Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 3 febbraio 2016, n. 25867
Presidente: Vecchio - Estensore: Cavallo
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Lecce, in composizione monocratica, investito del procedimento penale a carico di G. Stefania - imputata del reato di cui all'art. 483 c.p. - a seguito dell'opposizione proposta dalla predetta al decreto penale di condanna emesso nei suoi confronti il 12 maggio 2014 dal Giudice delle indagini preliminari della sede, nel rilevare che con l'atto di opposizione era stata avanzata dall'imputata richiesta di messa alla prova ex art. 464-bis c.p.p. - con ordinanza dibattimentale deliberata il 4 giugno 2015, ha dichiarato la propria incompetenza a decidere sull'istanza, ritenendo competente a conoscere della stessa il Giudice delle indagini preliminari della sede «in analogia a quanto previsto dal codice per le richieste di riti alternativi formulati con l'opposizione stessa».
2. Il Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Lecce, investito della cognizione del predetto procedimento relativamente alla deliberazione sull'istanza di messa alla prova, con ordinanza emessa il 6 ottobre 2015, ha sollevato conflitto negativo di competenza, con conseguente rimessione degli atti, per la decisione, a questa Corte di legittimità.
Secondo quel giudice, infatti, l'istituto della messa in prova, se pur ricompreso nell'ambito dei procedimenti speciali, configurandosi sostanzialmente come una causa di estinzione del reato, in alcun modo può considerarsi equiparabile ad un rito alternativo, trattandosi di «istituti aventi un fondamento diverso e che mirano a raggiungere finalità processuali del tutto distinte», sicché nel caso di specie deve ritenersi che sia il Tribunale di Lecce in composizione monocratica il giudice competente a decidere in merito alla eventuale sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Preliminarmente va dichiarata l'ammissibilità in rito del conflitto, in quanto l'indubbia esistenza di una situazione di stasi processuale, derivata dal rifiuto, formalmente manifestato, di due giudici a conoscere dello stesso procedimento, appare insuperabile senza l'intervento di questa Suprema Corte.
2. Ciò premesso, il conflitto va risolto dichiarando la competenza del Tribunale di Lecce in composizione monocratica, con conseguente annullamento senza rinvio del provvedimento declinatorio di competenza emesso il 4 giugno 2015.
Ritiene infatti il Collegio, come correttamente affermato dal Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Lecce nell'ordinanza che ha sollevato il conflitto, che l'art. 461, comma 3, c.p.p., ovvero la norma che individua nel giudice che ha emesso il decreto penale di condanna l'autorità giudiziaria destinataria della richiesta dell'imputato di ammissione al giudizio abbreviato ovvero di applicazione della pena a norma dell'art. 444 c.p.p., non è applicabile, in via analogica, alla diversa ipotesi in cui con l'opposizione al decreto penale sia stata invece formulata una richiesta di messa alla prova ex art. 464-bis c.p.p.
In favore di tale soluzione militano, invero, come correttamente rilevato dal giudice che ha sollevato il conflitto, sia l'obiettiva diversità della richiesta di messa alla prova rispetto a quella di ammissione ad un rito alternativo, resa evidente anche dal dato testuale della mancanza di una espressa previsione in tal senso, da ritenersi indicativa di una volontà del legislatore di attribuire, in tal caso, la competenza al giudice chiamato a definire il giudizio conseguente all'opposizione, sia anche la previsione dell'art. 464-sexies c.p.p., secondo cui "durante la sospensione del procedimento con messa alla prova il giudice con le modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta di parte, le prove non rinviabili e quelle che possono condurre al proscioglimento dell'imputato".
Deve riconoscersi, infatti, come pure acutamente rilevato dal giudice che ha sollevato il conflitto, che se dovesse essere ritenuto competente il Giudice delle indagini preliminari, quest'ultimo, del tutto incongruamente, «dovrebbe acquisire delle prove relativamente al giudizio che, in caso di revoca dell'ordinanza di sospensione con messa la prova, verrebbe poi ad essere celebrato, per la restante parte, dal giudice del dibattimento», con la conseguenza che, «così argomentando il legislatore avrebbe introdotto una nuova ipotesi di "incidente probatorio", ulteriormente derogando in maniera tra l'altro non espressa al principio di oralità della prova».
Occorre altresì considerare che l'art. 464-octies, comma 4, c.p.p., in caso di revoca dell'ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova, prevede espressamente che "quando l'ordinanza di revoca è divenuta definitiva il procedimento riprende il suo corso dal momento in cui era rimasto sospeso", il che induce a ritenere, proprio in considerazione del carattere "incidentale" dell'istituto e del conseguimento dell'estinzione del reato solo in caso di esito positivo della messa in prova, che il procedimento debba essere trattato, nel caso di opposizione a decreto penale di condanna, innanzi al giudice davanti al quale sarà essere espletato il giudizio, che nel caso in specie è senz'altro quello dibattimentale.
P.Q.M.
Risolvendo il conflitto dichiara la competenza del Tribunale di Lecce in composizione monocratica e annulla senza rinvio il provvedimento declinatorio di quel giudice, cui dispone trasmettersi gli atti.
Depositata il 22 giugno 2016.