Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 14 giugno 2018, n. 3657

Presidente: Anastasi - Estensore: Caponigro

FATTO E DIRITTO

1. Il T.a.r. Lazio, Sezione Prima, con sentenza n. 2539 del 17 marzo 2004, ha annullato il decreto del Vice Capo Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia del 7 marzo 2002, con il quale è stata disposta l'esclusione del signor Andrea V. dal Corpo di Polizia Penitenziaria per non essersi utilmente collocato in graduatoria a causa di sanzioni disciplinari riportate nel servizio prestato in qualità di Carabiniere ausiliario (Allievo, secondo quanto specificato nell'atto di appello).

L'amministrazione, con decreto in data 20 aprile 2004, ha reintegrato in servizio l'interessato, con qualifica di agente di Polizia Penitenziaria, con decorrenza giuridica dalla data del provvedimento ed economica dalla data di effettiva presentazione, con riserva all'esito del procedimento penale ove pendente.

Il T.a.r. Lazio, Sezione Prima Quater, con sentenza n. 11085 del 23 dicembre 2013, ha accolto in parte il ricorso proposto dal signor V. avverso tale decreto ed ha annullato il provvedimento limitatamente alla parte in cui la decorrenza giuridica della riammissione in servizio, ai fini della ricostruzione di carriera, è fissata alla data di adozione del provvedimento stesso anziché alla data di adozione del provvedimento di dimissioni dal servizio.

Detta sentenza, invece, ha ritenuto infondate la richiesta di retrodatazione degli effetti ai fini economici, nel senso del riconoscimento del diritto a percepire le retribuzioni previste per il periodo di servizio non prestato, anche sotto forma di risarcimento del danno, e le ulteriori pretese risarcitorie.

Il signor V. ha proposto appello avverso la sentenza in discorso nella parte in cui, non riconoscendo la colpa dell'Amministrazione, ha respinto le domande di natura economica, anche risarcitoria.

Ha articolato i seguenti motivi di doglianza:

Violazione di legge per difetto ed erroneità della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della colpa dell'amministrazione.

L'appellante ha premesso di non avere reso alcuna dichiarazione infedele ed ha sostenuto che la determinazione dell'organo giudicante non sarebbe condivisibile in quanto non potrebbero essere imputati al candidato la tardività del controllo dei requisiti posseduti dal medesimo per la partecipazione alla procedura concorsuale ed il conseguente collocamento in graduatoria.

Peraltro, non sarebbe comprensibile come l'autocertificazione prodotta possa assurgere a fondamento dell'errore scusabile dell'Amministrazione se la stessa era in possesso del foglio matricolare del candidato e, quindi, nella immediata possibilità di verificare la bontà delle sue dichiarazioni.

I profili della colpa, già riscontrabili a prima lettura nella sentenza del T.a.r. Lazio n. 2539 del 2004, a cui l'amministrazione ha dato erronea ed insufficiente esecuzione con il decreto adottato in data 20 aprile 2004, sarebbero ignorati o comunque disconosciuti nella sentenza oggetto di impugnazione.

In definitiva, sussisterebbe un diritto in capo all'appellante consistente nel riconoscimento e nella corresponsione se non dell'integrale trattamento economico relativo al periodo antecedente alla reintegrazione in servizio, che comunque l'interessato chiede in via principale, quantomeno del risarcimento del danno patito per colpa esclusiva dell'Amministrazione.

L'Avvocatura Generale dello Stato si è costituita in giudizio per resistere all'appello.

Il signor V. ha depositato altra memoria a sostegno delle proprie ragioni.

All'udienza pubblica del 24 maggio 2018, la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. L'appello è infondato e va respinto, con conseguente conferma della sentenza appellata, sia pure con diversa motivazione.

2.1. La sentenza appellata ha respinto in parte qua il ricorso proposto in primo grado con la seguente motivazione:

"Infondate sono invece la richiesta di retrodatazione degli effetti ai fini economici, nel senso del riconoscimento del diritto a percepire le retribuzioni previste per il periodo di servizio non prestato, anche sotto forma di risarcimento del danno, e le ulteriori pretese risarcitorie.

Se infatti la retrodatazione giuridica e la conseguente ricostruzione di carriera sono destinati ad assumere effetti anche ai fini della successiva progressione economica del dipendente, il diritto a percepire le retribuzioni per il periodo di servizio non prestato a causa dell'atto di interruzione del rapporto, ritenuto illegittimo in sede giurisdizionale, assume solo carattere risarcitorio e presuppone quindi che ricorrano i requisiti costitutivi dell'illecito aquiliano, ex art. 2043 c.c., ivi compreso il requisito soggettivo della colpa.

Infatti, la retribuzione costituisce obbligazione sinallagmatica dovuta quale corrispettivo dell'effettiva prestazione lavorativa; pertanto l'effetto ripristinatorio del giudicato non può giungere a fare ritenere verificato un accadimento che non si è mai verificato, onde il diritto alla retribuzione, in virtù del principio di sinallagmaticità, è subordinato al concreto svolgimento della prestazione lavorativa; in mancanza può soltanto costituire riferimento per la quantificazione dei danni risarcibili, in presenza dei presupposti di configurabilità della responsabilità dell'amministrazione.

Nel caso di specie il Collegio ritiene che non sia ravvisabile l'elemento soggettivo della colpa, consistente, generalmente, nella inosservanza consapevole di leggi, regolamenti o norme di condotta non scritte, di comune prudenza, e nel caso della Pubblica Amministrazione, nella violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione. Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato «l'azione di risarcimento del danno susseguente all'annullamento del provvedimento implica la valutazione dell'elemento psicologico della colpa alla luce dei vizi che inficiano il provvedimento, e, in linea con le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, della gravità delle violazioni imputabili all'amministrazione, secondo l'ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all'organo e delle condizioni concrete in cui ha operata l'amministrazione (C.d.S., IV, 12 gennaio 2005, n. 43; IV, 29 settembre 2005, n. 5204).

Il provvedimento annullato in sede giurisdizionale aveva disposto le dimissioni dal servizio del ricorrente all'esito del controllo esercitato dall'Amministrazione sul contenuto, risultato non veritiero, dell'autocertificazione dello stesso (si rammenta che egli infatti, contrariamente a quanto autocertificato, aveva riportato ben due sanzioni disciplinari per infrazioni commesse in data 24 agosto e 15 settembre 1987).

Con la sentenza di annullamento, peraltro, il Tribunale ha rilevato vizi sostanzialmente di natura formale, senza entrare nel merito del possesso o meno in capo al ricorrente dei requisiti prescritti per l'assunzione: l'Amministrazione Penitenziaria avrebbe, secondo il giudicante, proceduto tardivamente (dopo l'immissione in ruolo) all'accertamento dei requisiti di partecipazione al concorso e comunque avrebbe omesso di apporre un'apposita clausola nell'atto di assunzione tale da rendere "sicuramente percepibile da parte dell'interessato (...) la nota di precarietà annidata nel rapporto nascente e da permettergli di fare tutte le valutazioni di convenienza del caso".

Dal punto di vista sostanziale, è rimasto dunque confermato che il Sig. V. nell'espletare il servizio di leva in qualità di carabiniere ausiliario aveva riportato due sanzioni disciplinari e che, nella redazione della prima graduatoria effettuata dall'Amministrazione per l'assunzione nel Corpo di Polizia Penitenziaria, al ricorrente erano stati attribuiti 2 punti in eccesso, a causa del comportamento tenuto dallo stesso.

Detta circostanza, se pure non idonea ad escludere i diversi profili di illegittimità dell'atto di dimissioni dal servizio, come rilevati nella sentenza di annullamento, rileva nel senso dell'esclusione di un giudizio di colpevolezza in relazione alla condotta complessivamente tenuta dall'amministrazione incorsa in errore prevalentemente a causa della infedele autocertificazione resa dall'interessato.

Per tali ragioni infondate sono tutte le pretese risarcitorie avanzate in gravame, anche a titolo di danno non patrimoniale".

3.2. Innanzitutto, va sottolineato che il diritto alla retribuzione, in virtù del principio di sinallagmaticità, è subordinato al concreto svolgimento della prestazione lavorativa, per cui correttamente la sentenza impugnata ha posto in rilievo che, in mancanza dell'esecuzione della prestazione, la retribuzione non goduta può soltanto costituire riferimento per la quantificazione dei danni risarcibili, in presenza dei presupposti di configurabilità della responsabilità dell'amministrazione.

3.3. Il percorso argomentativo sulla cui base la sentenza del T.a.r. Lazio è giunta ad escludere la configurabilità della responsabilità aquiliana dell'Amministrazione e cioè l'assenza dell'elemento soggettivo della colpa, invece, non può essere condiviso in quanto risulta per tabulas il negligente comportamento del Dipartimento che, senza giustificazione, pur già in possesso del foglio matricolare, ha tardato il controllo dei requisiti generali posseduti dal candidato.

Tuttavia, i presupposti per il risarcimento del danno non sussistono per una diversa ragione, che esclude in radice l'astratta configurabilità di un'obbligazione risarcitoria, vale a dire per l'assenza di un danno ingiusto.

La sentenza delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione n. 500 del 1999, capostipite di tutta la giurisprudenza successiva, ha evidenziato come sia possibile pervenire al risarcimento del danno da lesione dell'interesse legittimo soltanto se l'attività illegittima della pubblica amministrazione abbia determinato la lesione del bene della vita al quale l'interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell'ordinamento.

Il rilievo centrale, quindi, è assunto dal danno, del quale è previsto il risarcimento qualora sia ingiusto, sicché la lesione dell'interesse legittimo è condizione necessaria ma non sufficiente per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c. in quanto occorre altresì che risulti leso, per effetto dell'attività illegittima e colpevole dell'amministrazione pubblica, l'interesse materiale al quale il soggetto aspira.

È soltanto la lesione al bene della vita, infatti, che qualifica in termini di "ingiustizia" il danno derivante dal provvedimento illegittimo e colpevole dell'amministrazione e lo rende risarcibile.

La pretesa al risarcimento del danno ingiusto derivante dalla lesione dell'interesse legittimo, insomma, si fonda su una lettura dell'art. 2043 c.c. che riferisce il carattere dell'ingiustizia al danno e non alla condotta, di modo che presupposto essenziale della responsabilità non è tanto la condotta colposa, ma l'evento dannoso che ingiustamente lede una situazione soggettiva protetta dall'ordinamento ed affinché la lesione possa considerarsi ingiusta è necessario verificare attraverso un giudizio prognostico se, a seguito del corretto agire dell'amministrazione, il bene della vita sarebbe effettivamente spettato al titolare dell'interesse.

In particolare, per gli interessi pretensivi, occorre stabilire se il pretendente sia titolare di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la conclusione positiva del procedimento, e cioè di una situazione che, secondo la disciplina applicabile era destinata, in base a un criterio di normalità, ad un esito favorevole.

L'obbligazione risarcitoria, quindi, affonda le sue radici nella verifica della sostanziale spettanza del bene della vita ed implica un giudizio prognostico in relazione al se, a seguito del corretto agire dell'amministrazione, il bene della vita sarebbe effettivamente o probabilmente (cioè secondo il canone del "più probabile che non") spettato al titolare dell'interesse; di talché, ove il giudizio si concluda con la valutazione della sua spettanza, certa o probabile, il danno, in presenza degli altri elementi costitutivi dell'illecito, può essere risarcito, rispettivamente, per intero o sotto forma di perdita di chance.

Nella fattispecie in esame, l'appellante, con la partecipazione al concorso, era divenuto titolare di un interesse legittimo pretensivo al collocamento in una utile posizione di graduatoria ed alla conseguente immissione in servizio, e - a seguito dell'immissione in ruolo, che ha soddisfatto la sua pretesa - è poi divenuto titolare di un interesse legittimo oppositivo alla conservazione del bene conseguito.

Il provvedimento di decadenza dal servizio del 7 marzo 2002 ha leso l'interesse legittimo oppositivo del signor V., ma, ai fini della qualificazione del danno come ingiusto e, quindi, dell'astratta configurabilità dell'obbligazione risarcitoria in capo all'amministrazione, occorre valutare se, in base al richiamato giudizio prognostico, il bene della vita sarebbe spettato all'interessato ove l'amministrazione avesse legittimamente esercitato la funzione pubblica.

Il danno sofferto dall'interessato non è ingiusto in quanto, ove l'Amministrazione avesse agito diligentemente, è del tutto verosimile ritenere che non avrebbe soddisfatto l'interesse legittimo pretensivo dell'interessato, atteso che, in assenza dei due punti erroneamente riconosciuti, gli avrebbe negato in radice il bene della vita cui aspirava, costituito dall'utile collocazione in graduatoria e dalla successiva immissione in servizio, e, di conseguenza, la posizione di interesse legittimo oppositivo, lesa dal provvedimento annullato in sede giurisdizionale, non sarebbe sorta.

Il giudizio prognostico, in altri termini, porta a rilevare che non sarebbe spettato il bene della vita, solo alla lesione del quale consegue l'ingiustizia del danno e la sua eventuale risarcibilità, e ciò non perché, agendo legittimamente, l'amministrazione avrebbe potuto correttamente ledere l'interesse legittimo oppositivo del signor V. medio tempore venuto in essere, ma per la più radicale ragione che, se avesse agito correttamente, non avrebbe soddisfatto il suo interesse legittimo pretensivo all'immissione in servizio e non sarebbe sorto l'interesse oppositivo di cui l'appellante ha chiesto vittoriosamente tutela in giudizio.

Infatti, dalla sentenza del T.a.r. Lazio, Sezione Prima, n. 2359 del 2004 emerge che l'interessato, "... avendo riportato la sanzione disciplinare del rimprovero e la sanzione disciplinare della consegna, durante il servizio come carabiniere ausiliario, ha perso i 2 punti attribuiti per mancanza di sanzione disciplinare, con la conseguente esclusione dalla graduatoria dei vincitori ...".

Tuttavia, il provvedimento è stato adottato dopo l'effettiva immissione in ruolo, laddove il potere-dovere di verifica dell'esistenza dei requisiti generali trova il suo limite finale proprio nell'immissione in ruolo.

La sentenza in discorso, tra l'altro, rappresenta sul punto che il ricorrente, "dopo avere favorevolmente concluso il corso di formazione e prestato giuramento, è stato immesso in servizio, dal dicembre 2001 presso la Casa circondariale di Milano, divenendo agente di Polizia Penitenziaria a tutti gli effetti, e dopo è stato escluso" ed il provvedimento di esclusione è stato ritenuto illegittimo "anche per la circostanza ... che il Dipartimento era già in possesso del foglio matricolare dal quale risultava l'infrazione commessa dal ricorrente e, pertanto, l'accertamento del requisito sarebbe stato del tutto agevole".

Inoltre, il giudice di primo grado ha evidenziato che "che nessuna riserva risulta essere stata apposta nel decisivo momento in cui l'interessato è stato formalmente assegnato alle funzioni di istituto" e che, proprio all'atto dell'immissione in servizio attivo, "una riserva avrebbe dovuto essere espressa per poter servire allo scopo di conservare ulteriormente all'Amministrazione il suo potere di accertamento".

La complessiva azione dell'Amministrazione, in definitiva, ha consentito l'attribuzione all'interessato di un bene della vita che, diversamente, ove l'Amministrazione avesse agito diligentemente, è del tutto verosimile ipotizzare non gli sarebbe spettato, sicché è in re ipsa che l'ingiustizia del danno sia da escludere con riferimento al periodo reclamato dal signor V., vale a dire allo iato temporale intercorrente tra la decadenza e la successiva riammissione in servizio a seguito della sentenza del T.a.r. Lazio, Sezione Prima, n. 2359 del 2004.

3. Di qui, l'infondatezza dell'appello e la sua reiezione, con conseguente conferma, con diversa motivazione, della sentenza impugnata.

4. Le spese del giudizio di appello seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, sono poste a carico dell'appellante ed a favore dell'amministrazione appellata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, respinge l'appello in epigrafe e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata con diversa motivazione.

Condanna l'appellante al pagamento delle spese del giudizio di appello, liquidate complessivamente in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, in favore dell'amministrazione appellata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.