Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 25 luglio 2018, n. 19779

Presidente: Schirò - Estensore: Valitutti

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso depositato il 17 giugno 2015, C.G. chiedeva al Tribunale per i minorenni delle Marche di riconoscere al ricorrente «il diritto di allacciare e mantenere rapporti significativi con i propri nipoti P.L., B.A., B.G., G.G.», ai sensi dell'art. 317-bis c.c., con ogni conseguente statuizione di legge. Il Tribunale adito, con decreto n. 3089 del 29 ottobre 2015, rigettava il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

2. Con decreto n. 41/2016, depositato il 22 gennaio 2016, la Corte d'appello di Ancona, rigettava il reclamo proposto dal G., confermando integralmente l'impugnato provvedimento. Il giudice di secondo grado - sulla base delle concordi dichiarazioni rese nel giudizio dai figli del reclamante e dagli stessi nipoti - riteneva, invero, che non fosse conforme all'interesse superiore dei minori la frequentazione dei medesimi con il nonno, stante l'atteggiamento prevaricatore e violento dimostrato dal medesimo in famiglia.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso C.G. nei confronti di G.F. e B.C., quali genitori dei minori B.G. e B.A., G.C. e P.M., quali genitori della minore P.L., G.P. e M.S.L.C., quali genitori della minore G.G., affidato a tre motivi. I resistenti hanno replicato con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale, la Corte è tenuta ad affrontare - essendone stata investita dall'ordinanza della Sesta Sezione Civile n. 4266/2018 del 12 gennaio 2018, che ha rimesso, per l'esame di tale questione, la causa alla pubblica udienza - il dibattuto problema concernente l'ammissibilità del ricorso per cassazione proposto avverso il provvedimento emesso in sede di reclamo, ex art. 739 c.p.c., nei confronti del decreto reso dal tribunale per i il minorenni ai sensi dell'art. 336 c.c., espressamente richiamato dalla novellata norma dell'art. 317-bis c.c.

1.1. Orbene, secondo il tradizionale orientamento di questa Corte, i provvedimenti modificativi, ablativi o restitutivi della potestà dei genitori, resi dal giudice minorile ai sensi degli artt. 330, 332, 333 e 336 c.c. (oggi richiamato, come dianzi detto, anche dall'art. 317-bis c.c.), configurano espressione di giurisdizione volontaria non contenziosa, in quanto non risolvono conflitti fra diritti posti su un piano paritario, ma sono preordinati all'esigenza prioritaria della tutela degli interessi dei figli e sono, altresì, soggetti alle regole generali del rito camerale, sia pure con le integrazioni e specificazioni previste dalle citate norme. Con la conseguenza che detti provvedimenti, sebbene adottati dalla corte d'appello in esito a reclamo, non sono idonei ad acquistare autorità di giudicato, nemmeno rebus sic stantibus, in quanto modificabili e revocabili non solo ex nunc, per nuovi elementi sopravvenuti, ma anche ex tunc, per un riesame (di merito o di legittimità) delle originarie risultanze. Di talché essi esulano dalla previsione dell'art. 111 Cost. e non sono, pertanto, impugnabili neppure con ricorso straordinario per cassazione (cfr. ex plurimis, Cass., 17 giugno 2009, n. 14091; Cass., 14 maggio 2010, n. 11756; Cass., 31 maggio 2012, n. 8778; Cass., 13 settembre 2012, n. 15341; Cass., 22 settembre 2016, n. 18562).

Non era mancata in verità, anche in passato, qualche sporadica pronuncia di segno contrario, nella quale si era affermato che sono impugnabili con ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., i provvedimenti emessi ai sensi dell'art. 330 c.c. e quelli resi in via provvisoria ed urgente ai sensi dell'art. 333 c.c., in quanto incidono comunque - sia pure non in una procedura contenziosa - su posizioni di diritto soggettivo in conflitto (Cass., Sez. un., 9 gennaio 2001, n. 1; Cass., 16 giugno 1983, n. 4128; Cass., 7 novembre 1985, n. 5408). Ma l'indirizzo successivo si è subito affrettato a smentire la tesi, tornando a rinchiudersi a riccio nella prescelta opzione di considerare non ricorribili i decreti in parola, poiché mancanti del requisito della definitività e della intangibilità, riconoscibile ai soli provvedimenti aventi attitudine al passaggio in cosa giudicata.

1.2. E tuttavia, tale indirizzo non ha incontrato il consenso della dottrina assolutamente prevalente, che più volte si è espressa in senso fortemente critico al riguardo, per diversi ordini di ragioni.

Non si è mancato, anzitutto, di osservare che l'opzione interpretativa prescelta dall'indirizzo maggioritario della Corte Suprema non terrebbe conto della tendenziale definitività, rebus sic stantibus, dei provvedimenti in parola, essendo tutt'altro che scontata la possibilità di modificarli o revocarli anche ex tunc, in forza della mera rivalutazione delle circostanze preesistenti alla pronuncia. La limitazione - sostenuta da tale dottrina - della modifica e della revoca di detti provvedimenti alle sole sopravvenienze - o, al più, anche alle circostanze preesistenti, ma soltanto se non dedotte in precedenza dalla parte interessata - con la conseguente incisione sui decreti camerali esclusivamente ex nunc, comporterebbe, pertanto, un'indiscutibile stabilità degli stessi, allo stato degli atti, aprendo la strada al ricorso ex art. 111 Cost.

Si è rilevato, poi, che il predetto orientamento di legittimità sarebbe inspiegabilmente ed irragionevolmente distonico rispetto a quello adottato dalla stessa Corte nella materia dell'affidamento dei minori, nella quale la ricorribilità per cassazione del provvedimenti emessi in sede di reclamo è pacifica, sebbene gli artt. 337-quinquies c.c. e 710 c.p.c. lascino intravedere nel loro tenore letterale - ben più dei provvedimenti de potestate - una modificabilità e revocabilità «piene».

Nell'ottica del bilanciamento degli interessi in gioco, si è, da ultimo, osservato che l'incisione dei provvedimenti in parola su diritti, anche costituzionalmente garantiti (artt. 2 e 30 Cost.), e su status, renderebbe senz'altro preferibile ed auspicabile una soluzione più garantistica, che riconosca la possibilità del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.

1.3. L'impostazione tradizionale seguita dalla giurisprudenza di legittimità è stata, alla fine, sottoposta a revisione critica da questa Corte, che ha sostanzialmente recepito le summenzionate sollecitazioni provenienti dalla dottrina pressoché unanime.

Si è, per vero, affermato al riguardo che - anche alla luce delle recenti modifiche apportate all'art. 38 disp. att. c.c. dalla l. n. 219 del 2012, che ha attribuito al giudice ordinario anche i procedimenti ex artt. 330 e 333 c.c., «nell'ipotesi in cui sia in corso tra le stesse parti giudizio di separazione o divorzio», con conseguente pacifica ammissibilità, in tal caso, del ricorso per cassazione - deve essere superato l'orientamento secondo il quale i provvedimenti de potestate che attengono alla compressione della titolarità della responsabilità genitoriale (ovvero i provvedimenti di decadenza o limitativi di cui, rispettivamente, agli artt. 330 e 333 c.c.), poiché vengono assunti nell'interesse del solo minore, a prescindere dalle richieste dei genitori, non sono idonei ad acquisire valenza di giudicato rebus sic stantibus. Con la conseguenza che il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 della Costituzione, avverso il decreto emesso in sede di reclamo dalla Corte d'appello, deve essere dichiarato inammissibile.

Essendo indubitabile che il decreto adottato dal tribunale per i minorenni, con il quale si dispone la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale, incide su diritti di natura personalissima, di primario rango costituzionale, deve - per converso - ritenersi che tale provvedimento, emanato peraltro all'esito di un procedimento che si svolge con la presenza di parti processuali in conflitto tra loro, abbia attitudine al cd. giudicato rebus sic stantibus. Tale provvedimento non è, invero, né revocabile né modificabile, se non per la sopravvenienza di fatti nuovi, e non per la mera rivalutazione delle circostanze preesistenti già esaminate. Pertanto, dopo che la Corte d'appello lo abbia confermato, revocato o modificato in sede di reclamo ex art. 739 c.p.c., il decreto - secondo l'orientamento innovativo in esame - acquista una sua definitività, ed è senz'altro impugnabile con il ricorso per cassazione che va, di conseguenza, ritenuto pienamente ammissibile (cfr. Cass., 29 gennaio 2016, n. 1743; Cass., 29 gennaio 2016, n. 1746; Cass., 21 novembre 2016, n. 23633).

1.4. Tutto ciò premesso, ritiene la Corte che tale ultimo indirizzo - che assume uno specifico rilievo nella presente controversia, atteso il richiamo al procedimento camerale ex art. 336 c.c., operato dall'art. 317-bis dello stesso codice - debba essere confermato in questa sede, per le ragioni che si passa ad esporre.

1.4.1. Per intanto, va precisato che non si ravvisa la necessità di rimettere l'esame della questione alle Sezioni unite, considerato che l'indirizzo summenzionato - al quale si intende aderire - rappresenta, men che un'opzione interpretativa in contrasto con quella sostenuta in precedenza, piuttosto una rivisitazione dell'indirizzo tradizionale necessitata da ragioni obiettive, connesse alla menzionata novella dell'art. 38 disp. att., introdotta dall'art. 3, comma 1, della l. 10 dicembre 2002, n. 219, nonché alla mutata veste assunta dal minore nei procedimenti giurisdizionali che lo riguardano.

Ed invero, proprio con riferimento all'ipotesi - ricorrente nella specie - del procedimento finalizzato all'accertamento del diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti, questa Corte ha - ormai da tempo - affermato che il minore assume la qualità di parte e, in quanto tale, come affermato anche dall'art. 315-bis c.c., introdotto dalla l. 10 dicembre 2012, n. 219, ha diritto di essere ascoltato, purché abbia compiuto gli anni dodici, ovvero, sebbene di età inferiore, sia comunque capace di discernimento (Cass., 5 marzo 2014, n. 5097; Cass., Sez. un., 21 ottobre 2009, n. 22238). Ebbene è di tutta evidenza che la mutata veste del minore, ormai «parte» del processo come le altre, nei giudizi che lo riguardano, vale a trasformare tali giudizi - ancorché non contenziosi - in procedimenti che comunque dirimono conflitti tra posizioni soggettive diverse. Ed il rilievo trova una chiara conferma nella previsione secondo cui il genitore investito dalla richiesta di decadenza o di compressione della potestà (nel caso dell'art. 317-bis, il nonno), ed il minore ultradodicenne (ed anche infradodicenne, se capace di discernimento), devono essere sentiti e devono essere assistiti da un difensore (art. 336, secondo e quarto comma, c.c.).

1.4.2. Ciò posto, al fine di evidenziare le ragioni che inducono ad aderire all'orientamento più innovativo, va anzitutto osservato che, anche a voler restare aderenti al tenore letterale delle disposizioni che disciplinano l'affidamento dei minori e di quelle in materia di incisione sulla responsabilità genitoriale (ed oggi anche sul cd. diritto di visita dei nonni), risulta evidente che il dato testuale non rivela una maggior stabilità nelle misure sull'affidamento dei minori, di quanto non faccia per i provvedimenti de potestate. Nei primi, anzi, le formule usate nell'art. 710 c.p.c. e nell'art. 337-quinquies c.c. - del tutto generiche ed aspecifiche, quanto alle ragioni legittimanti la richiesta di revisione - fanno pensare a una revocabilità «piena», mentre un riferimento alla stabilità rebus sic stantibus affiora piuttosto nell'art. 332 c.c. sul reintegro della responsabilità genitoriale, stante il riferimento testuale alla sopravvenuta cessazione delle ragioni per le quali la decadenza era stata pronunciata.

Eppure è pacifico - nella giurisprudenza di questa Corte - che il decreto pronunciato dalla corte d'appello in sede di reclamo avverso il provvedimento del tribunale in materia di modifica delle condizioni della separazione personale, concernenti - non soltanto le questioni patrimoniali - ma anche l'affidamento dei figli ed il rapporto con essi, ha carattere decisorio e definitivo ed è, pertanto, ricorribile in cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (cfr., ex plurimis, Cass., 26 marzo 2015, n. 6132; Cass., 10 maggio 2013, n. 11218; Cass., 6 novembre 2006, n. 23673; Cass., 28 agosto 2006, 18627).

Ebbene, tale difformità di indirizzo - giustificata sulla base del rilievo che i provvedimenti de potestate non avrebbero l'attitudine ad assumere valenza di giudicato rebus sic stantibus, poiché non attinenti all'esercizio della potestà genitoriale come quelli in materia di affidamento, ma soltanto alla compressione della titolarità di tale responsabilità, e che la loro assunzione avverrebbe nell'esclusivo interesse del minore - non può più essere mantenuta.

1.4.3. Come ben ha rilevato la citata decisione di questa Corte n. 23633/2016, invero, sotto il primo profilo non si tiene conto del fatto che il più contiene il meno, «sicché l'esercizio della responsabilità ben può essere regolato attraverso la sua (parziale o totale) compressione». Sotto il secondo profilo, non si considera che anche nei giudizi di separazione, di divorzio, o promossi ai sensi dell'art. 316 c.c., «i provvedimenti concernenti l'affidamento dei minori sono assunti nell'esclusivo interesse morale e materiale della prole»; e nondimeno, in siffatti giudizi, la ricorribilità per cassazione - come detto - non viene in alcun modo posta in discussione.

Ma vi è di più. La modifica dell'art. 38 disp. att. c.c., introdotta dalla l. n. 219 del 2012, ha attribuito al giudice ordinario anche i procedimenti ex artt. 330 e 333 c.c., «nell'ipotesi in cui sia in corso tra le stesse parti giudizio di separazione o divorzio», con conseguente pacifica ammissibilità, in tal caso, del ricorso per cassazione. Ne discende che sarebbe oltremodo contraddittorio ed illogico - con evidenti ricadute sul piano costituzionale (artt. 3 e 24 Cost.) - continuare ad attribuire ai soli provvedimenti emessi dal giudice ordinario in materia di affidamento dei figli minori l'attitudine al cd. giudicato rebus sic stantibus, con conseguente ammissibilità del ricorso per cassazione, negando siffatta attitudine ai provvedimenti de potestate, emessi dallo stesso giudice, sebbene sia gli uni che gli altri siano soggetti a modifica o revoca solo in presenza di mutamenti delle circostanze.

Ed è di palese evidenza che tale differenziazione di regime giuridico dei provvedimenti in parola non potrebbe in alcun modo essere giustificata, in caso di provvedimenti ablatori o limitativi della potestà genitoriale (artt. 330 e 333 c.c.), o di provvedimenti emessi ai sensi dell'art. 317-bis c.c., per il fatto che si tratti di provvedimenti resi ordinariamente dal tribunale per i minorenni - al di fuori del caso suindicato - e non dal giudice ordinario, non potendo la giustificazione di una disparità di trattamento di tal fatta - che incide sul regime delle tutele in materia connotata da una particolare delicatezza - trovare un fondamento giuridico nella speciale competenza del suddetto organo giurisdizionale.

1.4.4. Ad ogni buon conto, la rilevanza degli interessi in gioco non consente la riduzione del problema all'analisi del solo dato letterale, ossia della portata e del tenore testuale delle norme in comparazione. Il nodo più importante da sciogliere risiede, infatti, nel bilanciamento degli interessi in una materia nella quale - come rilevato dalle decisioni nn. 1743, 1746 e 23633/2016 di questa Corte - si riscontra una significativa incidenza su diritti di natura personalissima, di primario rango costituzionale. Di fronte a misure come la decadenza dalla responsabilità genitoriale o la compressione del cd. diritto di visita dei nonni, la revocabilità e modificabilità «a tutto campo», che garantisca massima flessibilità ai provvedimenti, rischia di tradursi - per vero - in una continua ed altalenante revisione dei provvedimenti stessi ad opera dello stesso giudice, in una materia nella quale l'esigenza di certezza e stabilità delle decisioni si pone, invece, in modo particolarmente intenso, nell'interesse prioritario dei minori. Mentre un regime di revocabilità limitata - cui faccia seguito la possibilità di ottenere una pronuncia risolutiva della Corte Suprema, ai sensi dell'art. 111 Cost. - è decisamente più rispondente all'esigenza di certezza nei rapporti familiari.

1.4.5. Sotto tale ultimo profilo, non convince affatto l'affermazione - più volte operata dall'indirizzo tradizionale - secondo cui i provvedimenti emessi ai sensi degli artt. 330 e ss. e 317-bis c.c. non sarebbero idonei ad acquistare l'autorità del giudicato, neppure rebus sic stantibus, in quanto modificabili e revocabili non solo ex nunc, per nuovi elementi sopravvenuti, ma anche ex tunc, per un riesame (di merito o di legittimità) delle originarie risultanze, con la conseguenza che essi esulano dalla previsione dell'art. 111 Cost.

È bensì vero, infatti, che la disposizione dell'art. 742 c.c. - secondo cui i decreti emessi in camera di consiglio possono essere modificati o revocati in ogni tempo (con salvezza dei diritti acquistati dai terzi di buona fede, per effetto di convenzioni anteriori alla modifica o alla revoca) - nel consentire al giudice l'esercizio dello ius poenitendi, è evidentemente finalizzata ad escludere l'applicabilità ai procedimenti camerali del divieto del bis in idem, escludendo, in tal modo, che tali provvedimenti possano rivestire l'idoneità al giudicato formale e sostanziale (artt. 324 c.p.c., 2909 c.c.). E tuttavia, va osservato che la previsione del settimo comma dell'art. 111 Cost. è stata da sempre interpretata - fin dalla remota pronuncia di questa Corte del 30 luglio 1953, n. 2593 - nel senso che la ricorribilità per cassazione, al di là della forma del provvedimento, è ancorata alla natura decisoria del medesimo, ossia alla sua idoneità a definire una controversia su diritti soggettivi e status, ed alla definitività del provvedimento stesso, da intendersi non soltanto come attitudine al giudicato formale e sostanziale, ma anche come indisponibilità, nei suoi confronti, di rimedi (impugnatori ed oppositori) diversi dal ricorso straordinario per cassazione.

A tal riguardo, deve - pertanto - condividersi l'indirizzo interpretativo sostenuto da una consistente parte della dottrina, secondo la quale - proprio al fine di non sottrarre tali delicati provvedimenti ad un più immediato controllo garantistico della Corte Suprema, quale unico rimedio percorribile in materia - la possibilità della modifica e della revoca ex art. 742 c.p.c. è limitata alla valutazione dei soli vizi di merito o di legittimità sopravvenuti, con esclusione di una nuova valutazione di circostanze o fatti preesistenti. In altri termini, una volta decorsi i termini per il reclamo (art. 739 c.p.c.), o una volta che questo sia stato disatteso, il provvedimento camerale acquista una sua definitività (art. 741 c.p.c.), che può essere inficiata, sia per quanto concerne i vizi di merito - atteso che la cognizione del giudice del reclamo, nella materia della giurisdizione volontaria, finalizzata alla tutela anche di interessi pubblicistici e superindividuali, si estende anche alla opportunità o convenienza del provvedimento impugnato - sia per quanto concerne i vizi di legittimità, solo in presenza di specifiche sopravvenienze di fatto o di diritto.

In mancanza - come nel caso di specie - la acquisita stabilità del provvedimento (cd. giudicato rebus sic stantibus) può essere posta in discussione esclusivamente con il rimedio costituito dal ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost.

1.6. Per tutte le ragioni esposte, dunque, il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., proposto nel caso di specie avverso il provvedimento emesso in sede di reclamo, ai sensi degli artt. 739 c.p.c. e 336 c.c., deve ritenersi ammissibile.

2. Passando, quindi, all'esame del merito, va rilevato che, con il primo motivo di ricorso, C.G. denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 317-bis c.p.c., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.

2.1. Si duole il ricorrente del fatto che la Corte d'appello, confermando - in sede di reclamo - il provvedimento di prime cure, non abbia emesso il richiesto provvedimento che consenta all'istante di esercitare il suo diritto «a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni», ai sensi della norma succitata. Assume l'istante che l'art. 317-bis c.c. - nel testo novellato dall'art. 42 del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 - avrebbe introdotto una «svolta epocale in relazione al diritto dei nonni», riconoscendo, a favore degli ascendenti, «una posizione di diritto autonomo, speculare a quella del minore di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti», ai sensi dell'art. 315-bis c.c. I nonni, pertanto, non sarebbero più - nell'attuale regime giuridico, anche alla luce delle affermazioni operate dalla Corte di Strasburgo, in relazione all'art. 8 della CEDU (rispetto della vita familiare) - portatori di situazioni di mera «aspettativa» o di «interesse qualificato», ma sarebbero, invece, titolari di veri e propri «diritti cogenti e coattivi», pienamente tutelati dalla legge.

Del resto - come detto - siffatta situazione giuridica sarebbe strettamente correlata all'interesse dei minori a mantenere rapporti significativi con familiari particolarmente importanti per la loro formazione e per la loro armonica e serena crescita, come i nonni.

Avrebbe, di conseguenza, errato la Corte - peraltro sulla base delle dichiarazioni dei soli minori e dei loro genitori, e senza compiere alcun ulteriore atto istruttorio - ad escludere che non fosse conforme agli interessi dei medesimi allacciare e mantenere rapporti con il nonno.

2.2. Il motivo è infondato.

2.2.1. Va osservato che, già nel regime previgente la novella dell'art. 317-bis c.c., introdotta dal d.lgs. n. 154 del 2013, questa Corte aveva affermato che l'art. 1, comma primo, della l. 8 febbraio 2006, n. 54, che ha novellato l'art. 155 c.c., nel prevedere il diritto dei minori, figli di coniugi separati, di conservare rapporti significativi con gli ascendenti (ed i parenti di ciascun ramo genitoriale), non attribuisce a questi ultimi un autonomo diritto di visita, ma affida al giudice un elemento ulteriore di indagine e di valutazione nella scelta e nell'articolazione di provvedimenti da adottare in tema di affidamento, nella prospettiva di una rafforzata tutela del diritto ad una crescita serena ed equilibrata del minore (Cass., 11 agosto 2011, n. 17191; Cass., 19 gennaio 2015, n. 752, che fa espressamente riferimento, al riguardo, al preminente interesse del minore).

La novellata norma di cui all'art. 317-bis c.c. rappresenta, certamente, una novità significativa in materia, in quanto ha attribuito espressamente agli ascendenti il diritto di agire in giudizio contro chi impedisce loro di mantenere rapporti significativi con i nipoti. E non può certamente dubitarsi del fatto che - come assume il ricorrente - si tratti di un diritto soggettivo autonomo, per la prima volta espressamente previsto dal legislatore. Nondimeno, va rilevato che il secondo comma della disposizione ha cura di evidenziare che i provvedimenti in materia devono essere adottati «nell'esclusivo interesse del minore». È del tutto evidente, dunque, che quello degli ascendenti si pone come un diritto pieno esclusivamente nei confronti dei terzi, laddove costituisce una posizione soggettiva recessiva di fronte al preminente interesse dei nipoti minorenni, che è, in ogni caso, destinato a prevalere. In tal senso, la giurisprudenza di merito successiva alla riforma non ha mancato di evidenziare che l'art. 317-bis c.c., non attribuisce ai nonni un diritto incondizionato di visita dei nipoti, ma - nel prevedere che debbano essere assicurati tra gli stessi rapporti significativi - riconosce l'importanza che assume, nella vita e nella formazione educativa dei minori, anche la conoscenza e la frequentazione dei nonni, sempre che questa si esplichi in funzione di una loro crescita serena ed equilibrata, quali componenti della famiglia allargata nel cui interno essi sono collocati e della quale fanno parte (App. Venezia, 24 dicembre 2015, n. 162).

Del resto, l'art. 24, comma 2, della Carta di Nizza è inequivoco nel sancire, al riguardo, che «in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente».

2.2.2. Nella medesima prospettiva si è posta, peraltro, la giurisprudenza europea, che ha più volte evidenziato come l'art. 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata e familiare) tenda sostanzialmente a premunire l'individuo dalle ingerenze arbitrarie delle pubbliche autorità e possa anche generare obblighi positivi inerenti a un «rispetto» effettivo della vita famigliare. Il confine tra gli obblighi positivi e negativi derivanti per lo Stato da questa disposizione non si presta ad una definizione ben precisa; i principi applicabili sono comunque comparabili. In entrambi i casi, si deve avere riguardo, invero, al giusto equilibrio da garantire tra gli interessi concomitanti dell'individuo e della società nel suo insieme, tenendo conto in ogni caso che l'interesse superiore del minore deve costituire la considerazione determinante e, a seconda della propria natura e gravità, può prevalere su quello dei genitori o degli altri familiari (Corte EDU, 9 febbraio 2017, Solarino c. Italia).

Con specifico riferimento alla posizione dei nonni, la Corte europea ha - dipoi - osservato che l'art. 8 CEDU ha essenzialmente lo scopo di premunire l'individuo contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri. Esso non si limita, peraltro, ad imporre allo Stato di astenersi da tali ingerenze, giacché a tale impegno negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti a un rispetto effettivo della vita privata o familiare. Questi possono implicare l'adozione di misure volte al rispetto della vita familiare nelle relazioni degli individui tra loro, tra cui la predisposizione di un «arsenale giuridico» adeguato e sufficiente per garantire i diritti legittimi degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie o delle misure specifiche appropriate. Questo «arsenale» deve permettere allo Stato di adottare misure idonee a riunire il genitore e il figlio, anche in caso di conflitto che oppone i due genitori, e lo stesso vale quando si tratta, come nel caso di specie, delle relazioni tra il minore e i nonni, dovendo lo Stato attivarsi per favorire la comprensione e la cooperazione di tutte le persone interessate.

E tuttavia, la Corte ha avuto cura di precisare che «se le autorità nazionali devono sforzarsi di agevolare una simile collaborazione, un obbligo per le stesse di ricorrere alla coercizione in materia non può che essere limitato: devono tenere conto, infatti, degli interessi e dei diritti e delle libertà di queste stesse persone, in particolare degli interessi superiori del minore e dei diritti conferiti allo stesso dall'art. 8 della Convenzione». Ed invero, «la massima prudenza si impone quando si tratta di ricorrere alla coercizione in questo ambito delicato» (Corte EDU, 20 gennaio 2015, Manuello e Nevi c. Italia; Corte EDU, 7 dicembre 2017, Beccarini e Ridolfi c. Italia).

Infine, la Corte di Giustizia di Lussemburgo ha affermato che la nozione di «diritto di visita», contenuta all'art. 1, paragrafo 2, lett. a), nonché all'art. 2, punti 7 e 10, del Regolamento CE n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003 (relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale), che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000, deve essere interpretata nel senso che essa comprende anche il diritto di visita dei nonni nei confronti dei loro nipoti minorenni. Sulla scorta del documento di lavoro della Commissione relativo al riconoscimento reciproco delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale (COM 2001 166 definitivo), in data 27 marzo 2001, la Corte ha, per vero, osservato che il progetto del Consiglio d'Europa di convenzione sulle relazioni personali riguardanti i minori, riconosce il diritto per questi ultimi di intrattenere relazioni personali non soltanto con i loro genitori, ma anche con altre persone aventi legami familiari con loro, come i nonni. In definitiva, il legislatore dell'Unione ha scelto l'opzione secondo cui nessuna disposizione deve restringere il numero di persone possibili titolari della responsabilità genitoriale o di un diritto di visita, sempre che sia importante che il minore intrattenga relazioni personali con tali persone, dovendo comunque privilegiarsi «l'interesse superiore del minore» (Corte Giustizia, 31 maggio 2018, Valcheva).

2.2.3. Orbene, i casi esaminati dalle Corti europee nelle decisioni succitate si riferiscono a fattispecie nelle quali la sospensione del diritto di visita dei nonni ai nipoti era derivato da inadempienze dello Stato, nella predisposizione degli strumenti idonei a favorire la ripresa degli incontri nonni-nipoti, a seguito di vicende - poi conclusesi - che li avevano allontanati, ma senza che fosse emersa in alcun modo l'inidoneità degli stessi a svolgere il loro ruolo affettivo ed educativo nei confronti dei minori. È evidente, invece, che - nel caso concreto - debba pervenirsi a diversa soluzione.

La Corte d'appello ha, invero, stabilito - con valutazione in fatto incensurabile in questa sede - che «l'eventuale inizio di una relazione affettiva del reclamante con i propri nipoti, in realtà mai esistita, non corrisponde in alcun modo all'interesse dei nipoti stessi dei quali quelli sentiti hanno chiaramente espresso la loro volontà di non avere contatti con il proprio nonno». La Corte ha, altresì, accertato che non sono stati, peraltro, neppure indicati «elementi in forza dei quali la sussistenza di un rapporto con i nipoti da parte del reclamante potrebbe in qualche modo determinare una situazione incidente in senso favorevole per i medesimi». La condotta processuale del G. si è, difatti, concretata esclusivamente nel tentativo di negare «le condotte violente, sia verbali che fisiche, nei confronti della moglie e delle figlie», perdurate fino all'intervenuta separazione dei coniugi. Ma tale tentativo è stato smentito dalle concordi dichiarazioni rese dai figli del reclamante, sicché il rifiuto opposto da questi ultimi alla frequentazione dei figli minori con il nonno non poteva apparire «pretestuoso e strumentale».

2.2.4. Orbene, a fronte di tale accertamento in fatto, le conclusioni in diritto cui è pervenuto il giudice di merito, volte a privilegiare l'interesse superiore dei minori a non avere una frequentazione con il nonno, devono ritenersi del tutto corrette.

È - per vero - indubitabile che l'audizione dei minori, già prevista nell'art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardino ed, in particolare, in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell'art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la l. n. 77 del 2003, nonché dell'art. 315-bis c.c. (introdotto dalla l. n. 219 del 2012) e degli artt. 336-bis e 337-octies c.c. (inseriti dal d.lgs. n. 154 del 2013, che ha altresì abrogato l'art. 155-sexies c.c.). Con la conseguenza che l'ascolto del minore di almeno dodici anni, e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse (Cass., 26 marzo 2015, n. 6129).

Del resto, a fronte delle suesposte valutazioni del giudice di merito, il ricorrente - oltre a ribadire la pretesa esistenza di un suo autonomo ed incondizionato diritto a vedere i nipoti - non ha addotto, neppure in questa sede, elemento alcuno, relativo alle dichiarazioni degli stessi, concordemente di segno contrario alla sua richiesta di incontrarli, come accertato dal giudice di seconde cure, che possa contribuire a far ritenere esistente la denunciata violazione dell'art. 317-bis c.c.

2.3. Per tutte le ragioni suesposte, pertanto, la censura deve essere disattesa.

3. Con il secondo motivo di ricorso, C.G. denuncia l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.

3.1. Lamenta il ricorrente che la Corte d'appello non abbia preso in considerazione la circostanza che le relazioni aggiornate dei Servizi sociali e del Consultorio familiare di Ancona - richieste dal Tribunale per i minorenni - non erano mai pervenute, e che la stessa Corte non ne abbia in alcun modo sollecitato l'acquisizione.

3.2. Il mezzo è inammissibile.

3.2.1. Va osservato, al riguardo, che - alla luce del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., come riformulato dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134 - è denunciabile per cassazione esclusivamente l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Per contro, l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie in atti (Cass., Sez. un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054; Cass., 27 novembre 2014, n. 25216; Cass., 11 aprile 2017, n. 9253; Cass., Sez. un., 21 febbraio 2017, n. 17619).

3.2.2. Ne consegue che, nel caso di specie, l'omesso esame delle relazioni dei Servizi sociali, in quanto concerne un mero elemento istruttorio, non vale certamente ad integrare il vizio denunciato, avendo la Corte territoriale adeguatamente esaminato e risolto, sulla base delle altre emergenze probatorie in atti, il fatto storico concernente l'inidoneità del ricorrente ad instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. Tale inidoneità è stata, invero, ritenuta talmente conclamata - sulla base delle concordi dichiarazioni dei figli e dei nipoti del G. - da indurre la Corte d'appello ad escludere espressamente la necessità di «attendere l'eventuale completamento delle indagini disposte dal Tribunale per i minorenni».

3.3. La doglianza non può, pertanto, trovare accoglimento.

4. Con il terzo motivo di ricorso, C.G. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.

4.1. Il ricorrente censura l'impugnata sentenza, anche nella parte in cui avrebbe erroneamente respinto il motivo di appello che investiva la statuizione sulle spese adottata dal giudice di primo grado, avendo la Corte territoriale ritenuto, per un verso, generica, la censura relativa alla loro quantificazione, per altro verso, avendo erroneamente ritenuto che il giudice di prime cure avesse applicato correttamente il criterio della soccombenza.

4.2. Il motivo è infondato.

4.2.1. Va osservato - invero - che, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è, pertanto, limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa; per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell'opportunità di compensarle in tutto o in parte, secondo i criteri previsti dall'art. 92 c.p.c. (Cass., 4 agosto 2017, n. 19613; Cass., 11 gennaio 2008, n. 406).

4.2.2. Nel caso di specie - premesso che il ricorrente non ha censurato specificamente ed analiticamente il quantum della liquidazione - va rilevato che il medesimo era rimasto totalmente soccombente in primo grado, per cui la statuizione operata dal giudice di prime cure è da ritenersi del tutto corretta ed incensurabile da parte del giudice di appello.

4.3. La censura deve essere, di conseguenza, disattesa.

5. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, con l'affermazione dei seguenti principi di diritto: «i provvedimenti che incidono sul diritto degli ascendenti ad instaurare ed a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, ai sensi dell'art. 317-bis c.c., nel testo novellato dall'art. 42 del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, al pari di quelli ablativi della responsabilità genitoriale emessi dal giudice minorile ai sensi degli artt. 330 e 336 c.c., hanno attitudine al giudicato rebus sic stantibus, in quanto non revocabili o modificabili salva la sopravvenienza di fatti nuovi, sicché il decreto della corte di appello che, in sede di reclamo, conferma, revoca o modifica i predetti provvedimenti, è impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111, settimo comma, Cost.»; «alla luce dei principi desumibili dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, dall'art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dagli artt. 2 e 30 Cost., il diritto degli ascendenti, azionabile anche in giudizio, di instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, previsto dall'art. 317-bis c.c., cui corrisponde lo speculare diritto del minore di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, ai sensi dell'art. 315-bis c.c., si pone come un diritto pieno esclusivamente nei confronti dei terzi, laddove costituisce una posizione soggettiva recessiva di fronte al preminente interesse dei nipoti che è, in ogni caso, destinato a prevalere, laddove la frequentazione con i nonni non si esplichi in funzione di una loro crescita serena ed equilibrata, ma si traduca, al contrario, in una ragione di turbamento e di disequilibrio affettivo».

6. La delicatezza della materia del contendere e la complessità e novità delle questioni giuridiche trattate, inducono ad una integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

Dagli atti il processo risulta esente, sicché non si applica l'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Dichiara integralmente compensate fra le parti le spese del presente giudizio. Dispone, ai sensi del d.lgs. n. 196 del 2003, art. 52, che in caso di diffusione della presente sentenza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Note

V. anche Corte di cassazione, sezione I civile, ordinanza 25 luglio 2018, n. 19780, la quale afferma i seguenti principi di diritto: 1) i provvedimenti che incidono sul diritto degli ascendenti ad instaurare ed a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, ai sensi dell'art. 317-bis c.c., nel testo novellato dall'art. 42 del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, al pari di ablativi della responsabilità genitoriale emessi dal giudice minorile ai sensi degli artt. 330 e 336 c.c., hanno attitudine al giudicato rebus sic stantibus, in quanto non revocabili o modificabili salva la sopravvenienza di fatti nuovi, sicché il decreto della corte di appello che, in sede di reclamo, conferma, revoca o modifica i predetti provvedimenti, è impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111, settimo comma, Cost.; 2) alla luce dei principi desumibili dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, dall'art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dagli artt. 2 e 30 Cost., il diritto degli ascendenti, azionabile anche in giudizio, di instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, previsto dall'art. 317-bis c.c., cui corrisponde lo speculare diritto del minore di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, ai sensi dell'art. 315-bis c.c., non va riconosciuto ai soli soggetti legati al minore da un rapporto di parentela in linea retta ascendente, ma anche ad ogni altra persona che affianchi il nonno biologico del minore, sia esso il coniuge o il convivente di fatto, e che si sia dimostrato idoneo ad instaurare con il minore medesimo una relazione affettiva stabile, dalla quale quest'ultimo possa trarre un beneficio sul piano della sua formazione e del suo equilibrio psicofisico.