rappresentati, all'evidenza dai documenti - contratto di lavoro, buste paga, e simili - dai quali le sopravvenienze risultino;

- che il Collegio ritiene di condividere tale seconda tesi, per le ragioni di seguito illustrate. In primo luogo, il giudizio amministrativo di legittimità è di regola impugnatorio, ma non riveste necessariamente tale natura. Detto altrimenti, nessuna norma di rango costituzionale o superiore impedisce che una norma di legge ordinaria, anche in termini non espliciti, disponga altrimenti, e lo configuri in quel caso particolare come giurisdizione sul rapporto. Contrariamente a quanto ritenuto dall'Avvocatura, la quale cita a sostegno C.d.S., sez. VI, 28 agosto 2008, n. 4088, 17 marzo 2009, n. 1560 e 13 maggio 2009, n. 2961, le quali però, a rigore, non si soffermano sul punto preciso, ciò non significa interferire con la regola dell'art. 103 Cost., che configura la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo come istituto in qualche misura eccezionale. Infatti, giurisdizione esclusiva, ovvero estesa a diritti ed interessi, e giurisdizione sul rapporto sono concetti in parte sovrapponibili, perché la giurisdizione sui diritti di regola si estende al rapporto, ma non coincidenti, perché è ben pensabile una giurisdizione non esclusiva, in quanto limitata al corretto modo di esercizio di un potere autoritativo, estesa però per ragioni particolari al rapporto, ovvero intesa a verificare appieno come il potere in quel caso vada esercitato. Ciò neppure significa, prevenendo una possibile eccezione, smentire la regola della tassatività dei motivi di impugnazione, da articolare nel noto termine di decadenza: una giurisdizione di legittimità estesa al rapporto permetterebbe soltanto di introdurre circostanze di fatto sopravvenute all'interno di motivi in diritto tempestivamente proposti. Detto altrimenti, il ricorso avverso il diniego di permesso di soggiorno per difetto del requisito lavorativo il quale omettesse di articolare in termini il motivo di censura corrispondente sarebbe respinto a prescindere dalle idonee occupazioni che l'interessato possa aver reperito. In secondo luogo, si deve tener conto della natura sostanziale del provvedimento con cui l'amministrazione rilascia il permesso di soggiorno. Esso indubbiamente è espressione di un potere autoritativo, perché tale si ritiene in via pacifica il potere di polizia dello Stato; consente peraltro allo straniero l'accesso ad un complesso di diritti che complessivamente si possono denominare status, e quindi correttamente si qualifica come ammissione ad esso. Tale status è poi composto da diritti di rango costituzionale, in primis il diritto di circolare e soggiornare liberamente sul territorio della Repubblica di cui all'art. 16 Cost., il diritto di prestarvi lavoro di cui all'art. 4 Cost. e il diritto a ricevervi assistenza di cui all'art. 38 Cost. Sono diritti che appartengono alla categoria dei diritti fondamentali, a loro volta protetti sia dall'art. 2 Cost. sia da atti di diritto internazionale vincolanti per l'Italia, ovvero dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo - CEDU, esecutiva in Italia per la l. 4 agosto 1955, n. 848, e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, o Carta di Nizza del 7 dicembre 2000, che come è noto ha ora il medesimo valore giuridico dei Trattati europei, ai sensi dell'art. 6 del Trattato di Lisbona 13 dicembre 2007. A fronte di tali situazioni giuridiche, si pone con particolare intensità l'esigenza di assicurarne la piena tutela anche giurisdizionale, sia ai sensi del relativo principio di effettività che la Corte costituzionale - fra le molte, sentenza 25 febbraio 2015, n. 17 - desume dall'art. 24 Cost. sia ai sensi del corrispondente precetto dell'art. 13 della CEDU, che sancisce il diritto a un "ricorso effettivo";

- che quindi alla luce di tali principi, l'art. 5, comma 5, del t.u. deve essere interpretato come previsione di una giurisdizione sul rapporto nel senso già spiegato, di massima rilevanza delle sopravvenienze, e quindi nel senso di tener conto del rapporto di lavoro allegato dalla ricorrente, sulla scia di C.d.S., sez. VI, 7 giugno 2006, n. 3412 e di quanto sostenuto da costante orientamento di questo Tribunale, di recente ad esempio da sez. I, 15 luglio 2015, n. 973;

- che alcune ulteriori notazioni sul punto sono necessarie per completezza. In primo luogo, la norma citata non è la sola interpretabile nel senso visto. Lo stesso art. 5, comma 5, prevede che il permesso di soggiorno possa essere anche revocato quando "vengono a mancare i requisiti richiesti", a riprova dell'intenzione del legislatore di mantenere, sin quando possibile, una corrispondenza fra la situazione di diritto e la realtà dei fatti, il che secondo logica deve valere anche a favore dell'interessato. Inoltre, il successivo comma 9-bis dello stesso art. 5, recentemente inserito dall'art. 1, comma 1, lett. d), d.lgs. 4 marzo 2014, n. 40 stabilisce "In attesa del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno, anche ove non venga rispettato il termine di sessanta giorni di cui al precedente comma, il lavoratore straniero può legittimamente soggiornare nel territorio dello Stato e svolgere temporaneamente l'attività lavorativa fino ad eventuale comunicazione dell'Autorità di pubblica sicurezza, da notificare anche al datore di lavoro, con l'indicazione dell'esistenza dei motivi ostativi al rilascio o al rinnovo..." in sintesi mediante esibizione della sola ricevuta della domanda relativa. Con ciò, si è preso atto della prassi delle Questure, le quali, per varie ragioni qui non rilevanti, impiegano anche molti mesi ad evadere le pratiche in questione. Interessa allora notare che siffatta norma avrebbe conseguenze in potenza assai gravi, se l'apprezzamento dell'autorità fosse cristallizzato all'epoca, magari remota, in cui la domanda è presentata. In secondo luogo, la tesi sostenuta dall'Avvocatura porterebbe, in buona sostanza, a dare dell'art. 5, comma 5, un'interpretazione abrogatrice. Che l'amministrazione sia tenuta a valorizzare fatti successivi alla presentazione di una domanda appare in generale scontato in termini logici, prima che giuridici, perché come si è detto l'azione amministrativa è inesauribile. Ciò posto, dire che l'art. 5, comma 5, servirebbe a legittimare un intervento in autotutela è affermazione vuota, perché delle due l'una. O tale intervento segue le regole generali, e quindi nulla garantisce perché si tratta di intervento, in generale, del tutto facoltativo: sul principio, per tutte C.d.S., sez. V, 4 maggio 2015, n. 2237. Oppure, si tratta eccezionalmente di un intervento obbligatorio, che legittima un ricorso su silenzio: in tal caso, il principio di concentrazione processuale di cui all'art. 111 Cost. impone ove possibile di evitare la duplicazione di giudizi e di concentrare le relative questioni in un processo quale il presente, di impugnazione dell'originario diniego, e si ritorna quindi alla tesi qui condivisa. A riprova, nemmeno l'Avvocatura ha mai richiesto il rigetto di ricorsi fondati su un caso particolare di sopravvenienza che pure, secondo la tesi di tale Ufficio, dovrebbe essere irrilevante. È il caso, non infrequente, si veda per tutte la recente sez. I, 13 luglio 2015, n. 941, in cui il ricorrente, vistosi denegare il rinnovo del permesso di soggiorno per una condanna in primo grado sicuramente ostativa, lo impugni deducendo di esser stato in seguito assolto con formula piena nel grado superiore di giudizio;

- che la ritenuta rilevanza del sopravvenuto rapporto di lavoro allegato dal ricorrente non esaurisce la disamina necessaria per scrutinare il relativo motivo di ricorso, dovendosi questo Giudice anche porre il problema della sua sufficienza quanto ai redditi prodotti. In proposito, la tesi della Questura, sostenuta dall'Avvocatura anche in giudizio, è della meccanica applicabilità del parametro della pensione sociale INPS, e quindi dell'irrilevanza di tutti i redditi inferiori a tale importo, pari per il 2015 ad Euro 5830/63 annui, circa Euro 486 al mese;

- che in effetti ciò si sostiene, in sintesi, sulla base del testo novellato dall'art. 4, comma 30, l. 28 giugno 2012, n. 92 dell'art. 22, comma 11, t.u. imm. per cui "La perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore extracomunitario ed ai suoi familiari legalmente soggiornanti. Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non inferiore ad un anno ovvero per tutto il periodo di durata della prestazione di sostegno al reddito percepita dal lavoratore straniero, qualora superiore. Decorso il termine di cui al secondo periodo, trovano applicazione i requisiti reddituali di cui all'articolo 29, comma 3, lettera b)". La norma, che è l'unica dettata per il caso normale di rinnovo, rinvierebbe quindi al parametro in questione, prescritto per il distinto caso del ricongiungimento familiare;

- che nel caso di specie, si ignora se il ricorrente rientrerebbe in tale parametro considerando che le retribuzioni future non sono certe. Il Collegio peraltro ritiene che ciò non rilevi, per le ragioni di seguito esposte. Il tenore della norma riportata è infatti non chiarissimo: essa sembra riferirsi al solo caso di persona che abbia già goduto di un permesso per attesa occupazione. In secondo luogo, il parametro della pensione sociale appare non esattamente pertinente al caso di un lavoratore attivo, e si può ragionevolmente ritenere utilizzato perché l'Italia, com'è noto, è uno dei pochi Paesi europei che non conoscono l'istituto del salario minimo. Di conseguenza, l'interpretazione delle norme che lo richiamano deve essere restrittiva, preferibile essendo ritenere che una retribuzione conforme ad un contratto di lavoro vigente sia tale da garantire la autosufficienza economica, così come, per assunto implicito, la garantisce ai lavoratori nazionali di pari livello e qualifica;

- che il ricorso va quindi accolto, con annullamento del provvedimento impugnato. A fronte di ciò, l'amministrazione sarà tenuta a rilasciare il permesso, salvo il suo ordinario potere di indagine e accertamento della veridicità di quanto dichiaratole;

- che sussiste giusto motivo per compensare le spese, stante l'assenza di una giurisprudenza consolidata in materia.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e per l'effetto annulla il provvedimento 10 febbraio 2015 Cat. A 12 2015 Immig II sez db 12 BS 032530 del Questore della Provincia di Brescia. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.