Corte di cassazione
Sezione II civile
Sentenza 20 febbraio 2020, n. 4451

Presidente: San Giorgio - Estensore: Carbone

FATTI DI CAUSA

Sui contrasti amministrativi e proprietari interni alla Liberty s.r.l., gestrice dell'"Hotel Liberty" di Riva del Garda, si innestava in data 29 ottobre 2010 la stipula di un negozio, titolato "preliminare di vendita di quote sociali a scopo transattivo", col quale, tra l'altro, il socio Giuseppe C. assumeva l'obbligo di acquistare le quote di Danilo C. e Bruna D. per il complessivo prezzo di euro 8.500.000,00.

Adìto da questi ultimi, il Tribunale di Trento disponeva il trasferimento delle quote societarie e il pagamento del saldo-prezzo in esecuzione specifica ex art. 2932 c.c., nel contempo respingendo la domanda riconvenzionale proposta da Giuseppe C. per la risoluzione del preliminare da eccessiva onerosità sopravvenuta.

La tesi esposta da Giuseppe C., e disattesa dal primo giudice, qualifica il negozio del 29 ottobre 2010 come transazione c.d. mista, nella quale il preliminare di cessione delle quote esprimerebbe una causa autonoma rispetto alla causa transattiva dei patti endosocietari (questi ultimi necessariamente estesi agli altri soci, Adriana e Liana B.); solo in ragione dell'autonoma causa non transattiva, il preliminare di cessione delle quote sarebbe risolubile per eccessiva onerosità sopravvenuta, determinata dall'imprevedibile crollo dei valori immobiliari e dei livelli di redditività dell'"Hotel Liberty", in uno all'inattesa lievitazione dei costi di gestione.

Soccombente anche in appello, Giuseppe C. ricorre per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria.

Danilo C. e Bruna D. resistono con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia omissione di pronuncia, per aver il giudice d'appello omesso di decidere sul capo di gravame inerente la clausola n. 9 del contratto del 29 ottobre 2010, nonostante questa evidenziasse l'autonomia del preliminare di cessione delle quote rispetto alla parte transattiva del negozio.

In subordine, il secondo motivo di ricorso denuncia l'omesso esame della clausola n. 9, nella prospettiva dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.

Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 1362, 1363 c.c., per aver il giudice d'appello interpretato il contratto del 29 ottobre 2010 su basi formalistiche e ignorando la clausola n. 9, nonostante questa evidenziasse l'autonomia del preliminare di cessione delle quote rispetto alla parte transattiva del negozio.

2. La controversia ruota attorno al tema della risolubilità della transazione per eccessiva onerosità sopravvenuta, tema che, pur godendo di una sua classicità presso la dottrina, ha avuto poche occasioni di emersione in giurisprudenza.

La legge stabilisce l'irrescindibilità della transazione per causa di lesione (art. 1970 c.c.) e l'irresolubilità per inadempimento della transazione novativa (art. 1976 c.c.), ma non anche l'irresolubilità della transazione per eccessiva onerosità sopravvenuta.

Una linea dottrinale esclude la risolubilità della transazione per eccessiva onerosità sopravvenuta poiché qualifica la transazione come contratto aleatorio, sì da riportarla alla generale irresolubilità per eccessiva onerosità sopravvenuta dei contratti aleatori (art. 1469 c.c.).

Seppur autorevole, questa posizione è isolata in letteratura, e negletta dalla giurisprudenza di legittimità.

Per la sua natura commutativa, e non aleatoria, la transazione è considerata soggetta al principio generale di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (Cass. 14 aprile 1956, n. 1105).

L'irresolubilità della transazione novativa per inadempimento, sancita dall'art. 1976 c.c., quale eccezione al principio generale di risolubilità dei contratti a prestazioni corrispettive per alterazione del sinallagma funzionale, è ritenuta inestensibile all'eccessiva onerosità, oltre che all'impossibilità sopravvenuta e alla presupposizione (Cass. 28 agosto 1993, n. 9125).

La commutatività della transazione può dirsi ormai acquisita, sorretta dalla "reciprocità delle concessioni" che l'art. 1965 c.c. indica a fondamento causale del negozio compositivo, sicché, se ancora si dibatte, come per la revocatoria fallimentare da notevole sproporzione, non si dibatte più sull'aleatorietà o la commutatività della transazione, ma unicamente sui parametri oggettivi del giudizio commutativo (Cass. 20 marzo 1976, n. 1016; Cass. 15 luglio 1982, n. 4141; Cass. 27 giugno 2001, n. 8808; Cass. 21 novembre 2013, n. 26124; Cass. 13 settembre 2017, n. 21279).

3. In base alla natura commutativa del rapporto tra aliquid datum e aliquid retentum, considerata inoltre la valenza sistematica della risoluzione per alterazione funzionale del sinallagma, può enunciarsi il seguente principio di diritto: «la transazione ad esecuzione differita è suscettibile di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, in base al principio generale emergente dall'art. 1467 c.c., in quanto l'irresolubilità della transazione novativa stabilita in via eccezionale dall'art. 1976 c.c. è limitata alla risoluzione per inadempimento, e l'irrescindibilità della transazione per causa di lesione, sancita dall'art. 1970 c.c., esaurisce la sua ratio sul piano del sinallagma genetico».

4. Ciascuno dei motivi nei quali si articola l'odierno ricorso evidenzia una specifica ragione di infondatezza.

4.1. Nel denunciare un'omissione di pronuncia su un capo di gravame inerente la natura non transattiva del preliminare di cessione delle quote, il primo motivo trascura che il giudice d'appello ha qualificato viceversa in senso transattivo l'intero negozio del 29 ottobre 2010, sicché non di omessa pronuncia si tratta, bensì di rigetto implicito (Cass. 8 marzo 2007, n. 5351; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass. 13 agosto 2018, n. 20718; Cass. 4 giugno 2019, n. 15255).

4.2. Nel denunciare l'omesso esame di una clausola pattizia, a norma dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., il secondo motivo trascura che il vizio di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. concerne l'omesso esame di elementi fattuali, non di elementi interpretativi (Cass. 8 marzo 2017, n. 5795; Cass. 13 agosto 2018, n. 20718).

4.3. Nel denunciare la violazione dei criteri legali di interpretazione contrattuale, il terzo motivo trascura che la ricostruzione ermeneutica del giudice d'appello, lungi dall'essersi arrestata sul piano testuale del negozio (locuzioni "a scopo transattivo" e "a titolo transattivo" riferite alla cessione delle quote), ne ha vagliato l'assetto sostanziale complessivo (in punto di garanzia della cessione e determinazione del prezzo), sicché la censura si risolve nell'offerta di un'esegesi soggettivamente "migliore", il che eccede i margini del sindacato di cassazione sull'interpretazione dei contratti (Cass. 2 maggio 2006, n. 10131; Cass. 20 novembre 2009, n. 24539; Cass. 15 novembre 2017, n. 27136; Cass. 10 maggio 2018, n. 11254).

5. A monte, l'impianto stesso del ricorso è privo di decisività, in quanto focalizzato sulla natura non transattiva del preliminare di cessione delle quote, profilo qualificatorio irrilevante agli effetti della risolubilità del negozio per eccessiva onerosità sopravvenuta.

Nella sua impostazione complessiva, e nei singoli motivi in cui si articola, il ricorso è proteso a dimostrare che il negozio del 29 ottobre 2010 sia una transazione c.d. mista, la quale, sul modello delineato dall'art. 1965, comma 2, c.c., sommerebbe una parte transattiva (quella endosocietaria definita dalla clausola n. 9) e una parte non transattiva, appunto coincidente col preliminare di cessione delle quote.

Tuttavia, in base all'enunciato principio di diritto (supra, § 3), che il preliminare di cessione delle quote abbia o meno natura transattiva avrebbe potuto rilevare ove si fosse qui discusso della sua rescissione per lesione o della sua risoluzione per inadempimento, e invece non rileva affatto, poiché qui si discute della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta.

6. Il ricorso deve essere respinto, con le conseguenze di legge in ordine al regolamento delle spese processuali e al raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi, spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

M. Marazza

Diritto sindacale contemporaneo

Giuffrè, 2024

G. Fiandaca, E. Musco

Diritto penale

Zanichelli, 2024

L. Bolognini, E. Pelino (dirr.)

Codice della disciplina privacy

Giuffrè, 2024