Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 29 marzo 2018, n. 24158

Presidente: Rotundo - Estensore: Capozzi

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Torino, a seguito di gravame interposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Aosta avverso la sentenza assolutoria emessa il 30 marzo 2015 dal G.U.P. dello stesso Tribunale, in parziale riforma della decisione - per quanto in questa sede di interesse - ha dichiarato la responsabilità di:

- Anacleto Benin in ordine al reato di cui all'art. 314 c.p. in relazione alle somme versategli da Massimo Lattanzi;

- Giuseppe Cerise in ordine al reato di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 sub T) in relazione alle somme indicate in dispositivo ed alle retribuzioni dei dipendenti Patat, Trenta e Gatti dal 14 agosto 2009 in poi, anche nella parte di competenza del partito;

- Albert Chatrian in ordine al reato di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 contestatogli sub T) in relazione alle somme indicate in dispositivo ed alle retribuzioni dei dipendenti Patat, Trenta e Gatti dal 14 agosto 2009 in poi, anche nella parte di competenza del partito;

- Dario Comè in ordine al reato di cui agli artt. 110, 81 cpv., 314 c.p. ascrittogli;

- Raimondo Davide Donzel in ordine al reato di cui all'art. 314 c.p. ed all'art. 7 l. n. 195/1974 sub capo F) in relazione alle somme indicate in dispositivo;

- Carmela Fontana in ordine al reato di cui all'art. 314 c.p. sub capo F) in relazione alle somme indicate in dispositivo;

- Leonardo La Torre in ordine al reato di cui all'art. 7 l. n. 194/1975 sub A) in relazione alle somme indicate in dispositivo nonché in ordine al reato di cui all'art. 316-ter c.p. sub B) limitatamente ai fatti verificatisi dopo il 14 agosto 2009;

- Massimo Lattanzi in ordine al reato di cui all'art. 314 c.p. ed all'art. 7 l. n. 195/1974 sub D) in relazione alle somme indicate in dispositivo nonché in ordine al reato di cui all'art. 316-ter c.p. sub E) limitatamente ai fatti verificatisi dopo il 14 agosto 2009;

- Claudio Lavoier in ordine al reato di cui all'art. 7 l. n. 194/75 sub C) ascrittogli;

- Roberto Louvin in ordine al reato di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 sub T) in relazione alle somme indicate in dispositivo;

- Ruggero Millet in ordine al reato di cui all'art. 316-ter c.p. sub H) limitatamente ai fatti successivi al 14 agosto 2009;

- Patrizia Morelli in ordine al reato di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 sub T) in relazione alle somme indicate in dispositivo ed alle retribuzioni dei dipendenti Patat, Trenta e Gatti dal 14 agosto 2009 in poi, anche nella parte di competenza del partito;

- Gianni Rigo in ordine al reato di cui all'art. 314 c.p. ed all'art. 7 l. n. 195/1974 sub F) in relazione alle somme indicate in dispositivo;

- Marco Vierin in ordine al reato di cui agli artt. 110, 81 cpv., 314 c.p. ascrittogli;

- Alberto Zucchi in ordine al reato di cui all'art. 314 c.p. sub D) in relazione alla somma indicata in dispositivo ed al reato di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 sub D) medesimo in ordine alla somma indicata in dispositivo;

condannando i predetti imputati alla rispettiva pena di giustizia.

2. Il processo ha ad oggetto accuse di peculato e violazione della legge sul finanziamento dei partiti politici, formulate nei confronti di consiglieri della Regione Valle D'Aosta, in relazione all'utilizzo da parte di costoro dei contributi erogati dall'ente territoriale ai gruppi che componevano il Consiglio Regionale all'epoca dei fatti, nonché accuse di indebita percezione di erogazioni pubbliche in favore dell'editoria.

3. Avverso la sentenza hanno presentato ricorso gli imputati.

4. Nell'interesse di Anacleto Benin, con atto del difensore, si deduce:

4.1. Violazione degli artt. 521 e 597 c.p.p. avendo la Corte di appello pronunziato condanna per fatti non contestati e non devoluti con il gravame del P.M. L'oggetto materiale del peculato contestato al Lattanzi è una parte e non la totalità dei contributi ottenuti dal Gruppo consiliare e, pertanto, la somma di denaro imputata al ricorrente non può che essere quella di 6.000,00 euro, mentre la Corte ha dichiarato la responsabilità del predetto in relazione alla somma complessiva di 35.000,00 euro versategli dal Lattanzi nei quattro anni di mandato. Inoltre, lo stesso atto di appello del P.M., in coerenza con la formulata imputazione, aveva ad oggetto solamente i due assegni emessi dal Lattanzi a favore del Benin per il predetto importo di 6.000,00 euro.

4.2. Erronea applicazione dell'art. 314 c.p. ed illogicità della motivazione, non avendo il ricorrente la disponibilità delle somme in questione e non essendovi prova del previo accordo con il Lattanzi che l'aveva, disponendone l'erogazione. La motivazione resa a riguardo del presunto accordo si fonda sulla memoria prodotta dal Benin al P.M. nel corso delle indagini preliminari illogicamente considerata indicativa delle spese effettivamente affrontate e senza che si possa individuare un vantaggio per il Lattanzi. In ogni caso non risulta che il Benin avesse dato giustificativi falsi e, comunque, ricadendo la responsabilità della elargizione ricadeva sul capo Gruppo che l'aveva effettuata.

4.3. Violazione degli artt. 530, comma 2, e 533 c.p.p. e vizio della motivazione avendo la Corte di merito affermato la responsabilità del ricorrente ritenendo le causali di spesa addotte dal predetto nella propria memoria difensiva incompatibili con il denaro incassato. Illogicamente la Corte considera la memoria difensiva in funzione di esborsi effettivamente affrontati anziché un mero elenco esemplificativo; inoltre, contraddittoriamente, a parità di esposizione difensiva, quella prodotta dal Tibaldi è stata ritenuta plausibile. Infine, la Corte - pur assumendo che il solo mancato adempimento dell'onere documentativo non conduceva a ritenere l'illiceità della spesa - ha fondato la responsabilità del Benin non in virtù della fondatezza dell'accusa ma della asserita insufficienza delle allegazioni difensive.

4.4. Vizio cumulativo della motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità con riferimento alla ritenuta incidenza della condizione personale del ricorrente, rilevando la legittimità delle spese sostenute con la conseguente legittimità del rimborso e non certo l'uso che il consigliere faccia delle somma riconosciutegli a tale titolo. L'assunto della Corte, inoltre, contraddice quello posto a base della assoluzione del Lattanzi per analogo caso.

4.5. Violazione dell'art. 314 c.p. e vizio di manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. Rispetto alla acclarata difficoltà di origine normativa di individuare la spesa legittimamente rimborsabile, la prassi consolidata faceva affidamento alla competenza del capogruppo al quale era sottoposta per il decisivo vaglio la documentazione giustificativa consegnata dai consiglieri.

4.6. Vizio della motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche ed all'eccessivo trattamento sanzionatorio. Le prime negate senza motivazione, il secondo determinato individuando una pena base più alta del minimo edittale in rapporto alla effettiva contestazione di modesta entità.

5. Nell'interesse di Giuseppe Cerise, Albert Chatrian, Roberto Louvin e Patrizia Morelli, con atto dei difensori, si deduce:

5.1. Violazione degli artt. 581, comma 1, lett. c), e 591, comma 1, lett. c), c.p.p. in ordine alla mancata declaratoria di inammissibilità dell'atto di appello del P.M. ed in relazione alla sentenza assolutoria pronunciata nei confronti dei ricorrenti per mancanza di specificità dei relativi motivi. La risposta data dalla Corte di merito alla analoga doglianza in appello è manifestamente illogica e contraddittoria rispetto alla assoluzione dei ricorrenti perché i fatti contestati non sussistono atteso che tutte le spese sono state ritenute inerenti rispetto alle finalità della l.r. n. 6/1986 nell'ambito della quale - pertanto - nessuna rilevanza aveva il profilo psicologico richiamato dalla Corte che - d'altra parte - ha riconosciuto che il P.M. ha preso in esame solo una serie di spese, in particolare sette, ancorché "a titolo di esempio" che - comunque - si debbono situare nell'ambito dell'importo di 13mila euro che il P.M. appellante ha ritenuto non giustificate tra quelle originariamente ascritte al gruppo Alpe, ma senza procedere a specifica indicazione né contestando le ragioni poste a base della assoluzione.

5.2. Violazione dell'art. 7 l. n. 195/1974 in relazione alla ritenuta sussistenza del reato rispetto a spese per le quali non solo è inammissibile ma impossibile la distinzione tra l'attività di partito e quella del gruppo consiliare del quale la stessa sentenza riconosce la intrinseca natura politica e rappresentativa del partito all'interno del consiglio regionale. Quanto alle spese relative all'acquisto di oggettistica riportante il logo del gruppo - peraltro coincidente con quello del partito - l'affermazione di responsabilità collide con la lecita finalità propagandistica della diffusione dello stesso logo; analogamente deve dirsi per quanto riguarda la spesa di pubblicazione del bilancio del partito di riferimento del Gruppo, rispondente ad una logica di trasparenza. Infine, quanto gli importi degli stipendi la condanna è intervenuta per la "parte di competenza del partito", non solo è stata obliterata la necessità di riascoltare i testi di riferimento, ma è stata omessa qualsiasi quantificazione del relativo importo, plastica espressione della censurabile distinzione tra attività del partito e attività del gruppo.

5.3. Violazione degli artt. 110 c.p. e 192 c.p.p. e vizio della motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità a titolo concorsuale dei consiglieri regionali che non hanno disposto le spese oggetto di condanna. Le dichiarazioni alle quali fa riferimento a riguardo la sentenza di merito non hanno l'attitudine dimostrativa dell'assunto secondo il quale "le decisioni sulle spese del gruppo venivano adottate collegialmente" non facendo riferimento alle singole spese il cui vaglio era demandato al capo gruppo. Inoltre, il fondamento dichiarativo della reformatio in pejus imponeva la riaudizione delle fonti, obbligo al quale la Corte di merito si è sottratta.

5.4. Violazione dell'art. 42 c.p. e vizio di mancanza motivazione in ordine alla sussistenza del dolo del reato di cui all'art. 7 l. n. 195/1974.

5.5. Con motivi aggiunti si deduce violazione dell'art. 7 l. n. 195/1974 in relazione alla ritenuta sussistenza del reato, erronea applicazione dell'art. 42 c.p. e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del dolo allegandosi la sentenza n. 7/2017 emessa dalla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Valle d'Aosta del 23 febbraio-20 dicembre 2017 nell'ambito della quale, pur ritenendo contabilmente inammissibile la spesa, si afferma che i gadgets erano contrassegnati "con il logo del gruppo", così ribadendo l'impossibilità di scindere l'attività politica da quella del gruppo. Quanto alla spesa per la pubblicazione del bilancio si afferma che questa è senz'altro espressione di attività politica. Cosicché emerge la obiettiva difficoltà di discernere la natura politica o meno dell'oggetto della spesa, con indubbi riflessi sull'elemento psicologico del reato, in ordine al quale alcuna pertinente indagine risulta essere stata esperita dai Giudici di merito.

6. Nell'interesse di Massimo Lattanzi, con atto del difensore, si deduce:

6.1. Violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza (art. 522 c.p.p.), del principio devolutivo in appello (artt. 581, 591 e 597 c.p.p.) e vizio di manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla condanna del ricorrente per i rimborsi versati ad Anacleto Benin. A fronte della accusa mossa al ricorrente ed al Benin dell'appropriazione di 6.000,00 euro, egli è stato condannato per un fatto diverso e mai contestato avente ad oggetto l'erogazione al Benin di 35.000,00 euro. Del resto anche il P.M., nel proporre il gravame, aveva contestato espressamente l'assoluzione relativa alla dazione al Benin dei "6.000,00 euro con tre assegni dell'importo di 3000, 1000 e 2000 euro". Inoltre, in modo contraddittorio, mentre ha riconosciuto la liceità della prassi, indicata dagli imputati, secondo cui, a fronte della esibizione di giustificativi, il Capogruppo versava una somma forfettaria, sempre inferiore a quanto speso, ritenendo leciti tre dei quattro gruppi di rimborsi, ha escluso - in presenza dei medesimi elementi - quelli al Benin e nonostante la congrua giustificazione data a riguardo. Considerazioni che non cambiano anche qualora si volesse sommare l'ulteriore somma di 6.000,00 euro costituita da due assegni intestati a Giovanni Palmieri. Infine, illogico è l'aver trasferito al ricorrente l'esito - considerato negativo - dell'allegazione difensiva del Benin in ordine al giustificativo per motivare la condanna del Lattanzi: ciò non prova che questi non avesse ricevuto, dal Benin, indicazioni sufficienti per l'erogazione.

6.2. Violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza (art. 522 c.p.p.), del principio devolutivo in appello (artt. 581, 591 e 597 c.p.p.) e vizio di manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla condanna del ricorrente per presunti contributi eccedenti le rendicontazioni presentate per il giornale "Foglio Azzurro". Nonostante la sentenza affermi che la contestazione sarebbe contenuta nell'imputazione, di essa non v'è traccia alcuna, né risulta comprensibile la sussunzione del relativo fatto nell'ambito del delitto di cui all'art. 314 c.p., invece considerato nell'ambito della diversa imputazione ex art. 316-ter c.p. In ogni caso, la motivazione resa al riguardo dai Giudici di merito è manifestamente illogica fondandosi sulla sommatoria di due contributi pervenuti al giornale in questione di tipo e specie diversi, provenienti da diverse ed autonome modalità di erogazione. Ed illogica è la conclusione degli stessi Giudici secondo la quale la presunta discrasia tra spese sostenute e contributi ricevuti dalla testata celi la destinazione della somma eccedente ad altra spesa non consentita nemmeno individuata.

6.3. Vizio di manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova dichiarativa in relazione alla affermazione di responsabilità in ordine all'assegno di 2.000 euro emesso in favore di Girolamo Fazzalari sulla base di una diversa valutazione delle due dichiarazioni rese da quest'ultimo, senza procedere alla necessaria rinnovazione dibattimentale. In ogni caso, risulta illogica la versione dei Giudici che avalla una regalia al Fazzalari da parte del ricorrente che non lo conosceva e con il quale non aveva alcun rapporto (al di là del fatto di recarsi talvolta a pranzo nel suo ristorante) e, comunque, non munita della necessaria motivazione rafforzata.

6.4. Violazione dell'art. 7 l. n. 195/1974 con riferimento alla affermazione di responsabilità in ordine al contributo dato per il viaggio a Roma di alcuni militanti del PDL il 20 marzo 2010. La Corte di appello, mutando la originaria qualificazione di peculato, non ha considerato che la norma incriminatrice individua i gruppi (parlamentari o regionali) come possibili destinatari dell'illecito finanziamento e non come erogatori e che tra le spese che possono essere legittimamente effettuate da parte del Gruppi consiliari - secondo la nota sentenza Tretter - vi sono anche quelle dirette a sostenere i costi dell'attività più latamente politica che i Gruppi stessi esercitano.

6.5. Erronea applicazione dell'art. 314 c.p. e vizio di manifesta illogicità della motivazione anche sotto il profilo del travisamento della prova dichiarativa con riferimento alla affermazione di responsabilità in relazione alla spesa sostenuta per il viaggio a Roma di Pier Ottavio Signorini in data 11 maggio 2011, trattandosi di un "lobbista" che ha reso possibile l'attività istituzionale di Zucchi in favore del Gruppo nella realizzazione dell'incontro istituzionale con il fratello, capo del dipartimento della Programmazione economica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. In ogni caso, la Corte di merito ha diversamente valutato le dichiarazioni di Paolo Emilio Signorini senza disporre la necessaria rinnovazione dibattimentale. Manifestamente illogica, infine, è la affermata irrilevanza della circostanza secondo la quale il Lattanzi abbia creduto alle parole dello Zucchi circa la necessità della presenza del Signorini per il detto incontro istituzionale, in quanto la convinzione che ne è derivata esclude il dolo del delitto di peculato.

6.6. Erronea applicazione dell'art. 7 l. n. 195/1974 con riferimento alla affermata responsabilità per il finanziamento di una serie di iniziative di carattere politico-istituzionale (spese relative alla stampa di cartoncini con il logo del Gruppo consiliare e due inserzioni pubblicitarie su due settimanali). Si richiamano a proposito le osservazioni già formulate nel terzo motivo sulla materialità del reato e si evidenzia la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla arbitraria esclusione delle iniziative in questione dalla promozione e divulgazione dell'attività politico-istituzionale del Gruppo consiliare tenuto anche conto dell'assoluzione dell'imputato per altra analoga vicenda relativa a inviti e manifesti e che il logo riportato nelle locandine e inserti pubblicitari è quello del Gruppo e non quello del partito. Risulta arbitraria la affermazione fatta dai Giudici della somiglianza dei logo del Gruppo e del partito quale espediente per far propaganda al partito con il denaro del Gruppo.

6.7. Violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza e manifesta illogicità della motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova per omissione, con riferimento alla affermazione di responsabilità in relazione alla spesa sostenuta per l'organizzazione di un evento presso la "Cittadella dei giovani" e della presunta spesa per il noleggio di un pullman della squadra di calcio "Charvensud". Entrambe le vicende non sono state oggetto di imputazione non essendovi traccia né diretta (attraverso la specifica contestazione della relativa appropriazione) né indiretta (con riferimento alle macro-voci indicate). Le ragioni espresse dalla Corte di appello per superare tale rilievo, già espresso dal primo Giudice, sono errate sul piano giuridico, non potendosi far leva sulla circostanza che l'imputato si sia difeso nel corso delle indagini preliminari su tutte le spese effettuate dal Gruppo. In ogni caso, l'affermazione di responsabilità è del tutto illogica e contraddittoria rispetto alle ragioni di natura politica delle iniziative come pure rispetto al contenuto delle testimonianze citate dalla Corte, travisato da quest'ultima.

6.8. Violazione dell'art. 7 l. n. 195/1974 e vizio della motivazione anche per travisamento per omissione con riferimento alla affermazione di responsabilità per il finanziamento al partito del PDL per aver emesso un assegno a favore del partito del UDC sulla base di una diversa valutazione delle dichiarazioni di Viquery senza procedere alla necessaria rinnovazione. In ogni caso, la motivazione è del tutto priva di plausibilità manifestando un indebita interpretazione politica dei rapporti tra i partiti valdostani.

6.9. Vizio della motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità in relazione alla affermazione di responsabilità in ordine ai due acquisti presso la gioielleria De Marchi Giannotti, essendo illogico l'assunto della liceità di siffatti regali solo se diretti ai consiglieri (e non alle loro figlie in occasione del matrimonio), risultando - invece - assorbente la lecita ragione della regalia.

6.10. Erronea applicazione dell'art. 316-ter c.p. e 16 l.r. n. 11/2008 e vizio di manifesta illogicità della motivazione, anche per travisamento della prova per omissione, in relazione alla affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui al capo E). Evidenziata la premessa secondo la quale editore del mensile "Foglio Azzurro" era il Gruppo consiliare PDL si ribadisce che il ricorrente non ha mai effettuato false dichiarazioni per ottenere i contributi di cui alla l.r. 11/2008, posto che l'art. 16 della legge - secondo una corretta interpretazione - prevede che la dichiarazione dell'editore secondo la quale non beneficia di altri contributi pubblici diretti alle medesime iniziative deve essere intesa nel senso che l'editore non beneficia di altre ricorse pubbliche ad eccezione delle risorse proprie (che, nel caso in cui l'editore sia a sua volta un soggetto pubblico, non possono che essere - genericamente - pubbliche) e che non beneficia di altre risorse espressamente erogategli per quel tipo di iniziativa. In ogni caso, deve essere riconosciuta la carenza del dolo in base alla buona fede nell'interpretazione della norma nel senso pienamente plausibile sopra prospettato ed avendo il ricorrente sempre acceduto ai contributi in questione indicando precisamente che l'editore titolare della richiesta era il Gruppo e non il partito, spettando agli organi deputati il controllo della richiesta così esattamente formulata. In via subordinata, infine, la difesa deduce la mancata rinnovazione del dibattimento in relazione alla rivalutazione delle dichiarazioni rese dalla d.ssa Lettry, incaricata della ricezione e del controllo delle domande di finanziamento ai sensi della l. n. 11/2008, che dal Giudice di primo grado erano state utilizzate per dimostrare la buona fede del ricorrente e la Corte di appello ha utilizzato per avallare la tesi secondo la quale l'imputato presentandosi come il rappresentante legale del partito, aveva ingannato l'amministrazione.

6.11. Manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla quantificazione della pena e della mancata concessione delle attenuanti generiche nella loro massima estensione. La ridotta responsabilità del ricorrente rispetto all'originaria contestazione non giustifica la determinazione della pena base ben al di sopra del minimo edittale senza alcuna motivazione e difformemente da altri imputati anche più gravati. Anche il calcolo dell'incremento per la continuazione è immotivatamente sproporzionato ed apodittica è la applicazione della diminuzione di pena.

7. Nell'interesse di Alberto Zucchi, con atto del difensore, si deduce:

7.1. Vizio cumulativo della motivazione, mancato rispetto del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio", violazione del divieto di reformatio in pejus e mancata riassunzione di prove dichiarative determinanti (dichiarazioni di Paolo Emilio Signorini, Pier Ottavio Signorini, coimputati Lattanzi e Zucchi). La sentenza impugnata è pervenuta illegittimamente ad opposte conclusioni rispetto alla prima decisione sulla base della mera rilettura alternativa dello stesso compendio probatorio.

7.2. Violazione degli artt. 192, 125, comma 3, c.p.p., 314 c.p. e 7 l. n. 195/1974 e vizio cumulativo della motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità. La affermata finalità privatistica della spesa correlata al viaggio di Pier Ottavio Signorini a Roma, non è compatibile con la dichiarazione di Paolo Emilio Signorini che ha confermato l'incontro con Zucchi e con il fratello per motivi istituzionali come pure con le annotazioni interne della segreteria del politico Paolo Emilio Signorini in data 11 maggio 2011, dovendosi tener conto della archiviazione della posizione dello Zucchi per la spesa sostenuta per lo stesso viaggio, giustificata dalla natura istituzionale e pubblica. Quanto al reato di finanziamento illecito la riforma della prima decisione si è basata sulla sola diversa valutazione delle medesime prove dichiarative.

7.3. Violazione dell'art. 314 c.p. e 7 l. n. 195/1974 in ordine alla ritenuta sussistenza in capo al ricorrente del possesso o disponibilità del denaro per motivi di ufficio. Posto che la disponibilità delle somme era solo in capo al Lattanzi ed al Tebaldi, unici a poter operare sul conto, la Corte territoriale omette qualsiasi cenno al tema del preventivo accordo tra colui che dispone il pagamento e il consigliere che lo ottiene.

7.4. Violazione dell'art. 43 c.p. e vizio cumulativo della motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del delitto di peculato in ragione della difettosa percezione della realtà che gli aveva fatto ricondurre la spesa del viaggio di Signorini a Roma nell'alveo di quelle lecitamente giustificabili dal fine politico-istituzionale già riconosciuta per la sua qualità di consigliere.

7.5. Violazione degli artt. 317-bis, 29, 31 e 37 c.p. in relazione alla pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici, incompatibile con la pena effettivamente irrogata.

7.6. Violazione degli artt. 133, 323-bis, 62, n. 4, 81 c.p. e vizio della motivazione in ordine alla esclusione delle attenuanti richiamate ed alla valutazione dei criteri di commisurazione della pena la cui integrale considerazione avrebbe consentito una pena più contenuta.

7.7. Violazione dell'art. 175 c.p. e vizio della motivazione in ordine alla mancata applicazione del beneficio della non menzione della condanna sulla base di un criterio non pertinente.

8. Nell'interesse di Ruggero Millet, con atto del difensore, si deduce:

8.1. Vizio cumulativo della motivazione in ordine alla natura dei rapporti economici intercorsi tra il Gruppo consiliare del PD e la società cooperativa "Le Travail - Il Lavoro". La Corte di merito ha completamente ignorato che le somme pagate dal Gruppo consiliare del PD alla cooperativa editrice erano il corrispettivo di puntuali prestazioni rese dalla cooperativa al Gruppo (v. perizia Sado, informazioni rese da Avati alla P.G., bilanci della cooperativa acquisiti dalla P.G.), e non ha indicato le ragioni della svalutazione del contributo peritale che ha dimostrato la corrispondenza tra quanto pagato e quanto ricevuto dal Gruppo, ignorando le altre emergenze.

8.2. Violazione dell'art. 16, comma 4, l.r. n. 11/2008. La Corte di appello ha erroneamente contrastato la interpretazione della norma proposta dalla difesa secondo la quale gli "altri interventi pubblici" sono da considerare quelli "a fondo perso" e non anche quelli erogati, come nella specie, quale controprestazione.

8.3. Vizio cumulativo della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 316-ter c.p. non avendo la Corte dato contezza della consapevolezza del ricorrente della falsità delle sue dichiarazioni e della non scusabilità dell'errore in ordine al divieto di cumulo, avendo il ricorrente sempre considerato le somme ricevute dal Gruppo quale corrispettivo delle prestazioni rese dal giornale e dalla cooperativa al Gruppo.

9. Nell'interesse di Leonardo La Torre e Claudio Lavoyer, con atto del difensore, si deduce:

9.1. Con riferimento alla posizione del La Torre:

9.1.1. Violazione dell'art. 7 l. n. 195/1974, art. 43 c.p. e vizio cumulativo della motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità relativamente al reato di cui al capo A) ed al bonifico di 1.452,00 euro al quotidiano "Avvenire" per la pubblicazione del bilancio di esercizio del partito relativo al 2011, non essendosi considerato che questo ricomprendeva anche quello del Gruppo, essendo così pertinente alle sue finalità istituzionali. In ogni caso, la trasparenza dell'operazione esclude la sussistenza del dolo - in ordine al quale la sentenza nulla dice - tenuto conto della sostanziale sovrapposizione tra Gruppo e Partito "Federation Autonomiste" anche sotto il profilo della composizione soggettiva.

9.1.2. Violazione dell'art. 7 l. n. 195/1974, art. 43 c.p. e vizio cumulativo della motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità relativamente al reato di cui al capo A) ed al bonifico di euro 500,00 per la conferenza organizzativa del 9 giugno 2012, essendosi omesso di considerare quanto organizzato successivamente a tale evento - un rinfresco - prima pagato dal partito e poi rimborsato con il bonifico.

9.1.3. Violazione dell'art. 7 l. n. 195/1974 in relazione alla l.r. n. 6/1986, art. 43 c.p. ed omessa motivazione in relazione alle risultanze della consulenza prodotta dalla difesa nonché manifesta illogicità della motivazione in relazione al reato sub A) ed al contributo al periodico "La Voix Autonomiste", non essendosi minimamente considerata l'entità, pari al 90%, della presenza del Gruppo nel periodico del Partito che a questo bonificava le somme sulla base di un accordo. Cosicché le dette somme non possono essere cumulate con quelle percepite dal Partito in base alla legge sull'editoria. Inoltre, come già documentato in sede di indagini, le somme bonificate dal Gruppo erano destinate non solo al periodico ma anche alle altre spese di informazione, oltre un contributo forfettario per l'utilizzo della sede del movimento e per le riunioni del Gruppo. Per l'anno 2012 - in cui il giornale non è stato pubblicato - i bonifici erano destinati a coprire debiti pregressi ed altre spese di informazione. In ogni caso, difetta il dolo del reato rispetto all'eventuale surplus prodotto.

9.1.4. Violazione dell'art. 316-ter c.p., 43 c.p. e vizio cumulativo della motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità relativamente al capo B) non essendosi tenuto conto che il contributo erogato dal Gruppo al giornale del movimento politico ex l.r. n. 6/1986 non è un intervento pubblico - potendo l'erogazione avvenire discrezionalmente - e, pertanto, è cumulabile con i contributi per l'editoria previsti dalla l.r. n. 11/2008, essendo comunque salva la buona fede del ricorrente in assenza di censure o osservazioni degli organi competenti al vaglio delle richieste di erogazione.

9.1.5. Violazione dell'art. 62-bis c.p. e vizio della motivazione in ordine alla omessa concessione delle attenuanti generiche, non corrispondendo a verità che il ricorrente ricoprisse la carica assessorile all'epoca dei fatti, avendola assunta solo nel luglio 2012, e non potendosi negativamente fare leva sulla assoluzione per fatto in veste di capogruppo.

9.2. In relazione a Claudio Lavoyer ed in ordine al contributo al periodico "La Voix Autonomiste" si deduce violazione dell'art. 7 l. n. 195/1974, 43 c.p. e vizio della motivazione, essendosi mancato di valutare - per i bonifici erogati nel periodo in cui il giornale non è stato pubblicato nel corso del 2012 - la preesistenza di debiti pregressi e le spese di informazione relative all'altra comunicazione, di cui alla produzione documentale.

10. Nell'interesse di Carmela Fontana, Raimondo Davide Donzel e Gianni Rigo, con unico atto del difensore, si deduce:

10.1. Violazione di legge e vizio di motivazione nonché omessa rinnovazione del dibattimento su prova orale con riferimento alla affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui al capo F) ed in ordine al rimborso dei contributi previdenziali e delle spese elettorali. Quanto ai primi, la Corte di merito ha rigettato apoditticamente la versione difensiva - che faceva leva su una partita di giro tra Gruppo e Partito in relazione ai debiti maturati dal primo nei confronti del secondo - senza alcuna valutazione degli elementi di fatto. Inoltre, non risulta essere stata escussa in dibattimento Carla Maietti che aveva confermato la esistenza della predetta "partita di giro" e delle cui dichiarazioni aveva tenuto conto il primo Giudice ai fini della sua esistenza. Illogico, risulta - infine - il mancato riconoscimento del credito del partito PD nei confronti del Gruppo per il pagamento di spese per personale, sedi, collaborazioni e utenze, riconosciute come lecite e inerenti con riferimento ad altri gruppi consiliari.

10.2. Errata applicazione delle norme civilistiche e vizio di motivazione in ordine alla violazione del vincolo di destinazione, non rilevando la natura privata dell'accordo in base al quale si era verificato un sistema di delegazione e contestuale accordo dei reciproci debiti/crediti di Gruppo, Partito e consiglieri. In questo caso il vincolo di destinazione delle somme erogate dal Gruppo è rispettato ed inerenti sono le spese all'origine del credito maturato dal partito: sedi, personale, utenze e consulenze; mentre il Gruppo ha pagato in vece del proprio creditore il rimborso dei contributi previdenziali dei consiglieri.

10.3. Violazione dell'art. 314 c.p., applicato in luogo dell'art. 7 l. n. 195/1974, posto che la stessa Corte ha riconosciuto che il debito sugli oneri previdenziali gravasse sul Partito e non sui consiglieri e che rimborsando a questi il contributo il Gruppo aveva estinto un debito del partito.

10.4. Violazione dell'art. 47 c.p., emergendo da una pluralità di elementi la convinzione degli imputati di agire lecitamente (modalità tracciabili dei rimborsi, pubblicazione nei bilanci, mancata appostazione in deduzione dal reddito da parte dei consiglieri).

10.5. Violazione di legge in relazione all'elemento soggettivo ed alla volontà appropriativa, non desumibile presuntivamente dal solo dato fattuale della violazione del vincolo di destinazione, non essendo esaustivo né pertinente il rinvio alle considerazioni svolte nel par. 8.7 della sentenza.

10.6. Vizio di motivazione e travisamento della prova in relazione alla vicenda dell'acquisto del vaso di cristallo da parte del Gruppo in occasione del matrimonio del sig. Monteleone, erroneamente non riconosciuto quale collaboratore del Gruppo medesimo.

10.7. Violazione di legge in relazione alla qualificazione di spesa di rappresentanza non essendo stata ritenuta tale - in difformità dall'indirizzo di legittimità - il donativo fatto a soggetto non appartenente al consiglio regionale ma ad altro ente (comunale).

10.8. Errata applicazione dell'art. 317-bis c.p. in relazione alla pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici, incompatibile con la pena principale concretamente inflitta a ciascun imputato.

10.9. Vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 6, c.p., nonostante la integrale restituzione da parte degli imputati delle somme oggetto di rimborso contributivo, ancor prima di sapere che erano indagati.

10.10. Violazione di legge per mancata contestazione dell'addebito in relazione alla affermazione di responsabilità per gli assegni emessi a favore della "PUBLIKOMPASS".

10.11. Violazione dell'art. 110 c.p. in relazione ai capi F) ed L) con riferimento agli assegni di cui prima in assenza di qualsiasi accertamento sul ruolo di ciascuno degli imputati.

10.12. Violazione dell'art. 157 c.p. per essere il reato di cui al capo L) ascritto alla Fontana estinto per prescrizione alla data del 14 aprile 2017.

11. Nell'interesse di Dario Comè e Marco Vierin, con unico atto del difensore, si deduce:

11.1. Violazione degli artt. 533 c.p.p. e 27 Cost. in assenza di prove o indizi idonei ad affermare l'esistenza di una spartizione concordata tra gli imputati delle risorse pubbliche ai fini dell'illecito arricchimento personale. I Giudici di merito non hanno espresso alcuna valutazione a riguardo della inattendibilità delle dichiarazioni rese dal capogruppo Salzone né sulla loro irrilevanza probatoria, né considerato l'esito delle allegate indagini difensive, fondando la affermazione di responsabilità su congetture, così violando il criterio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. Peraltro, in contraddizione con le sue stesse premesse che avevano criticato l'impostazione dell'Accusa, la Corte di merito assegna valenza probatoria positiva all'omessa allegazione dei giustificativi di spesa, ritenuta indizio della non pertinenzialità della spesa, illogico percorso che sfocia nella incongrua conclusione secondo cui l'oggetto della condotta contestata è "non determinabile", in contrasto con il principio sotteso alla fattispecie ex art. 314 c.p. secondo il quale la cosa oggetto di appropriazione deve essere di un qualche valore.

11.2. Violazione dell'art. 192 c.p.p. essendo stata affermata la responsabilità in assenza di indizi privi di requisiti di gravità, precisione e concordanza. Non solo non è stato considerato che l'addebitata omessa allegazione dei documenti giustificativi non era attribuibile ai ricorrenti, ma solo eventualmente al capogruppo Salzone, ma neanche colta la valenza delle dichiarazioni rese alla difesa che dimostravano la regolare destinazione dei contributi alle finalità previste dalla legge. Inoltre, è stato conferito incongruo rilievo indiziario alla circostanza della periodicità e somiglianza degli importi versati a titolo di rimborso ai consiglieri del Gruppo Stella Alpina, non tenendo conto del provato assunto difensivo secondo il quale i consiglieri mantenevano una forma di autolimitazione dei possibili rimborsi, con importi predefiniti oltre i quali non era previsto rimborso da parte del capogruppo, verificandosi normalmente che i rimborsi coprissero solo parte delle spese sostenute.

11.3. Vizio cumulativo della motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità dei ricorrenti sulla base di elementi - invece - giudicati insufficienti per altro imputato (Laniece) e per il quale - in relazione al presunto elemento differenziante favorevole - pur risulta una sostanziale costanza dell'entità dei rimborsi di volta in volta percepiti, mentre nessun decisivo rilievo può attribuirsi ad eventuali difformità di importo.

11.4. Vizio cumulativo della motivazione in relazione all'omessa rinnovazione del dibattimento in ordine alla prova dichiarativa che aveva fondato la sentenza assolutoria. La sentenza impugnata, nulla obiettando sulla attendibilità delle dichiarazioni aventi valenza favorevole rispetto agli imputati, non ne ha tenuto conto.

11.5. Violazione dell'art. 317-bis c.p. in relazione alla applicata interdizione perpetua dai pubblici uffici, incompatibile con l'entità della pena principale inflitta ai ricorrenti.

11.6. Violazione dell'art. 175 c.p. in ordine all'omessa concessione del beneficio della non menzione della condanna in base a criteri (ruolo di pubblica responsabilità e particolare rilievo pubblico dei fatti in esame) estranei a quelli previsti dall'art. 133 c.p.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi di Dario Comè e Marco Vierin sono fondati; i ricorsi di Anacleto Benin, Massimo Lattanzi, Giuseppe Cerise, Albert Chatrian, Roberto Louvin, Patrizia Morelli, Carmela Fontana, Raimondo Davide Donzel, Gianni Rigo, Alberto Zucchi sono solo in parte fondati; i ricorsi di Ruggero Millet, Leonardo La Torre e Claudio Lavoyer sono inammissibili.

2. In via generale, la Corte ritiene di dover ribadire - in relazione alle accuse di peculato oggetto del presente giudizio - il proprio orientamento già in precedenza espresso in materia. In particolare, con Sez. 6, n. 23066 del 14 maggio 2009, Provenzano ed altri, Rv. 244061 è stato affermato che integra il delitto di peculato l'utilizzazione di denaro pubblico accreditato su un capitolo di bilancio intestato a "spese riservate", quando non si dia una giustificazione certa e puntuale del suo impiego per finalità strettamente corrispondenti alle specifiche attribuzioni e competenze istituzionali del soggetto che ne dispone, tenuto conto delle norme generali della contabilità pubblica, ovvero di quelle specificamente previste dalla legge. Nell'affrontare la natura delle spese riservate e l'individuazione della loro disciplina con riguardo alla sussistenza di un corrispondente normale obbligo di rendicontazione ovvero di un obbligo peculiare di giustificazione causale ovvero di un regime di assoluta insindacabilità, la decisione ha affermato che "ciò da cui occorre muovere ... come sempre quando manchi un'esplicita ed espressa disciplina positiva, e in particolare nel settore pubblico, sono i principi posti dalla Costituzione ed i connessi principi generali. Nella materia della spesa pubblica rilevano gli artt. 3, 81, 97, 100 e 103 Cost., che nel loro insieme dettano questi convergenti principi:

- ogni tipo di spesa deve avere una propria autonoma previsione normativa, che non può essere la mera indicazione nella legge di bilancio;

- la gestione delle spese pubbliche è sempre soggetta a controllo, anche giurisdizionale;

- l'impiego delle somme deve concretizzarsi in modo conforme alle corrispondenti finalità istituzionali, come indicate dalla propria previsione normativa;

- tale impiego deve in ogni caso rispettare i principi di uguaglianza, imparzialità, efficienza (che a sua volta comprende quelli di efficacia, economicità e trasparenza).

La sintesi di tali principi è pertanto che sussiste il generale obbligo di giustificazione della spesa secondo le precipue finalità istituzionali.

Questi principi costituzionali e generali non comportano ovviamente l'applicazione di un unico modello di disciplina ed organizzazione della spesa pubblica, ma indicano i parametri che i vari modelli debbono rispettare, pur nelle loro articolazioni rispondenti alla peculiarità del settore in cui prima la spesa è normativamente prevista e poi concretamente interviene. Non è pertanto compatibile con la Costituzione l'ipotesi di un potere di spesa di denaro pubblico sottratto ad ogni tipo di controllo - di natura amministrativa o giurisdizionale - esterno a chi concretamente dispone la singola spesa, anche perché le peculiari esigenze del singolo settore possono essere efficacemente salvaguardate da tipologie di verifica che le concilino con il principio costituzionale, che altrimenti comunque prevale in ragione della propria fonte sovraordinata". Concludendosi che "lungi allora dall'essere fonte giustificatrice di ogni tipo di eventuale illecito o irregolarità, anche fiscale (con un'utilizzazione di denaro pubblico caratterizzata esclusivamente dal suo mero materiale e grossolano passaggio di mano dal titolare del potere di spesa, in questo caso il presidente della Regione, al destinatario della singola dazione, anche per interposte persone), il carattere riservato della spesa non escludeva affatto, né esclude, l'obbligo di dare coeva giustificazione della gestione di quel denaro, per comprovare la sua utilizzazione in modo conforme alle finalità, competenze ed attribuzioni istituzionali positivamente disciplinate, ferma l'eventuale insindacabilità della singola scelta una volta constatata tale conformità alle finalità, competenze ed attribuzioni istituzionali".

La stessa decisione ha esaminato, inoltre, la questione della inversione dell'onere della prova e dell'automatismo tra la mancata prova documentale della singola destinazione di spesa e la sussistenza del reato ed osserva che si tratta [di] due temi distinti, uno riguardante l'aspetto sostanziale, l'altro quello probatorio processuale.

Sotto il primo aspetto ha affermato che "la giustificazione causale della singola spesa, intesa come indicazione puntuale e coeva della sua destinazione nell'ambito delle finalità strettamente connesse alle specifiche competenze ed attribuzioni istituzionali dei soggetti che ne possono disporre - e non di un mero generico interesse pubblico che non trovi in quelle specifiche competenze la propria pertinenza - è pertanto vera e propria condizione necessaria per la liceità della spesa stessa. In assenza di tale coeva giustificazione la spesa - che è passaggio della somma di denaro, o della relativa disponibilità giuridica autonoma, dal soggetto che ancora legittimamente possiede in ragione della sua qualità a soggetti-terzi, ovvero a se stesso in un contesto estraneo alle specifiche attribuzioni istituzionali che sole legittimano la disponibilità e l'utilizzazione - per sé determina interversione del possesso ed appropriazione, perché realizza un'utilizzazione intrinsecamente illecita. La coeva giustificazione della destinazione - nei sensi e nel contenuto prima chiariti - è quindi onere strutturale proprio della fattispecie, in definitiva imposto appunto dalle precondizioni di liceità dell'utilizzazione del denaro pubblico".

Sotto il secondo aspetto, quello probatorio, la decisione ha considerato che si tratta di un profilo del tutto autonomo e distinto che deve essere affrontato secondo le relative regole processuali.

Si pone nell'alveo delineato Sez. 6, n. 35683 del 1° giugno 2017, Adamo e altri, che nel richiamare la citata sentenza Provenzano ha avuto cura di precisare che i suoi rilevanti argomenti "se trovano pieno riscontro nel sistema, con riferimento al generale obbligo di dar conto di ogni spesa, tuttavia non possono implicare, a prescindere dal tipo di concreta disciplina applicabile, che l'obbligo di giustificazione si traduca in una correlata strutturale interversione del possesso, implicante appropriazione. In altre parole l'obbligo di dar conto implica, in mancanza, una responsabilità, ma il significato di tale responsabilità non può essere inteso in senso strutturale in ogni ambito, al di fuori di un meccanismo che valga a conferire alla mancanza di giustificazione un significato peculiare, che possa essere valorizzato anche in sede penale. Ciò significa che in realtà il valore primario dell'obbligo di dar conto è apprezzabile sul piano contabile-amministrativo, in quanto il soggetto chiamato a rispondere di una spesa deve poter dare di essa, secondo il sistema, una sicura giustificazione, la cui mancanza integra un profilo di responsabilità, alla stessa stregua di quanto avviene nei casi in cui sia addossato uno specifico onere probatorio. Ma in ambito penale deve essere provata la concreta appropriazione, cui deve ricollegarsi nella sua materialità l'offensività della condotta, almeno in termini di alterazione del buon andamento della P.A. Ed allora occorre accertare l'effettiva appropriazione, cioè l'illecita interversione, la quale solo sul piano probatorio può essere se del caso surrogata da situazioni altamente significative, come quelle derivanti dalla assoluta mancanza di allegazioni o dall'inosservanza di un esistente e specifico obbligo di rendiconto, in presenza del quale la mancanza di giustificazioni finisce di per sé per evocare l'interversione".

In conformità al ricordato orientamento deve, quindi, essere ribadita - da un lato - la strutturale necessità della coeva giustificazione della spesa ai fini della sua legittimità e - dall'altro - la non sovrapponibilità di questo tema rispetto a quello distinto della prova della destinazione della spesa.

Ancora sull'aspetto sostanziale e per delinearne più completamente il contesto di legittimità, deve essere richiamata la recente decisione in materia secondo la quale questa Corte ha ritenuto configurabile il delitto di peculato nel caso di appropriazione dei contributi destinati all'attività del gruppo consiliare da parte del Presidente del gruppo medesimo (Sez. 6, n. 49976 del 3 dicembre 2012, Fiorito, Rv. 254033). È stato in proposito affermato che il presidente di un gruppo consiliare regionale riveste la qualifica di pubblico ufficiale, in quanto, nel suo ruolo, partecipa alle modalità progettuali ed attuative della funzione legislativa regionale, nonché alla procedura di controllo del vincolo di destinazione dei contributi erogati al gruppo. In motivazione ha spiegato che, a seguito delle modifiche apportate alla norma incriminatrice di cui all'art. 314 c.p., con la l. 26 aprile 1990, n. 86, l'origine o - se si preferisce - la natura pubblica o privata del denaro altrui e/o delle altre cose mobili altrui, che costituiscono l'oggetto materiale del peculato, è un dato irrilevante ai fini del perfezionamento del reato, integrato dal fatto appropriativo di denaro o cosa mobile "altrui" di pertinenza di qualunque soggetto giuridico, pubblico o privato, individuale o collettivo, e non più dal denaro o dalla cosa mobile "appartenente alla p.a." secondo la previgente disciplina normativa. In vero, sulla base della normativa vigente (art. 314 c.p., come novellato nel 1990), gli elementi costitutivi che strutturano la fattispecie del peculato sono rappresentati in sequenza: 1) dalla qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio del soggetto agente (ciò che connota il peculato come un reato proprio); 2) dal possesso da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio del denaro o altra cosa mobile "altrui"; 3) dalla possibilità per il soggetto agente di compiere atti dispositivi sull'altrui denaro o cosa mobile derivante da ragioni connesse all'ufficio o al servizio pubblici da lui svolti; 4) da atti di appropriazione di tale denaro o altra cosa mobile. L'attività che in ragione del suo ruolo svolge il presidente (o capogruppo) di un gruppo consiliare regionale lo colloca in una posizione di particolare incidenza funzionale ed organizzativa nella vita del Consiglio regionale. Il capo del gruppo politico consiliare, infatti, concorre - attraverso la partecipazione alla Conferenza dei Presidenti dei gruppi - alla organizzazione e calendarizzazione dei lavori dell'assemblea, alla organizzazione delle altre attività consiliari propedeutiche a quelle direttamente legiferanti, alla indicazione dei membri del proprio gruppo di riferimento che compongono le commissioni previste dallo Statuto in seno al Consiglio regionale. Una serie di facoltà e di poteri, dunque, il cui esercizio esalta la rilevanza della figura del presidente del gruppo, rendendolo diretto partecipe di una peculiare modalità progettuale ed attuativa della funzione legislativa regionale, che lo qualifica senza dubbio come pubblico ufficiale ai sensi dell'art. 357 c.p., comma 1. Qualifica che, a prescindere dalla natura giuridica che voglia riconoscersi ai gruppi consiliari, si coniuga ad una disciplina per certo di diritto pubblico dell'azione del gruppo consiliare in seno al Consiglio regionale e alla stessa rilevanza pubblica che in questo specifico contesto operativo assumono i presidenti dei vari gruppi consiliari.

Nella specie, secondo la disciplina regionale della l. n. 6/1896 [recte: 1986 - n.d.r.] vigente all'epoca dei fatti, l'obbligo di rendicontazione risulta essere stato soddisfatto mediante la nota riepilogativa annuale prevista dalla normativa regionale secondo la quale - all'art. 5 della legge - ciascun capogruppo, entro febbraio, doveva presentare all'Ufficio di Presidenza "una nota riepilogativa circa l'utilizzazione dei fondi erogati nell'anno precedente, articolata per categorie e per voci secondo uno schema predisposto dall'ufficio di Presidenza stesso".

3. Altro aspetto sostanziale riguarda i comuni motivi di ricorso relativi all'elemento psicologico dei reati in contestazione.

A tal riguardo deve essere ribadito il consolidato orientamento secondo il quale deve escludersi che l'errore del pubblico ufficiale circa le proprie facoltà di disposizione del pubblico denaro per fini diversi da quelli istituzionali possa assumere qualsivoglia efficacia scriminante perché, pur essendo la destinazione delle somme determinata da una norma di diritto amministrativo, tale norma deve intendersi richiamata dalla norma penale, della quale integra il contenuto. Pertanto, l'illegittimità della destinazione, anche se imputabile ad ignoranza dell'agente sui limiti dei propri poteri, non si risolve in un errore di fatto su legge diversa da quella penale, ma costituisce errore o ignoranza della legge penale e, come tale, non vale ad escludere l'elemento soggettivo del reato di peculato che consiste nella coscienza e volontà di far proprie somme di cui il pubblico ufficiale ha il possesso per ragioni del suo ufficio (Sez. 6, n. 10458 del 30 giugno 1994, Diene ed altri, Rv. 200162; da ultimo, Sez. 6, n. 13038 del 10 marzo 2016, Bertin, Rv. 266192).

4. Altra questione che deve in via generale essere affrontata è quella relativa al profilo processuale riguardante la motivazione della sentenza e conseguente al ribaltamento rispetto alla prima decisione liberatoria. Deve, a proposito, essere ricordato che il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. un., n. 33748 del 12 luglio 2005, Mannino, Rv. 231679).

Inoltre, le Sezioni unite di questa Corte hanno ribadito i principi alla stregua dei quali "La previsione contenuta nell'art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU, la quale costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne, implica che, nel caso di appello del pubblico ministero avverso una sentenza assolutoria, fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, il giudice di appello non può riformare la sentenza impugnata nel senso dell'affermazione della responsabilità penale dell'imputato, senza avere proceduto, anche d'ufficio, a norma dell'art. 603, comma 3, c.p.p., a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado" (Sez. un., n. 27620 del 28 aprile 2016, Dasgupta); sicché, il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare l'istruzione dibattimentale, anche d'ufficio (Sez. un., n. 27620 del 28 aprile 2016, Dasgupta, Rv. 267489).

I principi sono stati ribaditi da Sez. un., n. 18620 del 19 gennaio 2017, Patalano, Rv. 269785 secondo la quale è affetta da vizio di motivazione, per mancato rispetto del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio", la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all'esito di un giudizio abbreviato non condizionato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all'esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni.

È stato, tuttavia, affermato che il giudice di appello che intenda riformare in peius la sentenza assolutoria di primo grado non ha l'obbligo di disporre la rinnovazione di una prova dichiarativa ritenuta decisiva allorché si limiti a valorizzare integralmente una deposizione solo parzialmente considerata - per una svista, una dimenticanza o un vero e proprio "salto logico" - da parte del primo giudice (Sez. 2, n. 54717 del 1° dicembre 2016, Ciardo, Rv. 268826) e, ancora, che il giudice d'appello per procedere alla reformatio in peius della sentenza assolutoria di primo grado non è tenuto - secondo l'art. 6 CEDU, così come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c/ Moldavia - alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale qualora approdi, in base al proprio libero convincimento, ad una valutazione di colpevolezza attraverso una rilettura degli esiti della prova dichiarativa (di cui non ponga in discussione il contenuto o l'attendibilità), valorizzando gli elementi eventualmente trascurati dal primo giudice, ovvero evidenziando gli eventuali travisamenti in cui quest'ultimo sia incorso nel valutare le dichiarazioni (Sez. 2, n. 41736 del 22 settembre 2015, Di Trapani Antonino e altri, Rv. 264682).

In altri termini - è stato osservato da Sez. 5, n. 33272 del 28 marzo 2017, Carosella - l'obbligo di rinnovazione diviene attuale solo allorquando venga in rilievo un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa, non, altresì, quando la valutazione di attendibilità rimanga inalterata, mutando - come nel caso in esame - la valutazione del complessivo compendio probatorio o l'interpretazione della fattispecie incriminatrice. In tal senso, del resto, è la stessa giurisprudenza della Corte EDU che ha delimitato l'obbligo di rinnovazione, affermando che "la valutazione dell'attendibilità di un testimone è un compito complesso che di solito non può essere soddisfatto da una semplice lettura delle sue dichiarazioni".

È, dunque, la diversa valutazione dell'attendibilità di una prova dichiarativa, strettamente connessa al canone dell'oralità, a fondare l'obbligo di rinnovazione, non già, di per sé, la diversa valutazione del complessivo compendio probatorio, nella sua inalterata dimensione dimostrativa; ché, altrimenti, si imporrebbe una inutile superfetazione processuale, per l'audizione di una fonte il cui contenuto e la cui attendibilità sono rimasti inalterati nel corso del procedimento, anche allorquando la fallacia risieda non già nel giudizio di attendibilità, ma nel ragionamento probatorio, in quanto contraddittorio o illogico, poiché si limita ad una valutazione soltanto numerica degli elementi di prova contrapposti, senza considerare anche il peso, inteso come capacità dimostrativa, degli stessi (Sez. 3, n. 6880 del 26 ottobre 2016, dep. 2017, D L, Rv. 269523).

5. Il ricorso nell'interesse di Anacleto Benin.

5.1. Il primo motivo è fondato.

5.1.1. La sentenza ha affermato la responsabilità del Benin in relazione alla appropriazione di rimborsi forfettari per 35.000 euro nei quattro anni (v. pg. 74) sul rilievo che nella memoria difensiva egli non ha giustificato che in minima parte la quantità di denaro versatagli dal Lattanzi. Nell'ambito di tale somma è ricompresa quella dei due assegni emessi dal Lattanzi e versati al Palmieri (creditore del Benin) (v. pg. 90/91).

5.1.2. Deve essere osservato che il capo D) ascritto anche al ricorrente, secondo l'ampia ed eterogenea formulazione comprendente anche apprezzamenti circa la liceità di talune spese, rispetto alla complessiva somma di 314.544,96 euro riferita ai contributi versati dal Consiglio al Gruppo Consiliare "Il Popolo della Libertà", individua - e quindi contesta - la somma di 134.085,53 euro in quanto priva di giustificazione di spesa. Detta cifra - sempre seguendo la formulazione della imputazione - risulta essere la somma degli importi precedentemente indicati in 62.564,53 euro riferiti al Lattanzi, in 6.000,00 euro riferiti a Benin in relazione ad assegni da questi ricevuti dal capogruppo Lattanzi nei quattro anni (2009/2012), in 31.800 euro riferiti a Enrico Tibaldi e, infine, in 33.721 euro riferiti ad Alberto Zucchi. Infine, la imputazione indica i due assegni - ciascuno dell'importo di 3mila euro, emessi dallo stesso Lattanzi e consegnati al Benin e diretti al creditore di quest'ultimo Palmieri - nell'ambito delle "spese di natura assolutamente personale".

Inoltre - da quanto si desume dalla sentenza - non risultano essere stati considerati specifici addebiti emergenti dagli atti di investigazione in ordine alla complessiva somma addebitata al ricorrente sulla base di valutazioni proprie dei Giudici di merito fondamentalmente legate alla ritenuta incapienza dello stesso ricorrente.

5.1.3. Ritiene questa Corte che lo stesso computo delle somme appena ricordate fa escludere che al Benin sia stata contestata l'indebita percezione di 35.000 euro di contributi ed il riferimento parentetico a tale somma ("pur avendo dichiarato di aver ricevuto rimborsi forfettari per fini istituzionali di 35mila euro"), come palesa la sua stessa articolazione, non esprime una contestazione e non individua, pertanto, un'accusa nei confronti del ricorrente. Deve, pertanto, concludersi che l'affermazione di responsabilità a riguardo della intera somma di 35.000 euro si pone ultrapetita, ancor prima della questione circa la sua devoluzione in appello, della quale - in ogni caso, va detto anche a conferma della individuata opzione dell'accusa - non v'è traccia.

5.1.4. All'accoglimento della censura consegue che la sentenza nei confronti del ricorrente deve essere annullata senza rinvio in relazione al capo D) per le somme diverse da quelle oggetto dei due assegni destinati a Palmieri per mancanza della relativa contestazione.

5.2. Il secondo motivo - per la parte in cui non è assorbito dall'accoglimento del precedente motivo ed in relazione alla vicenda dei due assegni - è generico rispetto alla circostanza di fatto accertata secondo la quale i due assegni sono stati emessi dal Lattanzi su richiesta del Benin in favore del Palmieri che li ha riscossi a saldo di un credito personalmente vantato nei confronti dello stesso Benin.

5.3. Tutti gli altri motivi sono assorbiti dall'accoglimento del primo motivo.

5.4. In conclusione, la sentenza nei confronti del ricorrente deve essere annullata senza rinvio in riferimento al reato di peculato di cui al capo D) limitatamente alle somme versategli da Massimo Lattanzi diverse da quelle oggetto degli assegni destinati al Palmieri per mancanza della relativa contestazione. Nel resto il ricorso deve essere rigettato. Vanno trasmessi gli atti ad altra sezione della Corte di appello di Torino per la rideterminazione della pena nei confronti del ricorrente.

6. I ricorsi nell'interesse di Giuseppe Cerise, Albert Chatrian, Roberto Louvin e Patrizia Morelli.

6.1. Il primo comune motivo è infondato.

6.1.1. La Corte di merito ha correttamente rigettato la eccezione di inammissibilità per aspecificità dell'appello del P.M. in considerazione sia delle censure d'ordine generale che di quelle relative alle specifiche spese ascritte - rispetto alle quali il P.M. aveva contestato l'assunto del primo Giudice della insindacabilità della spesa rappresentata dalla documentazione prodotta.

6.2. Il secondo motivo è solo in parte fondato.

6.2.1. La norma incriminatrice di cui ai commi 1 e 3 della l. n. 195/1974 cui sono riferite le accuse mosse nell'ambito del presente procedimento attribuisce la responsabilità a "chiunque" corrisponda o riceva contributi - con condotta a forma libera - in violazione del divieto di finanziamento e contribuzione da parte - tra gli altri - di organi della pubblica amministrazione di enti pubblici di cui al primo comma. Nella specie, le condotte ipotizzate integrano una violazione del divieto in quanto hanno comportato l'utilizzo di denaro pubblico stanziato dal Consiglio regionale - che è organo della PA - a scopo di finanziamento diretto o indiretto del partito di riferimento dei Gruppi.

È stato già affermato che il reato di illecito finanziamento dei partiti politici, ai sensi della l. 2 maggio 1974, n. 195, può commettersi non solo con erogazioni di denaro in favore degli stessi, ma anche con operazioni indirette che comportino l'accrescimento del patrimonio di tali organismi, come nel caso di finanziamento di iniziative riconducibili alla realizzazione di un interesse dei partiti, quale quello propagandistico, volto a propiziare la "benevolenza" dell'elettorato (Sez. 6, n. 10711 del 6 maggio 1998, Bonifati V e altri, Rv. 211734); ancora, l'art. 7 della l. 2 maggio 1974, n. 195 incrimina, in presenza di determinati presupposti, il finanziamento e i contributi a partiti "in qualsiasi forma diretta o indiretta". Ne consegue che nella previsione della norma rientrano, oltre alle dirette erogazioni di denaro, anche le rinunzie e gli atti di remissione di debito. Invero, il patrimonio di un partito può essere arricchito, in egual misura e con l'identico risultato economico, sia dall'afflusso di nuovo denaro, sia da atti abdicativi a diritti di credito, in quanto tali atti rendono disponibili per altri impieghi proprio quelle risorse che altrimenti avrebbero dovuto essere assorbite dall'adempimento dei debiti assunti (Sez. 6, n. 324 del 1° febbraio 1994, Greganti, Rv. 197149).

6.2.2. Quanto alle somme relative ai gadgets, bandiere ed altro con il logo "ALPE" la sentenza giustifica la responsabilità sulla base della effettuazione delle relative spese nell'interesse esclusivo del partito di riferimento (v. pg. 158/159); quanto alle spese correlate alla pubblicazione dei bilanci, con analogo criterio, si rileva che si tratta di bilanci relativi al solo movimento politico di riferimento (v. pg. 160/161); quanto agli importi per gli stipendi alla dipendente ed ai collaboratori che operavano presso la sede del partito, si afferma che "quantomeno con riferimento alle prestazioni da costoro in realtà fornite non al gruppo ma al partito, costituiscano finanziamenti illeciti di quest'ultimo" (v. pg. 161/163).

6.2.3. Ritiene la Corte che quanto alle prime due vicende, le deduzioni difensive sono sostanzialmente proposte per ragioni non consentite rispetto alla riferibilità delle spese al partito di riferimento, giustificata senza vizi logici e secondo l'alveo di legittimità sopra ricordato non potendosi ricondurre alle finalità lecite - richiamandosi alla più lata attività politica del Gruppo consiliare - quello che si rivela un contributo economico al partito; quanto alla terza vicenda, relativa agli emolumenti dei collaboratori, i ricorsi colgono nel segno difettando - evidentemente - alla statuizione relativa qualsiasi determinazione e determinabilità dell'oggetto del finanziamento. Ne consegue, su tale ultimo punto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

6.3. Il terzo motivo è proposto per ragioni non consentite in quanto la sentenza ha ascritto agli imputati la concorsuale responsabilità sulla base delle stesse dichiarazioni rese dai predetti in ordine alla collegialità delle decisioni (v. pg. 140, richiamate a pg. 161 e 163), valutazione probatoria che, in quanto priva di vizi logici e giuridici, non può essere censurata in sede di legittimità. Né merita censura la reformatio in pejus - per quanto sopra ricordato in termini di legittimità - che non si fonda su un diverso giudizio di attendibilità della prova orale.

6.4. Il quarto motivo è generico rispetto alla consapevole deliberata destinazione delle somme in questione, involgendo ogni altra questione una ignorantia legis che non può scusare.

6.5. La parziale fondatezza dei ricorsi consente l'apprezzamento dell'avvenuto decorso del termine della prescrizione in relazione al reato di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 con riferimento alle somme di cui ai bonifici del 31 marzo 2010 e del 2 luglio 2010, non sussistendo i presupposti per una declaratoria ai sensi dell'art. 129, comma 2, c.p.p.

6.6. In conclusione, la sentenza impugnata nei confronti del Cerise, Chatrian, Louvin e Morelli deve essere annullata senza rinvio in relazione al reato di cui all'art. 7 l. n. 194/1975 limitatamente alle somme destinate agli stipendi perché il fatto non sussiste nonché alle somme di cui ai bonifici del 31 marzo 2010 e del 2 luglio 2010 perché i reati sono estinti per prescrizione. Nel resto i ricorsi devono essere rigettati. Deve essere disposta la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Torino per la rideterminazione della pena nei confronti dei predetti.

7. Il ricorso nell'interesse di Massimo Lattanzi.

7.1. Il primo motivo è fondato per le medesime ragioni già esposte in relazione all'analogo motivo proposto nell'interesse del coimputato Benin.

7.2. Il secondo motivo è infondato.

7.2.1. In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. un., n. 36551 del 15 luglio 2010, Carelli, Rv. 248051). I Giudici di merito hanno ritenuto - al termine del ragionamento posto a base della affermazione di responsabilità - che la contestazione è contenuta nell'imputazione ed esplicitata nella annotazione di polizia giudiziaria del 19 novembre 2013 (v. pg. 74), essendo un fatto che siano state dedotte somme a pagamento di spese che in realtà non c'erano in quanto quelle complessive sostenute dalla testata giornalistica erano decisamente inferiori; seguendo l'imputazione sub D), oltre alle indicazioni di somme riferibili alla testata "FOGLIO AZZURRO" ritenute legittimamente giustificate, nella parte conclusiva si fa riferimento ad una ulteriore somma di 225.535,52 spesa dagli imputati.

7.2.2. Ritiene il Collegio che il duplice riferimento all'imputazione ed agli atti - secondo il richiamato orientamento di legittimità - consente di escludere il vizio, a questo punto, anche genericamente denunciato.

7.2.3. Manifestamente infondato è il motivo sulla qualificazione del fatto, trattandosi - secondo la ineccepibile ricostruzione della sentenza - di erogazioni prive di giustificazione.

7.2.4. Generica è, invece, la deduzione difensiva secondo la quale le contestate eccedenze risultano dalla sommatoria di due distinte erogazioni (quella riconducibile ai rimborsi al Gruppo e quella alla legge sull'editoria), posto che entrambe le erogazioni si giustificavano solo per spese effettivamente sostenute, mentre - nella specie - risulta documentata la notevole eccedenza dei contributi rispetto alle spese di anno in anno documentate.

7.3. Il terzo motivo è infondato in quanto l'obbligo "convenzionale" di rinnovazione - secondo l'orientamento di legittimità sopra richiamato - non ricorre nel caso in esame in cui l'affermazione di responsabilità, in riforma della precedente pronuncia assolutoria, non involge un diverso apprezzamento dell'attendibilità delle fonti dichiarative del Lattanzi e del Fazzalari, ma si poggia su un loro indiscusso elemento comune rappresentato dalla anticipazione del denaro al di fuori delle finalità legittime.

7.4. Il quarto motivo, in considerazione della parziale fondatezza del ricorso e della apprezzabilità del decorso del termine prescrizionale, comporta il rilievo - in ordine al reato di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 con riferimento alle somme destinate per la trasferta romana del 20 marzo 2010 - dell'avvenuta estinzione del reato per intervenuta prescrizione, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

7.5. Il quinto motivo è sostanzialmente proposto per ragioni non consentite rispetto alla ineccepibile ricostruzione in fatto secondo la quale la spesa è stata destinata ad un soggetto privato (Pier Ottavio Signorini) in assenza di finalità di natura politica, afferendo le questioni sul ruolo svolto dal predetto deduzioni in fatto non scrutinabili in questa sede di legittimità.

7.6. Il sesto motivo è proposto sostanzialmente per ragioni non consentite rispetto alla ineccepibile ricostruzione in fatto che ascrive la spesa alla propaganda del partito.

7.7. Il settimo motivo è genericamente proposto rispetto alla impostazione già indicata circa la contestazione dei fatti - e rispetto alla complessiva somma oggetto di contestazione - e dalla loro emergenza dalle investigazioni; quanto alla natura politica delle iniziative è generico ed in fatto rispetto alla ineccepibile ricostruzione in fatto che ha ascritto le due spese a finalità privatistiche - la prima destinata ad una iniziativa promossa da due associazioni calcistiche, una della quali presieduta dal Lattanzi (avendo l'altra pagato di tasca propria la metà delle spese spettantegli); la seconda destinata a pagare il noleggio di un pulmann che aveva trasportato la squadra [di] calcio della medesima società per una trasferta.

7.8. L'ottavo motivo è fondato risultando la reformatio in pejus basata su una diversa valutazione delle dichiarazioni di Viquery: mentre il primo giudice ha ritenuto che non vi fossero ragioni per credere alla versione di questi (segretario dell'UDC, ha affermato di aver ricevuto l'assegno quale contributo per le spese elettorali per le comunali) piuttosto che a Lattanzi e Zucchi (che hanno imputato l'assegno a rimborso spese per la partecipazione degli esponenti dell'UDC agli incontri con gli esponenti del gruppo PDL), i Giudici di appello hanno poggiato la responsabilità del ricorrente sulla credibilità del Viquery, affermando la infondatezza della versione del Lattanzi.

La mancata audizione in appello della prova orale ritenuta decisiva inficia - secondo il noto orientamento di legittimità - il ribaltamento della decisione liberatoria con l'affermazione di responsabilità.

Ne consegue l'annullamento della sentenza nei confronti del ricorrente sul punto con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Torino per nuovo giudizio sul medesimo punto.

7.9. Il nono motivo è manifestamente infondato, essendo stata correttamente disconosciuta ai doni la qualità di spese di rappresentanza. Invero, ai fini della configurabilità del reato di peculato possono considerarsi "spese di rappresentanza" solo quelle che soddisfino il duplice requisito di essere destinate alla realizzazione di un fine istituzionale dell'ente che le sostiene e di essere funzionali a soddisfare la funzione rappresentativa esterna dell'ente pubblico, al fine di accrescere il prestigio della sua immagine e la diffusione delle relative attività istituzionali nell'ambito-territoriale di operatività (Sez. 6, n. 16529 del 23 febbraio 2017, Ardigò, Rv. 270794).

7.10. Il decimo motivo è manifestamente infondato.

Non possono, innanzitutto, escludersi i rimborsi regionali dai "contributi pubblici" da dichiarare ai fini della legge per l'editoria sulla base della asserita natura "propria" di tali risorse che certamente non modifica la provenienza e finalità pubblica della contribuzione determinando, quindi, l'obbligo di dichiararla in sede di finanziamento per le legge dell'editoria.

Manifestamente infondata è la prospettazione in ordine all'elemento psicologico del dolo, involgendosi la conoscenza della norma integratrice del precetto penale e non rilevando la condotta dell'ente destinatario della richiesta tenuto conto che il reato di indebita percezione di pubbliche erogazioni si differenzia da quello di truffa aggravata, finalizzata al conseguimento delle stesse, per la mancata inclusione, tra gli elementi costitutivi, della induzione in errore dell'ente erogatore, essendo quest'ultimo chiamato solo a prendere atto dell'esistenza dei requisiti autocertificati e non a compiere una autonoma attività di accertamento (Sez. 2, n. 23163 del 12 aprile 2016, Oro, Rv. 266979).

Manifestamente infondata è la subordinata prospettazione in ordine alla mancata rinnovazione della prova orale in quanto - secondo il già richiamato orientamento di legittimità - la riforma della precedente decisione liberatoria non è fondata su prove dichiarative difformemente valutate.

7.11. L'undicesimo motivo è assorbito.

7.12. In conclusione, la sentenza impugnata nei confronti di Lattanzi Massimo deve essere annullata senza rinvio in riferimento al reato di peculato di cui al capo D) limitatamente alle somme versate al Benin diverse da quelle oggetto degli assegni destinati al Palmieri, per mancanza della relativa contestazione; inoltre, la sentenza nei confronti di Lattanzi deve essere annullata senza rinvio con riferimento al reato di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 di cui al capo D) limitatamente alle somme versate per la trasferta a Roma del 20 marzo 2010 perché estinto per prescrizione; ancora, la sentenza impugnata nei confronti del Lattanzi deve essere annullata in relazione al reato di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 di cui al capo D) con riferimento all'assegno di euro 1.500 emesso in data 10 marzo 2011 in favore della Unione Democratica di Centro con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Torino per nuovo giudizio sul punto nonché per la rideterminazione della pena nei confronti del predetto. Nel resto il ricorso del Lattanzi deve essere rigettato.

8. Il ricorso nell'interesse di Alberto Zucchi.

8.1. Il primo motivo è manifestamente infondato non risultando il ribaltamento della prima decisione - secondo l'orientamento di legittimità - l'esito di un diverso giudizio sull'attendibilità delle prove orali.

8.2. Il secondo motivo in relazione alla accusa di peculato è inammissibile per quanto già esposto sub 7.5. in relazione all'analogo motivo proposto dal coimputato Lattanzi.

8.3. È fondato il motivo relativo alla reformatio in pejus avente ad oggetto il reato di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 di cui al capo D) con riferimento all'assegno di euro 1.500 emesso in data 10 marzo 2011 in favore della Unione Democratica di Centro, per le ragioni già esposte sub 7.8.

Consegue a ciò l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti dello Zucchi in ordine al predetto reato con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Torino per nuovo giudizio sul punto e per la rideterminazione della pena.

8.4. Il terzo motivo è generico rispetto alla nota destinazione delle somme illecitamente erogate su richiesta dello stesso ricorrente.

8.5. Il quarto, quinto, sesto e settimo motivo sono assorbiti.

8.6. In conclusione la sentenza impugnata nei confronti di Zucchi Alberto deve essere annullata in relazione al reato di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 di cui al capo D) con riferimento all'assegno di euro 1.500 emesso in data 10 marzo 2011 in favore della Unione Democratica di Centro. Nel resto il ricorso dello Zucchi deve essere rigettato disponendosi il rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Torino per nuovo giudizio in relazione al predetto reato di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 e per la rideterminazione della pena.

9. Il ricorso nell'interesse di Ruggero Millet.

9.1. I tre collegati motivi - che si fondano sulla prospettazione in fatto della prestazione resa dalla testata al Gruppo del PD con la vendita di copie del giornale, della quale i contributi erogati dal Gruppo costituirebbero il corrispettivo - sono manifestamente infondati.

9.2. Del tutto correttamente la Corte di merito (v. pg. 173) ha rigettato la deduzione sulla quale fa leva la difesa per escludere le somme versate dal Gruppo alla cooperativa "Le Travail - Il Lavoro" dal novero degli interventi pubblici da dichiarare in sede di concessione dei fondi per l'editoria. Invero - anche a considerare l'asserita controprestazione per la vendita delle copie del giornale - la natura pubblica delle somme erogate non si modifica in relazione ad eventuali rapporti sottostanti, tenuto conto anche - in rapporto alla ratio sottesa alla legge regionale sull'editoria - dell'incidenza che la pubblica contribuzione aveva sulla posizione della testata nell'ambito del mercato. Nondimeno corretta è la valutazione espressa dalla sentenza allorquando valorizza - a carico dell'imputato - il più ampio rapporto della cooperativa con lo stesso Gruppo, che andava oltre l'allegato sinallagma.

9.3. Del pari ineccepibile è l'esclusione di qualsiasi errore scusabile da parte del ricorrente non vertendosi in alcun modo in errore sul fatto investendo - invece - la questione la norma integratrice del precetto penale.

9.4. Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo determinare in euro duemila in favore della cassa delle ammende.

10. I ricorsi nell'interesse di Leonardo La Torre e Claudio Lavoyer.

10.1. In relazione al La Torre.

10.1.1. Il primo motivo ripropone questione di fatto alla quale la Corte di merito ha dato risposta (v. pg. 66 e sg. della sentenza) - esente da vizi logici e giuridici - considerando che la pubblicazione, pagata con i contributi dati al Gruppo consiliare di "FEDERATION AUTONOMISTE", ha avuto ad oggetto il bilancio del movimento politico per l'anno 2011, esulando qualsiasi errore scusabile a riguardo.

10.1.2. Il secondo motivo è generico ed in fatto rispetto alla ineccepibile ricostruzione (v. pg. 67 e sg. della sentenza) secondo la quale si tratta - nella specie - di una elargizione di soldi pubblici in favore del movimento politico, risultando provato che l'iniziativa politica non aveva determinato alcun costo.

10.1.3. Il terzo motivo è generico ed in fatto rispetto all'accertamento - anche in questo caso esente da vizi - secondo il quale risultavano bonificati dal Gruppo consiliare al giornale "LA VOIX AUTONOMISTE", organo d'informazione politica del movimento "FEDERATION AUTONOMISTE", somme di gran lunga superiori ai costi sostenuti dal 2009 al 2011, mentre nel 2012 il contributo era stato erogato nonostante il giornale non era stato più pubblicato, così risultando effettivamente destinate le somme pubbliche al finanziamento del partito.

10.1.4. Il quarto motivo è manifestamente infondato per le ragioni già espresse in ordine all'analogo motivo proposto dal coimputato Lattanzi.

10.1.5. Il quinto motivo costituisce censura in fatto all'esercizio dei poteri discrezionali demandati al giudice di merito, nella specie esercitati senza vizi logici e giuridici, facendosi leva sulla particolare opacità della condotta.

10.2. In relazione al motivo proposto nell'interesse del Lavoyer, devono rilevarsi la genericità e proposizione per ragioni non consentite, rispetto alla esclusione in fatto - non suscettibile di censure in questa sede - di oneri pertinenti alla gestione del giornale, nel 2012 ormai non più pubblicato, per cui non vi era ragione di versamenti - dichiaratamente destinati a "contributo ordinario per il giornale" - riguardanti, oltretutto, spese facenti capo al partito.

10.3. Ne consegue l'inammissibilità dei ricorsi di La Torre Leonardo e Lavoyer Claudio con condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma che si stima equo determinare in 2.000 euro in favore della cassa delle ammende.

11. I ricorsi nell'interesse di Carmela Fontana, Raimondo Davide Donzel e Gianni Rigo.

11.1. I primi cinque motivi sono manifestamente infondati, quando non proposti per ragioni che esulano da quelle consentite in sede di legittimità. Essi sono tra loro collegati fondandosi sulla dedotta esistenza di una "partita di giro" tra Consiglieri, Gruppo consiliare PD e Partito Democratico per la quale i rimborsi degli oneri previdenziali a carico dei Consiglieri Fontana, Donzel e Rigo risultavano legittimi in virtù del rapporto - da un lato - tra questi ed il Partito al quale devolvevano una quota con l'impegno per il primo di rimborsare ad essi tasse e contributi e - dall'altro - tra Gruppo e Partito per il quale il primo si avvaleva di personale e sedi del secondo che, a propria volta, diveniva debitore per tasse e contributi nei confronti dei singoli consiglieri. Secondo l'assunto difensivo, ad un certo punto, interrompendo la partita di giro, il Gruppo - anziché pagare il proprio debito al partito - si è accollato il debito del Partito nei confronti dei consiglieri.

11.2. La sentenza (v. pg. 106 e sg.) ha del tutto ineccepibilmente escluso la incidenza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, della prospettazione difensiva - non illogicamente valutata come una commistione priva dei connotati attribuitigli - sul vincolo di destinazione dei contributi regionali in questione - che non può essere modificata da eventuali rapporti sottostanti - esulando evidentemente da tale vincolo il rimborso dei contributi previdenziali dovuti personalmente dai consiglieri del gruppo, come era loro noto anche a seguito delle comunicazioni effettuate annualmente a ciascuno da parte della Direzione Gestione Risorse e Patrimonio dello stesso Consiglio Regionale.

11.3. Manifestamente infondata è la doglianza, svolta nell'ambito del primo motivo, relativa alla mancata audizione della Maietti, non essendosi fondato il ribaltamento della prima decisione assolutoria - giustificata con la mancanza del dolo - su una diversa valutazione della prova orale.

11.4. Il sesto e settimo motivo sono manifestamente infondati essendo stata correttamente - sulla base del ricordato orientamento di legittimità - esclusa la natura di spesa di rappresentanza del dono fatto in occasione del matrimonio.

11.5. L'ottavo motivo è fondato, tenuto conto della entità della pena a ciascuno inflitta, cui consegue la interdizione da pubblici uffici per la durata della pena inflitta, così dovendosi annullare senza rinvio la relativa statuizione nei confronti dei ricorrenti ed emendare la sentenza ai sensi dell'art. 620, comma 1, lett. l), c.p.p.

11.6. Il nono motivo è manifestamente infondato non trattandosi di risarcimento del danno ma solo di restituzioni.

11.7. Il decimo motivo è - rispetto alla più volte richiamata impostazione in tema di contestazione e della somma complessivamente contestata in relazione alle destinazioni non consentite - manifestamente infondato.

11.8. L'undicesimo motivo è generico rispetto alla motivazione esplicitata a riguardo che fa capo a scelte di fondo ascrivibili ai ricorrenti che non hanno, del resto, opposto a riguardo prese di distanza (v. pg. 133 e sg. della sentenza impugnata).

11.9. Il dodicesimo motivo è fondato.

11.9.1. Nel caso di ricorso per cassazione articolato in più motivi avverso una sentenza avente ad oggetto un solo reato, la fondatezza del motivo concernente la pena accessoria, da ritenere a tutti gli effetti "punto" della decisione, comporta la valida instaurazione del rapporto processuale in relazione al "capo" di imputazione cui si riferisce e consente di rilevare l'eventuale estinzione del reato per prescrizione (Sez. 6, n. 58095 del 30 novembre 2017, Tomei, Rv. 271965).

11.9.2. La fondatezza del motivo sulla pena accessoria induce, pertanto, ad apprezzare il decorso della prescrizione del reato sub L) alla data del 14 aprile 2017 (può essere sottratta la pena di mesi uno e gg. quindici di reclusione sulla pena complessiva, prima della riduzione per il rito: p.b. anni tre di reclusione, ridotta per art. 62-bis c.p. ad anni due, aumentata per continuazione interna al capo F) ad anni due e mesi quattro e, per la continuazione con i reati di cui all'art. 7 l. n. 194/1974 ad anni due e mesi sei di reclusione, aumentata ad anni due, mesi sette e gg. quindici di reclusione per la continuazione con il capo M), ridotta per il rito a anni uno, mesi dieci e gg. cinque di reclusione.

11.10. Inoltre, per la medesima ragione va rilevata la prescrizione del reato di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 sub F) in relazione agli assegni in favore della PUBBLIKOMPASS in data 2 e 26 febbraio 2010, prescritti alla data del 2 e 26 settembre 2017 per Fontana, Donzel e Rigo; nonché per Fontana della prescrizione in relazione al reato di cui al capo M) ex art. 7 l. n. 195/1974, commesso il 17 maggio 2010 e, quindi, prescritto alla data del 17 novembre 2017.

11.11. Pertanto, devono essere eliminate le pene inflitte ai ricorrenti in relazione ai predetti reati per i quali va disposto l'annullamento senza rinvio della sentenza nei loro confronti per intervenuta prescrizione e rideterminata - ai sensi dell'art. 620, comma 1, lett. l), c.p.p. - la pena per ciascuno dei predetti ricorrenti in anni uno, mesi sei e giorni venti di reclusione, con la già concessa sospensione condizionale.

11.12. In conclusione, la sentenza impugnata nei confronti di Fontana Carmela, Donzel Raimondo Davide, Rigo Gianni deve essere annullata senza rinvio in relazione ai reati di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 loro rispettivamente ascritti ai capi F), L) ed M) perché estinti per prescrizione, eliminando le relative pene rispettivamente inflitte, nonché in riferimento alla pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici che va esclusa. Nel resto i ricorsi devono essere rigettati. Per l'effetto la pena inflitta a ciascuno dei ricorrenti Fontana, Donzel e Rigo va rideterminata in anni uno, mesi sei e giorni venti di reclusione, con sospensione condizionale e con interdizione dai pubblici uffici di pari durata.

12. I ricorsi nell'interesse di Dario Comè e Marco Vierin.

12.1. I primi tre motivi, volti a censurare le ragioni della affermazione di responsabilità, sono fondati.

12.2. La sentenza ha affermato la responsabilità dei ricorrenti componenti del gruppo "Stella Alpina-UDC Valle d'Aosta" in ordine al peculato di una "porzione non determinabile ma certamente considerevole" dei versamenti in loro favore (v. pg. 61) secondo un ragionamento che ha valorizzato il tendenziale uguale importo dei versamenti - indizio del fatto che non potesse trattarsi di rimborsi spese, in quanto tali variabili -, le loro cadenze stabili nonché il dato indiziario costituito - da un lato - dal fatto che gli importi percepiti dai ricorrenti siano nettamente superiori a quelli percepiti a tale medesimo titolo da tutti gli altri imputati rivestenti la carica di consigliere regionale; dall'altro, che il rimborso del Comè fosse ingiustificatamente superiore a quello del Vierin, a favore del quale vi era già una autonoma indennità quale assessore e che, infine, per gli accertamenti di p.g. residuava - comunque - una considerevole cifra del tutto ingiustificata. Gli stessi Giudici considerano, infine, la testimonianza di Paolo Contoz non indispensabile conferma dell'esistenza di accordi spartitori dei contributi al Gruppo tesi a riequilibrare le posizioni economiche dei singoli consiglieri.

12.3. Il ragionamento dichiaratamente indiziario svolto dai Giudici di merito e le specifiche censure difensive a riguardo impongono di ricordare l'orientamento consolidato di questa Corte secondo il quale l'indizio è un fatto certo dal quale, per interferenza logica basata su regole di esperienza consolidate ed affidabili, si perviene alla dimostrazione del fatto incerto da provare secondo lo schema del cosiddetto sillogismo giudiziario. È possibile che da un fatto accertato sia logicamente desumibile una sola conseguenza, ma di norma il fatto indiziante è significativo di una pluralità di fatti non noti ed in tal caso può pervenirsi al superamento della relativa ambiguità indicativa dei singoli indizi applicando la regola metodologica fissata nell'art. 192, comma secondo, c.p.p. Peraltro l'apprezzamento unitario degli indizi per la verifica della confluenza verso un'univocità indicativa che dia la certezza logica dell'esistenza del fatto da provare, costituisce un'operazione logica che presuppone la previa valutazione di ciascuno singolarmente, onde saggiarne la valenza qualitativa individuale. Acquisita la valenza indicativa - sia pure di portata possibilistica e non univoca - di ciascun indizio deve allora passarsi al momento metodologico successivo dell'esame globale ed unitario, attraverso il quale la relativa ambiguità indicativa di ciascun elemento probatorio può risolversi, perché nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, di tal che l'insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto; prova logica che non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica), quando sia conseguita con la rigorosità metodologica che giustifica e sostanzia il principio del cosiddetto libero convincimento del giudice (Sez. un., n. 6682 del 4 febbraio 1992, Musumeci ed altri, Rv. 191230); ancora, in tema di valutazioni probatorie, con specifico riferimento agli indizi, che, a differenza della prova, non sono idonei, ciascuno da solo, ad assicurare l'accertamento dei fatti, il giudice deve procedere in primo luogo all'esame parcellare di ciascuno di essi, identificandone tutti i collegamenti logici possibili e valutandone quindi la gravità e la precisione; deve quindi procedere alla sintesi finale accertando se gli indizi esaminati sono concordanti, cioè se possono essere collegati a una sola causa o a un solo effetto e collocati tutti armonicamente in un unico contesto, dal quale possa per tale via desumersi l'esistenza o l'inesistenza di un fatto (Sez. 6, n. 7175 del 19 maggio 1998, Bernardoni ed altri, Rv. 211129).

12.4. Ritiene il Collegio che il ragionamento indiziario posto a base della affermazione di responsabilità dei ricorrenti deve essere censurato.

Invero, esso risulta congetturale ed ipotetico avendo conferito valore indiziante a circostanze di fatto prive della necessaria univocità: la omogenea entità del versamento mensile non si confronta, se non genericamente, con la dedotta inferiorità del contributo rispetto alle effettive spese sostenute e sconta la insufficienza del parametro adottato palesata dalla assoluzione del coimputato Laniece per la sola circostanza della variabilità degli importi; inoltre, risulta del tutto generica, per indiziare la illiceità delle percezioni, la comparazione con i due ricorrenti e gli altri coimputati.

E l'insufficienza indiziante di ciascuno degli elementi considerati non può essere ritenuta superata dalla loro unitaria valutazione, sostanzialmente rimasta legata ad una ipotesi, che - pertanto - rimane al di fuori dell'alveo di legittimità ricordato.

Infine, il ragionamento incorre nell'errore metodologico indicato sin dalla sentenza di legittimità Provenzano - in relazione al quale la stessa Corte di merito pur si mostra in generale consapevole (v. pg. 47 e sg. della sentenza) - quando ascrive significato indiziario all'assenza di giustificativi in un contesto pacificamente verificato nella specie secondo il quale i rimborsi erano erogati sulla base della note annuali rese dal capogruppo e non già direttamente sulla base della documentazione giustificativa presentata dal singolo consigliere.

Del resto, decisamente, la fallacia probatoria del ragionamento dei Giudici di merito si palesa nella sua conclusiva affermazione di responsabilità in ordine ad un indeterminato quantum dell'illecita appropriazione che sfugge censurabilmente alla necessaria determinazione dell'oggetto della condotta illecita ed alla necessità di dimostrare la illiceità della condotta non essendo questa neanche individuata ma solo presuntivamente attinta.

12.5. L'accoglimento dei predetti motivi assorbe gli altri.

12.6. Pertanto, in assenza di questioni da approfondire o elementi da valutare o ricercare, la sentenza impugnata nei confronti di Dario Comè e Marco Vierin deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Comè Dario e Vierin Marco perché il fatto non sussiste.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Benin Anacleto in riferimento al reato di peculato di cui al capo D) limitatamente alle somme versategli da Lattanzi diverse da quelle oggetto degli assegni destinati al Palmieri, per mancanza della relativa contestazione; rigetta nel resto il ricorso e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione della Corte di appello di Torino per la rideterminazione della pena nei confronti del predetto.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Lattanzi Massimo in riferimento al reato di peculato di cui al capo D) limitatamente alle somme versate al Benin diverse da quelle oggetto degli assegni destinati al Palmieri, per mancanza della relativa contestazione; annulla senza rinvio la sentenza nei confronti di Lattanzi con riferimento al reato di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 di cui al capo D) limitatamente alle somme versate per la trasferta a Roma del 20 marzo 2010 perché estinto per prescrizione; annulla la sentenza impugnata nei confronti del Lattanzi in relazione al reato di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 di cui al capo D) con riferimento all'assegno di euro 1.500 emesso in data 10 marzo 2011 in favore della Unione Democratica di Centro e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Torino per nuovo giudizi sul punto nonché per la rideterminazione della pena nei confronti del predetto; rigetta nel resto il ricorso del Lattanzi.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Cerise Giuseppe, Chatrian Albert, Louvin Roberto e Morelli Patrizia in relazione ai reati di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 di cui al capo T) limitatamente alle somme destinate agli stipendi perché il fatto non sussiste nonché alle somme di cui ai bonifici del 31 marzo 2010 e del 2 luglio 2010 perché estinti per prescrizione; rigetta nel resto i ricorsi dei predetti e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione della Corte di appello di Torino per la rideterminazione della pena nei loro confronti.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Fontana Carmela, Donzel Raimondo Davide, Rigo Gianni in relazione ai reati di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 loro rispettivamente ascritti ai capi F), L) ed M) perché estinti per prescrizione, eliminando le relative pene rispettivamente inflitte, nonché in riferimento alla pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici che esclude. Rigetta nel resto i ricorsi. Ridetermina la pena inflitta a ciascuno dei ricorrenti Fontana, Donzel e Rigo in anni uno, mesi sei e giorni venti di reclusione, con sospensione condizionale e con interdizione dai pubblici uffici di pari durata.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Zucchi Alberto in relazione al reato di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 di cui al capo D) con riferimento all'assegno di euro 1.500 emesso in data 10 marzo 2011 in favore della Unione Democratica di Centro. Rigetta nel resto il ricorso dello Zucchi e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Torino per nuovo giudizio in relazione al predetto reato di cui all'art. 7 l. n. 195/1974 e per la rideterminazione della pena.

Dichiara inammissibili i ricorsi di Millet Ruggero, La Torre Leonardo e Lavoyer Claudio, che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno al pagamento della somma di 2.000 euro in favore della cassa delle ammende.

Depositata il 29 maggio 2018.