Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 11 gennaio 2018, n. 140

Presidente: Lipari - Estensore: Fedullo

FATTO E DIRITTO

Con la sentenza oggetto del presente appello, il T.A.R. per la Basilicata si è pronunciato, dichiarandone l'irricevibilità, sul ricorso proposto dalla società appellante nei confronti dell'Azienda Sanitaria locale di Potenza (ASP), per sentirla condannare al risarcimento del danno derivante dall'illegittima condotta tenuta dalla ex AUSL n. 2 di Potenza nell'ambito del procedimento scaturito dall'"avviso di ricerca di immobili da acquisire in locazione con destinazione uffici amministrativi e sanitari".

Lamentava in particolare la società appellante, con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, che l'Amministrazione, con la deliberazione del Direttore Generale n. 1224 del 21 dicembre 2007, aveva illegittimamente interrotto il procedimento suindicato, avviato con la precedente delibera n. 162 del 27 febbraio 2007 ed al quale essa aveva partecipato, promuovendone un altro al quale la medesima società era rimasta estranea per cause indipendenti dalla sua volontà (ed ascrivibili, invece, all'illegittimo operato dall'Amministrazione), che si era concluso con la stipulazione del contratto di locazione con la società Russoinvest di Giuseppe Russo & C. s.a.s.: in tal modo, essa deduceva che le era stato precluso di locare l'immobile offerto, con il conseguente pregiudizio conseguente al mancato incasso del canone di locazione pari a complessivi Euro 3.096.000,00 oltre IVA, aggiornamenti ISTAT e relativi interessi legali.

La declaratoria di irricevibilità del ricorso, censurata con l'interposto appello, veniva fondata dal T.A.R. sul fatto che il termine per l'impugnazione della contestata delibera del Direttore generale n. 1224 del 21 dicembre 2007 doveva farsi decorrere dall'ultimo giorno di pubblicazione di tale provvedimento all'Albo Pretorio della ex AUSL, non essendo stato previsto alcun obbligo di notifica individuale.

Evidenziava inoltre il T.A.R., al medesimo fine dimostrativo della tardività del ricorso, che la ricorrente, indipendentemente dalla data di pubblicazione, era comunque venuta a conoscenza della suddetta delibera n. 1224 del 21 dicembre 2007, da cui erano scaturiti tutti i danni da essa patiti, in quanto informata del suo contenuto con lettera raccomandata alla stessa pervenuta in data 1° giugno 2012: pertanto, concludeva il T.A.R., il termine per proporre il ricorso, tenuto conto della sospensione feriale dei termini processuali, era venuto a scadere il 14 novembre 2012, mentre la pretesa risarcitoria era stata proposta con atto notificato solo in data 13 aprile 2013, quando era ormai spirato il termine decadenziale prescritto dall'art. 30, comma 3, c.p.a., ai sensi del quale la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi deve essere proposta entro il termine di decadenza di 120 giorni decorrente dalla conoscenza del provvedimento lesivo, se il danno - come nella specie - deriva direttamente da questo.

Con i motivi di appello, la parte appellante deduce in primo luogo che la sentenza è errata laddove, facendo leva sull'art. 19 del d.lgs. n. 163/2006 (applicabile ratione temporis), ai sensi del quale "il presente codice non si applica ai contratti pubblici: a) aventi per oggetto l'acquisto o la locazione, quali che siano le relative modalità finanziarie, di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni...", esclude l'obbligo della Amministrazione di comunicare, ai sensi dell'art. 79 del medesimo testo normativo, gli esiti della gara alle ditte partecipanti: l'art. 27 del Codice dei contratti pubblici fa infatti salva, per i contratti cd. "esclusi", l'applicazione dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità, che la delibera n. 1224 del 21 dicembre 2007 viola palesemente.

Inoltre, la parte appellante richiama la "giurisprudenza consolidata" in base alla quale le risultanze di tutte le procedure di gara devono essere rese note ai partecipanti secondo le modalità di cui all'art. 2, comma 1, del Codice, soggiacendo quindi all'obbligo di comunicazione di cui al citato art. 79.

La sentenza appellata viene altresì criticata laddove fa decorrere il termine per proporre la domanda risarcitoria dal ricevimento, in data 1° giugno 2012, della lettera prot. n. 53472/2 del 30 aprile 2012, nella quale la delibera n. 1224 del 21 dicembre 2007 viene solo menzionata senza essere alla stessa allegata, restando quindi impedita la conoscenza del suo contenuto effettivo, la quale si è avuta solo in data 17 dicembre 2012, quando l'Azienda ne rilasciava copia alla parte interessata.

Deduce ancora la parte appellante che, poiché le doglianze attoree configurano una responsabilità precontrattuale dell'Amministrazione, dovrebbe applicarsi il termine quinquennale di prescrizione dell'azione risarcitoria, ai sensi dell'art. 2947 c.c.

Infine, la parte appellante allega i profili di illegittimità della delibera n. 1224/2007 già rappresentati in primo grado e ribadisce, anche nei profili quantitativi, il petitum risarcitorio sottoposto alla cognizione del T.A.R.

Tanto premesso, l'appello non merita accoglimento.

Come si evince dall'esposizione che precede, è controversa l'individuazione del dies a quo del termine entro il quale, ai sensi dell'art. 30, comma 3, c.p.a., doveva essere proposta la domanda risarcitoria de qua, prescrivendo la disposizione citata che "la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo".

Il T.A.R. infatti, dopo aver statuito che "la società ricorrente ha chiesto il risarcimento dell'interesse legittimo, leso dall'adozione di un provvedimento amministrativo ritenuto non conforme a legge", ha rilevato la tardività - per avvenuta consumazione del predetto termine - dell'azione risarcitoria rispetto alla data di pubblicazione e comunque di effettiva e diretta conoscenza da parte della società ricorrente del provvedimento lesivo all'origine del danno lamentato (provvedimento coincidente con la delibera n. 1224/2017, di indizione di un nuovo procedimento selettivo per la ricerca di un immobile da locare, essendo stato ritenuto quello precedentemente svolto, ed al quale la società appellante aveva partecipato, inidoneo al raggiungimento dell'interesse pubblico perseguito).

La società appellante, nel criticare la sentenza impugnata nella parte in cui afferma l'insussistenza in capo all'Amministrazione appellata di un obbligo comunicativo costruito sulla falsariga di quello delineato, nell'ambito delle procedure di evidenza pubblica, dall'art. 79 d.lgs. n. 163/2006, deduce essenzialmente che il contratto alla cui stipulazione era finalizzato il procedimento in discorso, in quanto appartenente alla categoria dei "contratti esclusi", era comunque soggetto, ai sensi dell'art. 27, al rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, di cui anche la citata disposizione costituirebbe espressione.

Ebbene, ritiene in primo luogo la Sezione che la soluzione della controversia, quanto alla individuazione del dies a quo dal quale far decorrere il termine di cui all'art. 30, comma 3, c.p.a., sia indipendente dalla questione interpretativa, sollevata dalla parte appellante, concernente l'applicabilità alla fattispecie in esame dell'art. 79 d.lgs. n. 163/2006, ergo degli obblighi informativi da esso contemplati.

In ogni caso, poi, anche ammessa l'applicabilità alla vicenda in esame della citata disposizione, in quanto espressione dei principi generali di trasparenza e di pubblicità che devono permeare qualunque procedimento comparativo mirante all'attribuzione di un vantaggio di cui la P.A. abbia la disponibilità, deve rilevarsi che lo schema comunicativo da essa contemplato, concepito e dettagliato in vista della specifica conformazione strutturale e delle peculiari esigenze funzionali del procedimento di gara stricto sensu inteso, non potrebbe che essere adattato alla procedura di cui si tratta, intesa alla stipulazione di un contratto pubblico di locazione sulla base di una ricerca di mercato, e la sua idoneità informativa messa in relazione alla comune finalità di garantire al destinatario una conoscenza sufficientemente compiuta della determinazione amministrativa oggetto di comunicazione: sì che la stessa questione interpretativa concernente l'applicabilità dell'art. 79 d.lgs. n. 163/2006 si traduce e dissolve in quella, più generale, concernente l'avvenuto assolvimento da parte dell'Amministrazione, ed in quale momento, dell'onere informativo atto a determinare, in capo ai soggetti interessati (tra i quali la società appellante), la decorrenza del temine di impugnazione.

Così delineati i termini dell'indagine, che assume quindi contorni prettamente fattuali, non può non richiamarsi, prima di procedervi, quanto ha affermato la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (ex plurimis: C.d.S., Sez. III, 19 settembre 2011, n. 5268; Sez. IV, 13 aprile 2016, n. 1459; 29 ottobre 2015, n. 4945; 28 maggio 2012, n. 3159; Sez. V, 30 novembre 2015, n. 5398; 20 novembre 2015, n. 5292; 23 settembre 2015, n. 4443; 7 agosto 2015, n. 3881; 16 febbraio 2015, n. 777; Sez. VI, 19 febbraio 2016, n. 674) in tema di decorrenza del termine per la proposizione dell'azione impugnatoria, nel senso che esso "decorre dalla consapevolezza dell'esistenza del provvedimento e della sua potenziale lesività, mentre l'esistenza di ulteriori vizi o la compiuta conoscenza dei vizi inizialmente riscontrati, acquisita attraverso la conoscenza "integrale" del provvedimento medesimo o ulteriori atti del procedimento, consente di proporre motivi aggiunti nell'ambito dell'impugnazione già proposta. L'indirizzo giurisprudenziale in questione riposa sull'esigenza di certezza dell'azione amministrativa, rispetto alla quale il termine decadenziale per proporre ricorso è consustanziale, e che è tale da non ammettere dilazioni legate all'eventuale incompletezza della cognizione sugli atti del procedimento o sul contenuto integrale del provvedimento impugnato".

I principi così tratteggiati risultano sostanzialmente validi, salve le precisazioni che si faranno più avanti, anche in una prospettiva processuale non strettamente caducatoria, ma intesa alla somministrazione della (parallela e complementare) tutela risarcitoria, almeno quando, come nella specie, la genesi dell'obbligo risarcitorio venga ricollegata all'adozione del provvedimento asseritamente illegittimo.

Ebbene, assume carattere dirimente, al fine di confermare la statuizione di irricevibilità del ricorso contenuta nella sentenza appellata, la nota prot. n. 53472/2 del 30 aprile 2012, ricevuta dalla parte appellante in data 1° giugno 2012, con la quale l'Amministrazione appellata, in riscontro alla richiesta di informazioni della prima, comunicava che "questa Azienda:

- con deliberazione n. 1224 del 21 dicembre 2007 (...) prendeva atto dei verbali della suddetta gara;

- contestualmente con lo stesso atto n. 1224/2007 indiceva nuovo avviso di ricerca immobili, poiché la Direzione Generale aveva ritenuto che "i tempi per dare esecuzione ai lavori di adeguamento alle esigenze dell'azienda e per il cambio di destinazione d'uso sono molto elevati e vanno oltre le aspettative e le esigenze dell'Azienda";

- il nuovo avviso di ricerca veniva pubblica sul sito web dell'Azienda, all'Albo aziendale e mediante l'affissione tramite l'Ufficio Affissioni del Comune di Potenza (100 manifesti nella Città di Potenza dal 7 febbraio 2008 al 7 marzo 2008);

- dagli atti della seconda procedura si rileva che la S.V. non ha prodotto alcuna offerta".

Deve ritenersi che, mediante la nota suindicata, la parte appellante sia stata messa in condizioni di conoscere il contenuto lesivo del provvedimento suindicato (connesso all'arresto procedimentale che esso determinava rispetto alla procedura cui la parte appellante aveva partecipato) e le stesse ragioni principali della sua adozione (relative alla affermata incompatibilità con le esigenze aziendali dei tempi necessari per eseguire i lavori di adeguamento e di cambio di destinazione d'uso degli immobili oggetto di offerta).

A quella data, inoltre, la parte appellante era altresì avveduta dei profili di dedotta illegittimità del provvedimento, poi rappresentati con il ricorso introduttivo, e delle circostanze sulle quali si basavano: basti menzionare, a tale riguardo, il carattere asseritamente non necessario del cambio di destinazione d'uso al fine di utilizzare i locali da essa offerti in modo conforme alle esigenze aziendali (cambio di destinazione d'uso i cui tempi di realizzazione avevano concorso a determinare il ripensamento dell'Amministrazione) e la dedotta insussistenza delle ragioni di urgenza poste a fondamento del provvedimento lesivo, di cui sarebbe stato sintomatico, alla stregua delle allegazioni attoree, l'allungamento dei tempi che il modus operandi dell'Amministrazione aveva comportato, a fronte della possibilità per la parte appellante di rendere disponibili i locali già per l'inizio dell'anno 2008.

Né, come si accennava, a diverse conclusioni potrebbe addivenirsi nella prospettiva risarcitoria sulla quale si innesta la domanda attorea, nei termini in precedenza delineati, atteso che la predetta comunicazione già consentiva alla parte appellante di percepire la definitiva frustrazione delle sue aspettative contrattuali, connesse al primo procedimento selettivo, e la preclusione che la delibera n. 1224/2007 comportava per la possibilità di far valere le sue chances nell'ambito del nuovo (ed ormai per la parte appellante inaccessibile).

Ebbene, rispetto al nucleo informativo che la società appellante aveva acquisito già per effetto della comunicazione citata, l'accesso alla copia integrale della delibera n. 1224/2007, ed agli atti del relativo procedimento, avvenuto solo in data 17 dicembre 2012, non avrebbe potuto apportare alcun significativo arricchimento alla percezione dell'interesse al ricorso (anche in prospettiva risarcitoria) già compiutamente maturata in capo alla parte appellante, se non sotto il profilo della eventuale articolazione di motivi aggiunti ovvero più ampiamente, anche al di fuori dell'ottica strettamente impugnatoria, della formulazione di ulteriori allegazioni atte a corroborare la domanda risarcitoria eventualmente proposta.

Resta adesso da esaminare la doglianza con la quale la parte appellante, sul presupposto che la domanda risarcitoria sarebbe inquadrabile (anche) nello schema della responsabilità pre-contrattuale, ha invocato l'applicazione del termine di prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c., in luogo di quello decadenziale ex art. 30, comma 3, c.p.a.

L'inammissibilità della domanda risarcitoria così configurata, in ragione della sua estraneità alla giurisdizione amministrativa, consente di non approfondire il tema della compatibilità della deduzione con i limiti di cui all'art. 104, comma 1, c.p.a.: a questo riguardo, peraltro, può solo osservarsi che se è vero che il petitum formulato con il ricorso introduttivo fa univoco riferimento alla responsabilità della P.A. conseguente all'adozione di un provvedimento illegittimo, tuttavia, la formulazione ampia della causa petendi si presta ad adombrare una concorrente fattispecie di responsabilità pre-contrattuale da contatto, laddove accenna al contrasto dell'agere amministrativo con le regole di correttezza e di trasparenza (che tipicamente devono informare la fase delle trattative contrattuali).

Ebbene, venendo alle ragioni della divisata inammissibilità, è noto che una responsabilità così configurata non chiama in causa le modalità di esercizio del potere, né quindi l'incidenza dello stesso su posizioni di interesse legittimo, ma assume a suo fondamento la difformità dell'azione della P.A., nella conduzione delle trattative contrattuali (anche se modellate secondo lo schema dell'evidenza pubblica), rispetto ai canoni di buona fede e correttezza che informano le relazioni pre-contrattuali tra soggetti privati ed ai quali deve attenersi anche il soggetto pubblico: canoni la cui violazione non impinge perciò in situazioni di interesse legittimo, ma di pieno diritto soggettivo.

Ne consegue che, non ricadendo la fattispecie in esame, come affermato con la stessa sentenza impugnata, in alcuna ipotesi di giurisdizione amministrativa esclusiva (non, in particolare, in quella di cui all'art. 133, comma 1, lett. e), c.p.a., concernente le "controversie relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie..."), e non potendo quindi la relativa domanda essere attratta alla giurisdizione amministrativa ai sensi dell'art. 30, comma 2, c.p.a. (a mente del quale "nei casi di giurisdizione esclusiva può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi"), non resta che affermarne l'estraneità alla cognizione del giudice amministrativo.

È noto, infatti, che al di fuori del perimetro della giurisdizione esclusiva, "la giurisdizione va affermata sulla base dei criteri di riparto ancorati alla distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi, e perciò in funzione della natura giuridica delle situazioni soggettive dedotte in giudizio. Tale natura attiene ad una pretesa il cui soddisfacimento non postula la demolizione di alcun atto amministrativo, giacché allega un illecito extracontrattuale a carico della P.A. e non contesta la procedura relativa alla individuazione del contraente" (cfr. Cass. civ., sez. un., n. 11656 del 12 maggio 2008).

Né varrebbe osservare, per giungere ad una diversa conclusione (quanto alla qualificazione della fattispecie risarcitoria e, di riflesso, della situazione giuridica del danneggiato), che la fattispecie in esame è caratterizzata, anche nella rappresentazione che ne ha dato la parte appellante, da una indissolubile commistione tra (la violazione di) generali regole di correttezza e norme di azione proprie dell'agere autoritativo della P.A., tanto che lo stesso provvedimento impugnato (delibera n. 1224/2007) collide, secondo le allegazioni attoree, contemporaneamente con le une e con le altre: la qualificazione della situazione di cui è titolare il soggetto leso, e la connessa risposta al quesito inerente alla giurisdizione, non dipende infatti dallo strumento, eventualmente provvedimentale, della lesione, ma dalla norma di cui viene lamentata in giudizio la violazione, onde verificare se essa incide su posizioni (di diritto soggettivo) di cui il privato è titolare erga omnes, come nel caso in cui venga invocata la responsabilità pre-contrattuale dell'Amministrazione, ovvero nasce e si sviluppa (come è tipico dell'interesse legittimo) esclusivamente nella relazione pubblicistica con la P.A.

Deve solo precisarsi che il rilievo d'ufficio del difetto di giurisdizione non è impedito, nella fattispecie in esame, dal disposto dell'art. 9, secondo periodo, c.p.a., ai sensi del quale esso "nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione", dal momento che la sentenza impugnata non si è affatto pronunciata sulla domanda ex art. 1337 c.c., essendo la statuizione (affermativa) sulla giurisdizione in essa contenuta circoscritta alla domanda risarcitoria avente ad oggetto la posizione della società ricorrente di "interesse legittimo, leso dall'adozione di un provvedimento amministrativo ritenuto non conforme a legge, la cui tutela, ai sensi dell'art. 30 dello stesso codice, spetta alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo".

L'appello, in conclusione, deve essere in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

In difetto di costituzione delle parti appellate, non vi è luogo ad alcuna pronuncia sulle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, in parte lo respinge ed in parte lo dichiara inammissibile.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.