Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania
Sezione II
Sentenza 25 novembre 2019, n. 5534

Presidente: Corciulo - Estensore: Nunziata

FATTO

Espongono in fatto le ricorrenti che con istanza del 29 maggio 2012 presentavano richiesta di variante al Permesso di costruire n. 183 del 29 ottobre 2009 per la realizzazione di n. 45 appartamenti per civile abitazione nell'ambito del PUA zona Gb2 - attrezzature recettive in Via Seitolla - per cambio di destinazione d'uso. A seguito di richiesta del Comune provvedevano a depositare le ricevute di versamenti di diritti di segreteria e copie di Atti di Convenzione con elaborati grafici, provvedendo nel 2014 prima a sollecitare la conclusione del procedimento, poi a proporre ricorso a questa Sezione avverso l'illegittimità del silenzio-inadempimento. Il gravame veniva accolto con sentenza n. 5152/2014 che nominava per il caso di persistenza dell'inerzia un Commissario ad acta, che in effetti provvedeva alla sottoscrizione dello schema di Convenzione nell'ambito del rilascio del Permesso di costruire ed all'approvazione della Convenzione giusta Deliberazione del 24 gennaio 2017. Con nota del 1° marzo 2017 il Segretario generale del Comune rappresentava l'impossibilità di procedere alla stipula della Convenzione per motivi tecnici, finché il 15 marzo 2017 tale atto non veniva effettivamente sottoscritto innanzi al Notaio Adele Malatesta Laurini e, infine, il 23 maggio 2017 veniva perfezionato il Permesso di costruire. In questa sede si agisce per il risarcimento dei danni da ritardo nell'esame della pratica edilizia, protrattosi dal 16 aprile 2014 al 23 maggio 2017, anche a mezzo di relazione di consulenza che ha stimato gli stessi in euro 800.078,98 per CDF s.r.l. e euro 400.735,19 per AGER FELIX s.r.l.

Il Comune di Quarto si è costituito in giudizio deducendo il difetto di legittimazione passiva a seguito della dichiarazione di dissesto dell'Ente giusta Delibera di Consiglio comunale n. 58/2019, nonché l'infondatezza per difetto dell'elemento soggettivo in termini di dolo o colpa rispetto all'inerzia della P.A.

Alla udienza pubblica del 19 novembre 2019 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione, come da verbale.

DIRITTO

1. Con il ricorso in esame parte ricorrente reclama il risarcimento del danno da ritardo, anche in ragione della violazione del giusto procedimento, della l. n. 241/1990, del d.P.R. n. 380/2001, nonché delle regola di imparzialità e correttezza dell'azione amministrativa.

2. In via preliminare la Sezione ritiene non meritevole di accoglimento l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Comune di Quarto, atteso che - come peraltro affermato dalla giurisprudenza (C.d.S., V, 21 giugno 2016, n. 2721; in materia tributaria, Cass. civ., sez. trib., 11 agosto 2016, n. 16959) con precedenti anche richiamati da parte ricorrente nell'ultima memoria - la dichiarazione di dissesto non spoglia l'Ente della sua capacità processuale, né della legittimazione, continuando il Comune ad essere il soggetto debitore espressione istituzionalizzata dell'autonomia locale nei cui confronti non sono interrotti i procedimenti cognitivi.

3. Quanto al merito, la Sezione ritiene di muovere dalla nota sentenza 22 luglio 1999, n. 500, con la quale le Sezioni unite della Corte di cassazione riconobbero l'ammissibilità della tutela risarcitoria degli interessi legittimi. L'art. 7 della l. 21 luglio 2000, n. 205, nel novellare l'art. 7, comma 3, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, successivamente stabilì che, in tali casi, la tutela risarcitoria va richiesta al giudice amministrativo, atteggiandosi a "strumento di tutela ulteriore rispetto a quello classico demolitorio" (così sentenze 6 luglio 2004, n. 204 e 11 maggio 2006, n. 191 della Corte costituzionale).

3.1. Secondo l'orientamento giurisprudenziale (C.d.S., Ad. plen., n. 3/2011) che in questa sede si ritiene di condividere, va evidenziato che, nell'ambito della disciplina dettata dal Codice del processo amministrativo di cui all'allegato 1 al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, entrato in vigore il 16 settembre 2010, l'art. 30 del Codice ha previsto, ai fini che qui rilevano, che l'azione di condanna al risarcimento del danno può essere proposta in via autonoma (comma 1) entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato, ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo (comma 3, primo periodo).

La norma, da leggere in combinazione con il disposto del comma 4 dell'art. 7 - il cui inciso finale prevede la possibilità che le domande risarcitorie aventi ad oggetto il danno da lesione di interessi legittimi e di altri diritti patrimoniali consequenziali siano introdotte in via autonoma - sancisce, dunque, l'autonomia, sul versante processuale, della domanda di risarcimento rispetto al rimedio impugnatorio.

Detta autonomia è confermata, per un verso, dall'art. 34, comma 2, secondo periodo, che considera il giudizio risarcitorio quale eccezione al generale divieto, per il giudice amministrativo, di conoscere della legittimità di atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con l'azione di annullamento; e, per altro verso, dal comma 3 dello stesso art. 34, che consente l'accertamento dell'illegittimità a fini meramente risarcitori allorquando la pronuncia costitutiva di annullamento non risulti più utile per il ricorrente.

3.2. In definitiva il disegno codicistico, in coerenza con il criterio di delega fissato dall'art. 44, comma 2, lett. b), n. 4, della l. 18 giugno 2009, n. 69, ha superato la tradizionale limitazione della tutela dell'interesse legittimo al solo modello impugnatorio, ammettendo l'esperibilità di azioni tese al conseguimento di pronunce dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della parte vittoriosa. Di qui la trasformazione del giudizio amministrativo, ove non vi si frapponga l'ostacolo dato dalla non sostituibilità di attività discrezionali riservate alla pubblica amministrazione, da giudizio amministrativo sull'atto, teso a vagliarne la legittimità alla stregua dei vizi denunciati in sede di ricorso e con salvezza del riesercizio del potere amministrativo, a giudizio sul rapporto regolato dal medesimo atto, volto a scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata.

3.3. Operando una ricognizione dei principi civilistici in tema di causalità giuridica e di principio di auto-responsabilità, il Codice del processo amministrativo sancisce la regola secondo cui la tenuta, da parte del danneggiato, di una condotta, attiva od omissiva, contraria al principio di buona fede ed al parametro della diligenza, che consenta la produzione di danni che altrimenti sarebbero stati evitati secondo il canone della causalità civile imperniato sulla probabilità relativa, recide, in tutto o in parte, il nesso casuale che, ai sensi dell'art. 1223 c.c., deve legare la condotta antigiuridica alle conseguenze dannose risarcibili. Di qui la rilevanza sostanziale, sul versante prettamente causale, dell'omessa o tardiva impugnazione come fatto che preclude la risarcibilità di danni che sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di rituale utilizzazione dello strumento di tutela specifica predisposto dall'ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo onde evitare la consolidazione di effetti dannosi. Va aggiunto che la latitudine del generale riferimento ai mezzi di tutela e al comportamento complessivo consente di soppesare l'ipotetica incidenza eziologica non solo della mancata impugnazione del provvedimento dannoso ma anche dell'omessa attivazione di altri rimedi potenzialmente idonei ad evitare il danno, quali la via dei ricorsi amministrativi e l'assunzione di atti di iniziativa finalizzati alla stimolazione dell'autotutela amministrativa (c.d. invito all'autotutela).

4. Con particolare riguardo alla fattispecie in esame, la Sezione ritiene di condividere quanto già affermato da questo Tribunale (cfr. I, 25 settembre 2017, n. 4483) in linea con l'indirizzo maggioritario della giurisprudenza amministrativa, nel senso che "la qualificazione del danno da illecito provvedimentale rientra nello schema della responsabilità extra-contrattuale disciplinata dall'art. 2043 c.c.; conseguentemente, per accedere alla tutela è indispensabile, ancorché non sufficiente, che l'interesse legittimo sia stato leso da un provvedimento (o da comportamento) illegittimo dell'amministrazione reso nell'esplicazione (o nell'inerzia) di una funzione pubblica e la lesione deve incidere sul bene della vita finale, che funge da sostrato materiale dell'interesse legittimo e che non consente di configurare la tutela degli interessi c.d. procedimentali puri, delle mere aspettative o dei ritardi procedimentali" (C.d.S., Ad. plen., 19 aprile 2013, n. 7; sez. V, 12 giugno 2012, n. 1441; sez. IV, 22 maggio 2012, n. 2974; sez. IV, 2 aprile 2012, n. 1957; sez. III, 30 maggio 2012, n. 3245; sez. V, 21 marzo 2011, n. 1739; sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1271; Cons. giust. amm., 24 ottobre 2011, n. 684; sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8291).

Va soggiunto, inoltre, che l'azione risarcitoria innanzi al giudice amministrativo non è retta dal principio dispositivo con metodo acquisitivo, tipico del processo impugnatorio, bensì dal generale principio dell'onere della prova ex artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., per cui sul ricorrente grava l'onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di ottenere il riconoscimento di una responsabilità dell'Amministrazione per danni derivanti dall'illegittimo od omesso svolgimento dell'attività amministrativa, da ricondurre al modello della responsabilità per fatto illecito delineata dall'art. 2043 c.c., donde la necessità di verificare, con onere della prova a carico del (presunto) danneggiato, gli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana, così individuabili: a) il fatto illecito; b) l'evento dannoso ingiusto ed il danno patrimoniale conseguente; c) il nesso di causalità tra il fatto illecito ed il danno subito; d) la colpa dell'apparato amministrativo (in termini, C.d.S., IV, 8 febbraio 2016, n. 486; 28 gennaio 2016, n. 327).

4.1. Per quanto riguarda, poi, specificamente il nesso di causalità, va osservato che la struttura dell'illecito si compone dei seguenti elementi: 1) la condotta (ossia il fatto), che può essere attiva oppure omissiva; 2) l'evento, ossia il danno ingiusto diretta conseguenza della condotta; 3) il nesso di causalità tra i due tra fatto ed evento; 4) l'elemento soggettivo (dolo e colpa); 5) le conseguenze dannose che debbono essere risarcite dal danneggiante e il nesso di causalità tra fatto illecito e danni risarcibili. Il giudizio di causalità si palesa, quindi, due volte: la prima volta, nel rapporto tra fatto ed evento di danno (danno-evento); la seconda, tra il fatto unitariamente considerato e il danno-conseguenza. È necessario, perciò, distinguere la causalità di fatto (in base alla quale si pone la relazione tra condotta commissiva ed omissiva e danno-evento), regolata dalle leggi scientifiche e la causalità giuridica (in base alla quale si pone la relazione tra il fatto complessivamente e unitariamente considerato e le conseguenze dannose risarcibili), regolata, invece, esclusivamente dal diritto.

La disciplina civilistica del fatto illecito non regola la causalità materiale, i cui dettami devono ricavarsi sistematicamente dagli artt. 40 e 41 c.p., secondo la ricostruzione datane dalle Sezioni unite della Corte di cassazione a partire dalla nota sentenza del 10 luglio 2002, n. 30328 (c.d. sentenza Franzese): un fatto può considerarsi causativo di un evento se di esso è condizione necessaria, con l'esclusione, quindi, di concause che da sole siano state sufficienti a produrre il danno. L'applicazione di tali principi generali è temperata dalla c.d. regolarità causale (o causalità adeguata), secondo cui, all'interno delle serie causali così determinate, si deve dare rilievo solo a quelle che, nel momento in cui si produce l'evento, non appaiono del tutto inverosimili. L'indicatore a disposizione dell'interprete, in ambito civilistico, per affermare o meno l'esistenza del nesso è dato dal criterio del "più probabile che non", a differenza che nel diritto penale laddove vige la regola dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" (art. 533 c.p.p.). Ciò si spiega con la differenza ontologica tra i due giudizi: nel giudizio penale tutto ruota attorno alla figura del reo e la pena consiste nella limitazione della sua libertà; nel giudizio civile l'obiettivo è il ristoro integrale del danneggiato e la sanzione ha carattere economico.

La causalità di tipo giuridico, che lega il fatto illecito alle conseguenze risarcibili, è disciplinata dagli artt. 1223 e ss. c.c., alla cui stregua il risarcimento deve ricomprendere le perdite che siano conseguenza immediata e diretta dell'illecito. Tale disciplina consente al giudice l'individuazione delle singole conseguenze dannose con la precipua funzione di delimitare i confini della già accertata (attraverso la causalità materiale) responsabilità risarcitoria. In sostanza, il giudice è chiamato a valutare l'esistenza di conseguenze risarcibili e, eventualmente, a stabilire a quanto ammontano.

5. Ciò premesso, il Collegio ritiene che il ricorso in epigrafe meriti accoglimento, atteso che il Comune non ha prestato spontanea esecuzione a quanto disposto con sentenza n. 5152/2014, né rispettato i termini di cui all'art. 20 del d.P.R. n. 380/2001, così contribuendo alla lesione di un interesse economicamente rilevante. Sono risultati integrati gli estremi di un comportamento quanto meno negligente, ove si consideri la condotta anche nei riguardi del Commissario ad acta ed il tardivo rilascio dei titolo abilitativo a fronte della fondata posizione di interesse legittimo ad ottenere il provvedimento amministrativo emanato solo a distanza di tempo.

D'altronde è pacifico che, con l'art. 2 della l. n. 241 del 1990, è stato positivizzato il principio della certezza dei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi, ad iniziativa d'ufficio o ad istanza di parte, con un provvedimento espresso ed entro termini predeterminati e si è, altresì, affermata la doverosità, che costituisce un vero e proprio obbligo dell'azione amministrativa come declinazione dei principi di legalità e di buona amministrazione, con conseguente affermazione dell'illegittimità del mancato esercizio del potere, ossia del c.d. silenzio inadempimento. Il Legislatore, sotto la spinta della giurisprudenza e della dottrina, è intervenuto successivamente per rendere effettivo, anche in termini di tutela giurisdizionale, l'obbligo dell'Amministrazione non solo di provvedere, ma di farlo entro termini dati: con l'art. 2-bis, introdotto nel corpo della l. n. 241 con l'art. 7 della l. n. 69/2009, confermato dall'art. 30 del c.p.a., è stata espressamente prevista la responsabilità dell'Amministrazione per la violazione del termine di conclusione del procedimento; successivamente nel 2013, con la l. n. 98 (di conversione del d.l. n. 69/2013), è stato inserito nel corpo dell'art. 2-bis il comma 1-bis, che ha previsto il diritto dell'istante ad un indennizzo forfettario "per il mero ritardo" in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento.

5.1. Con la previsione del risarcimento del danno per il ritardo o il mancato esercizio del potere e poi di un indennizzo forfettario per il "mero ritardo", il tempo procedimentale è stato qualificato alla stregua di un bene della vita, costituendo il ritardo un costo sia "economico", poiché si traduce in un rischio amministrativo in caso di "investimenti", sia in termini di violazione dell'affidamento degli interessati, che costituisce il versante soggettivo e psicologico del valore oggettivo del principio di certezza del diritto (C.d.S., V, n. 675/2015).

Per la risarcibilità del danno da ritardo, secondo una giurisprudenza consolidata (ex multis, Cons. Giust. Amm., sez. giurisd., 10 settembre 2018, n. 490; C.d.S., IV, n. 4580/2016), rilevano - oltre alla constatazione della violazione dei termini del procedimento - che l'inosservanza è imputabile a dolo o colpa dell'Amministrazione medesima, che il danno è conseguenza diretta del ritardo, che il risarcimento è relativo ad un interesse pretensivo e non è avulso da una valutazione positiva sul titolo del privato al rilascio del provvedimento. Nella valutazione del danno da risarcire deve essere accertata la spettanza del bene della vita al titolare dell'interesse pretensivo, con conseguente esito positivo del procedimento attributivo del provvedimento favorevole per il richiedente.

5.2. Nella vicenda per cui è controversia l'abnorme ritardo nella conclusione del procedimento, per il quale mai il Comune di Quarto ha fornito giustificazioni, deve imputarsi ad un colpevole comportamento dell'Amministrazione stessa nel lungo e complesso iter procedimentale e dimostra in modo inequivocabile la potenzialità lesiva di tale ritardo nel rilascio del Permesso come protrattosi dal 16 aprile 2014 al 23 maggio 2017. Ciò giustifica l'adozione da parte del Tribunale di una pronuncia ai sensi dell'art. 34, comma 4, c.p.a. che si limita (C.d.S., IV, 29 ottobre 2018, n. 6144) ad indicare come presupposto della procedura ivi divisata la "mancanza di opposizione delle parti", ma non reca l'espressa previsione circa la necessità della previa acquisizione dell'espresso consenso delle parti stesse, per cui è più rispettoso del tenore testuale della norma concludere che sia onere dell'interessato manifestare tempestivamente la propria opposizione all'eventuale ricorso del Giudicante a tale procedura. Del resto, l'onere in questione non si palesa eccessivo o spropositato: la disposizione, infatti, trova applicazione solo ove la parte abbia richiesto una "condanna pecuniaria", di talché colui che abbia coltivato un siffatto petitum ben può prevedere che il Giudice disponga l'accoglimento della domanda secondo le forme previste dalla cennata disposizione e, dunque, può tempestivamente e preventivamente rappresentare, oltretutto senza particolari oneri formali, né vincoli temporali, la propria opposizione.

Peraltro, parte ricorrente non è affatto sprovvisto di tutela, atteso che la citata norma stabilisce che "se le parti non giungono ad un accordo, ovvero non adempiono agli obblighi derivanti dall'accordo concluso, con il ricorso previsto dal Titolo I del Libro IV, possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta ovvero l'adempimento degli obblighi ineseguiti"; le istanti, dunque, ove dovessero stimare insufficiente la somma offerta nelle more del giudizio dal Comune di Quarto, potranno senz'altro radicare giudizio di ottemperanza avanti il Tribunale al fine di veder tutelate le proprie ragioni in ordine al quantum del risarcimento.

5.3. In definitiva, il Collegio ritiene di poter far ricorso alla previsione dell'art. 34 c.p.a., per cui in caso di condanna pecuniaria il giudice può stabilire i criteri in base ai quali "il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un certo termine". In base a tale norma il Comune di Quarto deve formulare in favore dei ricorrenti una proposta di pagamento di una somma a titolo di risarcimento dei danni da ritardo nell'esame della pratica edilizia n. 44/2012 per la realizzazione di n. 45 appartamenti per civile abitazione nell'ambito del PUA zona Gb2, i cui criteri si risolvono nel motivare eventuali divergenze da quanto in sede di consulenza tecnica di parte è stato asseritamente quantificato in euro 800.078,98 per CDF s.r.l. e euro 400.735,19 per AGER FELIX s.r.l. sulla base di un canone annuo pari a euro 48,05/mq., di un reddito annuo riferito all'edilizia del mercato libero pari a euro 57,66 per ottenere poi distinti valori di indennizzo per i fabbricati A, B1 e B2 (pag. 13 relazione CTP) e dei costi di costruzione distinti per edilizia residenziale sociale e edilizia a libero mercato (pag. 16 relazione CTP); ciò, nel termine di novanta giorni dalla comunicazione e/o notificazione della sentenza.

6. Per questi motivi il ricorso deve essere accolto con conseguente condanna del Comune di Quarto al risarcimento dei danni, disponendo che il Comune resistente proponga in favore dei ricorrenti il pagamento di una somma di denaro ai sensi dell'art. 34 c.p.a.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, accoglie la domanda proposta da CDF Immobiliare s.r.l. e AGER FELIX s.r.l. e, per l'effetto, condanna il Comune di Quarto al risarcimento dei danni, disponendo che quest'ultimo proponga il pagamento di una somma di denaro ai sensi dell'art. 34 c.p.a., secondo i criteri di cui in motivazione, entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione e/o notificazione della presente sentenza.

Le spese seguono la soccombenza con condanna del Comune di Quarto al relativo pagamento in favore dei ricorrenti, in solido, nella misura complessiva di euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

P. Dubolino, F. Costa

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