Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 10 marzo 2016, n. 961

Presidente: Maruotti - Estensore: Deodato

FATTO

Con la sentenza impugnata, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio annullava, in accoglimento del ricorso n. 6090 del 2013 proposto dal sig. Roberto F. (coniuge della signora Giorgia V., nipote del collaboratore di giustizia Gaspare M., e, come tale, sottoposto per oltre venti anni alle speciali misure di protezione previste dal d.l. n. 8 del 1991, convertito dalla l. n. 82 del 1991), il provvedimento in data 6 marzo 2013 con il quale la Commissione Centrale - prevista dall'art. 10 della medesima legge - aveva deliberato di non prorogare il programma speciale di protezione e di corrispondere al ricorrente la somma pari alla capitalizzazione per cinque anni delle misure di assistenza corrisposte mensilmente, al fine del suo reinserimento sociale, nella parte in cui non ha chiarito le ragioni per cui non ha disposto in favore dell'interessato le misure straordinarie previste dagli artt. 13 l. n. 82 del 1991 e 10 d.m. n. 161 del 2004.

Avverso la decisione del T.A.R., proponeva appello il Ministero dell'interno, insistendo nel sostenere la conformità della deliberazione controversa alla normativa di riferimento, e segnatamente all'art. 10, comma 15, del d.m. n. 161 del 2004, contestando, quindi, la correttezza della statuizione gravata e domandando la sua riforma, con la conseguente reiezione del ricorso di primo grado.

Resisteva il signor F., contestando la fondatezza dell'appello dell'Amministrazione e domandandone la reiezione, con conseguente conferma della decisione impugnata.

L'appello veniva trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 25 febbraio 2016.

DIRITTO

1. È controversa la legittimità della deliberazione della Commissione Centrale prevista dall'art. 10 l. n. 82 del 1991, nella parte in cui, stabilendo l'erogazione in favore dell'appellato di una somma pari alla capitalizzazione per cinque anni delle misure di assistenza corrisposte, non ha riconosciuto la spettanza di ulteriori misure straordinarie ai fini del suo reinserimento sociale.

Con la sentenza appellata, il T.A.R. per il Lazio ha ritenuto che un esame complessivo della situazione lavorativa ed esistenziale dell'interessato avrebbe imposto alla Commissione Centrale il riconoscimento delle misure straordinarie previste dal combinato disposto degli artt. 13, comma 5, l. n. 82 del 1991 e 10, comma 15, d.m. n. 161 del 2004 ed ha, quindi, giudicato illegittima la deliberazione, per non avere compiuto tale indispensabile valutazione.

Il Ministero appellante ribadisce la legittimità dell'atto della Commissione Centrale, rilevandone la coerenza con il parametro normativo (integrato dall'art. 10, comma 15, d.m. n. 161 del 2004), che, nella fattispecie considerata, imponeva, quale misura finalizzata al reinserimento sociale, la sola capitalizzazione, per la durata massima (nella specie riconosciuta) di cinque anni, della misura assistenziale corrisposta al collaboratore di giustizia (o al suo familiare sottoposto al programma speciale di protezione).

2. Ritiene la Sezione che l'appello è inammissibile, perché non contiene specifiche critiche, necessarie per l'art. 101, comma 1, c.p.a., avverso la motivata statuizione del T.A.R., che ha ritenuto illegittimo il mancato esercizio della potestà attribuita all'Amministrazione dagli artt. 13, comma 5, l. n. 82 del 1991 e 10, comma 15, d.m. n. 161 del 2004, sussistendone i presupposti per il suo doveroso esercizio.

Mentre, infatti, la corretta applicazione del primo comma dell'art. 101 c.p.a. esige che l'appellante deduca, a sostegno dell'impugnazione, specifiche censure contro i capi della sentenza gravata, pena l'inammissibilità dell'appello (C.d.S., sez. IV, 17 novembre 2015, n. 5220), nel caso di specie il Ministero dell'interno si è limitato, in entrambi i motivi di appello, a ribadire gli argomenti difensivi svolti nel giudizio di primo grado, senza formulare puntuali (e necessarie) censure avverso il giudizio di doverosità dell'esercizio della potestà relativa al riconoscimento di misure straordinarie in favore dell'interessato.

Dalla lettura del ricorso in appello, infatti, non è dato ricavare alcuna argomentazione specificamente intesa a contestare la correttezza dell'argomentazione, sulla cui base la deliberazione controversa è stata giudicata illegittima e annullata, della necessità che la Commissione Centrale esaminasse il complesso della situazione dell'interessato e decidesse in ordine al riconoscimento in suo favore delle misure straordinarie necessarie al suo reinserimento sociale, sussistendo, ad avviso dei primi giudici, le condizioni che ne imponevano l'adozione.

3. L'appello risulta peraltro anche infondato.

3.1. Con il primo motivo, in particolare, il Ministero appellante - nel richiamare le proprie tesi difensive, dedotte in primo grado - ribadisce la coerenza della deliberazione controversa con la disciplina, contenuta nei primi quattro periodi del quindicesimo comma dell'art. 10 del d.m. n. 161 del 2004, individuata quale (unico) paradigma di legittimità del provvedimento impugnato in primo grado, sostenendo, in particolare, che la Commissione Centrale ha provveduto alla capitalizzazione delle misure di assistenza economica nella misura temporale massima di cinque anni prevista dalla citata disposizione regolamentare e che, quindi, tale determinazione resta immune da ogni vizio di legittimità (in quanto del tutto conforme al citato regime normativo di riferimento).

Rileva al riguardo la Sezione che i primi giudici hanno accertato l'illegittimità del provvedimento controverso in quanto violativo dell'ultimo periodo dell'art. 10 d.l. cit., là dove consente alla Commissione Centrale di "deliberare misure straordinarie anche di carattere economico eventualmente necessarie per il reinserimento sociale del collaboratore, del testimone e delle altre persone sottoposte a protezione", interpretato ed applicato, nella situazione di fatto esaminata, come impositivo dell'obbligo di riconoscere le predette misure extra ordinem o, quantomeno, del dovere di esaminare i presupposti per la loro deliberazione (e di motivare il loro eventuale diniego).

Orbene, fermo restando che l'Amministrazione (come sopra già accertato) non ha rivolto critiche a tale valutazione, va rilevato che la peculiare situazione dell'appellato - e, segnatamente le circostanze che, da quando era stato sottoposto al programma speciale di protezione, aveva perso il lavoro (come dipendente a tempo indeterminato della Standa, nella qualifica di quadro), la casa, il contesto ambientale nel quale era stabilmente inserito a Milano e le relative relazioni sociali, si era separato dalla moglie, doveva provvedere al mantenimento dei figli (oltre che alla loro visita) ed era stato di fatto allontanato dal mondo del lavoro - imponevano senz'altro alla Commissione Centrale di individuare misure ulteriori, rispetto alla sola capitalizzazione (seppur per l'arco temporale massimo consentito) delle misure di assistenza economica, per favorire il reinserimento sociale dell'interessato, che, dopo il lunghissimo periodo di operatività del programma di protezione, era praticamente rimasto privo di risorse per il suo mantenimento (così come, peraltro, già accertato, per altri familiari del medesimo collaboratore, sottoposti a protezione, da C.d.S., sez. VI, 29 febbraio 2008, n. 764).

3.2. Anche il secondo motivo di appello, con cui si deduce l'insussistenza, nel provvedimento controverso, dei vizi di carenza di motivazione e di disparità di trattamento (riscontrati dal T.A.R. e posti, tra l'altro, a fondamento del suo annullamento), risulta infondato, sulla base del duplice rilievo che, nella deliberazione in esame, non risulta rintracciabile alcuna disamina della complessiva situazione economica ed esistenziale dell'appellato, né risulta alcuna esplicitazione delle ragioni della mancata attribuzione delle misure straordinarie ritenute necessarie al suo reinserimento sociale (nel che, e non in altro, si risolve la carenza di motivazione accertata dai primi giudici), anche in considerazione del fatto che la Commissione Centrale aveva deliberato, in favore dell'interessato, la medesima misura (della capitalizzazione quinquennale) riconosciuta alla sua (ex) moglie, ancorché quest'ultima necessitasse, per la sua condizione di vita (attuale e originaria), di un aiuto decisamente più limitato di quello di cui egli aveva bisogno (e, quindi, con un ingiustificato pari trattamento di situazioni diverse).

4. Alle considerazioni che precedono conseguono, in definitiva, il rigetto dell'appello del Ministero dell'interno, la conferma della decisione impugnata, con il conseguente obbligo dell'Amministrazione di provvedere nuovamente in ordine alla posizione dell'appellato, in conformità ai principi sopra affermati.

5. Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello n. 8766 del 2015, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna il Ministero dell'interno a rifondere all'appellato le spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.000,00, oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.