Corte dei conti
Sezione giurisdizionale per la Lombardia
Sentenza 16 dicembre 2019, n. 339

Presidente: Caruso - Estensore: Tenore

FATTO

1. In relazione al primo giudizio portante n. 29286, con atto di citazione del 25 gennaio 2019, la Procura Regionale citava in giudizio la sig.ra Maria C., direttore dei servizi generali e amministrativi dell'ex Circolo didattico Manerba del Garda (oggi Istituto comprensivo Valtenesi di Manerba del Garda) e poi dell'IC Speri di Brescia all'epoca dei fatti, esponendo quanto segue:

a) che, con esposto del 2 maggio 2014 il dirigente scolastico pro tempore del predetto Istituto scolastico aveva segnalato alla Procura mandati e pagamenti dal conto dell'ex Circolo didattico di Manerba del Garda a favore della sig.ra Maria C., già direttore servizi generali dello stesso Circolo "annualità 2007/2013";

b) che a seguito della predetta segnalazione, l'Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia (USR) aveva rilevato una serie di irregolarità gestionali-contabili per il periodo 2007/2014, per un danno erariale di 795.354,66 euro (note del 6 giugno 2014 e 31 luglio 2014);

c) che, in seguito, lo stesso Ufficio Scolastico Regionale, verificando l'intero periodo in cui la sig.ra Maria C. aveva svolto le funzioni di direttore servizi generali e amministrativi, aveva evidenziato, per il precedente periodo 2000/2007 (rectius 2000/2006), un ulteriore danno di 169.110,40 euro (nota dell'8 agosto 2014);

d) che per tali condotte, questa Sezione, dopo il decreto presidenziale 12/2018, aveva confermato il sequestro cautelare nei confronti della C. con provvedimento 5 dicembre 2018, n. 77;

e) che, all'esito del procedimento penale sui medesimi fatti, la C. era stata condannata dal Gip presso il Tribunale di Brescia con sentenza del 20 settembre 2017, n. 1541 (passato in giudicato dal 6 novembre 2017) per il reato di cui agli artt. 81-314 c.p. e 81-476 c.p. "alla pena di due anni di reclusione relativamente ai fatti di peculato e falso per i mandati di pagamento formati concernenti il periodo 2007/2014"; inoltre era stata disciplinarmente licenziata dal Miur;

f) che la C. aveva refuso al Miur stragiudizialmente la somma di euro 752.668,50;

g) che il Miur aveva messo in mora la C., adottando anche un fermo amministrativo ex art. 69 r.d. 2240/1923 sul TFR maturato, rimasto tuttavia senza esito;

h) che tali condotte avevano prodotto un danno erariale di 507.330,00 euro, di cui 169.110,40 euro quale danno diretto per appropriazioni degli anni 2000-2006 (pari alla differenza tra la somma complessiva di cui si era appropriata la sig.ra C. dal 2000 al 2014, pari ad euro 964.465,00 e la somma dalla stessa già risarcita, pari ad euro 795.354,66) ed ulteriori 338.220,00 euro per il danno di immagine subito dall'Ente (pari, equitativamente, al doppio delle predette somme afferenti gli anni 2000-2006 non restituite dalla C.);

i) che per tali condotte era configurabile un'ipotesi di responsabilità sussidiaria a titolo di colpa grave in capo alla Banca Popolare di Sondrio e alla Banca Intesa Sanpaolo s.p.a. quali titolari del servizio di cassa dell'"Istituto comprensivo Valtenesi di Manerba del Garda" rispettivamente, dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2013 (la prima) e dall'esercizio 2004 al 31 dicembre 2006 (la seconda), preannunciando che i predetti istituti di credito sarebbero stati chiamati a rispondere in via sussidiaria del danno diretto (e non quello all'immagine) predetto, per aver violato le rispettive convenzioni;

j) che le deduzioni pervenute in riscontro al notificato invito non erano risultate idonee a superare l'ipotesi accusatoria.

Tutto ciò premesso, la Procura chiedeva la condanna della C. al pagamento a favore del Miur della somma suddetta di complessivi euro 507.330,40 (169.110,40 euro per il danno da introito nel 2000-2006 di somme non spettanti e 338.220,00 euro per il danno all'immagine per i medesimi fatti), oltre accessori e spese di lite e conversione del sequestro in pignoramento.

2. Si costituiva la sig.ra C., difesa dagli avv. Meini e Besuzio, eccependo quanto segue:

a) di aver integralmente restituito la somma di euro 795.354,66 illecitamente sottratta agli istituti scolastici di cui era D.S.G.A. dall'anno 2007 all'anno 2014 e che la pretesa per altri importi reclamati dalla Procura era prescritta a fronte di fatti posti in essere nel 2000-2006 ben coglibili da revisori dei conti, dirigenti scolastici e banca tesoriere ed invece riscontrati e tardivamente contestati solo nel 2014;

b) che, in particolare, in punto di prescrizione, una conoscibilità palese degli illeciti introiti vi era da anni in capo alla negligente Banca popolare di Sondrio, in quanto nel periodo di oltre sei anni e mezzo intercorso tra l'inizio del servizio di tesoreria svolto da Banca Popolare di Sondrio a Manerba del Garda (11 gennaio 2007) e il trasferimento della C. presso l'Istituto Comprensivo "Tito Speri Centro 2" di Brescia (1° settembre 2013), la banca tesoriere aveva erogato indebitamente alla convenuta la somma di euro 752.668,50, mentre nel successivo periodo di sei mesi intercorso tra l'immissione in servizio della convenuta presso l'Istituto Comprensivo "Tito Speri Brescia 2" (1° settembre 2013) e la segnalazione di irregolarità compiuta, in soli 4 mesi, dalla filiale di Brescia della Banca Popolare di Sondrio (19 marzo 2014) ai due Istituti scolastici suddetti, quest'ultima aveva erogato indebitamente alla sig.ra C. la somma di euro 43.721,93: alla filiale della medesima Banca incaricata della tesoreria dell'Istituto Comprensivo "Tito Speri" erano dunque bastati solo quattro mesi per accorgersi di quel che la filiale di Manerba del Garda non aveva saputo rilevare in più di sei anni, con riflessi sulla maturata prescrizione;

c) che, sempre in punto di prescrizione, in ordine agli illeciti incassi del precedente periodo 2000-2006, l'istituto di credito Banca Intesa s.p.a. (già Cariplo, oggi Intesa Sanpaolo s.p.a.) non aveva mai ritenuto di segnalare alcunché rispetto al periodo di tempo in cui la stessa era stata tesoriere del circolo didattico di Manerba del Garda, mantenendo un comportamento omissivo che aveva determinato la fatale prescrizione di ogni azione erariale;

d) che non era stato dimostrato alcun comportamento della convenuta specificamente diretto all'occultamento del danno contestato e che, comunque, i dirigenti scolastici, i revisori dei conti ovvero il Consiglio di Istituto erano stati autonomamente responsabili della intervenuta prescrizione dell'odierna azione erariale per omesso riscontro;

e) che, nel merito, a fronte dei fatti illeciti relativi al periodo 2007-2014 effettivamente riferibili alla convenuta, il distinto danno diretto relativo agli anni 2000-2006, quantificato dalla Procura Regionale in euro 169.110,40, non era coperto da giudicato penale ed era anzi contestato dalla sig.ra C. in quanto determinato in sede ispettiva Miur senza contraddittorio;

f) che, comunque, nella denegata ipotesi di riconoscimento della debenza di tale somma, andavano valutate sia le condizioni psicologiche della C., affetta da grave forma di ludopatia, sia i contributi concausali non sussidiari della negligente Banca Cariplo/Intesa San Paolo;

g) che, in merito al contestato danno all'immagine, l'azione della Procura era improcedibile, non essendo la C. mai stata condannata in sede penale per delitti contro la pubblica amministrazione per i fatti, qui contestati, relativi agli anni 2000-2006, come previsto dal c.d. "lodo Bernardo" di cui all'art. 17, comma 30-ter, d.l. 1° luglio 2009, n. 78, convertito nella l. 3 agosto 2009, n. 102, norma non toccata, in punto di necessario previo giudicato penale di condanna, dal d.lgs. 174/2016 (codice del processo contabile); difatti la condanna penale aveva riguardato testualmente condotte relative al distinto periodo 2007-2014;

h) che, in ogni caso, il criterio presuntivo di quantificazione del danno all'immagine seguito dalla Procura (doppio della somma oggetto di danno diretto, desunto dalla novella apportata dalla legge 190 del 2012 alla l. n. 20 del 1994) era inapplicabile ratione temporis a fatti anteriori al 2012, quali quelli contestati alla C.;

i) che fra le somme dalla C. versate nel corso del processo penale in ordine al periodo 2007-2014, pari ad euro 796.390,43, non tutte fossero indebite e non spettanti alla stessa: in particolare in forza del CCNL del comparto scuola quadriennio giuridico 2006-2009 (artt. 56 e 88), l'odierna convenuta aveva diritto alla parte variabile delle "indennità di direzione e sostituzione del DSGA", nonché gli ulteriori compensi a carico del fondo d'istituto per i progetti approvati dal consiglio di circolo o d'istituto nell'ambito del Piano dell'Offerta Formativa, somme che ammontavano, per l'intero periodo 2007-2014, quantomeno ad euro 24.533,81, somma comunque da detrarre dall'importo in questa sede reclamato dalla Procura in caso di condanna.

Tutto ciò premesso, la difesa della convenuta chiedeva il rigetto della domanda o, in via gradata, una più equa rideterminazione del danno ascritto, anche scomputando la predetta somma di euro 24.533,81.

3. In relazione al secondo giudizio portante n. 29303, con atto di citazione dell'11 febbraio 2019, la Procura Regionale citava in giudizio Intesa San Paolo s.p.a., esponendo quanto segue:

a) che in ordine ai fatti contestati alla d.s.g.a. C. indicati al precedente punto 1. relativi agli anni 2000-2006 coincidenti con il servizio presso la direzione didattica Manerba sul Garda, era ipotizzabile una concorrente, ma sussidiaria, responsabilità gravemente colposa del tesoriere dell'Istituto scolastico danneggiato, ovvero della banca Intesa San Paolo s.p.a. (in precedenza Banca Intesa dal 2004 al 2006 e in precedenza Cariplo, confluite entrambe in Intesa San Paolo s.p.a.) limitatamente all'importo di 169.110,40 euro per il danno da introito somme non spettanti alla C. (senza dunque danno all'immagine);

b) che la negligenza dell'Istituto tesoriere era da ravvisare nella non riscontrata anomalia dei pagamenti da essa fatti alla C., che la banca avrebbe dovuto, con media diligenza, intercettare per tempo impedendo così la causazione del danno de quo: in particolare, in spregio dell'art. 4, comma 9, della convenzione di tesoreria, la banca aveva pagato alla C. dei mandati che, lungi dall'essere emessi per il reintegro del fondo minute spese e per legittimi emolumenti a favore del direttore servizi generali e amministrativi, come tassativamente sancito in convenzione di tesoreria, nel periodo considerato erano stati disposti nella quasi totalità con l'indicazione nominativa di docenti a tempo determinato (supplenti), ai quali la C. si era indebitamente aggiunta senza averne titolo, circostanza quest'ultima agevolmente rilevabile dal personale preposto dell'istituto tesoriere;

c) che tale anomalia era invece stata agevolmente colta dai funzionari del successivo Tesoriere, banca popolare di Sondrio, solo nel 2014, con successiva segnalazione al Miur e conseguente attivazione della Magistratura penale e contabile, segno della evidente riscontrabilità dei medesimi fatti sin dal 2000 con ordinaria diligenza bancaria;

d) che era palese e consolidata la giurisdizione di questa Corte sui tesorieri privati aventi natura societaria.

Tutto ciò premesso, la Procura chiedeva la condanna, in via sussidiaria e con beneficium escussionis, del Tesoriere Banca Intesa San Paolo s.p.a. al pagamento a favore del Miur della somma di euro 169.110,40, oltre accessori e spese di lite.

4. Si costituiva la banca Intesa San Paolo s.p.a., difesa dall'avv. prof. Franco Ferrari, eccependo quanto segue:

a) la nullità della citazione per mancata corrispondenza tra invito a dedurre ed atto di citazione, in violazione dell'art. 67, comma 7, d.lgs. 174/2016, tanto sotto il profilo oggettivo (che inizialmente includeva indistintamente anche il danno all'immagine), quanto sotto il profilo soggettivo (atteso che l'invito a dedurre era indirizzato anche alla Banca Popolare di Sondrio che gestiva il servizio di tesoreria negli anni oggetto dell'accertamento penale: 2007-2014);

b) l'ulteriore nullità della citazione perché non erano stati individuati con la doverosa diligenza i criteri di quantificazione del danno ascritto alla convenuta in spregio all'art. 86 d.lgs. 174/2016, non risultando puntualmente provata e/o documentata l'illegittimità di tutti i pagamenti effettuati in favore della sig.ra C. da Intesa San Paolo s.p.a.;

c) la prescrizione della pretesa attorea, in quanto gli organi di controllo dell'Istituto, in occasione delle verifiche contabili imposte ex lege, ben avrebbero potuto e dovuto avvedersi delle irregolarità contestate alla sig.ra C.;

d) la prescrizione della pretesa attorea, in quanto non vi era prova di un occultamento doloso volto a differire il dies a quo prescrizionale, in quanto la Procura non aveva affatto provato che le manomissioni dolose ascritte alla sig. C. con sentenza del Tribunale penale di Brescia n. 1541 del 20 settembre 2017 per fatti concernenti "il periodo 2007/2014" fossero le stesse anche nel periodo precedente 2000-2006;

e) che, nel merito, la pretesa era infondata in assenza di condotta gravemente colposa della Banca Tesoriere per i pagamenti fatti alla C. in quanto, a fronte della Convenzione di Tesoreria (art. 4 e 5), non era stato dedotto - né dimostrato - dalla Procura che i pagamenti oggetto di contestazione non fossero formalmente riconducibili a causali per le quali il pagamento da parte del Cassiere non solo era lecito, ma doveroso: al contrario, le evidenze documentali allegate alla relazione ispettiva contabile prot. 13723 del 5 agosto 2014 confermavano come le causali dei pagamenti de quibus, comunque avallati dai Dirigenti scolastici, fossero, almeno sotto il profilo formale, corrette e conformi ai termini della convenzione di cassa (quali il reintegro del fondo minute spese ovvero, principalmente, la liquidazione di "emolumenti" formalmente spettanti alla sig.ra C., così come previsto dalla citata convenzione), ponendo, a capo dell'Istituto cassiere, l'onere (rectius, l'obbligo) di provvedervi;

f) che, in ogni caso, Intesa San Paolo, in punto di assenza di colpa grave omissiva, era stata aggirata dagli abili artifizi formali della C., al pari dei dirigenti contabili e degli organi di controllo non evocati in giudizio dalla Procura;

g) che comunque, se negligenza per mancato riscontro vi fosse stata, la stessa era imputabile al Dirigente scolastico e soprattutto agli organi di controllo-revisori, in quanto la Banca, oltre a inviare mensilmente all'Istituto le revisionali e gli ordini di pagamento (mandati) relativi alle operazioni eseguite nel periodo di riferimento (art. 8, comma 2, della Convenzione), aveva inviato trimestralmente i giornali di cassa, riportanti analiticamente i dati identificativi di tutte le operazioni di pagamento effettuate nel periodo e gli estremi delle relativa quietanza (art. 8, comma 3).

Tutto ciò premesso, la difesa chiedeva il rigetto della domanda e, in via gradata, un equo esercizio del potere riduttivo dell'addebito, ferma restando una eventuale condanna solo in via sussidiaria del Tesoriere.

5. All'udienza del 20 novembre 2019, previa riunione del giudizio portante il numero 29303 al previo giudizio portante il numero 29282 per identità di causa petendi e connessione oggettiva e soggettiva e previa relazione del Magistrato relatore, prof. Vito Tenore, l'accusa e i difensori presenti sviluppavano i rispettivi argomenti. Quindi la causa riunita veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Va in primis statuita la riunione del giudizio portante il numero 29303 al previo giudizio portante il numero 29282 per identità di causa petendi e connessione oggettiva e soggettiva e va incidentalmente rilevato come nessuna rilevanza assuma ai fini del presente giudizio il parallelo contenzioso originato da ben distinta ed autonoma azione revocatoria esperita dalla Procura nei confronti della C. e confluita nella recente sentenza di questa sezione n. 281 del 2019.

2. In via preliminare va poi riaffermata, ancora una volta, la pacifica giurisdizione di questa Corte su Istituti di credito privati espletanti funzioni di Tesoriere di enti pubblici (ex pluribus Cass., sez. un., 18 gennaio 2019, n. 1414; id., sez. un., 21 marzo 2001, n. 123; id., sez. un., 1° aprile 2008, n. 8409; id., sez. un., 7 settembre 1990, n. 9225).

3. Sempre in via preliminare, va respinta l'eccezione di nullità della citazione prospettata dalla difesa del Tesoriere Intesa San Paolo s.p.a., per discrasia tra invito a dedurre e citazione, così come sunteggiata nella parte in fatto. È agevole replicare a tale argomento difensivo che, come già chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, "... è assolutamente fisiologico che gli elementi raccolti fino all'emissione dell'invito a dedurre possano non coincidere, per difetto, con gli elementi disponibili al momento dell'esercizio dell'azione: dopo la contestazione dell'addebito, o per iniziativa autonoma o dando seguito ad una esigenza di approfondimento generata dalle deduzioni fornite dall'invitato [...]; pertanto, il Pubblico Ministero è pienamente legittimato a proseguire nelle attività di indagine. Anzi, in una prospettiva di maggiore valorizzazione della neutralità che connota l'esercizio delle pubbliche funzioni - caratteristica che impone che le iniziative intraprese dal P.M. siano sempre consone alla funzione esercitata e che preclude la proposizione di azioni la cui fondatezza non sia stata prudentemente vagliata - la prosecuzione dello sforzo istruttorio fino al momento di emissione dell'atto di citazione appare doverosa quando emergano fatti destinati ad incidere significativamente sul promovendo giudizio. È, quindi, del tutto ammissibile che la valutazione del compendio documentale, arricchito in conseguenza dell'esercizio della facoltà di dedurre e/o degli approfondimenti istruttori ulteriori promossi dall'Organo requirente, conduca ad una parziale rimodulazione della contestazione iniziale" (C. conti, sez. giur. Lombardia, 3 luglio 2019, n. 171; id., sez. Lombardia, 9 marzo 2018, n. 48; id., sez. Lombardia, 29 dicembre 2017, n. 196; id., sez. riun., 16 febbraio 1998, n. 7). Pertanto la rimodulazione delle quote ascrivibili ai convenuti tra invito e citazione, così come la evocabilità di taluni solo degli iniziali invitati, o la più puntuale determinazione del quantum reclamato e del relativo titolo, è attività fisiologica e legittima per il requirente, tenuto, all'esito dell'istruttoria e dei chiarimenti degli invitati, ad una più corretta imputazione del quantum ai finali convenuti. Alcuna violazione di prerogative difensive risulta dunque riscontrabile dagli atti a fronte di tale formale, ma infondata, eccezione.

Circa invece la eccepita ulteriore nullità della citazione perché non sarebbero stati individuati con la doverosa diligenza i criteri di quantificazione del danno ascritto alla convenuta Banca in spregio all'art. 86 d.lgs. 174/2016 (non risultando puntualmente provata e/o documentata l'illegittimità di tutti i pagamenti effettuati in favore della sig.ra C. da Intesa San Paolo s.p.a.), trattasi palesemente di questione probatoria afferente il merito decisorio e non certo causa di nullità della citazione, con conseguente eventuale disamina della stessa in fase successiva da parte di questo Collegio, ove non si ritengano fondate altre assorbenti eccezioni formulate dalle difese.

4. E tra tali eccezioni, va doverosamente vagliata, a fronte del pacifico riconoscimento da parte di ambo le convenute dei fatti storici forieri di evidente danno erariale e relativi ad appropriazioni reiterate di denari pubblici poste in essere dalla d.s.g.a. C. negli anni 2000-2006 (oltre a quelle dei successivi anni 2007-2014 oggetto di condanna penale e di refusione stragiudiziale da parte della C. al Miur), quella di prescrizione formulata da entrambe le difese delle parti evocate.

Sul punto, decisamente centrale nel presente giudizio, occorre premettere che la condotta della C., nonostante l'argomento difensivo sviluppato a pag. 8 della comparsa, che rasenta la protervia, secondo cui "con particolare riferimento al periodo 2000-2006, non è dimostrato alcun comportamento della convenuta specificamente diretto all'occultamento del danno contestato e, per converso, la sua attività risulta formalizzata in atti pubblici di natura amministrativa (mandati di pagamento), tempestivamente conosciuti dagli Istituti di credito tesorieri e incaricati del pubblico servizio", pare evidente anche al profano come a fronte di plurimi fatti gravissimi di peculato e palesemente perfezionati con falsi materiali, non possa che parlarsi di reiterato doloso occultamento. Difatti, in tutte le ipotesi di indebita percezione di denaro collegata alla commissione di illeciti penali (o, in generale, di danno scaturente da vicende dolose di rilievo penale), il predetto occultamento, alla stregua della consolidata giurisprudenza contabile, deve ritenersi di regola in re ipsa (C. conti, sez. Toscana, 3 settembre 2019, n. 330; id., sez. Toscana, 108/2016; id., sez. I centr., 80/2015).

Pur tuttavia la scoperta di tale doloso occultamento dei fatti appropriativi del 2000-2006 viene individuata dalla Procura nella data di scoperta da parte degli ispettori del Miur nel 2014 (p. 10 citazione giud. n. 29282) dopo coeva segnalazione del Tesoriere Banca Popolare di Sondrio, o nella successiva data di rinvio a giudizio penale (p. 3 citazione suddetta), sebbene, nel contempo, la stessa Procura ritenga, contraddittoriamente, che di tali illeciti debba rispondere anche il Tesoriere Intesa San Paolo s.p.a. in quanto inerte nell'allertare il Miur a fronte di fatti (mandati falsificati) conoscibili e segnalabili sin dal 2000. Ritiene infatti la Procura che la banca Tesoriere avrebbe dovuto, con media diligenza, intercettare per tempo i falsi mandati impedendo così la causazione del danno de quo: in particolare, in spregio dell'art. 4, comma 9, della convenzione di tesoreria, la banca aveva pagato alla C. dei mandati che, lungi dall'essere emessi per il reintegro del fondo minute spese e per legittimi emolumenti a favore del direttore servizi generali e amministrativi, come tassativamente sancito in convenzione di tesoreria, nel periodo considerato erano stati disposti nella quasi totalità con l'indicazione nominativa di docenti a tempo determinato (supplenti), ai quali la C. si era indebitamente aggiunta senza averne titolo, circostanza quest'ultima agevolmente rilevabile dal personale preposto dell'istituto tesoriere.

Pare evidente quindi che da un lato la Procura ritenga che quello posto in essere dalla C. sia un fatto "dolosamente occultato", così da ritenerlo scoperto, ai fini della decorrenza della prescrizione, solo in sede ispettiva nel 2014, ma dall'altro affermi, contraddittoriamente, che quel medesimo fatto doloso era ben coglibile con ordinaria diligenza dalla Banca (come ritenuto anche dalla difesa della C.) sin dai primi indebiti incassi risalenti al 2000.

Osserva sul punto la Sezione che vadano in primo luogo ribaditi i tradizionali enunciati di questa Corte, secondo cui l'occultamento doloso, come previsto dalla normativa in vigore (art. 1, comma 2, l. 20 del 1994, art. 2941, n. 8, c.c.), richiede una condotta volutamente ingannatrice e fraudolenta, diretta intenzionalmente ad occultare l'esistenza del danno e che sia idonea ad ingenerare una situazione di obiettiva preclusione da parte del creditore, circa la possibilità di fare valere il proprio diritto di credito (in termini C. conti, sez. I centr., 269/2018; id., sez. Toscana, 3 settembre 2019, n. 330) e che tale occultamento rilevi sul piano obiettivo con riferimento all'impossibilità dell'amministrazione di conoscere il danno e di agire in giudizio per far valere la pretesa risarcitoria ai sensi dell'art. 2935 c.c. (id., sez. II centr., 614/2018 e id., sez. III centr., 316/2018). Inoltre il comportamento causativo della lesione coincide con l'occultamento stesso: pertanto in tale evenienza il termine di prescrizione del diritto al risarcimento danno da fatto illecito sorge non dal momento in cui l'agente compie l'illecito, bensì dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all'esterno, divenendo oggettivamente percepibile e conoscibile (C. conti, sez. I centr., n. 218/2018; id., sez. Lazio, n. 492/2018).

A fronte dunque di un fatto dolosamente occultato ed anzi fraudolento della C., in quanto configurante falso e peculato, ontologicamente non evidente né ostentato, la prescrizione deve sicuramente decorrere dalla scoperta (art. 1, comma 2, l. n. 20 del 1994, settorialmente confermativo dell'art. 2941, n. 8, c.c.), ma tale nozione, ad avviso del Collegio, deve essere intesa in modo ragionevole, avallandosi altrimenti condotte palesemente abuliche e statiche di organi preposti, in varie vesti e ruoli, al controllo, che tollerino, per indolenza o incapacità, altrui reati forieri di danno erariale, pur essendo tenuti ex lege (o per accordi o contratti, es. quelli della convenzione di Tesoreria nella specie) ad impedire condotte truffaldine di infedeli funzionari o anche meri errori colposi nella redazione di mandati di pagamento.

Pertanto, in ragionevole interpretazione, in combinato disposto, del concetto di "scoperta" cui fa testuale riferimento l'art. 1, comma 2, l. n. 20 cit. e di decorrenza della prescrizione "dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere" di cui all'art. 2935 c.c., il concetto di "scoperta" va inteso come momento in cui il doloso occultamento "poteva e doveva essere scoperto" secondo criteri di ordinaria diligenza. Tale diligenza è palesemente mancata nel caso di specie, sia in capo alle Banche Tesoriere succedutesi (e tardivamente avvedutesi dell'accaduto solo dopo 14 anni, segnalando solo nel 2014 i fatti al Miur), sia in capo agli organi di controllo-revisori del Miur, in quanto, come rettamente eccepito dalla difesa Intesa San Paolo tesoriere, la Banca, oltre a inviare mensilmente all'Istituto le revisionali e gli ordini di pagamento (mandati) relativi alle operazioni eseguite nel periodo di riferimento (art. 8, comma 2, della Convenzione), inviava trimestralmente i giornali di cassa, riportanti analiticamente i dati identificativi di tutte le operazioni di pagamento effettuate nel periodo e gli estremi della relativa quietanza (art. 8, comma 3).

Le dolose falsificazioni della C. erano dunque ben coglibili, con minimale e pretendibile diligenza, sin dall'inizio, ovvero dal 2000, sia (e soprattutto) dalla Banca Tesoriere, sia dagli organi di controllo degli Istituti scolastici.

Per il Tesoriere tale evidente possibilità di avvedersi di falsificazioni documentali deriva dagli ontologici compiti che connotano l'attività dei cassieri di un istituto di credito, assunti e formati proprio per la loro alta professionalità che impone massima attenzione nell'espletamento di un pagamento, soprattutto a fronte di una chiara Convenzione con gli Istituti scolastici che imponeva al Tesoriere (art. 4) "il divieto di pagamento di mandati emessi a favore del direttore dei servizi generali ed amministrativi dell'Istituto con quietanze dello stesso ad eccezione di quelli emessi per il reintegro del fondo minute spese e di quelli relativi agli emolumenti a lui spettanti".

Del resto la giurisprudenza civile, in casi sostanzialmente analoghi relativi a pagamenti da parte di Istituti di credito di assegni a portatori non aventi diritto diversi dal beneficiario, ha univocamente ribadito che la banca è tenuta a dimostrare di aver assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall'art. 1176, comma 2, c.c., che però pretende per un Istituto di credito una cautela superiore rispetto a quella comune, imposta dal tipo di attività esercitata, e consona ad un livello di professionalità che deve essere necessariamente elevato (ex pluribus da ultimo Cass., sez. VI, 20 maggio 2019, n. 13568; id., sez. VI, 1° luglio 2019, n. 17641; id., sez. I, 28 febbraio 2019, n. 5971; Tribunale Roma, sez. XVII, 29 aprile 2019, n. 8988). La responsabilità in tali casi ha natura contrattuale, avendo la banca un obbligo professionale di protezione nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, e di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l'incasso; si delinea una responsabilità da contatto sociale qualificato, secondo gli artt. 1176 e 2118 c.c., per cui la banca negoziatrice che ha pagato l'assegno non trasferibile a persona diversa dall'effettivo prenditore deve provare che l'inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta ai sensi dell'art. 1176 c.c., comma 2, in quanto operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve (così Tribunale Vicenza, 28 febbraio 2019, n. 492).

Adattando tali coordinate ermeneutiche al caso in esame, pare evidente come i Tesorieri succedutisi nel tempo, soggetti bancari di elevata competenza, ben avrebbero potuto e dovuto, secondo basici canoni di diligenza superiore o comunque correlata alle delicate funzioni svolte, cogliere, ancorché dolosamente occultati, da subito i reiterati falsi posti in essere dalla C. in violazione dell'art. 4 della Convenzione di cassa.

Ma parimenti negligenti sono stati i revisori dei conti (più che il dirigente scolastico) dell'Istituto scolastico in cui la C. lavorava, ai quali specificamente, come detto, veniva sottoposta la documentazione di spesa: la Banca, come detto, oltre a inviare mensilmente all'Istituto le revisionali e gli ordini di pagamento (mandati) relativi alle operazioni eseguite nel periodo di riferimento (art. 8, comma 2, della Convenzione), inviava trimestralmente i giornali di cassa, riportanti analiticamente i dati identificativi di tutte le operazioni di pagamento effettuate nel periodo e gli estremi delle relativa quietanza (art. 8, comma 3). Ben coglibili erano dunque da revisori attenti i falsi commessi dalla C.

In estrema sintesi, i fatti qui contestati concernenti appropriazioni di denari pubblici da parte della d.s.g.a. C. dal 2000 al 2006, potevano e dovevano essere colti, sin dal 2000, dalla Banca Tesoriere e dai revisori dei conti seguendo comuni regole di elevata diligenza pretendibili da soggetti qualificati, addestrati e remunerati per svolgere compiti (anche) di attento riscontro sulla correttezza dei mandati da pagare (Tesoriere) o già pagati (revisori dei conti della Scuola).

Tra l'altro il Tesoriere, oltre a segnalare le anomalie riscontrate al Miur (come ha fatto solo dopo 14 anni, ad opera di Tesoriere diverso da Intesa San Paolo s.p.a.), avrebbe dovuto segnalarle anche a questa Corte. Ritiene infatti questa Sezione, enunciando principio nuovo nel panorama giurisprudenziale e dottrinale, ma coerente con il sistema normativo e con il quadro giurisprudenziale pregresso, che sia tenuto all'obbligo di segnalazione alla Procura contabile di cui all'art. 52 d.lgs. n. 174 del 2016 non solo il pubblico dipendente o amministratore, ma anche il soggetto privato legato alla P.A. da rapporto di servizio. Ed invero, se quest'ultimo, quale una Banca-Tesoriere, secondo univoca giurisprudenza menzionata al punto 2., è equiparato ad un pubblico dipendente ai fini della giurisdizione contabile per danno erariale, lo stesso sarà tenuto coerentemente a rispettare anche gli obblighi gravanti sul soggetto pubblico a cui è equiparato per le funzioni pubblicistiche espletate. Tra questi, l'obbligo di denuncia di danni erariali a questa Corte, aggiuntivo all'obbligo di segnalare anomalie contabili alla controparte della Convenzione di cassa, ovvero al Miur per opportune verifiche interne.

Del resto, detto obbligo, secondo l'art. 52, comma 2, d.lgs. n. 174 del 2016, grava genericamente sugli "organi di controllo e di revisione delle pubbliche amministrazioni", nozione ampia, come tale idonea a sussumere nella sua portata applicativa oltre a soggetti pubblici controllori (quali i revisori dei conti di una Scuola), anche soggetti privati investiti di compiti pubblicistici di vigilanza (quali una Banca Tesoriere tenuta a controllare i mandati e gli aventi diritto agli stessi, secondo Convenzione di Tesoreria).

Ne consegue, a fronte della conoscibilità delle falsificatorie condotte di peculato della C. sin dal 2000, la prescrizione della domanda attorea qui azionata in ordine sia al danno diretto che all'immagine. Ne discende il rigetto della domanda non solo nei confronti della C., ma anche nei confronti della Intesa San Paolo s.p.a., evocata in questa sede solo in via sussidiaria.

In ordine al reclamato danno all'immagine, rileva altresì la Corte, come ben colto dalla difesa della C., che, a prescindere dalla prescrizione e pur a fronte di fatti altamente disdicevoli e palesemente lesivi del prestigio di una amministrazione peculiarmente "etica" per mission istituzionale (il Miur è infatti faro di moralità per milioni di giovani, e non solo), difetti anche il basilare requisito della previa condanna penale in giudicato - non essendo la C. mai stata condannata in sede penale per delitti contro la pubblica amministrazione per i fatti, qui contestati, relativi agli anni 2000-2006 -, come previsto dal c.d. "lodo Bernardo" di cui all'art. 17, comma 30-ter, d.l. 1° luglio 2009, n. 78, convertito nella l. 3 agosto 2009, n. 102, norma non toccata, in punto di necessario previo giudicato penale di condanna, dal d.lgs. 174/2016 (codice del processo contabile), che ha invece ampliato la platea dei reati che posso originare danni all'immagine della P.A., ma sempre dopo il giudicato penale (sul punto C. conti, sez. Lombardia, 1° dicembre 2016, n. 201, richiamata da sez. Lombardia, 15 marzo 2017, n. 33; id., sez. Lombardia, 12 luglio 2017, n. 113; conforme, C. conti, app. Sicilia, 28 novembre 2016, n. 183 e 13 dicembre 2016, n. 200; cfr., altresì, C. conti, sez. Veneto, n. 219/2016, id., sez. giur. Emilia-Romagna, n. 73/2017; id., sez. giur. Sicilia, n. 187/2017 e n. 686/2017). È infatti evidente che l'unica condanna in giudicato riguardante la convenuta C. è quella relativa ai fatti delittuosi del distinto periodo 2007-2014, non oggetto di questa causa.

La Procura ben potrà però successivamente valutare se rivendicare tale danno all'immagine per questi ultimi fatti del 2007-2014 a fronte di condanna penale del Tribunale di Brescia del 20 settembre 2017, n. 1541 in giudicato dal 6 novembre 2017.

Parimenti ben potrà valutare la Procura se l'omessa (o tardiva) denuncia di danno a questa Corte o alla P.A. da parte dell'Intesa San Paolo s.p.a. (e/o di altri Tesorieri, in primis la Banca Popolare di Sondrio), sia dei fatti commessi dalla C., sia della propria autonoma gravemente colposa omessa vigilanza (sull'obbligo di autodenuncia v. C. conti, sez. riun., 30 gennaio 2017, n. 2) possa configurare autonomo illecito foriero di danno ex art. 1, comma 3, l. n. 20 del 1994, ben valutando il dies a quo prescrizionale di tale peculiare illecito omissivo del soggetto tenuto a denuncia.

Al rigetto della domanda consegue la revoca del sequestro concesso con decreto presidenziale 12/2018, confermato con provvedimento 5 dicembre 2018, n. 77 e la condanna al pagamento delle spese di lite sostenute dalle parti convenute, che vanno poste a carico del Miur e che vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia, definitivamente pronunciando, rigetta la domanda proposta nei confronti di Maria C. [omissis], e di Intesa Sanpaolo s.p.a. (P. IVA 10810700152). Condanna il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (Miur) al pagamento delle spese di lite sostenute dai due convenuti, che quantifica, per ciascuno di essi, in euro 2.500,00, oltre IVA e CPA come per legge. Revoca del sequestro concesso con decreto presidenziale 12/2018, confermato con provvedimento 5 dicembre 2018, n. 77 della Sezione.