Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino-Alto Adige
Trento
Sentenza 30 marzo 2016, n. 178
Presidente: Gabbricci - Estensore: Chiettini
FATTO E DIRITTO
1. Con il decreto in epigrafe depositato il 10 agosto 2010 la Corte di Appello di Trento ha accolto il ricorso proposto dai sig.ri Amelio e Laura G., rispettivamente padre e figlia, ai sensi dell'art. 3 della l. 24 marzo 2001, n. 89, per l'irragionevole durata di un processo civile.
Con il citato decreto la Corte di Appello ha statuito nel modo seguente:
a) ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento a favore di ciascuno dei ricorrenti G. della somma di euro 4.830,00;
b) ha posto a carico del nominato Ministero anche le spese di lite, liquidate complessivamente in euro 818,00 (oltre al rimborso degli accessori nelle misure di legge), somma, quest'ultima, distratta in favore degli avv.ti Giambattista e Francesca R.
2. Detto decreto è stato notificato con formula esecutiva al Ministero della Giustizia ed è passato in giudicato, come risulta dall'attestazione apposta il 25 settembre 2015 dalla Cancelleria della Corte di Appello di Trento.
3. L'Amministrazione, tuttavia, non aveva adempiuto.
Per cui la sig.ra Laura G. e il sig. Aldo D.A., quest'ultimo in dichiarata veste di "cessionario del credito maturato dal sig. G. con il Ministero della Giustizia", hanno introdotto il presente ricorso di ottemperanza per chiedere a questo Tribunale:
a) di dichiarare l'obbligo dell'Amministrazione resistente di provvedere al pagamento di tutte le somme determinate nel decreto in esame, assegnando un termine per adempiere;
b) di nominare, in caso di permanente inadempimento, un commissario ad acta;
c) di condannare il Ministero della Giustizia al pagamento di un'ulteriore somma di denaro a titolo di penalità di mora (o astreinte), ai sensi dell'art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a., per il ritardo nell'esecuzione del disposto del decreto;
d) di condannare il nominato Ministero anche al pagamento delle spese del presente giudizio, da distrarsi a favore dei difensori avv.ti R., dichiaratisi antistatari.
4. In 29 dicembre 2015 si è costituita in giudizio l'Amministrazione intimata, depositando la nota del precedente 22 dicembre con cui la Corte di Appello di Trento ha comunicato che, in ottemperanza al decreto in oggetto, sono stati emessi: a favore della ricorrente Laura G. un ordinativo di pagamento per complessivi euro 4.828,00; a favore dello Studio legale associato G.B. & F.R. un ordinativo di pagamento per complessivi euro 976,49.
Da ciò, la richiesta dell'Avvocatura dello Stato che sia dichiarata cessata la materia del contendere nei confronti degli indicati ricorrenti.
5. Il ricorso era stato chiamato alla camera di consiglio del 10 marzo 2016, quando la difesa dei ricorrenti ha confermato che, nelle more del giudizio, è intervenuto il pagamento di quanto richiesto in sede di ottemperanza a favore della sig.ra Laura G. e degli avv.ti R.
Il Presidente del Collegio ha sottoposto alle parti, ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., la questione della legittimazione del ricorrente Aldo D.A., questione per la quale il difensore ha chiesto il rinvio della trattazione del ricorso all'odierna camera di consiglio, quando ha depositato la "comunicazione scritta" con cui il sig. Amelio G. ha ceduto "l'eventuale credito verso il Ministero della Giustizia" al ricorrente D.A. (documento, invero, già agli atti di causa).
Il ricorso è stato poi trattenuto per la decisione.
6. Il Collegio osserva, anzitutto, che quello in esame è un ricorso collettivo, strumento ammissibile nel processo amministrativo quando esso si traduce, come nel caso, in un pluralità di azioni contestualmente proposte in un unico atto. Con il ricorso collettivo le posizioni soggettive di ciascuno dei ricorrenti rispetto all'atto impugnato, o al rapporto controverso, non si comunicano agli altri perché il gravame si risolve in una pluralità di azioni autonome, solo cartolarmente congiunte. Pertanto le posizioni soggettive di ciascuno dei ricorrenti rispetto all'atto impugnato non si comunicano agli altri, tanto che un'eventuale pronuncia di inammissibilità dell'azione per uno dei ricorrenti non preclude una pronuncia di merito per l'altro (cfr. T.R.G.A. Trento, 13 gennaio 2016, n. 14; 2 dicembre 2015, n. 494; 23 maggio 2012, n. 155; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 17 dicembre 2012, n. 3056).
Consegue a tali principi che il Collegio deve valutare e, se del caso, distinguere le posizioni soggettive di ciascuno dei ricorrenti.
7. Ebbene, con riferimento alla domanda di ottemperanza introdotta dalla ricorrente sig.ra Laura G. e dagli avv.ti R., per quanto sopra specificato ai punti 4. e 5. il Collegio deve dichiarare la cessazione della materia del contendere, ai sensi dell'art. 34, comma 5, c.p.a.
8.1. Con riferimento alle domande introdotte sempre dalla ricorrente sig.ra Laura G. e dagli avv.ti R. per ottenere la condanna dell'Amministrazione al pagamento di una somma di denaro a titolo di penalità di mora, o astreinte, vale rammentare che il Tribunale si era da ultimo uniformato (cfr., per tutte, T.R.G.A. Trento, 22 ottobre 2015, n. 394 e n. 398; 12 ottobre 2015, n. 385) all'interpretazione stabilita dal Giudice d'appello (cfr., per tutte, sentenze brevi 13 ottobre 2015, nn. 4780, 4724 e 4722), per la quale, dal tenore letterale dell'art. 114, comma 4, c.p.a., "si rileva che il legislatore ha attribuito al giudice dell'ottemperanza uno strumento per indurre l'Amministrazione ad eseguire tempestivamente l'ordine di pagamento dallo stesso formulato, di talché tale strumento non è ovviamente utilizzabile per gli adempimenti pregressi, produttivi piuttosto di obbligazioni di natura risarcitoria".
Tale posizione è stata condivisa e dunque codificata dal Legislatore, che (così superando le oscillazioni della giurisprudenza) con il comma 781 dell'art. 1 della legge di stabilità 2016 (l. 28 dicembre 2015, n. 208) ha aggiunto alla lett. e) del comma 4 dell'art. 114 c.p.a. il seguente periodo: "Nei giudizi di ottemperanza aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, la penalità di mora di cui al primo periodo decorre dal giorno della comunicazione o notificazione dell'ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza".
8.2. Conseguentemente, le domande di astreinte devono essere respinte, poiché il pagamento delle somme che l'Amministrazione era stata condannata a versare è avvenuto prima del deposito della presente decisione.
9.1. Con riferimento, invece, alla posizione del ricorrente sig. Aldo D.A., coniuge della sig.ra Laura G., il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione.
9.2. A tale riguardo occorre rilevare, in punto di fatto che, a fondamento della sua posizione e della sua pretesa, il sig. D.A. afferma di agire in qualità di "cessionario del credito maturato da Amelio G. con il Ministero della Giustizia" e che, a comprova di tale affermazione, allega una dichiarazione manoscritta e sottoscritta, su carta semplice, del sig. Amelio G., con la quale il suocero dichiarò di cedere a lui "anche il mio eventuale credito per danni verso il Ministero della Giustizia" (doc. n. 1).
Il Collegio osserva ora che il procedimento civile promosso ai sensi dell'art. 3 della l. n. 89 del 2001 è stato iscritto a ruolo in data 5 maggio 2010; che la dichiarazione del sig. G. è datata 27 maggio 2010; che il sig. G. è deceduto un mese dopo, il 1° luglio 2010; che il decreto della Corte di Appello in oggetto è stato pubblicato dopo la sua morte, ossia il successivo 10 agosto 2010; che il sig. D.A. ha "accettato la cessione" cinque anni dopo, con una dichiarazione manoscritta e sottoscritta, su carta semplice, datata 19 settembre 2015 (doc. n. 5).
9.3. Sull'istituto "cessione del credito" si ricorda, in linea generale, che, in ossequio al principio generale dell'ordinamento giuridico della libera cedibilità del credito, posto agli artt. 1260 e ss. del c.c., la cessione del credito è un negozio causale per cui, se non disposta a titolo oneroso, deve ritenersi a causa presunta, fino a prova della relativa inesistenza o illiceità, potendo avere ad oggetto anche una ragione di credito o un diritto futuro, purché determinato o determinabile, nel qual caso l'effetto traslativo si produce al momento della relativa venuta a esistenza in capo al cedente. A seguito della puntuale ricostruzione delle regole e dei principi che governano l'istituto della cessione del credito, la Corte di cassazione ha affermato che "ben può allora il diritto (o la ragione) di credito al risarcimento del danno non patrimoniale costituire oggetto di cessione, a titolo oneroso o gratuito, ai sensi e nei limiti dell'art. 1260 c.c." (Cass. civ., sez. III, 2 ottobre 2013, n. 22601).
Ai fini del perfezionamento della cessione del credito è necessario l'accordo tra il cedente e il cessionario (Cass. civ., 13 novembre 1973, n. 3004), che determina la successione di quest'ultimo al primo nel medesimo rapporto obbligatorio, con effetti traslativi immediati non solo tra di essi ma anche nei confronti del debitore ceduto, nei cui confronti la cessione diviene efficace all'esito della relativa notificazione o accettazione (art. 1264 c.c. - Cass. civ., 20 ottobre 2004, n. 20548). L'accettazione della cessione ha natura non costitutiva bensì ricognitiva e, a tale stregua, al debitore ceduto non è precluso far valere l'eccezione di invalidità e di estinzione del rapporto obbligatorio, mentre esclude l'efficacia liberatoria del pagamento fatto al creditore originario.
Nondimeno, in deroga al principio civilistico della cedibilità del credito anche senza il consenso del debitore, per la cessione di crediti vantati nei confronti della Pubblica amministrazione, l'art. 69, commi primo e terzo, della legge di contabilità dello Stato (r.d. 18 novembre 1923, n. 2440) stabilisce che la cessione deve risultare da atto pubblico o da scrittura autenticata da notaio, e che deve essere notificata all'Amministrazione centrale, ovvero all'ente ovvero ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento.
9.4. Ebbene, dall'esame della disciplina riportata emerge che anche il diritto di credito al risarcimento del danno non patrimoniale da mancato rispetto del termine ragionevole di durata di un processo può essere ceduto, ai sensi e nei limiti dell'art. 1260 c.c. ma nel rispetto delle forme di cui all'art. 69, commi primo e terzo, del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440.
9.5. Tuttavia, nella vicenda di causa si osserva che la dichiarazione del sig. G. all'esame, datata 27 maggio 2010, contiene una mera manifestazione unilaterale di volontà di cedere un diritto di credito futuro, sorto a seguito della mera introduzione del ricorso ex art. 3 della legge Pinto ma, a quel tempo, non ancora identificato in tutti i suoi elementi costitutivi. Tuttavia, a quella data, o comunque prima del decesso del cedente G., il contratto di cessione non si perfezionò perché mancò (prima ancora della forma e della notifica) il consenso del cessionario D.A., consenso che, come si è visto, è tardivamente intervenuto dopo la morte del cedente, quindi in un momento posteriore all'apertura della successione (di cristallizzazione della massa ereditaria, attiva e passiva), e nella quale, di conseguenza, quella manifestazione unilaterale di volontà del G. è necessariamente confluita.
9.6. Deriva da ciò che il D.A. non ha alcuna titolarità sul rapporto sostanziale controverso, ossia il credito del defunto Amelio G. nei confronti del Ministero della Giustizia a seguito del riconoscimento del danno non patrimoniale per eccessiva durata di un processo, di cui al decreto in epigrafe, sicché non ha la giuridica possibilità di presentarsi in giudizio per far valere ragioni su quel credito.
Nei suoi confronti, di conseguenza, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione.
10. Da ultimo, quanto alle spese del presente giudizio, il Collegio ritiene di compensarle, stante sì la soccombenza (virtuale) dell'Amministrazione nei confronti del coniuge Laura G., ma l'infondatezza delle domande di astreinte e la soccombenza (sostanziale) del coniuge Aldo D.A.
P.Q.M.
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 384 del 2015:
- quanto alla domanda principale introdotta dalla ricorrente Laura G. e dagli avv.ti R., dichiara la cessazione della materia del contendere;
- quanto alle domande di penalità di mora introdotte dalla ricorrente Laura G. e dagli avv.ti R., le respinge;
- quanto alle domande introdotte dal ricorrente Aldo D.A., dichiara il ricorso inammissibile per difetto di legittimazione.
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.