Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Ordinanza 10 gennaio 2019, n. 486

Presidente: Petitti - Relatore: Scrima

FATTI DI CAUSA

Con ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, notificato in data 25 novembre 2016 alla Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per il Lazio, Filippo S., Franco C., Francesco Maria R., Mario A., Guido M., Clemente P. hanno chiesto a queste Sezioni unite di dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alla causa instaurata dinanzi alla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti del Lazio dalla predetta Procura regionale nei loro confronti, nelle rispettive qualità di «organi di vertice del contraente Metro C», addebitando agli stessi «profili di responsabilità morale» per «grave disservizio e per lesione del principio del buon andamento», che si sarebbero determinati con riferimento ai lavori di realizzazione della linea C della metropolitana di Roma.

Come si evince dall'atto di citazione redatto dalla Procura regionale della Corte dei conti presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, trattasi dei lavori aggiudicati in data 28 febbraio 2006 all'ATI costituita da Astaldi S.p.a., Vianini Lavori S.p.a., Consorzio Cooperative Costruzioni e Ansaldo Trasporti Ferroviari, all'esito di una gara comunitaria per l'affidamento a contraente generale della progettazione, dell'esecuzione e della direzione dei lavori della linea C della Metropolitana di Roma indetta da Roma Metropolitane S.r.l. (società controllata dal Comune di Roma, poi Roma Capitale, unico socio della stessa). La predetta ATI costituì poi la società Metro C S.c.p.a., con cui Roma Metropolitane stipulò il relativo contratto di appalto.

Con riferimento alla realizzazione della predetta opera, che, contrariamente a quanto avvenuto, avrebbe dovuta essere consegnata entro il mese di aprile 2011, la Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per il Lazio, facendo riferimento a notizie diffuse dalla stampa, a documenti ed atti specificamente indicati in citazione, ha ravvisato una pluralità di fatti illeciti e causativi di danno erariale.

Ad avviso del Procuratore regionale della Corte dei conti per il Lazio, «i danni erariali sono dipendenti dalle numerose varianti di progetto approvate in corso d'opera, cui, peraltro, accedono le numerose riserve iscritte dal C.G.; conseguentemente le modifiche introdotte nelle progettazioni esecutive appaiono del tutto illegittime siccome non approvate dall'organo di controllo politico, titolare del relativo potere decisorio.

Infatti, molte varianti convenute - ancorché in apparenza non incidenti sul quadro economico generale, bensì sulle singole tratte del progetto esecutivo - costituiscono condizioni contrattuali aggiuntive e, quindi, vere e proprie modificazioni o integrazioni del contratto principale.

Esse, peraltro, sono state approvate da Roma Metropolitane s.r.l. su proposta del RUP, in carenza di potere: e, infatti, si tratta ... di vere e proprie varianti sostanziali fatte passare per varianti non sostanziali.

Al contrario, esse dovevano essere approvate dall'organo d'indirizzo politico, ai sensi dell'art. 113 del Regolamento di contabilità generale dello Stato.

Infatti tutte le "varianti concordate" tra "METRO C" e la società "ROMA METROPOLITANE", implicando un forte incremento di spesa sulle singole tratte, non risultano portate all'approvazione dell'organo collegiale competente: che è la G.M. di Roma Capitale, ai sensi dell'art. 48 del T.U. n. 267 del 2000.

Inoltre, ... le cc.dd. "varianti concordate" sono illegittime anche perché poste in palese contrasto con l'art. 114 del codice dei contratti pubblici, non ricorrendo, peraltro, le condizioni o i presupposti di cui all'art. 1664, secondo comma, c.c.

Pertanto, si manifestano prive di autorizzazione ed illegittime sul piano procedimentale contabile.

Sotto l'aspetto del rapporto di rappresentanza, tra il Comune di Roma, soggetto mandante, e la società Roma Metropolitane, soggetto mandatario, le varianti in c.o. devono ritenersi frutto dell'eccesso di potere negoziale, perché hanno debordato dai poteri conferiti, con sviamento della funzione ricoperta e con grave frustrazione del rapporto fiduciario che trovasi alla base del ruolo e della missione della Stazione appaltante; organo del Comune di Roma cui sono stati conferiti, con atto pubblico notarile..., funzioni di alta sorveglianza nell'esecuzione dei progetti definitivi e di quelli esecutivi della linea "C" Metropolitana di Roma Capitale.

La situazione presenta, invero, non pochi profili di anomalia poiché l'impressionante numero di varianti sembra essere il prodotto di un'opera convergente tra il C.G. e la Stazione appaltante, per cui le modificazioni dei progetti definitivi non hanno altro scopo se non la reiterazione di errori macroscopici, sempre denunciati dagli organi di informazione, per ultimo, dall'Urbanista, prof. Settis» (v. atto di citazione in giudizio, pp. 58 e 59).

Sempre secondo il predetto Procuratore Generale «nell'odierna fattispecie, non solo deve parlarsi di colpevoli comportamenti di Roma Metropolitane s.r.l., bensì anche del concorso di Metro C nella causazione dei fatti illeciti dannosi per le pubbliche finanze, sotto il profilo del disservizio e dei ritardi nella realizzazione dell'opera pubblica» (v. atto già indicato, p. 63).

Il Procuratore regionale ha altresì ritenuto che «gli esponenti di Metro C, essendo estranei ai rapporti tra Roma Capitale e Roma Metropolitane, non hanno concorso con quest'ultima nelle responsabilità ad essa addebitate nell'atto di invito a dedurre e, quindi, non possono essere chiamati a rispondere per gli eccessi di potere negoziale, per le omesse informazioni e per i vizi procedimentali inerenti [al]la spesa pubblica e le collegate responsabilità patrimoniali». Il medesimo ha, invece, ritenuto responsabili, relativamente ai profili di responsabilità morale, per il segnalato grave disservizio e per lesione del principio del buon andamento, i vertici di Metro C nelle persone degli attuali ricorrenti, rimarcando che «nell'invito a dedurre è stato posto in evidenza che le notizie diffuse da tutta la stampa hanno destato grave preoccupazione nell'opinione pubblica ed una condizione di diffusa sfiducia nelle istituzioni, ingenerando un vasto malcontento e sollecitando l'intervento delle Magistrature, penale e contabile. Il che non può ritenersi avulso dal quadro di illiceità perpetrate sul piano contabile né dal gran numero di varianti che, incidendo sui tempi di realizzazione, hanno determinato il disservizio ed il discredito dei cittadini nei confronti delle istituzioni».

Ad avviso del Procuratore regionale, «nella categoria generale del disservizio, quale fattispecie illecita complessa, è riconducibile anche il danno morale o immateriale per il gravissimo discredito pubblico che ne può derivare»; non si tratterebbe, «dunque, del danno all'immagine in senso stretto, come previsto dall'art. 17, comma 30 ter del D.L. n. 78 del 2009 e dell'art. 7 della legge 97 del 2001, bensì di un danno immateriale o morale analogo a quello disciplinato dall'art. 2059 c.c.», tale da consentire alla procura contabile di prospettare un risarcimento patrimoniale, di carattere equitativo, da irrogare a ristoro del disservizio e della grave caduta di legalità, con la precisazione che il discredito subito per tale caduta di legalità costituirebbe voce autonoma di danno che si fonderebbe non sulle critiche della stampa, bensì su riscontri oggettivi circa la diffusa illegalità che avrebbe caratterizzato l'esecuzione della linea C della metropolitana di Roma.

Per la Procura regionale, se Metro C S.p.a. non può ritenersi corresponsabile del danno patrimoniale addebitato a Roma Metropolitane, non avendo essa concorso nell'abuso di potere negoziale, costituente obbligo specifico ed esclusivo di Roma Metropolitane, non di meno il contraente generale avrebbe concorso nella causazione del danno da disservizio per aver contribuito alla formazione di varianti illegittime ed inammissibili; Metro C avrebbe moralmente concorso con Roma Metropolitane in non poche circostanze anomale; in particolare all'indomani della stipula del contratto di appalto avrebbe fatto ricorso ad un giudizio arbitrale e al fermo dei cantieri, così alimentando lo stato di confusione ed emergenza permanente, e di tanto Roma Metropolitane non si sarebbe mai risentita, intervenendo sui cantieri e relazionando a Roma Capitale.

La Procura regionale ha pure evidenziato che il principio del buon andamento costituisce valore costituzionale di riferimento nell'esercizio di qualsiasi attività pubblica, sia amministrativa sia giudiziaria, e, altresì, finanziaria o contabile, che l'interpretazione estensiva attribuita al principio costituzionale del buon andamento, nel senso che esso riguarda qualsiasi potere o ordine, giudiziario compreso, è stata costantemente affermata dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 177/1073; n. 86/2982; n. 172/1982; n. 18/1989; n. 728/1988; n. 19/1989), che tale principio implica la conformazione di una vera e propria riserva costituzionale di indole generale e che, partendo proprio da questa estensività e dal carattere policentrico dell'art. 97 Cost. - anche nella nuova versione rimodulata dalla legge costituzionale n. 1 del 1989 - la giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. III, n. 8828 del 2003; v. anche Corte cost., n. 88 del 1979 e 184 del 1986) ha affermato che la violazione dei principi costituzionali, ivi compreso quello del buon andamento, implica il risarcimento del danno morale - con riserva di ampia discrezionalità equitativa conferita al giudice adito - a prescindere dall'accertamento di un eventuale illecito penale presupposto. Ad avviso della Procura regionale, l'applicazione dell'art. 2059 c.c. ed il risarcimento del danno morale "discenderebbero" dalla grave violazione dei principi costituzionali, tra cui il richiamato art. 97 Cost. affermativo delle clausole generali di diritto pubblico, cui devono uniformarsi tutti, non solo i pubblici dipendenti, ma anche coloro che intrattengono un rapporto di servizio sia pure occasionale o latu sensu. Ed invero, il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità tenderebbe a separare il collegamento tra l'art. 2059 c.c. e l'art. 185 c.p., andando verso un sistema che discrimina tra danni patrimoniali e danni non patrimoniali, riconducibili questi ultimi non solo agli illeciti penali ma alla violazione dei diritti fondamentali previsti in Costituzione, che altrimenti non troverebbero protezione (v. atto di citazione in giudizio, pp. 80-82).

La Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per il Lazio non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il P.G., con le conclusioni scritte, ha chiesto dichiararsi il difetto di giurisdizione della Corte dei conti.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L'unico motivo del ricorso è così rubricato: «Violazione e falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360 n. 1 c.p.c., delle norme in materia di riparto della giurisdizione ai sensi degli artt. 102 e 103 Costituzione, dell'art. 13 R.D. 12.7.1934 n. 1214 e dell'art. 1 L. 14.1.1994 n. 20. Insussistenza della giurisdizione della Corte dei conti per il danno morale asseritamente provocato dagli organi di vertice del contraente generale Metro C».

Sostengono i ricorrenti che, a prescindere dal carattere generico e non circostanziato delle contestazioni sollevate ex adverso, del tutto inidonee a provare la violazione di obblighi propri delle funzioni pubbliche, l'asserita giurisdizione contabile sarebbe recisamente esclusa dall'orientamento di questa S.C. (Cass., ord., 16 luglio 2014, n. 16240) che ha esaminato l'istituto del contraente generale ed il suo rapporto con la stazione appaltante.

Proprio in base ai principi affermati dalla richiamata ordinanza, dovrebbe escludersi, ad avviso dei ricorrenti, che, in relazione ai profili di responsabilità morale addebitati ai vertici di Metro C, si possa configurare la giurisdizione contabile. Invero, come affermato nella citata ordinanza, la varietà di compiti attributi al contraente generale «ha generato anche nella dottrina, incertezze circa la natura giuridica del contraente generale, talvolta assimilato alla figura dell'appaltatore, altre volte considerato piuttosto come un mandatario senza rappresentanza nell'interesse dell'amministrazione, oppure accostato ad un concessionario di lavori pubblici».

Ne conseguirebbe la necessità di verificare, di volta in volta, le funzioni in concreto svolte dal contraente generale nell'iter che conduce alla realizzazione di un'opera pubblica.

Deducono i ricorrenti che la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto la sussistenza della giurisdizione contabile nel caso in cui il danno erariale dipenda «da comportamenti illegittimi tenuti dall'agente nell'esercizio di quelle funzioni per le quali possa dirsi che egli sia inserito nell'apparato dell'ente pubblico appaltante, così da assumere la veste di agente dell'amministrazione; ben diversa è la situazione che si determina, invece, quando il danno di cui si pretende il ristoro sia conseguenza di comportamenti che il contraente generale abbia assunto nella veste di controparte contrattuale dell'amministrazione medesima, squilibrando il sinallagma contrattuale proprio del contratto; in questo caso ad esser violato non è il dovere (almeno lato sensu) pubblicistico, gravante sul contraente generale, di agire nell'interesse dell'amministrazione, bensì quello di adempiere correttamente le obbligazioni dedotte nel contratto, alle quali corrispondono i diritti che il contratto medesimo attribuisce ad una parte nei confronti dell'altra». Pertanto, a parere dei ricorrenti, proprio in base ai riferiti principi, si dovrebbe escludere che sussista la giurisdizione della Corte conti in ordine ai profili di responsabilità morale addebitati ai vertici di Metro C.

Rappresentano, inoltre, i ricorrenti che, secondo la Procura regionale, il danno morale per il disservizio ed i ritardi nella realizzazione dell'opera pubblica sarebbe conseguenza delle numerose varianti in corso d'opera che il contraente generale avrebbe contribuito ad "elaborare" e deducono che, nella elaborazione di tali varianti, il contraente generale non svolge alcuna funzione latu sensu pubblicistica, né esercita funzioni per le quali possa dirsi inserito nell'apparato dell'ente pubblico appaltante. Ad avviso dei ricorrenti, le varianti in corso d'opera, ancorché elaborate dal contraente generale, sono sempre necessariamente ordinate dall'Amministrazione, che deve poi obbligatoriamente approvarle e farle proprie ed acquistano rilevanza pubblica solo a seguito di tale approvazione.

Ciò sarebbe - secondo i ricorrenti - avvenuto nel caso all'esame, atteso che tutte le varianti in corso d'opera - le quali, a parere della Procura regionale sarebbero illegittime e causative dei danni addebitati agli organi di vertice di Metro C - sarebbero state prima ordinate e poi approvate dalla stazione appaltante Roma Metropolitane S.r.l. e dal CIPE, come risulterebbe anche dalla delibera ANAC n. 51 del 24 giugno 2015 richiamata nell'atto di citazione.

Evidenziano i ricorrenti che anche nella già indicata ordinanza di questa Corte n. 16240/2014 si afferma che resta «la competenza della stazione appaltante in tema di approvazione del progetto definitivo, di approvazione del progetto esecutivo e delle varianti, nonché di alta sorveglianza sull'esecuzione delle opere e di collaudo delle stesse». Sostengono, quindi, i ricorrenti che, con riferimento alle varianti in corso d'opera asseritamente illegittime e causative del danno da disservizio, il contraente generale Metro C non avrebbe esercitato alcuna funzione per la quale possa dirsi inserito nell'apparato della stazione appaltante, essendosi limitato ad adempiere ai propri obblighi contrattuali, cosicché si dovrebbe escludere la configurabilità di quel rapporto di servizio anche in "senso lato", che è il presupposto dell'insorgere della responsabilità amministrativa, nonché il presupposto processuale per l'esercizio dell'azione di responsabilità e per l'assoggettamento alla giurisdizione contabile.

Ad avviso dei ricorrenti, infatti, nell'elaborare le varianti richieste da Roma Metropolitane a fronte di circostanze imprevedibili, ovvero per sopravvenute esigenze del committente, Metro C avrebbe agito come affidatario dell'opera "nella veste di controparte contrattuale dell'amministrazione" e non avrebbe esercitato alcuna funzione oggettivamente pubblica, con la conseguenza che, in ordine alla richiesta di risarcimento degli asseriti danni morali che ne sarebbero derivati, non sussisterebbe la giurisdizione contabile, ma quella dell'AGO.

Precisano i ricorrenti che le varianti in corso d'opera cui ha fatto riferimento la Procura regionale sono quelle intervenute nel periodo 2006-2010; tali varianti sarebbero state per lo più determinate dalle oggettive esigenze di adeguamento del progetto definitivo posto a base della gara alla realtà geologica ed archeologica effettivamente riscontrata all'esito delle indagini integrative che dovevano essere effettuate dal contraente generale per la redazione dei progetti definitivi ed esecutivi, nonché per intervenute modifiche normative e per lavori aggiuntivi richiesti dalla committente. Tali circostanze risulterebbero confermate anche nelle delibere con cui il CIPE ha approvato le varianti, nonché le variazioni del quadro economico dell'opera ed i maggiori tempi di esecuzione. Le varianti in parola non sarebbero, quindi, illegittime e costituirebbero - e ciò rileva ai fini della giurisdizione - il corretto adempimento da parte di Metro C delle obbligazioni dedotte nel contratto in conformità alla normativa vigente in materia e non rappresenterebbero l'esplicazione di alcuna funzione pubblica, né lo svolgimento di funzioni istituzionalmente spettanti alla P.A.

Conclusivamente, ad avviso dei ricorrenti, tutte le varianti in corso d'opera indicate dalla Procura regionale ad asserito fondamento della responsabilità per danni morali di Metro C sarebbero state approvate esclusivamente dai soggetti pubblici a ciò deputati (Roma Metropolitane s.r.l. e CIPE) e Metro C non avrebbe violato alcun dovere latu sensu pubblicistico di agire nell'interesse della Pubblica Amministrazione, ma avrebbe dato esecuzione alle obbligazioni derivanti dal contratto di appalto, con conseguente esclusione di ogni responsabilità per danno morale degli organi di vertice del predetto contraente generale e del loro assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti.

2.1. Il ricorso è fondato, non sussistendo nella specie la giurisdizione della Corte dei conti.

2.2. Come pure evidenziato dal P.G. presso questa Corte, secondo le regole desumibili dal contesto normativo in base al quale è avvenuto l'affidamento dei lavori "a contraente generale", i responsabili della società che ha assunto il ruolo di contraente generale non possono essere considerati agenti della P.A., neppure in senso lato, non potendosi configurare, nei loro confronti, un rapporto di servizio, neppure nel senso ampio e svincolato da un rapporto organico delineato dalla giurisprudenza di queste Sezioni unite, agendo essi quali controparti dei soggetti contraenti pubblici nella realizzazione dell'opera infrastrutturale.

2.3. Queste Sezioni unite, con le ordinanze 16 luglio 2014, n. 16240 e 19 dicembre 2014, n. 26942, chiamate a pronunciarsi proprio su regolamenti preventivi di giurisdizione, hanno precisato che al contraente generale la stazione appaltante affida la realizzazione dell'opera, con qualsiasi mezzo (art. 176 del codice dei contratti), nel rispetto delle esigenze specificate nel progetto preliminare o nel progetto definitivo redatto dalla medesima stazione appaltante e posto a base di gara, contro un corrispettivo pagato in tutto o in parte dopo l'ultimazione dei lavori; il contraente generale assume su di sé anche compiti che altrimenti graverebbero sulla stazione appaltante (ad esempio, lo sviluppo del progetto definitivo e le attività tecnico-amministrative occorrenti per pervenire alla sua approvazione da parte del Cipe, ove detto progetto non sia posto a base di gara, l'acquisizione delle aree di sedime, la progettazione esecutiva, la direzione dei lavori, il prefinanziamento in tutto o in parte dell'opera da realizzare, la selezione dei soggetti gestori, l'indicazione del piano degli affidamenti, delle espropriazioni, delle forniture di materiale e di tutti gli altri elementi utili a prevenire le infiltrazioni della criminalità organizzata secondo le forme stabilite con gli organi competenti in materia, ferma restando la competenza della stazione appaltante in tema di approvazione del progetto definitivo, di elaborazione del progetto esecutivo e delle varianti, nonché di alta sorveglianza sull'esecuzione delle opere e di collaudo delle stesse). Queste stesse Sezioni unite hanno pure evidenziato che la varietà di siffatti compiti ha generato, anche nella dottrina, incertezze circa la natura giuridica del contraente generale, talvolta assimilato alla figura dell'appaltatore, altre volte considerato piuttosto come un mandatario senza rappresentanza nell'interesse dell'amministrazione, oppure accostato ad un concessionario di lavori pubblici; che, analogamente, il rapporto intercorrente tra l'amministrazione ed il contraente generale è stato ricondotto, di volta in volta, alle tradizionali figure dell'appalto, del mandato o della concessione amministrativa e che taluno ha scorto in tale rapporto un'ipotesi di collegamento causale tra tipi negoziali diversi, oppure un contratto misto (atipico o connotato da una tipicità sui generis) o un contratto procedimentalizzato a struttura variabile.

Queste stesse Sezioni Unite hanno osservato che, al di là delle diverse tesi prospettate al riguardo in dottrina, l'esplicita previsione di affidamento al contraente generale della "realizzazione con qualsiasi mezzo dell'opera" (art. 176, comma 1, del codice dei contratti pubblici) comporta incontestabilmente l'assunzione a suo carico di un'obbligazione di risultato e che si può convenire sulla possibilità che, al pari del concessionario, il contraente generale, per le funzioni attribuitegli nell'iter che conduce alla realizzazione di un'opera pubblica, venga sotto certi riguardi ad assumere la veste di soggetto funzionalmente inserito nell'apparato dell'ente pubblico appaltante, così da rendersi compartecipe dell'operato di quest'ultimo, assumendo la veste di agente dell'amministrazione, con la conseguente instaurazione di un rapporto di servizio idoneo a radicare l'esercizio della giurisdizione contabile di responsabilità della Corte dei conti in controversie aventi ad oggetto il risarcimento del danno erariale derivante dalla violazione di obblighi previsti dalla legge o dal contratto.

2.4. Ribadendo i principi già affermati con le sopra richiamate ordinanze (v. da ultimo anche Cass., sez. un., ord., 26 aprile 2017, n. 10231, in relazione al regolamento preventivo di giurisdizione proposto da altro convenuto, il direttore dei lavori nominato dal contraente generale, proprio con riferimento ai lavori di cui si discute in causa), questo Collegio ritiene che, ai fini del riparto di giurisdizione, bisogna distinguere tra le contrapposte posizioni che in concreto cumula il contraente generale.

Ed invero, qualora si assuma che il danno derivi dalla violazione, da parte di quest'ultimo, del suo "dovere" (in senso lato) pubblicistico afferente all'attività e alle funzioni svolte come "agente dell'amministrazione pubblica", la cognizione dell'azione di responsabilità intentata dall'ente pubblico spetta alla giurisdizione della Corte dei conti, in ragione del temporaneo rapporto di servizio pubblico sorto per effetto dell'esercizio di quei poteri. Nel caso in cui, invece, si assuma che il danno derivi dall'inadempimento delle obbligazioni poste a carico del contraente generale come "controparte contrattuale dell'amministrazione pubblica", così da squilibrare il sinallagma contrattuale (o, può qui aggiungersi, da un mero illecito extracontrattuale), la cognizione dell'azione di responsabilità o risarcitoria spetta alla giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, in ragione del non venire in rilievo l'esercizio di poteri pubblicistici tale da far sorgere un temporaneo rapporto di servizio con l'ente pubblico.

2.5. Nella specie, in sostanza, non si imputa al contraente generale Metro C il non corretto adempimento dei propri doveri di "agente dell'amministrazione" e la conseguente responsabilità per i lamentati danni subiti dalla P.A.; non gli si addebita, cioè, il non corretto esercizio di funzioni per le quali detto contraente possa dirsi inserito nell'apparato della stazione appaltante. Si sostiene, invece, che il lamentato danno morale per il disservizio e i ritardi nella realizzazione dell'opera pubblica sarebbero conseguenza delle numerose varianti in corso d'opera, pretesamente illegittime, che il contraente generale avrebbe contribuito ad elaborare, ma in relazione a tanto Metro C ha agito, all'evidenza, come affidatario dell'opera "nella veste di controparte contrattuale dell'amministrazione" e, quindi, non ha esercitato alcuna funzione oggettivamente pubblica per la quale possa dirsi che il contraente generale si sia inserito nell'apparato dell'ente pubblico, così da assumere la veste di agente dell'amministrazione e tali rilievi valgono anche con riferimento agli organi di vertice del contraente generale Metro C S.p.a.

3. Alla luce delle argomentazioni che precedono deve conclusivamente ritenersi, come pure sostenuto dai ricorrenti e dal Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, che, nella specie, vi è difetto di giurisdizione del giudice contabile.

4. Non vi è luogo a provvedere per le spese del presente procedimento, giacché l'intimata Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per il Lazio ha natura di parte solo in senso formale (Cass., sez. un., 31 maggio 2015, n. 11385).

P.Q.M.

La Corte dichiara il difetto di giurisdizione del giudice contabile.