Corte dei conti
Sezione I centrale d'appello
Sentenza 29 ottobre 2018, n. 418
Presidente: Rosati - Estensore: Mignemi
FATTO
Con la sentenza n. 117, depositata in data 18 aprile 2017, la Corte dei conti - Sezione prima giurisdizionale centrale d'appello, confermando la sentenza n. 456 del 2015 della Sezione giurisdizionale regionale per la Campania, condannava, tra l'altro, S. Emilia, assistente giudiziaria in servizio presso il Tribunale di Torre Annunziata, al risarcimento del danno, in favore del Ministero della giustizia, di euro 7.021.787,90, interamente in solido con Domenico V. e in solido anche con Alfredo O., fino alla concorrenza di euro 5.726.506,63, derivato dalla emissione di una serie di falsi mandati di pagamento in favore di appartenenti alla Polizia giudiziaria e del cancelliere V.
Avverso la sentenza della Sezione prima giurisdizionale centrale d'appello, Emilia S. proponeva ricorso per revocazione, con istanza di sospensiva, lamentando, con il primo motivo, "errore di fatto revocatorio risultante dagli atti o documenti della causa - omessa valutazione dell'eccezione difensiva, espressamente formulata col quarto motivo d'appello - sull'insussistenza del dolo civile o contrattuale ovvero della colpa grave - omesso esame dell'ordine di servizio n. 9/1998".
Secondo la ricorrente, il giudice di appello avrebbe omesso di valutare l'eccezione difensiva, espressamente formulata col quarto motivo d'appello, relativa all'insussistenza del dolo civile o contrattuale ovvero della colpa grave ed avrebbe, altresì, omesso l'esame dell'ordine di servizio n. 9/98, con conseguente commissione di un errore di fatto revocatorio risultante dagli atti della causa.
Non si sarebbe tenuto conto che l'irregolarità dei mandati di pagamento, emessi dal cancelliere presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Torre Annunziata, all'epoca dei fatti, avrebbe dovuto essere rilevata da una serie di altri soggetti, anziché dalla S., assistente giudiziario di sesto livello presso il predetto Tribunale, che, per quanto effettivamente addetta, per un lungo periodo, alla compilazione del registro denominato "modello 12", era tuttavia titolare di mansioni meramente esecutive.
Ciò sarebbe dimostrato dall'ordine di servizio n. 9/1998, a tenore del quale, responsabile del "Modello 12" era un'altra dipendente, col superiore grado di "collaboratore di cancelleria".
L'odierna ricorrente, dipendente di livello inferiore, con mansioni esecutive, non sarebbe stata titolare, quindi, di alcun obbligo di segnalazione di eventuali anomalie.
Con il secondo motivo, la ricorrente lamentava "errore di fatto revocatorio risultante dagli atti o documenti della causa, vertente sul contenuto della sentenza della Corte d'appello di Roma, n. 4247/2016 che ha assolto la ricorrente".
Il giudice di seconde cure non avrebbe adeguatamente valutato la sentenza della Corte d'appello di Roma n. 4247/2016, di assoluzione della ricorrente per il reato ascrittole (peculato).
Ciò avrebbe determinato un errore di fatto revocatorio risultante dagli atti o documenti della causa, con particolare riferimento alla mancata (corretta) applicazione del principio previsto dall'art. 652 c.p.p.
Concludeva, quindi, la ricorrente, per la sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza n. 117/2017 e per l'accoglimento della domanda di revocazione, con vittoria di spese e competenze del giudizio.
In data 1° giugno 2018, la Procura generale depositava parere sull'istanza di sospensiva, evidenziando l'inesistenza del fumus boni iuris, per avere la ricorrente prospettato presunti errori interpretativi della decisione che non configurerebbero un "errore di fatto", proponendo mere critiche al ragionamento argomentativo della sentenza, con l'ulteriore difetto della decisività dei presunti errori, risultando, la sentenza, ampiamente motivata in ordine alla fattispecie di responsabilità e alla posizione della S.
Evidenziava, inoltre, la Procura generale, l'inesistenza del periculum in mora.
Sempre in data 1° giugno 2018, la Procura generale depositava le proprie conclusioni, ribadendo quanto già rappresentato nel parere ed insistendo per l'inammissibilità o, comunque, per l'infondatezza del ricorso, con condanna alle spese di giudizio.
Con l'ordinanza 22 del 9 luglio 2018, la Corte dei conti - Sezione prima giurisdizionale centrale d'appello rigettava l'istanza di sospensione della sentenza impugnata.
All'udienza dell'11 ottobre 2018, le parti ripercorrevano le argomentazioni già rappresentate in atti, ribadivano le conclusioni ivi rassegnate e la causa veniva posta in decisione.
DIRITTO
La revocazione era regolata, nel regime previgente l'entrata in vigore del nuovo Codice di giustizia contabile, dall'art. 68 del r.d. n. 1214 del 1934, secondo cui: "Le decisioni della Corte possono essere impugnate per revocazione, tanto dalle parti quanto dal Pubblico Ministero, nel termine di tre anni quando:
a) vi sia stato errore di fatto o di calcolo;
b) per l'esame di altri conti o per altro modo si sia riconosciuta omissione o doppio impiego;
c) si siano rinvenuti nuovi documenti dopo pronunciata la decisione;
d) il giudizio sia stato pronunciato sopra documenti falsi.
Negli ultimi tre casi, decorsi i tre anni, il ricorso per revocazione dovrà presentarsi nel termine di giorni trenta dal riconoscimento della omissione o doppio impiego, dalla scoperta di nuovi documenti della notizia venuta al ricorrente della dichiarazione di falsità dei documenti, salvi tuttavia gli effetti della prescrizione trentennale".
A norma dell'art. 395 c.p.c., poi: "Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione (...) 4. se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare (...)".
Il Codice di giustizia contabile, di cui al d.lgs. n. 174 del 2016, all'art. 202, ricalcando, per quel che rileva in questa sede, la norma precedentemente citata, ha ribadito che: "1. Le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione quando: (...) f) la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa; l'errore di fatto ricorre quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare (...)".
La revocazione, quindi, non rappresenta un generico rimedio per addivenire ad un riesame della controversia, ma costituisce un rimedio per situazioni eccezionali che hanno impedito la corretta formazione del giudizio, per specifiche anomalie tassativamente indicate dal legislatore, prima nell'art. 68 del t.u. delle leggi sull'ordinamento della Corte dei conti, integrato, per quanto compatibili, con gli artt. 395 e 397 del c.p.c., ora nel nuovo Codice di giustizia contabile, art. 202.
Con particolare riguardo al concetto di errore di fatto, rilevante in sede di revocazione, in conformità con la più recente giurisprudenza di Cassazione (si veda, da ultimo, Cass., Sez. VI, sent. n. 12887 del 23 maggio 2017; Sez. lav., sent. n. 8828 del 5 aprile 2017) e del Consiglio di Stato (C.d.S., sent. n. 2194 dell'11 maggio 2017), il Collegio ritiene che l'errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione, debba rispondere a tre requisiti:
a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, che abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così esistente un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato;
b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non ha espressamente motivato;
c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa.
Inoltre, l'errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche.
L'errore di fatto revocatorio è configurabile nell'attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività d'interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento.
In buona sostanza, l'errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione, è configurabile solo riguardo all'attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza e al loro significato letterale, di modo che, del fatto, vi siano due divergenti rappresentazioni: quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali, ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, ai fini della formazione del convincimento del giudice.
Esso, pertanto, non deve confondersi con l'errore che coinvolge l'attività valutativa del giudice, costituendo il peculiare mezzo previsto dal legislatore per eliminare l'ostacolo materiale che si frappone tra la realtà del processo e la percezione che di essa ha avuto il giudicante, proprio a causa della svista o abbaglio (C.d.S., Sez. IV, sent. n. 1571 del 5 aprile 2017).
Sullo stesso solco della citata giurisprudenza della Cassazione e del Consiglio di Stato, anche secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (Sez. I d'appello, sent. n. 150 del 4 maggio 2017 e sent. n. 146 del 28 aprile 2017), l'errore di fatto, riparabile attraverso il rimedio della revocazione, deve consistere, quindi, in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l'esistenza di un fatto la cui verità è esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto positivamente accertato in modo parimenti indiscutibile.
Ciò premesso, il ricorso è palesemente inammissibile.
I motivi, infatti, ricalcano sostanzialmente le argomentazioni già prospettate al giudice di appello, che, a pag. 38 della sentenza impugnata, ha dimostrato di avere correttamente percepito e valutato sia la questione relativa alle mansioni attribuite alla ricorrente, che l'effettiva attività svolta dalla stessa, rilevante ai fini del giudizio, traendone le debite conseguenze in ordine alla sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi della responsabilità erariale.
Il giudice di seconde cure, poi, ha ampiamente motivato in ordine alla valenza della sentenza penale nell'ambito del giudizio contabile e, quindi, ai limiti di applicabilità dell'art. 652 c.p.p., nonché alle ragioni della diversa valutazione delle risultanze istruttorie, rispetto a quella operata in sede penale.
Sicché, le censure prospettate nel ricorso, lungi dall'evidenziare un qualsivoglia errore di fatto, risultano meramente intese ad ottenere una nuova valutazione delle circostanze fattuali di causa ed una diversa interpretazione giuridica della normativa di riferimento, già compiutamente effettuate dal giudice di appello.
Laddove, peraltro, per quanto innanzi detto, per essere rilevante, l'errore revocatorio deve attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non ha espressamente motivato.
In conclusione, quindi, il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come precisato in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte dei conti - Sezione prima giurisdizionale centrale d'appello dichiara inammissibile il ricorso per revocazione.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in euro 160,00 (centosessanta/00).
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.