Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 5 ottobre 2015, n. 19787
Presidente: Rovelli - Estensore: Amoroso
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il Consiglio Superiore della Magistratura (d'ora in poi CSM), nella seduta del 22 luglio 2010, ha deliberato, a maggioranza, la nomina a Presidente Aggiunto della Corte di cassazione, a sua domanda, del dott. Paolo V., magistrato di settima valutazione di professionalità. In particolare la proposta in favore del dott. V. è stata approvata avendo riportato 15 voti, contro i 5 voti per la proposta in favore del dott. Giuseppe Maria C., magistrato anch'egli di settima valutazione, ed i 4 voti per la proposta in favore di altro magistrato.
Nella proposta approvata dal CSM in seduta plenaria, il relatore - dopo avere esposto le ragioni per le quali "il dott. P. V. è il candidato più idoneo, in base ai parametri delle attitudini e del merito, a ricoprire l'ufficio di Presidente Aggiunto presso la Corte di Cassazione" ed avere in particolare indicato che "il protratto esercizio da parte del dottor V. delle funzioni di legittimità, anche presso le Sezioni Unite e nell'incarico direttivo che attualmente ricopre, assicura quella capacità di comprensione e di percezione unitaria delle esigenze degli uffici di legittimità e dell'intera giurisdizione che conferiscono al candidato proposto un profilo attitudinale di specifico e preminente rilievo" - ha fatto altresì presente che "la valutazione di eccellenza del dottor V. sotto tutti i profili rilevanti ai fini del conferimento dell'ufficio in esame ha evidenti ricadute in sede di comparazione: rispetto a tutti gli altri aspiranti, il dott. V. può vantare non soltanto il risalente e protratto esercizio di funzioni di legittimità, ma anche una approfondita conoscenza delle problematiche e delle esigenze della Corte di Cassazione, una specifica attitudine alle funzioni direttive, e una particolare sensibilità per tutte le tematiche giuridiche ed organizzative dell'intera giurisdizione, dimostrata anche dall'imponente produzione scientifica".
La proposta approvata dall'organo di autogoverno, in particolare, ha evidenziato che "il dottor V. prevale infatti nella comparazione con i predetti aspiranti per le attitudini e competenze organizzative più a lungo sperimentate come Presidente di Sezione. Il dottor V. ha infatti assunto il ruolo di Presidente Titolare nel dicembre 2008 mentre i dottori [...] e C. ricoprono il ruolo di Presidenti Titolari rispettivamente dal [...] luglio 2008 ma quello di Presidente di Sezione sin dall'aprile 2004, laddove il dott. [...] lo ricopre dall'agosto 2006 e dal marzo 2006 i dott.ri [...] e C.".
La proposta ha evidenziato altresì che "tale circostanza assume rilievo in sede di comparazione in favore del dottor V., ove si valuti che questi ha avuto modo di confrontarsi per un più ampio periodo con le problematiche organizzative dell'ufficio e, come dimostrano gli efficaci interventi in relazione a tali problematiche, di dare un oggettivo riscontro di capacità attitudinali ininterrottamente più a lungo mantenute nel tempo". Inoltre, egli "ha avuto un ruolo di grande rilievo nella fase istitutiva e di prima organizzazione della c.d. Struttura unificata, avendone assunto il compito di coordinatore, ottenendo brillanti risultati".
Passando a profilo del merito, l'organo di autogoverno ha ritenuto preminente "il profilo del dott. V. rispetto a quello dei predetti candidati anche per quanto concerne lo spessore culturale e giuridico, come dimostrano la apprezzata e varia produzione scientifica e la partecipazione all'attività di formazione organizzata dal CSM". "Lo spessore culturale del dott. V., che si espresso nella padronanza e nella capacità di approfondimento di svariate tematiche giuridiche e che appare di evidente rilievo per l'altissimo contributo che può assicurare alla funzione nomofilattica della Corte, giustificano il giudizio di eccellenza sul suo profilo e la sua prevalenza sui predetti candidati".
La proposta approvata dal CSM ha in definitiva ritenuto che "il dottor V. presenta il curriculum più idoneo rispetto alle esigenze concrete del posto da ricoprire con riguardo ai parametri di attitudini e merito opportunamente integrati fra loro secondo i criteri fissati dalla vigente circolare e deve pertanto essere preferito a tutti gli altri aspiranti nella valutazione comparativa".
2. Il dottor C., anch'egli Presidente di Sezione della Corte di cassazione e destinatario di una proposta di minoranza, impugnava tale deliberazione del CSM con ricorso al TAR Lazio, denunciando violazione e falsa applicazione di legge nonché eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare, per irragionevolezza, contraddittorietà, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità ed ingiustizia manifesta, sviamento, sproporzione, perplessità, arbitrarietà ed irragionevolezza, discriminatorietà.
Evidenziava in particolare che il dott. V. era stato per diciotto anni (dal 1968 al 1986) al di fuori della magistratura, per avere prestato servizio presso l'Avvocatura dello Stato. Tale circostanza non poteva non assumere una valenza negativa e ciò sempre nell'ottica della valutazione comparativa con il ricorrente, nel senso che quest'ultimo, per la sua permanenza costante ed ininterrotta nella magistratura con il conseguimento di risultati altamente positivi, avrebbe mostrato una maggiore attitudine al conferimento dell'incarico in questione.
3. Il CSM ed il Ministero della giustizia, costituitisi a mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato, contestavano la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso.
4. Il TAR del Lazio respingeva il ricorso con sentenza n. 5159 del 2011.
Osservava in particolare il TAR che la circostanza che il dott. V. fosse stato per diciotto anni (dal 1968 al 1986) al di fuori della magistratura, per avere prestato servizio presso l'Avvocatura dello Stato, non aveva assunto una valenza ostativa al conferimento dell'incarico, in quanto non aveva inciso sul profilo professionale del candidato e, soprattutto, sulla idoneità ed attitudine all'ottimale svolgimento delle funzioni di Presidente Aggiunto della Corte di Cassazione.
In conclusione, secondo il TAR doveva ritenersi esente da ogni profilo di illogicità la prevalenza attribuita al controinteressato in ragione dei molteplici elementi puntualmente evidenziati dall'organo di autogoverno.
5. Il successivo appello del dottor C. veniva definito con la sentenza n. 486 del 2012 della Quarta Sezione del Consiglio di Stato; l'appello veniva accolto per difetto della motivazione e di conseguenza veniva annullato il predetto atto di nomina. In particolare ha osservato il Consiglio di Stato che la valutazione globale dei due candidati in comparazione era stata carente per aver tralasciato di considerare che l'esperienza giurisdizionale complessiva del dott. V. era di vari anni inferiore a quella del dott. C. Ha quindi annullato la delibera del CSM, in riforma della sentenza di primo grado, salvi i provvedimenti ulteriori dello stesso CSM, chiamato a rinnovare la valutazione comparativa alla luce del contenuto conformativo della sentenza.
6. A seguito di richiesta del dott. C. di dare seguito alla cit. sentenza n. 486/2012 il CSM esaminava nuovamente i due nominati candidati in concorso e con delibera del 18 aprile 2012 conferiva nuovamente l'incarico al dottor V.
In particolare il CSM ha osservato, quanto all'esperienza "fuori dalla giurisdizione" del dottor V., limitata al periodo svolto, peraltro in epoca non recente, nell'Avvocatura dello Stato, che l'attività di avvocato dello Stato, se non del tutto assimilabile a quella giurisdizionale, era equiparabile a quella svolta in una "magistratura speciale", tanto da essere riconosciuta ai fini della riammissione nell'ordine giudiziario; queste considerazioni soddisfacevano l'esigenza di una valutazione particolarmente attenta, al fine di non creare indebite situazioni di vantaggio per i magistrati che avevano maturato minore esperienza nell'ambito proprio della giurisdizione; il dottor V. - osservava ancora il CSM - aveva comunque esercitato le funzioni di legittimità da maggior tempo rispetto ai dottor C. (dal marzo 1990 rispetto al settembre 1992).
7. Impugnando con due distinti ricorsi tale seconda delibera del CSM, il dottor C. ha proposto da una parte ricorso per l'ottemperanza al giudicato di cui assumeva la violazione e/o l'elusione verificatasi appunto con detta deliberazione del 18 aprile 2012. Il dottor C. ha dedotto che la nuova deliberazione del CSM fosse una pura riedizione di quella già annullata, sicché dovevano considerarsi violate le statuizioni contenute nella sentenza n. 486/2012 del Consiglio di Stato.
Il dottor V. e l'Amministrazione si sono costituiti in giudizio per resistere al ricorso.
8. Con sentenza n. 5903 del 2012 il ricorso per l'ottemperanza è stato respinto dal consiglio di Stato che ha osservato che la precedente sentenza, nell'accogliere l'appello del dottor C., faceva espressamente salvi "i provvedimenti ulteriori dell'amministrazione, chiamata a rinnovare la valutazione comparativa alla luce del contenuto conformativo della presente sentenza". Pertanto - rilevava il Consiglio di Stato - il CSM non poteva che procedere a una nuova valutazione dei magistrati aspiranti all'incarico giudiziario sicché la nuova impugnata delibera non poteva considerarsi di per sé adottata in diretta violazione del giudicato, né questo poteva ritenersi eluso. Ha inoltre precisato il Consiglio di Stato che l'eventuale asserita inosservanza delle prescrizioni della sentenza richiamata, piuttosto che integrare violazione o elusione del giudicato, avrebbe dovuto essere lamentata dal ricorrente con ordinaria impugnazione promuovendo un nuovo giudizio di legittimità.
9. Ed in effetti la stessa nuova deliberazione del CSM 18 aprile 2012 era stata d'altra parte anche impugnata dal dottor C. con ricorso ordinario per vizi di legittimità innanzi al TAR Lazio.
Quest'ultimo, pronunciandosi nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 3651 del 2013 respingeva l'impugnazione, osservando che doveva essere considerata la particolare "vicinanza" alla giurisdizione dell'attività svolta presso l'Avvocatura di Stato (nel caso del dott. V. non solo davanti alle giurisdizioni amministrative di primo e di secondo grado, ma anche davanti alla Corte costituzionale, specificamente nel campo delle impugnazioni principali e dei conflitti Stato-Regioni) che, se non del tutto assimilabile a quella giurisdizionale (come precisato dal Consiglio di Stato), era equiparata a quella svolta in una 'magistratura speciale', tanto da essere stata 'riconosciuta' ai fini della riammissione nell'ordine giudiziario (delibera CSM del 4.2.86)".
In definitiva - ha osservato il TAR - il CSM con la nuova delibera aveva ritenuto il curriculum del dott. V. essere maggiormente idoneo, rispetto a quello del dott. C., riguardo alle specifiche esigenze del posto da ricoprire con riferimento ai parametri delle attitudini e del merito, sulla base di una approfondita disamina e di una attenta comparazione del complesso profilo di ciascun candidato, opportunamente motivando la scelta così effettuata nell'esercizio della propria discrezionalità valutativa.
10. Avverso questa pronuncia il dott. C. ha proposto appello al Consiglio di Stato lamentando, in particolare, che la deliberazione impugnata e la sentenza del giudice di primo grado avevano errato nel ritenere comparativamente più rilevante l'attività del dott. V. nell'esercizio della giurisdizione, essendo del tutto evidente invece la violazione dei criteri riguardanti il conferimento dell'incarico in questione potendo quest'ultimo vantare una esperienza di durata largamente inferiore a cui si contrapponeva un più lungo periodo di ininterrotta permanenza in magistratura, quale quello che egli poteva vantare.
11. Il Consiglio di Stato, Quarta Sezione, con sentenza n. 3501 del 10 luglio 2014 ha accolto l'appello e per l'effetto ha annullato la deliberazione impugnata "salvi gli ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione".
In particolare il Consiglio di Stato ha respinto l'argomento introdotto dall'Avvocatura dello Stato, che, richiamando la pronuncia di queste Sezioni Unite 9 novembre 2011, n. 23302, aveva sostenuto che, essendo nel frattempo la parte appellante (come anche la parte appellata) cessata dal servizio per collocamento in quiescenza, non residuava, anche in caso di esito positivo del gravame, alcun interesse del ricorrente ad ottenere una nuova delibera del CSM, a sé favorevole, di conferimento "ora per allora" dell'incarico di Presidente aggiunto della Suprema Corte di Cassazione.
Secondo il Consiglio di Stato, considerata la natura sostanziale dell'interesse legittimo fatto valere dall'originario ricorrente e stante l'esigenza che comunque ci fosse una risposta di giustizia alle censure da quest'ultimo mosse alla delibera del CSM, non poteva ritenersi preclusa una nuova pronuncia di annullamento dal sopravvenuto collocamento in quiescenza dei magistrati che avevano concorso per il posto.
Entrando poi nel merito delle censure mosse dal ricorrente avverso la sentenza impugnata e la delibera del CSM, il Consiglio di Stato ha ritenuto fondato il rilievo con cui il ricorrente aveva dedotto che l'esperienza "fuori dalla giurisdizione" del dott. V. come avvocato dello Stato non era equiparabile a quella svolta in una "magistratura speciale". Secondo il Consiglio di Stato è da escludere che l'Avvocatura dello Stato possa rientrare nella nozione di "magistrature speciali" di cui all'art. 211, comma 2, r.d. n. 12 del 1941, sottratte alla operatività del divieto di riammissione nell'ordine giudiziario prescritto dal comma primo. L'equiparazione degli avvocati dello Stato al personale delle magistrature - ha ritenuto il Consiglio di Stato - rileva ai soli fini economici e retributivi, come previsto dall'art. 23 del r.d. n. 1611 del 1933, restando esclusa, invece, ogni assimilazione di tipo funzionale.
Ha quindi concluso il Consiglio di Stato che una minore durata di 18 anni nell'esercizio dell'attività giurisdizionale del dott. V. non poteva essere compensata dalla maggiore durata dell'esercizio delle funzioni di legittimità rispetto a quella del dott. C.
12. Avverso questo pronuncia propongono, con il medesimo atto, ricorso per cassazione il Consiglio Superiore della Magistratura ed il Ministro della Giustizia.
Resiste con controricorso il dott. Giuseppe Maria C.
Anche il dott. Paolo V. ha proposto controricorso e ricorso incidentale adesivo del ricorso principale, cui ha resistito il dott. C. con ulteriore controricorso.
I ricorrenti principale ed incidentale adesivo hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso principale del CSM e del Ministero della giustizia è articolato in due motivi.
Con il primo motivo i ricorrenti deducono eccesso di potere giurisdizionale lamentando in particolare che il Consiglio di Stato non abbia tenuto conto dell'arresto giurisprudenziale delle sezioni unite di questa corte (sentenza n. 23302/2011) e si sia pronunciato, accogliendo l'appello, benché non vi fosse più spazio per una pronuncia che imponesse al CSM di deliberare nuovamente rivalutando "ora per allora" la posizione del dott. C. una volta che quest'ultimo - come, del resto, anche il controinteressato dott. V. - era cessato dal servizio, residuando ormai solo la possibilità di una compensazione economica. Il Consiglio di Stato, invece, ha ritenuto ugualmente di annullare la delibera del CSM del 18 aprile 2012, pur facendo espressamente salvi gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione, ma mostrando di ritenere in motivazione che la nuova delibera avrebbe potuto avere il contenuto del conferimento dell'incarico all'appellante ora per allora. Secondo i ricorrenti la situazione è analoga a quella oggetto della citata sentenza n. 20302/11 di queste sezioni unite.
Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano ulteriormente l'eccesso di potere giurisdizionale sotto altro profilo. Deducono che il Consiglio di Stato, con la valutazione operata circa l'assimilazione dell'esperienza di avvocato dello Stato alle funzioni giurisdizionali, ha superato i limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo ed ha invaso la sfera decisionale riservata al solo CSM ai sensi dell'art. 105 Cost. Il Consiglio di Stato - lamentano i ricorrenti - non si è limitato a censurare le modalità applicative dei criteri usati dal CSM nell'operare il raffronto tra le differenti esperienze professionali dei candidati, ma ha esercitato direttamente quella discrezionalità valutativa che appartiene al CSM. Rientrano infatti nei poteri valutativi discrezionali spettanti al CSM ai sensi dell'art. 105 Cost. apprezzare il valore da scrivere all'esperienza preso l'avvocatura dello Stato, tenendo conto dei profili di affinità con la funzione giurisdizionale al solo fine dell'attribuzione dell'incarico giudiziario.
2. Il ricorso incidentale adesivo del dott. V. è articolato in tre motivi.
Con i primi due motivi il ricorrente incidentale aderisce ai primi due motivi del ricorso principale sostenendone l'ammissibilità e la fondatezza.
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente incidentale deduce la violazione dell'art. 37 c.p.c. e degli artt. 7, 29 e 114 c.p.a. In particolare lamenta che il Consiglio di Stato si sia pronunciato due volte sulla stessa impugnata delibera del CSM. Sostiene che la sentenza impugnata, nonostante si qualifichi come pronuncia relativa ai profili di illegittimità della seconda delibera del CSM, è in realtà una nuova sentenza di ottemperanza, relativa alla presunta violazione del giudicato di cui alla prima sentenza del Consiglio di Stato n. 486 del 2012. Ciò costituisce eccesso di potere giurisdizionale sindacabile ai sensi dell'art. 362, primo comma, c.p.c.
3. I giudizi promossi rispettivamente con il ricorso principale [e] con il ricorso incidentale vanno riuniti avendo ad oggetto la stessa sentenza impugnata.
4. Il ricorso principale del CSM (in due motivi) e quello incidentale adesivo (nei suoi primi due motivi) si sovrappongono e sollevano simmetricamente due questioni.
La prima questione riguarda se poteva, o no, il Consiglio di Stato annullare la delibera del CSM, adottata quando i magistrati che concorrevano per l'incarico giudiziario di Presidente Aggiunto della Corte di cassazione erano ancora in servizio (il dott. V. ancora per pochi mesi; il dott. C. per circa un anno), se successivamente, al momento della decisione sull'appello proposto da quest'ultimo, entrambi i magistrati erano ormai in quiescenza; questione che ha come riferimento giurisprudenziale la pronuncia di questa Corte (Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302) che ha affermato in proposito che non è possibile che il Consiglio di Stato, esercitando formalmente la giurisdizione di merito del giudizio di ottemperanza, "ordini" al CSM di attribuire, ora per allora, l'incarico giudiziario. Il CSM ricorrente principale ed il ricorrente incidentale adesivo sostengono in sostanza, con il primo motivo di ricorso, che da tale principio non possa non inferirsi la sua estensione all'ordinaria cognizione di legittimità del giudice amministrativo talché l'impugnata sentenza del Consiglio di Stato sarebbe incorsa nel medesimo vizio di eccesso di potere giurisdizionale per superamento dei limiti esterni della giurisdizione così come, in altra vicenda giudiziaria, la precedente sentenza del Consiglio di Stato annullata da Cass. n. 23302 del 2011 cit.
La seconda questione, posta con l'ulteriore motivo del ricorso principale e di quello incidentale adesivo, logicamente in via subordinata al rigetto del primo motivo di entrambi, si focalizza nel quesito se il Consiglio di Stato, nell'esercizio della giurisdizione di legittimità, abbia travalicato i limiti esterni della giurisdizione impingendo nell'area della discrezionalità del CSM col fatto, in particolare, di aver operato direttamente la comparazione dei magistrati aspiranti al posto quanto in particolare alla valutazione del periodo di attività svolta, in passato, dal dott. V. presso l'Avvocatura di Stato e alla sua equiparabilità, o no, all'attività giudiziaria al fine dell'attribuzione del posto.
Entrambe le questioni poste ruotano quindi attorno alla nozione di eccesso di potere giurisdizionale e dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo.
Altresì il terzo motivo del solo ricorso incidentale adesivo pone una ulteriore questione che afferisce anch'essa al denunciato eccesso di potere giurisdizionale, ma sotto il profilo che in tale vizio sarebbe incorso il Consiglio di Stato dal momento che, a seguito dell'impugnazione della medesima delibera del CSM, si è pronunciato due volte: una volta (con sent. n. 5903 del 2012) in sede di ottemperanza (rigettando il ricorso) ed una seconda volta (con sent. n. 3501 del 2014) in sede di appello avverso la sentenza del TAR Lazio (riformando quest'ultima ed accogliendo l'impugnazione con conseguente annullamento della delibera del CSM).
5. Va esaminato innanzi tutto il terzo motivo del ricorso incidcntale adesivo che denuncia l'eccesso di potere giurisdizionale nella sua forma più radicale: il Consiglio di Stato - si sostiene - non aveva più alcun potere giurisdizionale per averlo già esercitato rigettando il ricorso in ottemperanza con sentenza n. 5903 del 2012.
Il motivo è infondato.
Il Consiglio di Stato non si è pronunciato due volte in riferimento allo stesso ricorso, ma una prima volta (sentenza n. 5903 del 2012) ha deciso il ricorso per ottemperanza proposto avverso la delibera del CSM ed una seconda volta (sentenza n. 3501 del 2014, oggetto delle impugnazioni, principale ed incidcntale, in esame) ha deciso il ricorso in appello avverso la sentenza del TAR Lazio n. 3651 del 2013 che a sua volta si era pronunciato, in sede di cognizione ordinaria di legittimità, a seguito di separata impugnazione della medesima delibera.
Trattandosi di due ricorsi distinti (per l'ottemperanza della prima sentenza del Consiglio di Stato e per la riforma della sentenza del TAR Lazio da ultimo menzionata), ancorché riguardanti la medesima delibera del CSM, il Consiglio di Stato non poteva fare altro che pronunciarsi due volte: ciò che ha fatto una prima volta in sede di ottemperanza ed una seconda volta in sede di giudizio d'appello e quindi di ordinaria cognizione di legittimità. Né può dirsi che il decisum della sentenza del Consiglio di Stato attualmente impugnata - che ha accolto l'appello e per l'effetto ha annullato l'impugnata delibera del CSM - abbia un contenuto sostanzialmente equiparabile a quello che avrebbe potuto avere in sede di giudizio di ottemperanza, essendo comunque mancata la conformazione delle determinazioni che il CSM era chiamato ad adottare a seguito dell'annullamento dell'impugnata delibera del 18 aprile 2012; ed anzi la sentenza di annullamento è stata pronunciata dal Consiglio di Stato con l'espressa salvezza delle ulteriori determinazioni del CSM. Il quale quindi, in sede di nuovo esercizio del proprio potere, a seguito dell'annullamento dell'atto impugnato, riacquistava la propria discrezionalità con il solo limite dell'impossibilità di riprodurre i medesimi vizi già oggetto della sentenza stessa.
Aver ritenuto ammissibile la duplice impugnazione nei confronti della stessa delibera del CSM, escludendo quindi la consumazione del potere di impugnare, attiene alle regole del giudizio amministrativo che rientrano nella piena cognizione del giudice amministrativo: gli eventuali errores in procedendo non ridondano in vizio di giurisdizione (ex plurimis Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8056) sicché non sussiste, sotto questo profilo, il denunciato eccesso di potere giurisdizionale.
6. Il primo motivo del ricorso principale ed il simmetrico primo motivo del ricorso incidentale adesivo, che possono essere trattati congiuntamente perché afferiscono entrambi alla nozione di eccesso di potere giurisdizionale ed ai limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo, sono parimenti infondati.
7. Preliminarmente giova ricordare che la figura dell'eccesso di potere giurisdizionale, quale costruzione di matrice giurisprudenziale di una fattispecie generale di difetto di giurisdizione del giudice (amministrativo, nella specie) per superamento dei limiti esterni della sua giurisdizione, si atteggia diversamente nella giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo (per violazione di legge, incompetenza, eccesso di potere) e nella giurisdizione di merito del giudizio di ottemperanza. Nel primo caso il giudice amministrativo travalica i limiti esterni della giurisdizione quando, apparentemente esercitando l'ordinaria giurisdizione di legittimità, nella sostanza entra nel merito dell'atto amministrativo impugnato ed esercita una discrezionalità che appartiene all'Amministrazione (Cass., sez. un., 17 febbraio 2012, n. 2312). Nel secondo caso, in cui la giurisdizione è prevista come di merito (art. 112, comma 3, c.p.a.) per violazione del giudicato, nonché per elusione del giudicato - come si desume, per quest'ultima ipotesi, dal comma 3 dell'art. 112, che la contempla come fonte di danno risarcibile - si ha eccesso di potere giurisdizionale quando il giudice amministrativo ritiene che ci siano i presupposti dell'ottemperanza anche in casi in cui tali presupposti in realtà non ricorrano (nel senso che non sussistono né violazione né, soprattutto, elusione del giudicato): cfr. Cass., sez. un., 19 gennaio 2012, n. 736. Anche in questo secondo caso il giudice amministrativo finisce per esercitare un'attività amministrativa discrezionale sotto le vesti di una giurisdizione dichiaratamente di merito.
Nell'ambito, del giudizio di ottemperanza poi - nella cui sede l'art. 114 c.p.a. prevede che il giudice amministrativo possa ordinare l'ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l'emanazione dello stesso in luogo dell'amministrazione - una particolare ipotesi di travalicamento dei limiti esterni della giurisdizione si ha allorché il giudice amministrativo conformi l'agire della pubblica amministrazione in un contenuto "impossibile" essendo la vicenda ormai "chiusa" con il definitivo accertamento dell'illegittimità del provvedimento annullato in sede di cognizione e non sussistendo più le condizioni perché la pubblica amministrazione possa provvedere ancora sicché la tutela dell'interesse legittimo violato, non più realizzabile nella forma (specifica) dell'ottemperanza, è indirizzata verso quella compensativa e risarcitoria.
In riferimento a quest'ultima fattispecie, particolare è l'ipotesi di delibera del CSM di assegnazione di incarichi giudiziari a magistrati con procedura concorsuale e quindi nell'esercizio del potere di autogoverno della magistratura, che per il suo rilievo costituzionale - stante il disposto dell'art. 105 Cost. che attribuisce al CSM il potere di disporre le assegnazioni, i trasferimenti e le promozioni dei magistrati - ha una marcata connotazione di specialità, pur se non si sottrae alla giurisdizione di ottemperanza del giudice amministrativo (Corte cost. nn. 419 e 435 del 1995). Con riguardo ad essa può ribadirsi il principio espresso dalla citata pronuncia di queste Sezioni Unite (Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302): c'è eccesso di potere giurisdizionale se il giudice amministrativo, in sede di ottemperanza della pronuncia, passata in giudicato, di annullamento di una delibera del CSM, e quindi pur esercitando una giurisdizione di merito, "ordini" al CSM di attribuire, ora per allora, l'incarico giudiziario a magistrati in quiescenza ossia a magistrati che ormai non possono prendere possesso del posto. Ossia sono superati i limiti esterni della giurisdizione quando la vicenda della delibera del CSM, dichiarata illegittima in sede di cognizione di legittimità, risulti essere ormai "chiusa" nel senso che non è ipotizzabile una nuova delibera che, per ottemperare al giudicato, la "riapra" assegnando l'incarico giudiziario ora per allora perché i magistrati in concorso sono in quiescenza e non c'è più, per questa ragione, il posto da assegnare ad essi; talché la decisione del giudice amministrativo che detti criteri per l'esecuzione in sede di ottemperanza indirizzandola all'assegnazione dell'incarico giudiziario ora per allora ridonda in eccesso di potere giurisdizionale. In particolare nella citata pronuncia queste Sezioni Unite hanno affermato: «Una cosa è il giudicato che tocca vicende chiuse, delle quali cioè l'intervento del giudice è destinato a segnare la conclusione, altra cosa è la sentenza che, viceversa, riapre una situazione che il provvedimento annullato aveva inteso definire, dischiudendo nuove prospettive per il futuro».
A questo orientamento espresso hanno già dato continuità Cass., sez. un., 19 gennaio 2012, n. 736, e Cass., sez. un., 2 febbraio 2015, n. 1823; pronunce queste che, nel riaffermare il principio suddetto, hanno però rigettato, per altro motivo, l'impugnativa ex art. 362, primo comma, c.p.c. di sentenze del Consiglio di Stato di annullamento di delibere del CSM in un caso perché si era formato un giudicato interno sulla questione e nell'altro caso perché il magistrato vittorioso nella sede di legittimità del giudizio amministrativo era solo prossimo al collocamento in quiescenza, ma era ancora in servizio, seppur per un breve periodo di tempo, sicché l'assegnazione dell'incarico giudiziario non poteva considerarsi come da farsi "ora per allora", ma vi era ancora la possibilità di assegnare il posto al magistrato vittorioso in sede di legittimità.
8. Nella specie - come è pacifico tra le parti e come risulta dalla sentenza impugnata, nonché dalla circostanza che la via dell'ottemperanza è già stata percorsa dall'attuale controricorrente e si è conclusa con la sentenza del Consiglio di Stato n. 5903 del 2012 di cui si è detto esaminando il terzo motivo - non si è in sede di giudizio di ottemperanza, bensì si versa nell'ordinaria sede di legittimità in grado d'appello e quindi non rileva direttamente il principio affermato con riferimento al giudizio di ottemperanza da Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302. L'oggetto del giudizio innanzi al Consiglio di Stato è stato l'appello avverso l'impugnata sentenza del TAR; appello che il Consiglio di Stato ha accolto e, per l'effetto, ha annullato la delibera del 18 aprile 2012 del CSM "facendo salvi gli ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione". Quindi il Consiglio di Stato non ha affatto conformato le successive possibili determinazioni del CSM, pur riconoscendo che permaneva l'interesse dell'appellante, ancorché collocato in quiescenza, ad ottenere comunque l'incarico giudiziario "ora per allora". Ma quest'ultimo riferimento argomentativo, pur non corretto perché contrastante con il principio affermato da Cass., sez. un., n. 23302/2011, e qui ribadito, non vale ad determinare una sorta di permutazione dalla sede di legittimità in (impropria) sede di ottemperanza. Del resto l'interesse sotteso all'atto di appello rimaneva quello diretto ad ottenere, in sede di legittimità, una pronuncia del giudice amministrativo che accertasse i denunciati vizi dell'impugnata delibera del CSM e l'annullasse.
Non c'è quindi, nella sentenza del Consiglio di Stato, alcuna conformazione del contenuto delle successive possibili determinazioni del CSM, avendo la pronuncia impugnata un contenuto dichiaratamente solo di annullamento della delibera del 18 aprile 2012 del CSM con espressa salvezza delle ulteriori determinazioni del CSM; ciò che è pienamente coerente con la sede di legittimità del giudizio d'appello.
9. In realtà, enfatizzando il riferimento all'interesse dell'appellante all'attribuzione dell'incarico giudiziario ora per allora, quale rinvenibile nell'impugnata sentenza del Consiglio di Stato per coonestare il perdurante interesse dell'appellante, ancorché in quiescenza, alla decisione dell'appello, il primo motivo del ricorso principale e quello simmetrico del ricorso incidentale adesivo finiscono per chiedere, in sostanza, un'estensione, per inferenza logica, del principio espresso da queste Sezioni Unite nella citata sentenza n. 23302/2011 anche alla sede della ordinaria cognizione di legittimità, rappresentando che, se non è possibile in sede di ottemperanza che il giudice amministrativo ordini al CSM di assegnare l'incarico giudiziario, ora per allora, ad un magistrato in quiescenza, conseguirebbe da ciò che neppure potrebbe il giudice amministrativo sindacare, in sede di giurisdizione di legittimità (anche d'appello), il nuovo provvedimento di assegnazione dell'incarico giudiziario, dopo l'annullamento della prima delibera ad opera del giudice amministrativo, ove sia sopraggiunto il collocamento in quiescenza dei magistrati in concorso perché anche in questa evenienza la vicenda sarebbe ormai "chiusa".
A questa tesi non può accedersi dovendo all'opposto - come correttamente ha ritenuto il Consiglio di Stato nell'impugnata sentenza - escludersi che una tale inferenza possa trarsi dall'arresto espresso da Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302, cit., essenzialmente perché ipotizzare una sorta di stallo nel giudizio amministrativo di legittimità, che cristallizzi la situazione nel momento in cui sì verifichi l'impossibilità di attribuzione dell'incarico giudiziario per essere ormai in quiescenza i magistrati in competizione, contrasterebbe con il diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) e con il canone del buon andamento dell'amministrazione della giustizia (art. 97 Cost.).
10. Deve infatti considerarsi che, se il giudizio amministrativo nella ordinaria sede di legittimità dovesse avere una di battuta di arresto nel momento in cui i magistrati che concorrono per l'assegnazione dell'incarico giudiziario siano collocati in quiescenza, le censure mosse dal magistrato ricorrente, che deduca l'illegittimità della delibera del CSM, rimarrebbero senza una risposta di giustizia e si consoliderebbe una situazione di fatto in ragione di un dato contingente ed eventuale, quale appunto è il collocamento in quiescenza, senza alcuna verifica della legittimità del provvedimento. Né potrebbe parlarsi di cessazione della materia del contendere perché l'oggetto del giudizio amministrativo - i.e. legittimità, o no, della delibera del CSM - rimane tal quale.
Inoltre dall'ipotizzato venir meno dell'oggetto del giudizio amministrativo in sede di legittimità discenderebbe necessariamente anche che, se il collocamento in quiescenza intervenisse dopo una pronuncia di annullamento della delibera del CSM ad opera del giudice amministrativo che si fosse pronunciato quando i magistrati aspiranti all'incarico giudiziario erano ancora in servizio, la situazione di stallo si verificherebbe a valle di tale pronuncia. Sarebbe allora il CSM a non poter più provvedere sicché si consoliderebbe, invece, la perdita del posto da parte del magistrato assegnatario dello stesso in ragione della delibera annullata e non sarebbe possibile per il CSM l'assegnazione dell'incarico giudiziario al magistrato vittorioso nel giudizio amministrativo perché ormai collocato in quiescenza.
In entrambe le ipotesi si cristallizzerebbe una situazione di fatto: nel primo caso a vantaggio del magistrato assegnatario dell'incarico giudiziario con la delibera la cui legittimità sia stata contestata dal magistrato concorrente; nel secondo caso in danno del primo e neppure, in sostanza, a favore del magistrato che abbia ottenuto l'annullamento della delibera con la pronuncia del giudice amministrativo in sede di legittimità, che - come nella specie - abbia fatto "salvi gli ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione". In quest'ultima ipotesi, in particolare, vi sarebbe una parte soccombente, che perde il posto a seguito dell'annullamento della delibera del CSM ad opera del giudice amministrativo, ed una parte formalmente vittoriosa nel giudizio amministrativo, ma nella sostanza non soddisfatta nella sua pretesa perché non ottiene l'incarico giudiziario, ora per allora, né consegue il riconoscimento (pur anche non del diritto al posto, che non esiste più, ma quanto meno) del fondamento della sua pretesa (interesse legittimo nel suo aspetto sostanziale) a che il CSM si determini nuovamente senza incorrere in vizi di violazione di legge, incompetenza o eccesso di potere. Insomma la situazione si cristallizzerebbe nel momento contingente in cui una parte è soccombente, perché perde il posto, ed un'altra parte non è davvero vittoriosa, perché non ottiene l'incarico giudiziario: il giudicato amministrativo finirebbe per avere una valenza solo destruens; ipotetica situazione che si porrebbe in contrasto con la garanzia della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) e con il canone del buon andamento dell'amministrazione della giustizia (art. 97 Cost.).
Nell'una e nell'altra evenienza sarebbe sacrificato l'interesse delle parti, che è null'altro che proiezione processuale dell'interesse legittimo del magistrato a ricoprire il posto e che è presidiato dalla garanzia costituzionale alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), nonché quello dello stesso CSM a un definitivo assetto del suo legittimo agire nell'esercizio del potere di autogoverno della magistratura (art. 97 Cost.).
Non è quindi possibile - perché contrasterebbe con la garanzia della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) e con il buon andamento dell'amministrazione della giustizia (art. 97 Cost.) - che la situazione si cristallizzi a vantaggio di questa o quella parte che, nel momento in cui si verifichi la sopravvenuta situazione di impossibilità di attribuzione dell'incarico giudiziario, si trovi - in quella contingenza - in una situazione più favorevole, destinata a consolidarsi per un ipotetico venir meno dell'oggetto del giudizio (nella prima ipotesi) o della materia su cui provvedere (nella seconda ipotesi).
11. In realtà il fatto che il CSM non possa attribuire l'incarico giudiziario ora per allora ad un magistrato in quiescenza - secondo il principio affermato da Cass., sez. un., n. 23302/2011, qui ribadito - non esclude che l'organo di autogoverno debba nuovamente provvedere tenendo conto del giudicato amministrativo. Però, proprio perché non può più attribuire l'incarico giudiziario ora per allora, ad un magistrato in quiescenza, la delibera del CSM ha un ambito più limitato di possibili contenuti. I quali possono essere quello di una sorta di conferma della precedente delibera annullata dal giudice amministrativo mediante rinnovazione dell'atto se il CSM ritiene che con una diversa o più puntuale motivazione, o rinvenendo altre ragioni fondanti, possa confermarsi l'assegnazione del posto in capo a chi era stato nominato in precedenza e che di fatto ha esercitato le funzioni; oppure quello di non luogo a provvedere per mera acquiescenza al giudicato amministrativo tout court se invece, ferma restando l'illegittimità della precedente delibera, il CSM non ravvisi più ragioni, né rinvenga fondamento, a giustificazione di una nuova assegnazione dell'incarico giudiziario al magistrato originariamente assegnatario dello stesso, anche in valutazione comparativa con l'altro candidato vittorioso nel precedente giudizio amministrativo. Nel primo caso il provvedimento ha, per così dire, un contenuto sostanzialmente confermativo della precedente delibera annullata dal giudice amministrativo, in disparte sempre la possibilità di ulteriore impugnativa innanzi al giudice amministrativo; nel secondo caso il magistrato vittorioso in sede di giudizio amministrativo avrà diritto al risarcimento del danno da perdita (non del posto cui aspirava, ma) della chance che aveva di ricoprire quel posto allorché il CSM ha operato la valutazione comparativa sfociata nella annullata precedente delibera.
È vero che così non si esclude che la vicenda possa avere un ulteriore seguito in sede di nuova impugnativa (dall'una o dall'altra parte), innanzi al giudice amministrativo, anche della nuova delibera del CSM. Ma alla fine rimane la possibilità del giudizio di ottemperanza (non per l'attribuzione dell'incarico giudiziario ora per allora, possibilità negata da Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302, ma) per adottare - nel rispetto ora delle particolari limitazioni apportate al potere del giudice dell'ottemperanza, proprio in tema di incarichi giudiziari direttivi e semidirettivi conferiti dal CSM, dall'art. 2, comma 4, d.l. 24 giugno 2014, n. 90, conv. dalla l. 11 agosto 2014, n. 114 - il provvedimento di "conferma" oppure di non luogo a provvedere; il quale ultimo schiude la strada al risarcimento del danno per perdita di chance in ragione della mancata attribuzione dell'incarico giudiziario.
12. Da questi rilievi consegue che il principio affermato da Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302, e qui ribadito, non riguarda l'ordinario giudizio di legittimità, ma solo quello di ottemperanza e limitatamente all'ottemperanza consistente nell'assegnazione dell'incarico giudiziario ora per allora ad un magistrato in concorso che sia ormai in quiescenza. Si ha invece che la circostanza del sopravvenuto collocamento in quiescenza dei magistrati in competizione nella procedura concorsuale non esime il giudice amministrativo, investito della legittimità della delibera del CSM impugnata da uno dei magistrati concorrenti, dal pronunciarsi nel merito delle censure (per violazione di legge, eccesso di potere, incompetenza) anche se tale circostanza sopravvenuta non consentirà, in caso di accoglimento dell'impugnativa, un'ottemperanza in forma specifica con l'assegnazione, ora per allora, dell'incarico giudiziario.
Consegue che correttamente il Consiglio di Stato ha preliminarmente disatteso le argomentazioni - svolte dall'Avvocatura di Stato ed ora riprese nel primo motivo dell'odierno ricorso principale - dirette, nella sostanza, ad estendere il suddetto principio di diritto, enunciato per la fase dell'ottemperanza, per renderlo applicabile anche alla fase della ordinaria cognizione [di] legittimità, ed è quindi passato ad esaminare il merito dell'appello proposto dal dott. C.
Il primo motivo del ricorso principale va pertanto rigettato unitamente al primo motivo del ricorso incidentale adesivo.
13. Fondato invece è il secondo motivo di ricorso del ricorso principale ed il simmetrico secondo motivo del ricorso incidentale adesivo.
14. Come si è già ricordato, è stato più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302) che in generale le decisioni del giudice amministrativo sono viziate per eccesso di potere giurisdizionale e, quindi, sono sindacabili per motivi inerenti alla giurisdizione, laddove detto giudice, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito, riservato alla P.A., compia una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza dell'atto. In tale evenienza il superamento dei limiti esterni della giurisdizione è censurabile con ricorso per cassazione ex artt. 111, ottavo comma, Cost. e 362, primo comma, c.p.c. Invece non sono ricorribili per cassazione le sentenze del Consiglio di Stato per motivi afferenti al superamento dei limiti interni della giurisdizione e cioè alle modalità mediante le quali viene garantita la tutela giurisdizionale. Quindi, allorché l'indagine svolta non sia rimasta nei limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, ma sia stata strumentale a una diretta e concreta valutazione dell'opportunità e convenienza dell'atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell'annullamento, esprima una volontà dell'organo giudicante che si sostituisce a quella dell'amministrazione, procedendo ad un sindacato di merito, sono superati i limiti esterni della giurisdizione (Cass., sez. un., 19 maggio 2015, n. 10182). In particolare - ha affermato Cass., sez. un., 8 marzo 2012, n. 3622 - per esercitare la propria giurisdizione di legittimità, e quindi valutare gli eventuali sintomi dell'eccesso di potere dai quali un atto amministrativo impugnato potrebbe essere affetto, il giudice amministrativo non può esimersi dal prendere in considerazione la congruità e la logicità del modo in cui la medesima amministrazione ha motivato l'adozione di quell'atto. In tal caso l'individuazione dell'eccesso di potere giurisdizionale corre lungo la linea di discrimine tra l'operazione intellettuale consistente nel vagliare l'intrinseca tenuta logica della motivazione dell'atto amministrativo impugnato e quella che si sostanzia invece nello scegliere tra diverse possibili opzioni valutative, più o meno opinabili, inerenti al merito dell'attività amministrativa di cui si discute: «altro è l'illogicità di una valutazione, altro è la non condivisione di essa».
Altresì quando il legislatore ha riconosciuto alla pubblica amministrazione un margine di apprezzamento particolarmente ampio - e tale è la discrezionalità del CSM, quale organo di rilievo costituzionale, segnatamente nell'assegnazione di incarichi direttivi e semidirettivi, come ora indirettamente emerge anche dalla disciplina differenziata dettata dal cit. art. 2, comma 4, d.l. n. 114/2014, in tema di giudizio di ottemperanza - a maggior ragione il sindacato che il giudice amministrativo è chiamato a compiere sulle motivazioni di tale apprezzamento deve essere mantenuto sul piano del sindacato parametrico (e quindi esterno) della valutazione degli elementi di fatto compiuta dalla p.a. e non può pervenire ad evidenziare una diretta "non condivisibilità" della valutazione stessa. L'adozione del criterio della "non condivisione" - come nel caso, in altra materia, esaminato da Cass., sez. un., 17 febbraio 2012, n. 2312 - si traduce non in un errore di giudizio, ma in uno sconfinamento nell'area della discrezionalità amministrativa, ossia in un superamento dei limiti esterni della giurisdizione che ha condotto, in quel caso, alla cassazione dell'impugnata sentenza del Consiglio di Stato. Il quale peraltro, nel seguito della stessa vicenda processuale, ha riconosciuto, come dato di diritto vivente, la dottrina dei limiti esterni della giurisdizione ribadendo - in sintonia con la citata giurisprudenza di queste Sezioni Unite - che lo sconfinamento da tali limiti si realizza non solo in presenza della violazione dei criteri di riparto della giurisdizione, con conseguente invasione della sfera spettante ad altra giurisdizione, o in caso di rifiuto di esercizio del potere giurisdizionale sul presupposto erroneo che la materia non possa essere oggetto di funzione giurisdizionale, ma anche sotto forma di eccesso di potere giurisdizionale, attuato mediante l'invasione di spazi riservati al potere amministrativo o finanche legislativo (C.d.S., sez. VI, 14 agosto 2013, n. 4174).
Tale criterio distintivo, nel caso della ordinaria giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, viene in rilievo soprattutto allorché l'atto della p.a. sia impugnato deducendo un vizio di eccesso di potere, che è quello in riferimento al quale è meno agevole tracciare il limite esterno della giurisdizione al di là del quale c'è lo sconfinamento nell'esercizio di attività amministrativa. Giovano a tal fine le figure sintomatiche dell'eccesso di potere nella forma della motivazione insufficiente, dell'errore di fatto, dell'ingiustizia grave e manifesta, della contraddittorietà interna ed esterna, della violazione di circolari, di norme interne o della prassi amministrativa, nonché, più radicalmente, dello sviamento di potere, che ricorre quando la pubblica amministrazione persegue un interesse diverso da quello predefinito dalla legge.
Invece nella giurisdizione di ottemperanza il potere giurisdizionale del giudice amministrativo si estende anche al merito con possibilità di conformare l'agire della pubblica amministrazione in ottemperanza, appunto, del giudicato amministrativo, con il diverso limite della non prescrivibilità di un contenuto "impossibile" (o "non più possibile") di tale attività provvedimentale, nei termini in cui si è detto sopra. Pertanto risulta decisivo stabilire se quel che viene in questione è il modo in cui il potere giurisdizionale di ottemperanza è stato esercitato dal giudice amministrativo, attenendo ciò ai limiti interni della giurisdizione, oppure il fatto stesso che un tal potere, con la particolare estensione che lo caratterizza, a detto giudice non spettava (Cass., sez. un., 31 marzo 2015, n. 6494; sez. un., 26 aprile 2013, n. 10060; sez. un., 3 febbraio 2014, n. 2289).
In ogni caso il riconosciuto sindacato di queste Sezioni Unite sulle pronunce del Consiglio di Stato per superamento dei limiti esterni della giurisdizione ha di per sé una connotazione di eccezionalità - si parla talora di "casi estremi" (Cass., sez. un., 4 febbraio 2014, n. 2403) - e, anche se si è assistito ad un incremento di ricorsi ex art. 362, primo comma, c.p.c. avverso pronunce del Consiglio di Stato per il dedotto eccesso di potere giurisdizionale, sono di gran lunga più numerose le pronunce di queste Sezioni Unite che hanno escluso tale travalicamento, dichiarando inammissibile o rigettando il ricorso, rispetto a quelle che invece hanno ritenuto superati i limiti esterni della giurisdizione (da ultimo Cass., sez. un., 6 febbraio 2015, n. 2242).
Questi principi valgono anche quando impugnata sia una delibera del Consiglio Superiore della Magistratura. Ha precisato Cass., sez. un., 8 marzo 2012, n. 3622, che per non eccedere dai limiti della propria giurisdizione il giudice amministrativo se, chiamato a vagliare la legittimità di una deliberazione con cui il CSM ha conferito un incarico direttivo, deve astenersi dal censurare i criteri di valutazione adottati dall'amministrazione e la scelta degli elementi ai quali la stessa amministrazione ha inteso dare peso, ma può annullare tale deliberazione per vizio di eccesso di potere, desunto dall'insufficienza o dalla contraddittorietà logica della motivazione in base alla quale il CSM ha dato conto del modo in cui, nel caso concreto, gli stessi criteri da esso enunciati sono stati applicati per soppesare la posizione di contrapposti candidati.
15. Ciò posto, facendo applicazione di questi principi nel caso di specie, deve considerarsi che dopo la prima pronuncia del Consiglio di Stato di annullamento della delibera del 22 luglio 2010 del CSM, quest'ultimo era chiamato a rifare la comparazione dei magistrati in competizione considerando in particolare - quanto alla deduzione, fatta dal dott. C., della minore durata complessiva dell'attività giudiziaria in senso stretto del dott. V. rispetto a quella che egli stesso poteva vantare - non già un'equiparazione per legge (che non veniva in gioco), ma una "vicinanza", come esperienza professionale, al fine di valutare la maggiore o minore attitudine all'incarico giudiziario, atteso anche che - come già rilevato - la discrezionalità del CSM che per gli incarichi giudiziari in magistratura, soprattutto apicali, è particolarmente ampia. La seconda delibera del 18 aprile 2012 reca questa nuova valutazione comparativa; delibera che, in riforma della sentenza del TAR Lazio, è stata annullata dal Consiglio di Stato con la sentenza attualmente oggetto del ricorso principale e di quello incidentale adesivo.
Il percorso argomentativo del Consiglio di Stato muove dal raggiunto convincimento della non assimilabilità dell'attività di avvocato di Stato a quella di magistrato; valutazione questa che appartiene al sindacato di legittimità per violazione di legge. Il Consiglio di Stato, operando tale sindacato di legittimità ha escluso che per legge ci sia equiparazione dell'attività di avvocato di Stato a quella di magistrato ordinario; ossia il Consiglio di Stato ha null'altro che interpretato il disposto dell'art. 211 ord. giud. (r.d. n. 12 del 1941), anche confrontandolo con l'art. 23 ord. Avv. Stato (r.d. n. 1611 del 1933). La prima disposizione, nella formulazione introdotta dall'art. 7 l. 2 aprile 1979, n. 97, prevede che la prescrizione secondo cui il magistrato che ha cessato di far parte dell'ordine giudiziario in seguito a sua domanda non può essere riammesso in magistratura non si applica a chi, già appartenente all'ordine giudiziario, sia transitato nelle «magistrature speciali» ed in esse abbia prestato ininterrottamente servizio. La seconda disposizione prevede che gli avvocati dello Stato sono equiparati ai magistrati dell'ordine giudiziario in conformità della tabella B annessa al medesimo t.u. sull'ordinamento dell'avvocatura dello Stato.
Ma ciò è null'altro che una mera premessa argomentativa perché in realtà il CSM non era chiamato a fare applicazione (e prima ancora ad interpretare) l'art. 211 cit. per la semplice, ma decisiva, ragione che tale disposizione l'organo di autogoverno aveva già applicato anni prima al dott. V. che aveva chiesto la riammissione nel ruolo della magistratura. In quella sede e a quel tempo (nel 1986) si pose il problema dell'interpretazione dell'art. 211, ossia se l'appartenenza all'Avvocatura di Stato potesse, o no, equipararsi all'appartenenza alle magistrature speciali al fine della riammissione nel ruolo della magistratura. Il CSM, accedendo all'interpretazione che tale equiparazione a quel fine predicava, deliberò (il 4 febbraio 1986) la riammissione in ruolo del dott. V. il quale conseguentemente, in ragione in particolare del terzo comma del cit. art. 211 (che prevede il collocamento del magistrato riammesso nel ruolo della magistratura nel posto di ruolo risultante dalla ricongiunzione dei servizi prestati) fu collocato nel ruolo della magistratura con un'anzianità complessiva che cumulava i due periodi di attività (quello iniziale come magistrato ordinario e quello successivo, senza soluzione di continuità, come avvocato dello Stato).
Questa vicenda, che non ha dato luogo - per quanto consta - ad alcuna impugnazione da parte di eventuali controinteressati era chiusa da tempo per definitività del provvedimento di riammissione nel ruolo della magistratura.
Invece il CSM, nell'esercizio della sua discrezionalità amministrativa, era chiamato a valutare, tra l'altro, l'esperienza di avvocato di Stato del dott. V. al solo fine di apprezzare la maggiore, o minore, attitudine all'incarico giudiziario; ciò che è cosa ben diversa dalla assimilabilità delle due funzioni ex art. 211 cit. al fine della menzionata riassunzione in servizio, esclusa dal Consiglio di Stato con la sentenza impugnata. Valutazione questa che non mette in gioco la corretta interpretazione dell'art. 211, che ben può essere quella ritenuta dalla sentenza impugnata; né certo sarebbe tale pronuncia sindacabile sotto questo profilo non essendo ammissibile ex art. 111, ottavo comma, Cost. il sindacato di legittimità sulle pronunce del Consiglio di Stato.
In realtà ciò che la vicenda in esame richiedeva al CSM, in disparte altri elementi valutativi, era la comparazione tra un'esperienza professionale tutta nella magistratura ordinaria (quella del dott. C.) ed un'esperienza professionale complessiva risultante da quella nella magistratura ordinaria sommata a quella nell'avvocatura dello Stato, senza soluzione di continuità (quella del dott. V.). Comparazione che costituisce una tipica valutazione di merito, calibrata anche sulle caratteristiche ed esigenze del posto a concorso ed arricchita poi, nella specie, dall'ulteriore comparazione quanto alla specifica esperienza professionale nell'attività di magistrato di legittimità, che era di maggiore durata per il dott. V. rispetto al dott. C.
Questa valutazione di merito rientrava e rientra nella discrezionalità del CSM, censurabile in sede di ordinaria cognizione di legittimità del giudice amministrativo per eccesso di potere secondo i parametri delle figure sintomatiche elaborate dalla giurisprudenza. Non può invece il giudice amministrativo, senza violare i limiti esterni della giurisdizione, rifare tale valutazione discrezionale per pervenire ad un risultato diverso da quello recato dal provvedimento impugnato e quindi annullarlo.
Questo controllo ab externo del provvedimento del CSM è stato fatto dal TAR Lazio (con la cit. sentenza n. 3651 del 2013) che, nella specie, ha escluso l'eccesso di potere in una delle sue figure sintomatiche arrivando a concludere che "deve ritenersi esente da ogni profilo di illogicità la prevalenza attribuita al controinteressato in ragione dei molteplici elementi puntualmente evidenziati dall'organo di autogoverno".
Invece il Consiglio di Stato dopo aver svolto una ampia ed argomentata premessa in diritto sulla corretta interpretazione degli artt. 211 ord. giur. e 23 ord. Avv. Stato che ha condotto ad affermare che non c'è alcuna equiparazione tra attività di magistrato ordinario ed attività di avvocato dello Stato, si è poi posto su un piano diverso non esaminando affatto la correttezza, o no, della sentenza del TAR Lazio, la cui impugnazione era oggetto del suo sindacato di appello, attivato con l'impugnazione dell'odierno controricorrente; né ha valutato la legittimità della delibera del CSM in relazione alle figure sintomatiche dell'eccesso di potere. Insomma nella parte motivazionale della impugnata sentenza del Consiglio di Stato non si esamina la motivazione della appellata sentenza del TAR Lazio, né si argomenta su eventuali elementi sintomatici dell'eccesso di potere nella delibera del CSM. All'opposto il Consiglio di Stato ha rifatto direttamente la valutazione comparativa con un giudizio tipicamente di merito - e non già parametrico e di raffronto (con le figure sintomatiche dell'eccesso di potere) - pervenendo, peraltro rapidamente e con una formulazione testuale secca, all'affermazione che i due anni in più che il dott. V. poteva vantare nelle funzioni di legittimità nei confronti del dott. C. (dal marzo 1990 rispetto al settembre 1992) non potevano "ragionevolmente" compensare un deficit di 18 anni di attività complessiva come magistrato. Ma la "ragionevolezza" di questa comparazione, peraltro isolata da ogni riferimento al più ampio contesto motivazionale sia della sentenza di primo grado, oggetto del giudizio di appello, sia della stessa delibera del CSM impugnata in primo grado, non può ritenersi figura sintomatica dell'eccesso di potere, bensì appartiene all'esercizio della discrezionalità amministrativa e quindi esorbita dal sindacato di legittimità del giudice amministrativo, quale quello condotto sul parametro dell'eccesso di potere. Insomma il Consiglio di Stato non afferma che sussiste eccesso di potere perché il CSM non ha giustificato adeguatamente e con coerenza la propria delibera sui punti indicati dalla precedente sentenza n. 486 del 2012 dello stesso Consiglio di Stato, sopra cit., ma ha operato egli stesso tale valutazione (ri)facendo anche il bilanciamento ponderato della maggiore attività giurisdizionale complessiva del dott. C. rispetto a quella del dott. V. versus la maggiore attività giurisdizionale di legittimità del dott. V. rispetto a quella del dott. C.
16. In conclusione il Consiglio di Stato, pur svolgendo una premessa riconducibile all'ordinario sindacato di legittimità avendo ritenuto che sia da escludere in generale un'equiparazione ex lege (ossia ex art. 211 cit.) del servizio presso l'Avvocatura dello Stato al servizio nella magistratura ordinaria al fine della riassunzione in servizio, ha però poi fatto una diretta valutazione di merito - e non già un sindacato sulla valutazione di merito del CSM a mezzo del canone parametrico dell'eccesso di potere - ritenendo che, secondo un apprezzamento di ragionevolezza, i due anni in più che il dott. V. poteva vantare nelle funzioni di legittimità nei confronti del dott. C. (dal marzo 1990 rispetto al settembre 1992) non potevano compensare un deficit di 18 anni di attività complessiva come magistrato. Così facendo, il Consiglio di Stato si è sovrapposto all'esercizio della discrezionalità del CSM, peraltro espressione di alta amministrazione di rilievo costituzionale (ari 105 Cost.) e quindi particolarmente ampia, invece di svolgere un sindacato di legittimità di secondo grado (nella sede del giudizio d'appello), anche a mezzo del canone parametrico dell'eccesso di potere quale vizio della delibera stessa.
In tal modo - e per le ragioni suddette - deve ritenersi che siano stati travalicati i limiti esterni della giurisdizione sicché l'impugnata sentenza va cassata con rinvio al Consiglio di Stato, in diversa composizione, perché decida nuovamente avverso la menzionata sentenza del TAR Lazio n. 3651 del 2013.
17. La cassazione della sentenza impugnata va pronunciata con rinvio al Consiglio di Stato come già affermato da questa Corte in quelle (pur rare, come si è notato) ipotesi in cui si è ritenuto che il Consiglio di Stato, decidendo in sede di legittimità, abbia ecceduto dai limiti esterni del potere giurisdizionale; cfr. Cass., sez. un., 17 febbraio 2012, n. 2312, che - richiamando gli artt. 59 l. 18 giugno 2009, n. 69 e 11 d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, che disciplinano la translatio iudicii tra giudice amministrativo e giudice ordinario - ha ritenuto che la cassazione della pronuncia del Consiglio di Stato dovesse essere disposta con rinvio ex art. 383 c.p.c, essendo quella senza rinvio ex art. 382 c.p.c. limitata solo all'ipotesi in cui qualsiasi altro giudice sia privo di giurisdizione sulla domanda. Conf. da ultimo anche Cass., sez. un., 6 febbraio 2015, n. 2242.
Diversa è invece l'ipotesi della cassazione senza rinvio pronunciata da Cass., sez. un., 9 novembre 2011, n. 23302, più volte cit., perché - come già rilevato - questa pronuncia ha riguardato una sentenza del Consiglio di Stato resa in sede di ottemperanza, talché, una volta ritenuto che l'ottemperanza richiesta dal ricorrente (i.e. l'assegnazione dell'incarico giudiziario ora per allora) non fosse più possibile per il suo collocamento in quiescenza, non c'era altro che il Consiglio di Stato potesse decidere in sede di rinvio.
18. In conclusione, possono affermarsi, ex art. 384, primo comma, c.p.c., i seguenti principi di diritto:
«Non sussiste eccesso di potere giurisdizionale ove - in caso di duplice impugnativa dello stesso atto amministrativo sia con ricorso per ottemperanza sia con ordinario ricorso in sede di legittimità - il Consiglio di Stato, dopo essersi pronunciato, rigettandolo, sul ricorso per ottemperanza, si pronunci nuovamente in sede di appello avverso la sentenza di primo grado del TAR che abbia deciso il ricorso ordinario».
«In caso di concorso bandito dal Consiglio Superiore della magistratura per l'attribuzione di un incarico giudiziario non travalica i limiti esterni della giurisdizione il Consiglio di Stato che, nell'esercizio dell'ordinaria cognizione di legittimità in grado d'appello avverso una sentenza del TAR, si pronunci sull'appello, e quindi anche sulla legittimità della delibera del CSM, quando il magistrato ricorrente non sia più nel ruolo della magistratura per sopravvenuto collocamento in quiescenza ancorché tale ultima circostanza non consenta successivamente, senza che risultino superati i limiti esterni della giurisdizione, al giudice amministrativo, adito in sede di ottemperanza, di ordinare al CSM di assegnare il posto ora per allora al magistrato vittorioso nel giudizio amministrativo».
«In caso di concorso bandito dal Consiglio Superiore della magistratura per l'attribuzione di un incarico giudiziario travalica i limiti esterni della giurisdizione il Consiglio di Stato che, adito in grado d'appello avverso una pronuncia di primo grado avente ad oggetto la legittimità, o no, della delibera del CSM e quindi nell'esercizio dell'ordinaria cognizione di legittimità, operi direttamente una valutazione di merito del contenuto della delibera stessa e ne apprezzi la ragionevolezza, così sovrapponendosi all'esercizio della discrezionalità del CSM, espressione del potere, garantito dall'art. 105 Cost., di autogoverno della magistratura, invece di svolgere un sindacato di legittimità di secondo grado, anche a mezzo del canone parametrico dell'eccesso di potere quale possibile vizio della delibera stessa».
19. Sussistono giustificati motivi, tra cui la novità delle questioni esaminate, per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi principale ed incidentale adesivo; accoglie il secondo motivo del ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale, rigettati gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia al Consiglio di Stato in diversa composizione; compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.