Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 18 giugno 2015, n. 41693

Presidente: Siotto - Estensore: Magi

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con ordinanza emessa in data 25 giugno 2014 il Tribunale di Bologna - in sede esecutiva - ha respinto l'istanza proposta da S. Maurizio, tesa alla rideterminazione della pena oggetto di applicazione ex art. 444 c.p.p. con sentenza emessa il 28 aprile 2008, irrevocabile il 6 febbraio 2009. Con tale decisione era stata applicata la pena concordata nella misura di anni tre di reclusione ed euro 12.000 di multa.

Le parti, in sede di accordo, avevano indicato la pena base in anni sei e mesi tre di reclusione (e 26.000 di multa) in riferimento al reato di detenzione di droga leggera (hashish per kg. 5.500), ridotta per la circostanza attenuante di cui al comma 7 art. 73 ed applicando successivamente un aumento per continuazione in rapporto alle ulteriori contestazioni concernenti la cessione di cocaina (per gr. 6,5) ed altre ipotesi di cessione di droga leggera, con diminuzione per la scelta del rito.

In rapporto agli effetti della decisione emessa dalla Corte costituzionale n. 32 del 2014, il G.E. riteneva, con ampia motivazione, che la presenza tra le fattispecie oggetto dell'accordo di una ipotesi di cessione di droga pesante (anche se in un contesto determinativo di reato satellite) impediva l'accoglimento della richiesta.

Ciò perché in rapporto a tale condotta la cornice edittale derivante dall'intervento normativo del 2005 (ritenuto incostituzionale) era in realtà più favorevole e pertanto l'effetto di rideterminazione - in astratto possibile solo per le detenzioni illecite di droga leggera - non avrebbe potuto conseguire alcun effetto migliorativo.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione S. Maurizio - a mezzo del difensore - deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.

Nel ricorso si rappresenta che la modifica del trattamento sanzionatorio appare possibile in riferimento ai contenuti della decisione n. 32 del 2014 emessa dalla Corte costituzionale, avendo concorso alla determinazione della pena più episodi di detenzione illecita di droga leggera.

Quanto alla cessione di cocaina si ipotizza come possibile il riconoscimento, in sede esecutiva, della circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 5.

3. Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni che seguono.

3.1. Va ricordato che sul tema del rapporto tra l'intangibilità del giudicato e le ricadute di decisioni della Corte costituzionale incidenti sul mero trattamento sanzionatorio - oggetto di disputa teorica e di contrastanti orientamenti giurisprudenziali - sono di recente intervenute le Sezioni unite di questa Corte con sentenza n. 42858 del 29 maggio 2014 (dep. 14 ottobre 2014) ric. Gatto nonché con le decisioni emesse nella recente udienza del 26 febbraio 2015 ric. Jazouli e ric. Marcon (di tali decisioni sono disponibili, al momento della presente decisione, le informazioni provvisorie).

L'opzione interpretativa seguita in detti arresti - cui si presta adesione - ritiene superabile, anche lì dove la declaratoria di illegittimità costituzionale riguardi una norma incidente sul trattamento sanzionatorio (e non anche abrogativa della rilevanza penale del fatto) il limite del giudicato.

La motivazione della decisione Sez. un. ric. Gatto si incentra - essenzialmente - sulla diversità ontologica di una pronunzia di incostituzionalità rispetto ad un "ordinario" intervento legislativo basato, il secondo, sulla rivalutazione - in rapporto al decorso del tempo e a mutate sensibilità sociali, storiche o culturali - del contenuto di norme penali.

La pronunzia di incostituzionalità - a differenza dell'ordinario intervento normativo - inficia, invece, sin dall'origine la disposizione impugnata e pertanto non è in alcun modo omologabile alla vicenda della successione di leggi nel tempo.

Si è ribadito pertanto che la norma costituzionalmente illegittima viene espunta dall'ordinamento giuridico perché affetta da invalidità originaria e ciò impone e giustifica la proiezione «retroattiva» sugli effetti ancora in corso di rapporti giuridici pregressi della intervenuta pronuncia di incostituzionalità.

Da ciò deriva che «tutti gli effetti pregiudizievoli derivanti da una sentenza penale di condanna fondata, sia pure in parte, sulla norma dichiarata incostituzionale devono essere rimossi dall'universo giuridico, ovviamente nei limiti in cui ciò sia possibile, non potendo essere eliminati gli effetti irreversibili perché già compiuti e del tutto consumati».

La norma regolatrice viene individuata, per l'appunto, nella previsione dell'art. 30, comma 4, l. n. 87 del 1953 (quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali) il cui ambito applicativo non si limita ad imporre la retroattività delle decisioni aventi ad oggetto la rilevanza penale del fatto ma si estende al caso di declaratoria di incostituzionalità di norma penale diversa ed "incidente" sulla determinazione della pena.

Da qui la considerazione per cui la formazione del giudicato e il mancato inserimento nel corpo dell'art. 673 c.p.p. del caso di declaratoria di incostituzionalità di norma penale incidente sul trattamento sanzionatorio (essendo presa in esame la sola ipotesi di dichiarazione di incostituzionalità di norma incriminatrice) non rappresentano fattori ostativi alla estensione in sede esecutiva degli effetti di simili pronunzie.

In particolare, le Sezioni unite ric. Gatto hanno così individuato il limite di rilevanza della pronunzia di incostituzionalità rispetto al giudicato: "... l'aspetto decisivo, che segna invece il limite non discutibile di impermeabilità e insensibilità del giudicato anche alla situazione di sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale della norma applicata è costituito dalla non reversibilità degli effetti, giacché il citato art. 30 impone di rimuovere tutti gli effetti pregiudizievoli del giudicato non divenuti nel frattempo irreversibili perché già consumati, come nel caso di condannato che abbia già scontato la pena...; l'esecuzione della pena implica infatti l'esistenza di un rapporto esecutivo che nasce dal giudicato e si esaurisce soltanto con la consumazione o l'estinzione della pena. Sino a quando l'esecuzione della pena è in atto il rapporto esecutivo non può dirsi esaurito e gli effetti della norma dichiarata costituzionalmente illegittima sono ancora perduranti e dunque possono e devono essere rimossi".

Si tratta di una affermazione di indubbio rilievo sistematico e pratico, posto che viene imposta al giudice della esecuzione una verifica di «rilevanza» del decisum della Corte costituzionale nel caso concreto, non potendosi intervenire sul titolo esecutivo lì dove l'effetto della norma dichiarata incostituzionale si sia in fatto esaurito per aver già dato luogo alla esecuzione della pena in modo integrale.

Nel caso oggetto dell'intervento delle Sezioni unite ric. Gatto si trattava di valutare le ricadute della decisione n. 251 del 2012 C. cost. attestante l'invalidità costituzionale del divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 sulla recidiva reiterata.

Si è affermato che, in tal caso, lì dove il mancato esito del giudizio di comparazione nel senso della prevalenza sia dipeso dal divieto di legge rimosso (art. 69, comma 4, c.p.) l'esecuzione della pena deve ritenersi illegittima sia sotto il profilo oggettivo, in quanto derivante dall'applicazione di una norma di diritto penale sostanziale dichiarata incostituzionale dopo la sentenza irrevocabile, sia sotto il profilo soggettivo, in quanto, almeno per una parte, non potrà essere positivamente finalizzata alla rieducazione del condannato imposta dalla previsione dell'art. 27, comma 3, Cost.

Infatti, l'illegittimità della pena costituisce un ostacolo al perseguimento di tali obiettivi rieducativi, perché sarà avvertita come ingiusta da chi la sta subendo, per essere stata non già determinata dal giudice nell'esercizio dei suoi ordinari e legittimi poteri, ma imposta da un legislatore che ha violato la Costituzione. A tutto questo occorreva aggiungere, secondo affermato nello stesso arresto giurisprudenziale, che "il diritto fondamentale alla libertà personale deve prevalere sul valore dell'intangibilità del giudicato, sicché devono essere rimossi gli effetti ancora perduranti della violazione conseguente all'applicazione di tale norma incidente sulla determinazione della sanzione, dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale dopo la sentenza irrevocabile".

Quanto ai poteri del giudice dell'esecuzione, le Sezioni unite hanno evidenziato due aspetti di particolare rilievo, che è bene riprendere:

- il limite del «fatto accertato» nella pronunzia di cognizione non può essere superato, nel senso che - in rapporto al tema oggetto della decisione - il giudice della esecuzione potrà pervenire al giudizio di prevalenza della circostanza attenuante (prima inibito) sempre che lo stesso non sia stato precedentemente escluso nel giudizio di cognizione per ragioni di merito (indipendenti dalla esistenza, allora, del divieto di legge e valorizzate come tali);

- il potere di verifica della legittimità del trattamento sanzionatorio va esteso agli ulteriori accadimenti medio tempore incidenti sulle norme applicate, all'epoca, dal giudice della cognizione (vi è riferimento espresso alle ricadute della decisione n. 32 del 2014 sui contenuti della l. n. 49 del 2006, di conversione del d.l. n. 272 del 2005).

Sulla scorta di questa ricostruzione sistematica, le Sezioni unite affermavano i seguenti principi di diritto:

«successivamente a una sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione d'illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del giudice dell'esecuzione»;

«per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2012, il giudice dell'esecuzione potrà affermare la prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 sempreché una simile valutazione non sia stata esclusa nel merito dal giudice della cognizione, secondo quanto risulta dal testo della sentenza irrevocabile».

4. Ora, alla luce di tali affermazioni, è evidente che - come già ritenuto da questa Corte anche in rapporto alla fase esecutiva (si vedano, tra le altre, Sez. I, n. 53019 del 4 dicembre 2014 e Sez. I, n. 2492 del 2015) - la pena inflitta in riferimento a delitti afferenti sostanze stupefacenti, nell'ipotesi di droghe cd. leggere, commessi durante la vigenza della normativa dichiarata incostituzionale (in rapporto alla parificazione del disvalore del fatto tra smercio di droghe pesanti e di droghe leggere) va rideterminata in sede esecutiva, lì dove ricorrano alcune condizioni.

Il giudice dell'esecuzione, in particolare, è tenuto a compiere le seguenti valutazioni:

a) verifica dell'incidenza concreta della decisione irrevocabile, all'atto della domanda, sulla libertà personale per essere in effettiva esecuzione la pena derivante - anche in parte - da norma di diritto sostanziale dichiarata incostituzionale;

b) in caso positivo, ricostruzione del contenuto della decisione irrevocabile nel senso della "concreta incidenza" sul trattamento sanzionatorio determinato in sede di cognizione della specifica norma dichiarata incostituzionale e dunque rimossa dall'ordinamento con efficacia ex tunc;

c) in caso positivo, rideterminazione del trattamento sanzionatorio tenendo conto della compiuta ricostruzione del fatto nonché delle norme applicabili al momento della decisione in punto di commisurazione della sanzione.

Tra dette ultime norme, peraltro, andranno considerate - in rapporto alla qualità delle sostanze stupefacenti - le stesse norme incriminatrici, interessate dalla pronunzia di illegittimità costituzionale (nel caso di specie la n. 32 del 12 febbraio 2014).

Come è noto, con tale decisione è stata oggetto di declaratoria di incostituzionalità la novellazione apportata con d.l. n. 272 del 30 dicembre 2005 (artt. 4-bis e 4-vicies ter) convertito in l. n. 49 del 21 febbraio 2006 all'originario testo dell'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.

L'effetto della pronunzia di incostituzionalità è stato quello di «riespandere» per i fatti commessi dal 28 febbraio 2006 al 6 marzo 2014 la previgente disciplina incriminatrice e le correlate diverse sanzioni (fermo restando che per l'ipotesi di fatti di lieve entità il limite temporale finale va anticipato al 23 dicembre 2013, essendo il giorno seguente entrata in vigore diversa e autonoma disciplina normativa introdotta dal d.l. n. 146 del 2013).

Lì dove, pertanto, il soggetto destinatario della esecuzione sia stato condannato per fatto rientrante in detto intervallo temporale è da ritenersi «esportabile» il contenuto delle affermazioni operate dalla decisione emessa dalle Sezioni unite prima ricordate (come del resto evidenziato nella motivazione di tale sentenza) al caso della «abrogazione» del trattamento sanzionatorio vigente all'epoca della decisione perché contrario a norme costituzionali.

5. Va ribadito, inoltre, che la comparazione tra le fasce edittali previste dalla normativa dichiarata incostituzionale e quelle previgenti (e riattivatesi per effetto della pronunzia di incostituzionalità) porta a ritenere in ogni caso «illegale» il trattamento sanzionatorio inflitto in ipotesi di condotta illecita concernente le droghe cd. "leggere" (ossia le sostanze rientranti nelle tabelle II e IV allegate al d.P.R. del 1990) posto che in relazione a tali sostanze l'intervento normativo dichiarato illegittimo aveva comportato (a differenza di quanto previsto per le altre sostanze) un massiccio incremento dei limiti edittali della sanzione detentiva: il minimo edittale della condotta ordinaria era stato innalzato da 2 a 6 anni, quello della condotta attenuata da sei mesi a 1 anno; il massimo edittale era stato innalzato da 6 a 20 anni nell'ipotesi ordinaria e da 4 a 6 anni per l'ipotesi attenuata.

Ora, posto che l'operazione di cui agli artt. 132 e 133 c.p. - commisurazione della pena - è frutto di una scelta che il giudice della cognizione compie, con discrezionalità guidata, in un ambito legislativamente definito tra il minimo e il massimo edittale (circa la necessità di effettiva spiegazione dell'incidenza degli indici di commisurazione, specie in ipotesi di superamento dei minimi edittali, tra le molte, Sez. II, 9 ottobre 1992, rv. 192645; Sez. VI, n. 35346 del 12 giugno 2008, rv. 241189) è evidente che il profondo mutamento di «cornice» derivante dalla declaratoria di incostituzionalità rende necessaria - sempre in ipotesi di condanna per "droghe leggere" - una rivalutazione piena di tale aspetto, qui in sede esecutiva, che va compiuto tenendosi conto del «fatto» così come accertato in cognizione ma non anche dei termini matematici espressi da tale giudice (in rapporto alla scelta tra minimo e massimo edittale) in una condizione in realtà «alterata» dalla adozione di un criterio legislativo (legge del 2006) teso a «parificare» il disvalore di condotte tra loro diverse (in rapporto alla tipologia di sostanze oggetto delle condotte).

Con ciò si intende affermare che se da un lato risulta doverosa ed obbligatoria, alla luce di quanto sopra, la «rideterminazione» in sede esecutiva della pena inflitta in rapporto ad una squilibrata (e costituzionalmente illegittima) cornice edittale, dall'altro non può escludersi che - con valutazione in concreto e rispettosa del «fatto accertato» - il giudice dell'esecuzione possa rivalutarne la valenza in rapporto ai «nuovi» e profondamente diversi parametri edittali, ovviamente dando conto (ex artt. 132 e 133 c.p.) delle modalità di esercizio del potere commisurativo e tenendo conto dei principi generali del sistema sanzionatorio (tra cui quello per cui non può essere aumentata l'afflittività della pena stabilita nella sentenza di condanna).

6. Quanto al fatto che la decisione posta a monte - nei caso in esame - è stata emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p. le recenti decisioni Sez. un. ric. Jazouli e ric. Marcon, del 26 febbraio 2015, come si evince dai contenuti delle informazioni provvisorie n. 5 e n. 6 del 2015 hanno confermato l'orientamento sin qui esposto, affermando in particolare che:

a) la pena applicata con sentenza di "patteggiamento" sulla base della normativa dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale va rideterminata, anche nel caso in cui la stessa rientri nella nuova cornice applicabile;

b) la pena suddetta va rideterminata attraverso la "rinegoziazione" dell'accordo tra le parti, ratificato dal giudice dell'esecuzione, che viene interessato attraverso l'incidente di esecuzione attivato dal condannato o dal pubblico ministero;

c) in caso di mancato nuovo accordo tra le parti il giudice della esecuzione provvede alla rideterminazione della pena in base ai criteri di cui agli artt. 132 e 133 c.p.

Dette indicazioni, data la loro estrema chiarezza, consentono di adottare la presente decisione - pur in attesa del deposito della motivazione delle due sentenze - trattandosi del logico sviluppo, al settore qui considerato, delle opzioni interpretative già espresse da questa I Sezione della Corte (tra cui Sez. I, n. 53019 del 4 dicembre 2014 e Sez. I, n. 2492 del 2015) in ipotesi di titolo esecutivo derivante da decisione diversa da quella ex art. 444 c.p.p.

È pertanto del tutto evidente che le Sezioni unite, condividendo detta impostazione teorica, hanno esclusivamente precisato che in caso di applicazione della pena su richiesta delle parti il giudice dell'esecuzione dovrà verificare in primis la fattibilità di un nuovo accordo tra le parti (data la nullità del precedente "patto", nel cui ambito era stata determinata la pena nell'ambito di una cornice edittale prevista da norma dichiarata incostituzionale) e soltanto ove non si addivenga a tale accordo sarà funzionalmente competente a rideterminare la sanzione in via autonoma ed in applicazione dei criteri generali di cui agli artt. 132 e 133 c.p.

Nel caso in esame la contestazione riguardava cinque distinti episodi, uno avente ad oggetto droga leggera (in quantità non modesta) e ritenuto più grave (in virtù della equiparazione sanzionatoria operata con la normativa poi dichiarata incostituzionale) nonché altri quattro episodi, uno dei quali avente oggetto droga pesante, posti in continuazione.

È evidente dunque che la necessità di rispettare la natura dei singoli reati posti in continuazione determina - nel caso in esame - la necessaria «rielaborazione» in sede esecutiva del rapporto tra reato-base e reati-satellite, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice della esecuzione. Infatti, nell'assetto edittale riemerso a seguito della pronunzia di incostituzionalità il reato più grave va - di certo - ritenuto quello avente ad oggetto la cessione di cocaina.

In rapporto alle droghe "pesanti", infatti, la novellazione del 2006 aveva introdotto un regime sanzionatorio di maggior favore, posto che la pena edittale minima di anni otto (ferma restando la pena massima di anni venti) era stata sensibilmente ridotta e determinata in quella di anni sei.

Ora, la stessa decisione n. 32/2014 Corte cost. evidenzia (al par. 6 della parte motiva) come in rapporto alla caducazione delle norme introdotte nel 2006 - che ha determinato effetti ampiamente favorevoli lì dove la condotta sia in concreto riferibile a droghe cd. leggere - l'effetto sfavorevole non può invece prodursi per le condotte di detenzione illecita di droghe cd. pesanti in riferimento a quanto previsto dall'art. 2, comma 4, c.p. in tema di successione di leggi penali nel tempo.

In altre parole, ferma restando l'efficacia retroattiva ricollegabile alla pronunzia di incostituzionalità, va escluso che ciò possa comportare effetti sfavorevoli (in tema di droghe pesanti) a carico di chi ha commesso il fatto durante la formale vigenza della norma avente un contenuto di maggior favore.

È stato pertanto affermato che in ossequio al principio della irretroattività della legge penale meno favorevole, la norma incriminatrice dichiarata incostituzionale può continuare a trovare applicazione per le condotte realizzate nel corso della sua vigenza, ove la sua disciplina conduca in concreto ad un trattamento più favorevole per l'imputato (Sez. IV, n. 44808 del 26 settembre 2014, rv. 260735).

Da ciò deriva che il minimo edittale di anni sei resta intangibile per la detenzione a fini di spaccio della droga pesante ed è quest'ultimo il fatto-reato da porre - nella nuova determinazione - a base della continuazione, degradando tutte le ulteriori fattispecie a reato-satellite, la cui incidenza andrà commisurata ai "rivissuti" parametri edittali.

Tale operazione determinativa rappresenta il logico sviluppo - in sede esecutiva - di quanto deciso da Sez. un., n. 22471/2015, decisione con cui è stato affermato che per i delitti previsti dall'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, l'aumento di pena calcolato a titolo di continuazione per i reati-satellite in relazione alle così dette "droghe leggere" deve essere oggetto di specifica rivalutazione da parte dei giudici del merito, alla luce della più favorevole cornice edittale applicabile per tali violazioni, a seguito della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, che ha dichiarato la incostituzionalità degli artt. 4-bis e 4-vicies ter della l. 21 febbraio 2006, n. 49 - che ha convertito il d.l. 30 dicembre 2005, n. 272 - e ha determinato, in merito, la reviviscenza della più favorevole disciplina anteriormente vigente.

L'autonomia del reato posto in continuazione, in altre parole, comporta la necessità di osservare - anche in sede di aumento per la riconosciuta continuazione - i parametri di cui agli artt. 132 e 133 al fine di commisurare l'entità dell'aumento.

Dovendo pertanto essere «rinnovato» il patto posto a base della decisione (e, ove non si raggiunga il nuovo accordo, essendo doveroso l'intervento del giudice dell'esecuzione) non può escludersi che - fermo restando il limite del «fatto accertato» e dunque la impossibilità di riconoscere una circostanza attenuante non ritenuta nel giudizio - il nuovo assetto del reato continuato determini, in concreto, un effetto favorevole per il soggetto istante.

Va pertanto, nel caso in esame, disposto l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame - secondo le linee qui descritte - al GIP del Tribunale di Bologna.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al GIP del Tribunale di Bologna.

Depositata il 16 ottobre 2015.