Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Sezione I
Sentenza 10 novembre 2015, n. 12707

Presidente: Ferrari - Estensore: Ferrari

FATTO

1. Con ricorso notificato in data 20 aprile 2015 e depositato il successivo 22 aprile la Pata s.p.a., produttrice e distributrice di snack e patatine fritte in busta, è insorta avverso il provvedimento 3 febbraio 2015, n. 25312 con il quale l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato le ha irrogato, ai sensi degli artt. 20, 21, comma 1, lett. b), e 22, comma 2, del Codice del consumo, una sanzione pari a Euro 250.000 per asserita violazione di pratiche commerciali e le ha inibito la prosecuzione delle condotte sanzionate.

In particolare l'Autorità ha ritenuto ingannevoli per i consumatori le indicazioni riportate sul packaging di due linee di patatine fritte in busta recante il marchio Pata, e precisamente "La Patatina Artigianale" e "Da Vinci Chips". Con riferimento al primo prodotto, ha contestato l'uso dell'aggettivo "Artigianale" sull'incarto perché idoneo ad ingenerare nei consumatori la convinzione del carattere interamente artigianale, e non industriale, della lavorazione; relativamente al secondo prodotto la dicitura "con olio extravergine di oliva e sale rosa dell'Himalaya", con rinvio dell'asterisco al retro della confezione dove è specificata la quantità di olio extravergine di oliva e degli altri ingredienti, fra cui olio di semi di girasole; infine, con riferimento ad entrambe le linee, ha contestato, perché ingannevole, la scritta "- 30% di grassi rispetto alla patatina fritta tradizionale Pata".

Premesso che con riferimento ad entrambe le due linee di patatine in busta l'Autorità ha individuato due distinti profili di scorrettezza, la Pata ha dedotto i seguenti motivi di doglianza:

a) Violazione e/o errata applicazione degli artt. 20, 21, comma 1, lett. b), e 22, comma 2, del Codice del consumo - Eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto dei presupposti, carenza d'istruttoria, irragionevolezza e insufficienza della motivazione - Violazione e/o errata applicazione dell'art. 3, l. n. 689 del 1981; Contraddittorietà intrinseca e illogicità fra la valutazione compiuta sul prodotto "Selenella" e quella relativa ai prodotti "La Patatina Artigianale" e "Da Vinci Chips" - Violazione ed errata applicazione dell'art. 8 e del considerando 20 del Regolamento (CE) n. 1924 del 2006 - Violazione dei principi d'imparzialità e buon andamento - Violazione e/o errata applicazione del Regolamento di esecuzione (UE) n. 29 del 2012.

Dai documenti in atti emerge con chiara evidenza il carattere veritiero di tutte le informazioni "nutrizionali, di ricettazione e afferenti al processo produttivo impiegato" oggetto degli addebiti dell'Autorità. Ed infatti, per quanto riguarda l'aggettivo "artigianale" la stessa Autorità ha riconosciuto nell'impugnato provvedimento che il metodo di produzione utilizzato dalla ricorrente è "simile" (punto 7) a quello artigianale e "ricalca" quest'ultimo (punto 8); inoltre il sistema di produzione della linea "La Patatina Artigianale" si articola in fasi che ricalcolano perfettamente un metodo di lavorazione artigianale; infine, in data 6 luglio 2010 la A.S.L. di Mantova, territorialmente competente, a conclusione di un'ispezione nello stabilimento della ricorrente, ha affermato che l'utilizzo di impianti di produzione e di metodologie differenti da quelle classiche "legittima la locuzione artigianale al fine di qualificare un elemento che si differenzia sostanzialmente, per i metodi produttivi e tecnologici impiegati, da quello tradizionalmente prodotto in larga scala". La conclusione dell'A.S.L. ha, quindi, rassicurato la ricorrente sull'uso corretto dell'aggettivo "artigianale" e, in ogni caso, renderebbe doverosa la concessione dell'errore scusabile. Per quanto poi attiene alla scritta "con olio extravergine di oliva" la quantità del 6% non può considerarsi affatto modesta, atteso che essa rappresenta 1/4 degli ingredienti diversi dalle patate (24%) e riguarda un prodotto alimentare solido (le patatine fritte in busta). Infine, relativamente alle etichettature, le stesse risultano perfettamente in linea con quanto prescritto dall'art. 6 del Regolamento esecuzione UE n. 29 del 2012 e la loro veridicità è stata formalmente riconosciuta dalla A.S.L. di Mantova. In ogni caso, relativamente all'affermazione dell'Autorità, secondo cui l'aggettivo "artigianale" sarebbe "idoneo a trasmettere la convinzione del carattere integralmente artigianale della produzione", va osservato, in aggiunta alle conclusioni della A.S.L., che in effetti alcune fasi della produzione Pata ricalcano perfettamente un metodo di lavoro artigianale (come in effetti riconosciuto dalla stessa Autorità) che però, come è noto anche ai consumatori medi, devono necessariamente inserirsi in un processo produttivo di tipo industriale.

L'Autorità non può neppure essere seguita allorché, da una inesatta lettura ed interpretazione dell'art. 6 del Regolamento esecutivo UE n. 29 del 2012, deduce che l'utilizzo di grafiche volte ad enfatizzare la presenza di olio extravergine d'oliva, separatamente da altri ingredienti, ingenererebbe l'obbligo per il produttore di indicare, nel medesimo spazio visivo occupato da una bottiglia d'olio, la "percentuale" del quantitativo di olio rispetto agli altri ingredienti. In effetti l'informazione sulla quantità di olio extravergine effettivamente utilizzata potrebbe risultare ingannevole ed omissiva se, in violazione degli artt. 21, comma 1, lett. b), e 22, comma 2, del Codice del consumo, inducesse il consumatore medio a credere, contrariamente al vero, che il prodotto (patatine fritte) è stato realizzato con il solo succitato ingrediente, in tal modo ingenerando confusione sulla effettiva quantità dello stesso presente nella busta di patatine. Situazione ingannevole, questa, certamente non ricorrente nel caso esaminato dall'Autorità atteso che la formulazione riportata sulla busta ha consentito al consumatore medio di sapere che il prodotto è il risultato di una miscela di oli, e non del solo olio vergine d'ulivo. In ogni caso è irragionevole soltanto supporre che la presenza sulla busta delle patatine "De Vinci Chips" della scritta "con olio extravergine di oliva" possa ingenerare nel consumatore il convincimento che nel processo di produzione è impiegato solo l'olio extravergine d'oliva, atteso che la suddetta iscrizione sta a significare solo la presenza anche dell'olio in questione nel prodotto alimentare, fra gli ingredienti (24%) che accompagnano la farina (76%).

b) Violazione ed errata applicazione degli artt. 20, 21, comma 1, lett. b), e 22, comma 2, Codice del consumo, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e insufficienza della motivazione in reazione all'idoneità delle pratiche commerciali ad alterare il comportamento del consumatore medio e a violare le regole di diligenza professionale.

Una corretta interpretazione delle funzioni di vigilanza che l'art. 20, comma 2, Codice del consumo ha assegnato all'Autorità induce a concludere che non tutte le pratiche commerciali poste in essere dai professionisti mediante condotte attive od omissive possono essere considerate scorrette e, quindi, vietate ma solo quelle che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, alle caratteristiche dei prodotti interessati, al grado di avvedutezza che è lecito attendersi dal consumatore medio, ne possono avere alterato in misura apprezzabile il comportamento economico, inducendolo a scelte di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso. Nel caso in esame l'Autorità ha imputato alla Pata (punto 36 del provvedimento impugnato) la diffusione, mediante il packaging e altri mezzi, di messaggi pubblicitari intesi a presentare i suoi due prodotti in questione come dotati di specifiche indicazioni di tipo nutrizionale e salutistico, tali da risultare "di particolare richiamo per i consumatori più attenti, anche per motivi di salute, ad una alimentazione più sana". Osserva la ricorrente che è difficile immaginare che consumatori attenti alla salute possano essere indotti dalla sua pubblicità a credere che le sue patatine fritte sono prodotti biologici ottenuti da una lavorazione non industriale, sottoposte a friggitura eseguita solo con olio extravergine di oliva, dotate di particolari proprietà dietetiche senza una chiara individuazione del termine di comparazione.

c) In subordine. Violazione e/o falsa applicazione dei criteri di cui all'art. 11, l. n. 689 del 1981 ai fini del calcolo dell'ammontare della sanzione nei confronti di Pata - Eccesso di potere per irragionevole disparità di trattamento fra Pata, San Carlo, Amica Chips, ICA Foods nei procedimenti paralleli relativi a casi simili.

Contestualmente al procedimento aperto nei confronti della ricorrente l'Autorità ha avviato e concluso analoghi procedimenti a carico di altri tre produttori di patatine fritte in busta, ma li ha sanzionati in modo assolutamente discriminatorio, senza tener conto dei fatturati realizzati, della durata delle asserite infrazioni e, per quanto specificamente riguarda la ricorrente, dei rimedi da essa apprestati nel corso del procedimento. Esemplificando: l'indicazione "La Patatina artigianale" è stata sostituita da "La Patatina prodotta con metodo artigianale"; l'indicazione "30% di grassi rispetto alla patatina fritta tradizionale Pata" è stata riportata con la medesima dimensione grafica sulle due linee di prodotto a marchio Pata; sulla confezione tradizionale è stata indicata la specifica dei gradi della patatina fritta tradizionale Pata. Nonostante la collaborazione che la ricorrente ha prestato all'Autorità, che ha comportato fra l'altro la modifica dei vari involucri, ad essa è stata irrogata una sanzione nettamente superiore a quelle comminate alle altre imprese che all'Autorità avevano rifiutato ogni collaborazione ed avevano perseverato fino all'ultimo nell'infrazione.

La ricorrente conclude chiedendo l'annullamento del provvedimento impugnato e, in via subordinata, la rideterminazione in minus della sanzione comminata.

3. Si è costituita in giudizio l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato la quale con due memorie, rispettivamente depositate in data 2 maggio e 16 ottobre 2015, ha contestato le censure della ricorrente e ha chiesto la conferma dell'impugnato provvedimento.

4. L'Unione Nazionale Consumatori non si è costituita in giudizio.

5. Con memoria del 19 ottobre 2015 la ricorrente ha ulteriormente argomentato le proprie tesi difensive e con ulteriore memoria depositata il 24 ottobre 2015 ha replicato alle osservazioni dell'Autorità.

6. Alla Camera di consiglio del 6 maggio 2015, su istanza della ricorrente l'esame dell'istanza di sospensione cautelare è stato abbinato al merito.

7. All'udienza del 4 novembre 2015 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa la Pata s.p.a. è stata condannata a pagare la sanzione di Euro 250.000 comminatale dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per aver posto in essere una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 21, comma 1, lett. b), 22, comma 2, del Codice del consumo, con contestuale divieto di diffusione e continuazione. In particolare, il procedimento ha avuto a riferimento due linee di patatine della Pata s.p.a., "La Patatina Artigianale" e la "Da Vinci Chips", in relazione alle quali è stato accertato un profilo di scorrettezza attinente alle modalità di promozione e pubblicità delle caratteristiche nutrizionali e produttive dei prodotti.

Quanto alla "La Patatina Artigianale", l'Antitrust ha contestato: a) l'uso dell'aggettivo "Artigianale" sull'incarto perché idoneo ad ingenerare nei consumatori la convinzione del carattere interamente artigianale, e non industriale, della lavorazione; b) il claim nutrizionale "- 30% di grassi" accompagnato dalla dicitura "rispetto alla patatina fritta tradizionale Pata", riportata tuttavia in caratteri ridottissimi. Il claim è riportato sia sul frontpack che sul sito aziendale.

Quanto, invece, alla "Da Vinci Chips", l'Antitrust ha contestato: a) che sul packaging del prodotto è apposta la dicitura "con olio extravergine di oliva e sale rosa dell'Himalaya", con rinvio dell'asterisco al retro della confezione dove è specificata la quantità di olio extravergine di oliva e degli altri ingredienti, fra cui olio di semi di girasole; b) il claim nutrizionale "- 30% di grassi" accompagnato dalla dicitura "rispetto alla patatina fritta tradizionale Pata", riportata tuttavia in caratteri ridottissimi. Il claim è riportato sia sul frontpack che sul sito aziendale.

L'Autorità ha invece escluso, sulla base degli esiti dell'istruttoria, che appaiono scorrette le indicazioni e i vanti salutistici accreditati al prodotto "Selenella", anch'esso oggetto di contestazione in sede di avvio del procedimento.

Prima di passare alla disamina delle condotte contestate, il Collegio ritiene utile richiamare la normativa di riferimento, alla quale l'Autorità ha fatto rinvio nell'impugnato provvedimento, nonché i principi, elaborati dalla giurisprudenza del giudice amministrativo, che regolano la materia de qua.

L'art. 20 del Codice del consumo, nel vietare al comma 1 le pratiche commerciali scorrette, stabilisce, al comma 2, che una pratica commerciale è "scorretta" se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio, che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori. Le pratiche commerciali scorrette sono ingannevoli o aggressive (comma 3). Il comma 4 individua come "ingannevoli" le ipotesi di cui agli artt. 21, 22 e 23 e "aggressive" quelle di cui agli artt. 24, 25 e 26. A sua volta, il successivo art. 21, al comma 1, considera ingannevole "... una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso: ... b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l'esecuzione, la composizione, gli accessori, l'assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l'idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l'origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto". L'art. 22, comma 1, stabilisce poi che "è considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso", precisando al comma 4 che, in caso di un invito all'acquisto sono considerate rilevanti, tra le altre, le informazioni relative al prezzo del prodotto. Il comma 2 dello stesso art. 22, richiamato nell'impugnato provvedimento sanzionatorio, stabilisce, ancora, che "una pratica commerciale è altresì considerata un'omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al comma 1, tenendo conto degli aspetti di cui al detto comma, o non indica l'intento commerciale della pratica stessa qualora questi non risultino già evidente dal contesto nonché quando, nell'uno o nell'altro caso, ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Quanto poi ai principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa, è stato dalla stessa chiarito che il sindacato del giudice, che ha carattere intrinseco, deve essere ritenuto comprensivo anche del riesame delle valutazioni tecniche operate dall'Autorità nonché dei principi economici e dei concetti giuridici indeterminati applicati (C.d.S., sez. VI, 20 febbraio 2008, n. 595; id. 8 febbraio 2007, n. 515) e va condotto con il ricorso a regole e conoscenze tecniche appartenenti alle stesse discipline applicate dall'Amministrazione, anche con l'aiuto di periti (C.d.S., sez. VI, 23 aprile 2002, n. 2199). È tuttavia incontestato che, ove la legittimità dell'azione amministrativa ed il corretto uso delle sottostanti regole tecniche siano stati accertati, il controllo giudiziale non può andare oltre, al fine di sostituire la valutazione del giudice a quella già effettuata dall'Amministrazione, la quale rimane l'unica attributaria del potere esercitato (C.d.S., sez. VI, 29 settembre 2009, n. 5864; id. 12 febbraio 2007, n. 550; id. 10 marzo 2006, n. 1271; Tar Lazio, sez. I, 24 agosto 2010, n. 31278; id. 30 marzo 2007, n. 2798; id. 13 marzo 2006, n. 1898).

I limiti del sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità amministrativa nelle materie regolate dalle Autorità indipendenti sono stati da ultimo ribaditi anche dalla Corte di Cassazione (S.U. 20 gennaio 2014, n. 1013), ricordando che "il sindacato di legittimità del giudice amministrativo sui provvedimenti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e si estende anche ai profili tecnici, il cui esame sia necessario per giudicare della legittimità di tale provvedimento; ma quando in siffatti profili tecnici siano coinvolti valutazioni ed apprezzamenti che presentano un oggettivo margine di opinabilità - come nel caso della definizione di mercato rilevante nell'accertamento di intese restrittive della concorrenza - detto sindacato, oltre che in un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, è limitato alla verifica che quel medesimo provvedimento non abbia esorbitato dai margini di opinabilità sopra richiamati, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell'Autorità garante ove questa si sia mantenuta entro i suddetti margini".

Da tale premessa consegue che i motivi dedotti da Pata avverso il giudizio di "scorrettezza" della pratica contestata, per essere favorevolmente valutabili (e ammissibili) devono essere tali da far emergere vizi di manifesta irragionevolezza o di grave ingiustizia, finendo altrimenti inevitabilmente per impingere in valutazioni di merito rimesse all'Autorità, e non sindacabili da questo giudice senza invadere l'ambito della discrezionalità tecnica riservato all'Amministrazione (C.d.S., sez. III, 2 aprile 2013, n. 1856; id. 28 marzo 2013, n. 1837; Tar Lazio, sez. I, 6 maggio 2015, n. 6471; id. 9 marzo 2015, n. 3916; id. 21 giugno 2013, n. 6259; id. 24 agosto 2010, n. 31278; 29 dicembre 2007, n. 14157).

Altre due brevi osservazioni appaiono necessarie al fine del decidere.

Innanzitutto, come chiarito dall'Autorità al punto V) del provvedimento impugnato, pur essendo diversi i rilievi oggetto di indagine e ancorché interessino distinte referenze, le condotte tenute da Pata attengono alla medesima categoria merceologica - le patatine fritte in busta - ed allo stesso profilo di scorrettezza, ossia le caratteristiche - nutrizionali o produttive - dei prodotti. Data la premessa l'Autorità ha ritenuto ragionevole operare una valutazione unitaria degli stessi nell'ambito della medesima pratica commerciale relativa, appunto, alle modalità di promozione delle caratteristiche di prodotti congeneri. La seconda precisazione è che scorretto non è stata qualificato il ciclo produttivo delle patatine delle due linee ("La Patatina Artigianale" e la "Da Vinci Chips"), e cioè, ad esempio, l'iter seguito per friggere "La Patatina Artigianale" o l'olio utilizzato per le patatine "Da Vinci Chips" quanto piuttosto - e soltanto - la pubblicità che è stata fatta, nelle diverse e molteplici modalità, per reclamizzare le caratteristiche di tali prodotti.

3. Tutto ciò chiarito, può ora passarsi all'esame del primo motivo, con il quale Pata replica su tutti i rilievi mossi dall'Antitrust in relazione ai messaggi pubblicitari contestati e che hanno determinato la comminazione della sanzione e il divieto di diffusione e continuazione della pratica.

La prima censura, dedotta con il primo motivo, è volta a contestare il giudizio dell'Autorità, che ha qualificato "scorretto" l'utilizzo dell'aggettivo "artigianale" nella denominazione della linea "La Patatina Artigianale" (e non anche della linea "Da Vinci Chips", come erroneamente potrebbe desumersi, dal punto 48 del provvedimento impugnato, in contrasto con il tenore del resto del provvedimento stesso). Afferma la ricorrente che il messaggio non è ingannevole perché, pur inserendosi la lavorazione in un processo produttivo industriale, la stessa è molto diversa da quella utilizzata per la altre patatine Pata, per essere invece simile al metodo artigianale. La conferma verrebbe da un'ispezione effettuata il 6 luglio 2001 dalla Azienda sanitaria di Mantova, conclusa nel senso che "si legittima la locuzione 'artigianale' ... al fine di qualificare un alimento che si differenzia sostanzialmente per i metodi produttivi e tecnologici da quello tradizionalmente prodotto su larga scala".

La censura non è suscettibile di positiva valutazione.

Presupposto da cui muovere è che, come si è detto, l'indagine dell'Antitrust ha riguardato non il ciclo produttivo ma l'enfasi grafica dell'indicazione "Artigianale". Non è dubbio, perché confermato dalla stessa ricorrente nei suoi scritti difensivi, che la linea di patatine "La Patatina Artigianale" non è cotta artigianalmente, pur se la lavorazione del prodotto si differenzia (di molto o poco, non rileva) rispetto alla cottura delle altre patatine fritte commercializzata dalla società Pata. Ma non è certo il ricorso ad un ciclo produttivo diverso da quello di tutte le altre patatine fritte Pata che ex se rende artigianale la produzione della "La Patatina Artigianale". Né è sufficiente che "le fasi del procedimento di lavorazione impiegato ricalcano il metodo di lavorazione artigianale" atteso che, per poter reclamizzare un prodotto alimentare come artigianale è indispensabile che la produzione non sia industriale e, quindi, seriale, con processi di lavorazione standardizzati. In altri termini, non è sufficiente una più o meno vicina "similitudine" tra processi produttivi (similitudine con il metodo artigianale che peraltro nel caso in esame non appare affatto vicina), essendo indispensabile che la lavorazione sia in tutto e per tutto artigianale. Presupposto questo che per la linea "La Patatina Artigianale" certamente manca.

Del tutto inconferente è il richiamo al parere reso dalla Azienda sanitaria di Mantova l'8 ottobre 2010, atteso che rientra nella competenza dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, e non certo di una Azienda sanitaria, la valutazione di "scorrettezza" di una pratica commerciale in applicazione delle disposizioni dettate dal Codice del consumo. Questo in punto di diritto. Da rilevare poi, questa volta in punto di fatto, che anche il rapporto ispettivo in questione esclude in radice che sia ipotizzabile per la produzione di patatine fritte - come avviene invece per altri alimenti, quali la pasta fresca - una produzione qualificabile come artigianale. E ciò porta ex se a qualificare come ingannevole il claim in esame.

4. L'Antitrust ha ritenuto scorretto anche il claim pubblicitario, per la linea "Da Vinci Chips", che ha utilizzato la dicitura "con olio extravergine di oliva", con rinvio dell'asterisco al retro della confezione dove è specificata la quantità di olio extravergine di oliva e degli altri ingredienti, fra cui olio di semi di girasole. La pubblicità è ingannevole perché colpisce il consumatore facendogli credere che è stato utilizzato solo olio extravergine d'oliva, mentre la quantità utilizzata, come è detto sul retro della confezione con evidenza grafica ben diversa, perché più piccola, da quella utilizzata per la parte frontale della confezione, è pari solo al 6%.

Anche tale valutazione appare al Collegio corretta, non essendo condivisibile la difesa di parte ricorrente che punta sulla quantità non modesta (il 6%) di olio extravergine, che risulta sulla stessa confezione, nella parte posteriore della stessa, alla quale dovrebbe rinviare un asterisco posto accanto alla scritta incriminata "con olio extravergine di oliva".

Non è dubbio che i rilievi relativi all'indicazione della quantità di olio extravergine, apposta con caratteri ridotti e sul retro della confezione, non sono manifestamente illogici e irragionevoli, condizioni queste che non ne consentono, per quanto chiarito sub 2, la sindacabilità.

In forza del Codice del consumo il produttore deve assicurare una corretta e trasparente informazione sul prodotto, tale da permettere al consumatore di effettuare liberamente le sue scelte. L'art. 21, d.lgs. n. 206 del 2005 pone, infatti, in capo ai produttori l'onere di chiarezza e di completezza delle informazioni, che non può non riguardare, in primis, la presentazione di un elemento cruciale nella scelta di acquisto dei consumatori, quale la composizione nutrizionale di un prodotto alimentare. Tale elemento è di sicuro interesse per effettuare una scelta consapevole da parte del consumatore, perché attinente alla salute e, più in generale, alle scelte nutrizionali dell'individuo, e la sua percezione da parte del consumatore deve essere immediata e non può essere posposta rispetto al momento nel quale si realizza il contatto tra il consumatore e il prodotto (Tar Lazio, sez. I, 4 luglio 2013, n. 6596).

Aggiungasi che ad avviso di una consolidata giurisprudenza del giudice amministrativo, dalla quale il Collegio non ha ragione per discostarsi, l'onere di completezza e chiarezza informativa previsto dalla normativa a tutela dei consumatori richiede che ogni messaggio rappresenti i caratteri essenziali di quanto mira a reclamizzare e sanziona la loro omissione, a fronte della enfatizzazione di taluni elementi, qualora ciò renda non chiaramente percepibile il reale contenuto ed i termini dell'offerta o del prodotto, così inducendo il consumatore, attraverso il falso convincimento del reale contenuto degli stessi, in errore, condizionandolo nell'assunzione di comportamenti economici che altrimenti non avrebbe adottato (Tar Lazio, sez. I, 8 gennaio 2013, n. 106).

Grava, dunque, sul soggetto che offre un prodotto o una prestazione l'onere di rendere disponibili tutte le informazioni rilevanti ai fini dell'adozione di una scelta consapevole da parte del consumatore (Tar Lazio, sez. I, 8 gennaio 2013, n. 104), secondo una valutazione ex ante, che prescinde sia dall'idoneità della condotta ingannevole rispetto alle effettive competenze dei soggetti che sono specificamente venuti in contatto con l'operatore, sia dal concreto danno ad essi procurato (Tar Lazio, sez. I, 18 settembre 2014, n. 9829; id. 9 settembre 2014, n. 9559).

Infine, con argomentazioni ben estensibili al caso in esame, la Sezione ha più volte affermato (26 febbraio 2015, n. 3357; id. luglio 2013, n. 6596, id. 3 luglio 2012, n. 6026, id. 4 giugno 2012, n. 5026) che la decettività del messaggio pubblicitario può riguardare anche solo singoli aspetti dello stesso e che la scorrettezza della pratica commerciale in ordine alla reale portata del prodotto non può ritenersi sanata dalla possibilità per il consumatore di ottenere, anche in un momento immediatamente successivo, ulteriori dettagli informativi, laddove il messaggio promozionale, attraverso il suo contenuto non trasparente, determinato dalle modalità di presentazione del prodotto, risulta già idoneo, nella sua decettività, ad agganciare il consumatore al primo contatto. Ha ancora aggiunto la Sezione (21 gennaio 2015, n. 994) che "in ragione dell'esigenza di porre i potenziali destinatari del messaggio pubblicitario in grado di valutare consapevolmente la convenienza relativa dell'offerta, la prospettazione delle complessive condizioni di quest'ultima deve essere chiaramente ed immediatamente percepibile (e, prima ancora, intellegibile), da parte del consumatore". Per questa ragione tutte le informazioni importanti, che secondo buon senso e correttezza si presume possano influenzare il consumatore nell'effettuare la propria scelta, devono essere rese "già al primo contatto".

Tanto chiarito in linea generale, si osserva che nel caso di specie la pratica commerciale di cui trattasi non rende immediata la percezione della effettiva composizione del prodotto, avendo la ricorrente utilizzato nel claim di cui si discute un carattere più piccolo per la parola "6%" rispetto al carattere più grande utilizzato per la dicitura "con olio extravergine di oliva", posta peraltro sul lato opposto della confezione, informazione che conseguentemente si impone all'attenzione del consumatore con evidente priorità e maggior enfasi.

La modalità di rappresentazione dell'informazione commerciale è quindi idonea a trasmettere a prima vista un messaggio nutrizionale diverso rispetto a quello proprio del messaggio promozionale considerato nel suo complesso.

Né può sostenersi che la scorrettezza della pratica è comunque scongiurata dalla possibilità per il consumatore di approfondire la conoscenza della composizione del prodotto mediante la lettura dell'intero contenuto del claim.

Sul punto, invero, la giurisprudenza amministrativa anche della Sezione è granitica nel ritenere che la completezza e la veridicità di un messaggio promozionale va verificata nell'ambito dello stesso contesto di comunicazione commerciale, e non già sulla base di ulteriori informazioni che l'operatore commerciale rende disponibili solo a effetto promozionale già avvenuto (Tar Lazio, sez. I, 4 febbraio 2013, n. 1177).

Dai principi sopra esposti consegue la correttezza delle conclusioni cui è pervenuta l'Agcm in ordine all'ingannevolezza del messaggio pubblicitario, che induce il consumatore a credere che è stato utilizzato solo olio extravergine d'oliva, mentre la quantità utilizzata, come è scritto solo sul retro della confezione e con evidenza grafica ben diversa, è pari solo al 6%, a fronte del 17% di olio di semi di girasole.

5. Ultimo rilievo mosso alla Pata, questa volta rivolto sia alla "La Patatina Artigianale" che alla "Da Vinci Chips", è riferito al claim nutrizionale "- 30% di grassi" accompagnato dalla dicitura "rispetto alla patatina fritta tradizionale Pata", scritta tuttavia in caratteri ridottissimi.

Il giudizio di non correttezza della condotta appare al Collegio resistere alle censure dedotte dalla ricorrente, per le argomentazioni esposte sub 4. L'enfasi grafica attribuita alla percentuale di riduzione dei grassi è infatti idonea a offrire al consumatore un'informazione non corretta in ordine al reale quantitativo dei grassi e ad indurlo ad acquistare il prodotto credendo che lo stesso arrechi in assoluto, al proprio regime alimentare, un apporto nutrizionale ridotto in grassi e non invece, come realmente è, un ridotto apporto rispetto alle altre patatine classiche.

6. Con il sesto motivo la ricorrente afferma che in ogni caso la pratica commerciale posta in essere per le due linee di patatine non avrebbe potuto essere sanzionata perché non idonea a falsare "in misura apprezzabile" il consumatore medio, come richiesto dal comma 2 dell'art. 20 del codice di Consumo.

Anche questo motivo non è suscettibile di positiva valutazione alla luce non solo di quanto già diffusamente argomentato ma anche del principio, pacifico nella giurisprudenza del giudice amministrativo, secondo cui la normativa del Codice del Consumo sulle pratiche commerciali scorrette costituisce una tutela di "prevenzione" approntata nell'interesse generale e non del singolo contraente. La disciplina in esame dunque impone, in rapporto al consumatore medio e in un contesto di fatto caratterizzato dall'assenza di un'effettiva negoziazione, una "messa in guardia" sull'oggetto dell'imminente prestazione che non sia limitata alla formazione della volontà negoziale, ma sia adeguata al fine di garantire l'effettiva libertà di scelta del consumatore in quel contesto (C.d.S., sez. VI, 22 luglio 2014, n. 3896; Tar Lazio, sez. I, 9 settembre 2015, n. 11122). Aggiungasi che la corretta informazione al consumo deve tenere presente il "parametro medio di conoscenze" esistente tra il pubblico dei consumatori (Tar Lazio, sez. I, 4 luglio 2013, n. 6596).

Risulta in tal modo difficile negare che non sia idoneo a trarre in inganno un messaggio pubblicitario che con grafica a carattere più grande del resto delle comunicazioni riportate, affermi che la patatina fritta è "artigianale" o che ha il "- 30% di grassi" o che è stato utilizzato "olio extravergine di oliva", a nulla rilevando che in caratteri più piccoli, e dunque non con la stessa evidenza, a tali informazioni fosse aggiunto che il 30% in meno di grassi non era in termini assoluti ma comparatistica e che non fosse stato utilizzato solo olio extravergine, ma solo nella percentuale del 6% rispetto al 17% di olio di girasole. La grafica utilizzata per il messaggio non era tale da attenzionare il consumatore medio e far rilevare l'effettiva componente del prodotto ed ha dunque falsato, in modo apprezzabile, l'informazione resa al consumatore.

Come già ampiamente chiarito, l'ingannevolezza di un messaggio può discendere, oltre che dall'omissione di elementi di rilievo, anche dalle modalità grafiche ed espressive con cui gli elementi del prodotto vengono rappresentati all'interno del messaggio e dalle scelte in ordine alla enfatizzazione di alcuni di essi (Tar Lazio, sez. I, 20 gennaio 2010, n. 633).

7. L'ultimo motivo di ricorso è volto a censurare, in via gradata e subordinata al mancato accoglimento dei due precedenti motivi, il quantum della sanzione irrogata. L'illegittimità del quantum della sanzione emergerebbe, ad avviso della ricorrente, dalla sanzione irrogata ad altre tre società (Amica Chips s.p.a., San Carlo Gruppo Alimentare s.p.a. e Ica Foods s.p.a.) nei confronti delle quali l'Agcm ha avviato e concluso analogo procedimento. In ogni caso la stessa sarebbe sproporzionata rispetto ai rilievi mossi.

Sotto quest'ultimo profilo ritiene il Collegio non irragionevole né ingiusto o vessatorio l'operato dell'Agcm, che al fine di quantificare la sanzione risulta avere debitamente valutato sia il comportamento posto in essere dall'operatore rispetto alla diligenza professionale richiesta alla stregua della normativa di riferimento, sia la descritta potenzialità lesiva della predetta prassi commerciale per le sue possibili diffuse ricadute economiche sui consumatori, peraltro conformemente al più recente orientamento della Corte di Giustizia UE (sentenza 16 aprile 2015, C-388/13) secondo cui, in materia di pratiche commerciali scorrette, le sanzioni devono essere adeguate ed efficaci, e dunque assolvere ad una concreta funzione dissuasiva, prendendo "in debita considerazione fattori quali la frequenza della pratica addebitata, la sua intenzionalità o meno e l'importanza del danno che ha cagionato al consumatore.

Quanto al profilo della disparità di trattamento, il Collegio richiama altresì il consolidato orientamento di questo Tribunale (sez. I, 9 settembre 2015, n. 11122; 19 maggio 2010, n. 12325), secondo cui l'eventuale sussistenza del vizio di disparità di trattamento rispetto ad un diverso professionista nell'ambito di un differente procedimento postula in ogni caso l'identità, o almeno la totale assimilabilità delle situazioni di base poste a raffronto e la completa sovrapponibilità di tutti gli elementi di rilievo delle fattispecie sanzionate (Tar Lazio, sez. I, 13 dicembre 2010, n. 36114; 13 dicembre 2010, n. 36112; 22 novembre 2010, n. 33791; 9 agosto 2010, n. 30466), occorrendo quindi una oggettiva verifica della completa sovrapponibilità delle fattispecie sanzionate, concretamente non percorribile (Tar Lazio, sez. I, 17 settembre 2013, n. 8309). Presupposti, questi non presenti nel caso di specie né debitamente comprovati dalla ricorrente.

Non è poi vero, in punto di fatto, che l'Agcm non ha tenuto in considerazione la collaborazione offerta dalla società per superare i rilievi mossi. Ed infatti, l'Autorità - partendo dall'assunto che la pratica commerciale è stata posta in essere sul sito aziendale a far tempo dal giugno 2012 - è arrivata a quantificare la sanzione - peraltro pari ad un ventesimo del minimo edittale di 5 milioni di euro, previsto dal'art. 27, comma 9, del Codice del consumo - tenendo in considerazione da un lato la gravità della violazione, la pluralità dei rilievi di scorrettezza e l'ampiezza dei supporti media utilizzati e la capillarità della diffusione; dall'altro, la circostanza che durante la fase istruttoria il professionista si è concretamente attivato per la modifica delle confezioni di talune referenze e della pubblicità a mezzo internet, con l'eliminazione di alcuni profili contestati nella comunicazione di avvio del procedimento.

8. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere respinto.

Quanto alle spese di giudizio, in considerazione della complessità della vicenda contenziosa può disporsene l'integrale compensazione fra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa integralmente tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.