Corte di cassazione
Sezione lavoro
Sentenza 2 novembre 2015, n. 22355

Presidente: Stile - Estensore: Maisano

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza non definitiva del 26 agosto 2014 la Corte d'appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Padova del 20 giugno 2014 con la quale era stata accolta l'opposizione proposta da B. Alessandro avverso l'ordinanza emessa nella fase sommaria ai sensi della l. n. 92 del 2012 con la quale era stata rigettata la domanda intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli in data 9 luglio 2012 dalla Provincia Padovana dei Frati Minori Conventuali - Messaggero di S. Antonio Editrice, ed era stata dichiarata tale illegittimità del licenziamento, con conseguente ordine di reintegrazione ex art. 18 della l. n. 300 del 1970 nella formulazione precedente alla l. n. 92 del 2012. La Corte territoriale ha ritenuto infondata l'eccezione di improcedibilità dell'opposizione per omessa notificazione nei termini di legge, eccezione già rigettata dal giudice di primo grado che aveva disposto la rinnovazione della notifica. In particolare il giudice di primo grado, rilevato che la notifica dell'opposizione era stata effettuata senza l'osservanza del termine di trenta giorni anteriore a quello di dieci previsti dal combinato disposto dei commi 51 e 52 dell'art. 1 della l. n. 92 citata, ha disposto il rinnovo della notifica, e la Corte territoriale ha ritenuto corretta tale procedura non avendo il notificante avuto formale conoscenza del termine iniziale per effettuare la notifica, termine costituito dalla conoscenza del decreto di fissazione di udienza che non risultava mai comunicato dalla cancelleria. La Corte veneziana ha ritenuto necessaria tale comunicazione la cui mancanza ha giustificato il ritardo nella notifica stessa e la conseguente necessità del conseguente rinnovo del termine stesso. Nel merito la stessa Corte d'appello ha ritenuto infondato l'addebito disciplinare che aveva condotto al licenziamento in questione e costituito dall'utilizzo di documentazione riservata relativa all'azienda del datore di lavoro e di cui il dipendente giornalista non poteva essere legittimamente in possesso, considerando il legittimo utilizzo di tale materiale finalizzato all'esercizio del diritto di difesa nell'ipotesi di denuncia, anche non penale, del datore di lavoro.

Con sentenza definitiva del 29 settembre 2014 la stessa Corte d'appello ha confermato la sentenza di primo grado anche con riguardo alla misura del risarcimento del danno, non risultando provato l'aliunde perceptum.

La Provincia Padovana dei Frati Minori Conventuali - Messaggero di S. Antonio Editrice ha proposto ricorso per cassazione avverso le suddette sentenze della Corte d'appello di Venezia, articolato su tre motivi.

B. Alessandro resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione, in relazione all'art. 360, comma 3, c.p.c., degli artt. 111 Cost., dell'art. 1, comma 1, lett. c), della l. 28 giugno 2012, n. 92, dell'art. 1, commi 51 e 52, della l. 92 del 2012, dell'art. 12 Disposizioni sulla legge in generale, degli artt. 134, 136 e 137 Cost., dell'art. 1 l. cost. 9 febbraio 1948, n. 1, dell'art. 1 della l. cost. 11 marzo 1953, n. 1, degli artt. 23, 27 e 30 della l. 11 marzo 1953, n. 87. In particolare si lamenta il rigetto dell'eccezione di inammissibilità e improcedibilità del ricorso in opposizione deducendosi, in applicazione dell'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 111 Cost. sulla giusta durata del processo, l'inesistenza di qualsiasi notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza di discussione nei termini di cui all'art. 1, comma 52, della l. 92/2012 e la conseguente illegittimità di una remissione in termini.

Con il secondo motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. con riferimento alla mancata considerazione della possibilità di utilizzo della "consolle dell'avvocato" che avrebbe consentito alla parte opponente di conoscere la data fissata per la discussione ai fini del rispetto del termine per la notifica.

Con il terzo motivo si assume violazione e falsa applicazione, in relazione all'art. 360, comma 3, c.p.c., degli artt. 2105 e 2119 c.c., 115 c.p.c. e 3 l. 15 luglio 1966, n. 604. In particolare si lamenta che la Corte territoriale ha ritenuto privo di rilevanza disciplinare la condotta del dipendente che era in possesso di documentazione aziendale riservata di cui il lavoratore non aveva disponibilità per ragioni di ufficio, non essendoci mai stata alcuna denunzia penale che avrebbe legittimato tale possesso secondo la giurisprudenza citata nella sentenza impugnata. Con sottomotivo si lamenta che la sentenza definitiva non si sarebbe pronunciata sulle domande subordinate ritualmente formulate già nelle precedenti fasi del giudizio.

Il primo motivo è infondato. La Corte territoriale, come anche il giudice di primo grado, hanno fatto corretta applicazione del principio affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 15 del 1977 secondo cui, posto che, nel quadro della garanzia costituzionale della difesa, ove un termine sia prescritto per il compimento di tale attività, la cui omissione si risolva in pregiudizio della situazione tutelata, deve essere assicurata all'interessato la conoscibilità del momento di iniziale decorrenza del termine stesso, onde poter utilizzare, nella sua interezza, il termine assegnatogli, ne consegue che contrasta con tale principio l'art. 435, comma secondo, c.p.c. (come modificato dall'art. 1 della l. 11 agosto 1973, n. 533), poiché ricollega il dies a quo del termine per la notificazione del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza ad un evento (quale il deposito del provvedimento) di cui è ben possibile che la parte non abbia avuto tempestiva conoscenza. Né, d'altra parte, potrebbe essere evitato il pregiudizio per il diritto di difesa ritenendo che il termine in questione sia di tipo ordinatorio (perché ciò non porrebbe l'appellante al riparo dalle conseguenze connesse alla violazione del termine a comparire, che non fosse stato in grado di rispettare proprio in dipendenza della non tempestiva conoscenza del decreto) ovvero con l'uso della normale diligenza da parte del procuratore dell'appellante (che non potrebbe essere giammai spinta fino al punto di un controllo giornaliero). Nel caso in esame può sorgere il dubbio dell'applicabilità di tale principio al procedimento di cui all'art. 1, comma 52, della l. n. 92 del 2012, anche con riferimento al principio del giusto processo di cui all'art. 111 Cost. Ritiene il collegio che, anche con riferimento a tale rito, vada applicata l'osservanza del termine a comparire, in quanto il principio della regolarizzazione degli atti, a garanzia di diritti difesa pure costituzionalmente tutelati, non trova ostacolo nel principio della giusta durata del processo, dovendosi piuttosto affermare che tale ultimo principio deve essere coordinato con quello del giusto processo. Correttamente, dunque, è stato concesso un nuovo termine al fine di regolarizzare l'atto di notifica del ricorso a garanzia del diritto di difesa dell'opposto.

Il secondo motivo, peraltro connesso con il precedente, è comunque inammissibile, in quanto, in assenza di una pronuncia sul punto da parte del giudice dell'appello, non risulta sollevata la relativa questione in altri momenti del giudizio.

Il terzo motivo è infondato. È stato già affermato da questa Corte che il lavoratore che produca, in una controversia di lavoro intentata nei confronti del datore di lavoro, copia di atti aziendali, che riguardino direttamente la sua posizione lavorativa, non viene meno ai suoi doveri di fedeltà, di cui all'art. 2105 c.c., tenuto conto che l'applicazione corretta della normativa processuale in materia è idonea a impedire una vera e propria divulgazione della documentazione aziendale e che, in ogni caso, al diritto di difesa in giudizio deve riconoscersi prevalenza rispetto alle eventuali esigenze di riservatezza dell'azienda; ne consegue la legittimità della produzione in giudizio dei detti atti trattandosi di prove lecite (Cass. 8 febbraio 2011, n. 3038). Ritiene il collegio che tale possesso di documentazione riservata aziendale da parte del dipendente sia giustificata anche per motivi di difesa nel caso di procedimento disciplinare a suo carico, essendo rilevante la discriminante del legittimo motivo di difesa indifferentemente sia nel procedimento penale che nel procedimento disciplinare. Il ricorso deve dunque essere rigettato.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in complessive Euro 100,00 per esborsi, ed Euro 3.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.