Corte dei conti
Sezione II centrale d'appello
Sentenza 5 marzo 2020, n. 55

Presidente: Calamaro - Estensore: Guzzi

FATTO

Con atto di citazione depositato il 5 maggio 2016, la Procura regionale per la Campania ha convenuto in giudizio i sigg.ri Angelo Pasqualino A., Sebastiano O., Pietro P., Raffaele S., Assunta T., Nunzio C., Cosimo An., Teresa V., Amilcare M., Immacolata D.S. per sentirli condannare al risarcimento del danno di euro 28.384,94, oltre a rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio in favore dei Comuni aderenti al Piano di zona Ambito S1 (Agro Nocerino Sarnese), costituito, ai sensi della l. n. 328/2000, della l.r. 11/2007 e in base alla disciplina di cui all'art. 30 del d.lgs. 267/2000, per la programmazione ed il coordinamento dei servizi sociali in ambito sovracomunale.

La contestazione erariale si basava sul fatto che per il periodo 23 febbraio 2012-7 novembre 2012, i suddetti convenuti avevano deliberato, in qualità di rappresentanti degli enti locali, il conferimento dell'incarico di responsabile dell'"ufficio di Piano" ad un soggetto esterno alle amministrazioni che ne facevano parte, decidendo ciò senza avere indetto una procedura comparativa adeguatamente pubblicizzata e senza avere preventivamente accertato il possesso di specifiche professionalità da parte del prescelto.

Con la sentenza in epigrafe, la Sezione territoriale ha riconosciuti tutti i convenuti responsabili del danno erariale cagionato al Comune di Scafati, capofila del Piano di zona, nella misura di euro 22.708,00, comprensivo di rivalutazione monetaria, oltre a interessi legali dal giorno della domanda sino all'effettivo soddisfo, condannandoli al pagamento con la seguente ripartizione:

- A. Angelo Pasqualino e D.S. Immacolata, euro 6.812,44 ciascuno;

- Pietro P., Nunzio C., Cosimo An., Amilcare M., euro 1.419,25 ciascuno;

- Sebastiano O., Raffaele S., Assunta T. e Teresa V., euro 851,55 ciascuno.

Avverso tale decisione proponevano appello i sottoelencati soccombenti sulla scorta dei seguenti motivi di impugnazione:

1. violazione e falsa applicazione dell'art. 17, comma 30-ter, del d.l. 78/2009, stante la mancanza di una notizia di danno specifica e concreta (sig. A., sindaco del Comune di Scafati);

2. nullità della citazione perché, in violazione dell'art. 5, comma 1, del d.l. n. 453/1993, convertito con modificazioni dalla l. n. 19/1994, il requirente non avrebbe dato conto delle ragioni per cui non ha ritenuto accoglibili le deduzioni difensive dell'invitato (sig. S., amministratore del Comune di Castel San Giorgio);

3. irregolarità dell'atto di citazione per non essere state ivi considerate le deduzioni difensive trasmesse mediante posta elettronica certificata; genericità della motivazione esposta al riguardo (T., amministratore del Comune di Roccapiemonte);

4. erroneità di giudizio e vizio della motivazione riguardo alla normativa applicabile al caso di specie (signori A., D.S., S.);

5. carenza dell'elemento soggettivo della colpa grave in ragione della funzione meramente esecutiva spettante al sindaco del Comune capo fila (sig. A., sindaco di Scafati);

6. in contrapposizione, assenza di responsabilità proprio in virtù della esclusiva colpa del sindaco del Comune capofila (sig. P.);

7. violazione dell'art. 112 c.p.c. e difetto di motivazione in conseguenza della mancata valutazione della carenza di legittimazione passiva che avrebbe riguardato la posizione di alcuni amministratori estranei al "processo decisionale" relativo all'incarico contestato (D.S., segretario comunale di Scafati); (idem per S. e T.);

8. mancata considerazione del ruolo causale assunto dall'amministrazione capofila e dal suo segretario comunale (sig. P., amministratore del Comune di Corbara);

9. carenza del nesso di causalità, in quanto l'incarico era stato deciso prima del 17 febbraio 2012 nel corso di altre riunioni e, in ogni caso, perché la partecipazione alla seduta era avvenuta nella veste di delegato dal sindaco del proprio Comune (sig.ra T.);

10. assenza di responsabilità per aver richiesto al segretario dell'ente capofila approfondimenti circa la legittimità dell'incarico, anche mediante l'acquisizione di un parere legale (sig. S.); assenza dell'elemento soggettivo della colpa grave per via di un parere legale favorevole a supporto dell'incarico (sig. D.S.);

11. mancata prova del danno oggetto di citazione (signori A. e D.S.).

Tutti, pertanto, chiedevano il proscioglimento dall'addebito erariale e, in subordine, la riduzione del danno.

Con atto depositato il 29 novembre 2019 ha rassegnato le proprie conclusioni la Procura generale per contestare, con diffusa e articolata argomentazione, i motivi d'appello e chiederne l'integrale reiezione.

In udienza, le parti hanno esposto gli scritti in atti e ne hanno chiesto l'accoglimento.

DIRITTO

I. In via pregiudiziale deve essere disposta, ai sensi dell'art. 184 c.g.c., la riunione degli appelli in epigrafe, in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

II. Con il primo dei motivi d'impugnazione sopra elencati, l'appellante A. ha riproposto la nullità dell'atto di citazione per assenza di una specifica e concreta notizia di danno.

L'eccezione è inammissibile e, in ogni caso, infondata.

Inammissibile perché dalla documentazione in atti non risulta essere stata prospettata nel primo grado di giudizio, col che appare evidente che, trattandosi di una questione non rilevabile d'ufficio, la stessa introduce nel giudizio d'appello un'eccezione nuova in violazione del divieto previsto dall'art. 193 c.g.c.

La questione è in ogni caso infondata, in quanto l'azione ha tratto avvio da un esposto nel quale si denunciava il conferimento dell'incarico di responsabile dell'ufficio di Piano - ambito S1 - ad un professionista esterno alle amministrazioni comunali senza che si fosse proceduto ad una preventiva ricognizione delle competenze interne ed in assenza di una procedura selettiva su basi comparative adeguatamente pubblicizzata.

Come si può osservare, era dunque intervenuta una notitia damni sufficientemente specifica e concreta alla luce delle linee interpretative elaborate dalle Sezioni Riunite nella sentenza n. 3 agosto 2011, n. 12/QM, con la quale si è, appunto, chiarito che la notizia può ritenersi specifica e concreta quando esponga uno o più fatti ragionevolmente individuandoli nei loro tratti essenziali e collegandoli, in maniera non ipotetica, a situazioni che possano verosimilmente integrare gli estremi del danno erariale.

III. Non meno infondato è il motivo d'appello del S. in ordine alla nullità dell'atto di citazione per violazione dell'art. 5, comma 1, del d.l. n. 453/1993, convertito con modificazioni nella l. 14 gennaio 1994, n. 19.

Secondo l'appellante, la domanda non avrebbe sufficientemente esposto le ragioni in base alle quali il pubblico ministero contabile ha ritenuto non condivisibili le deduzioni dell'invitato.

Il Collegio condivide quanto al riguardo osservato dalla Procura generale con le conclusioni in atti, e ritiene, in linea con la costante giurisprudenza d'appello, che non ricorre l'obbligo in capo al requirente contabile di replicare specificatamente ad ogni eccezione o argomento difensivo proposto con le deduzioni all'invito a dedurre (cfr., ex multis, Corte dei conti, Sez. II App., 19 dicembre 2018, n. 682; Sez. I App., 29 settembre 2017, n. 376; Sez. III App., 22 gennaio 2013, n. 52).

III.1. Deve essere, altresì, disatteso il motivo d'appello con cui la sig.ra T. contesta la regolarità della citazione per non avere, il requirente, dato conto delle deduzioni difensive, che in quanto inviate via p.e.c. non sarebbero state procedibili perché non materialmente sottoscritte.

Secondo l'appellante, l'estensione del formato "p7m" utilizzato per l'invio delle deduzioni sarebbe tale da garantire l'autenticità dell'atto, per cui l'omessa valutazione degli argomenti esposti a sua difesa avrebbe comportato l'irregolarità della domanda iniziale.

Nell'esaminare la questione, il giudice di prime cure ha opinato nel senso che riguardo alle deduzioni difensive della sig.ra T., in quanto anch'esse incentrate sulla partecipazione al provvedimento collegiale di conferimento dell'incarico, avrebbero potuto in ogni caso valere le stesse considerazioni esposte dal requirente per gli altri deducenti, così nella sentenza impugnata sostanzialmente ritenendosi che nessun vulnus sarebbe stato recato alle prerogative di difesa della convenuta.

Tanto osservato, occorre in primo luogo osservare che avverso tale impostazione l'appellante non formula alcuna specifica doglianza, essendosi, infatti, limitata a contestarne la genericità, sicché deve ritenersi che la prospettazione non sia idonea a superare il vaglio di ammissibilità richiesto dall'art. 190 c.g.c. in ordine al requisito della specificità che deve connotare il motivo d'appello.

La contestazione è in ogni caso infondata alla luce del fatto che per il processo contabile, l'applicabilità delle regole e delle specifiche tecniche del giudizio civile telematico, nel contesto delle quali deve ritenersi ammesso l'invio degli atti con estensione "p7m" tramite posta elettronica certificata, è stata sì introdotta, ma solo in forza dell'art. 6 del d.lgs. n. 174/2016, ovvero da una norma ratione temporis non applicabile al caso di specie.

IV. Infondato è anche il motivo d'appello proposto dai signori A., D.S. e S. riguardo alla normativa cui il giudice di prime cure ha fatto riferimento per approdare alla conclusione che sarebbe stato necessario indire "una procedura selettiva su basi comparative" e accertare la "specifica professionalità" dell'incaricato.

Secondo gli appellanti nessuna disposizione normativa all'epoca dei fatti avrebbe previsto tali requisiti di legittimità.

Al riguardo, pur condividendo la scelta del primo giudice di fare leva sull'art. 110 del d.lgs. n. 267/2000, giacché trattandosi di una fattispecie amministrativa gestita da un ente sovracomunale costituito dall'adesione di dodici Comuni, è stato corretto individuare nell'ordinamento degli enti locali la disciplina applicabile al caso di specie, occorre, tuttavia, dare atto che allorquando è stata adottata la deliberazione contestata, 17 febbraio 2012, l'art. 110 cit. non era ancora stato innovato dall'art. 11, comma 1, lett. a), d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, nella l. 11 agosto 2014, n. 114, sicché non vi è dubbio che non fossero stati ancora introdotti i sopra riportati requisiti procedimentali di legittimità per gli incarichi a soggetti esterni alla pubblica amministrazione.

Nondimeno si deve ritenere corretta l'impostazione seguita nella sentenza impugnata laddove ha riconosciuto la necessità del rispetto di tali requisiti.

In proposito, dopo aver osservato che l'applicabilità dell'art. 110 t.u.e.l. ben si attagliasse al caso in esame anche nella considerazione del fatto che l'incarico riguardava la figura del responsabile amministrativo del Piano di zona, quindi interessasse una funzione apicale omologabile a quella del dirigente di ente locale, il giudice di prime cure ha, poi, coerentemente ritenuto che prima delle innovazioni introdotte dall'art. 11 del d.l. n. 90/2014 e, comunque, già al tempo dei fatti di causa, la giurisprudenza di merito aveva elaborato un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 110 più volte citato verso i principi del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione, nel contesto della quale figuravano, quali elementi di legittimità dell'azione amministrativa, l'indizione e l'adeguata pubblicizzazione delle procedure selettive, l'accertamento della professionalità occorrente all'espletamento delle funzioni e la preventiva ricognizione sulla disponibilità, o meno, di professionalità interne eventualmente utilizzabili in luogo di un incaricato esterno.

A tale riguardo citava giurisprudenza costituzionale e amministrativa (Corte cost., sentenze 11 gennaio 2010, n. 9 e 13 novembre 2009, n. 293; C.d.S., 16 gennaio 2012, n. 138; T.A.R. Lazio, 18 giugno 2012, n. 5592; T.A.R. Toscana, 11 novembre 2010, n. 6578).

Il Collegio ritiene di dover in aggiunta osservare alla luce del disfavore in linea di principio manifestato dalla giurisprudenza costituzionale verso la "dirigenza fiduciaria" della pubblica amministrazione (sentenza n. 161 del 2008, sentenze n. 103 e n. 104 del 2007), che la scelta intuitu personae di un responsabile di servizio tra soggetti esterni all'ente, salvo che non appaia sorretta da straordinarie esigenze di interesse pubblico (Corte cost. 13 giugno 2013, n. 137; Id. n. 205 del 2006), si deve ritenere incompatibile con l'art. 97 della Costituzione, anche in considerazione della palese inosservanza che essa comporta del principio costituzionale secondo il quale l'accesso ai pubblici impieghi, anche se a tempo determinato (Corte cost., 23 aprile 2013, n. 73; C.d.S., Sez. VI, 4 novembre 2014, n. 5431), è possibile solo tramite una pubblica selezione.

Concludendo sul punto, appare dunque scevra da censure la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto dannosa la condotta degli amministratori partecipanti alla riunione di coordinamento del Piano di zona tenutasi il 12 febbraio 2012 al fine di deliberare il conferimento dell'incarico di responsabile ad un soggetto esterno, avendo, con il loro voto favorevole, agito in contrasto con i parametri di legittimità applicabili nei termini sin qui spiegati.

V. Quanto al motivo d'appello con cui viene lamentata l'insussistenza del requisito soggettivo della colpa grave e del nesso di causalità, il Collegio lo ritiene infondato.

Senza indugiare in ridondanti ripetizioni, peraltro in contrasto con il principio di sinteticità a cui, in base all'art. 5 c.g.c., occorre improntare la redazione dei provvedimenti giurisdizionali, il Collegio, richiamando quanto evidenziato in premessa, innanzi tutto ritiene che non si possa attribuire efficacia esimente alle perplessità - sulle quali hanno fatto leva alcuni appellanti, tanto da prospettare la loro estraneità al processo decisionale e la conseguente carenza di legittimazione passiva - espresse sulla legalità della proposta deliberativa di incarico al punto da richiedere un approfondimento istruttorio anche con l'acquisizione di un parere legale; infatti tali dubbi avrebbero dovuto indurre una diligente ponderazione delle conseguenze che dall'atto sarebbero potute derivare e una ulteriore attività istruttoria.

Il fatto di aver ciò nonostante espresso voto favorevole, così partecipando in maniera determinante al perfezionamento del provvedimento amministrativo collegiale rivelatosi dannoso, semmai rappresenta un ulteriore profilo sintomatico della colpa grave, non potendosi dubitare del concreto concorso degli odierni appellanti al conferimento dell'incarico pur nella consapevolezza che allo stato non vi fosse sufficiente chiarezza sulla legalità della proposta deliberativa.

L'inescusabilità della condotta non può essere nemmeno ritenuta ravvisabile per gli amministratori, non sindaci, che avevano partecipato alla seduta in quanto delegati dai primi cittadini dei rispettivi Comuni, giacché non v'è chi non veda come in un contesto deliberativo la posizione di colui che esprime un voto finalizzato al perfezionamento del provvedimento non può certo essere omologata a quella del semplice nuncius dell'altrui volontà, a nulla rilevando le riunioni interlocutorie tra amministratori che avevano preceduto quella decisiva, giacché, com'è agevole intendere, nessun ruolo causale può ad esse attribuirsi rispetto alla riunione che ha, invece, visto l'approvazione formale dell'incarico.

Nel delineato contesto, nessun fondamento può essere riconosciuto alla tesi sostenuta dal sindaco di Scafati, ente capofila, in ordine al ruolo meramente esecutivo che avrebbe ricoperto nel procedimento de quo; così come, per lo stesso ordine di considerazioni, non può ritenersi fondato il profilo di contestazione degli altri appellanti che, prospettando la maggiore incidenza che avrebbe dovuto essere riconosciuta al sindaco del Comune capo fila nella dinamica che ha portato all'incarico, hanno a loro volta invocato l'assenza di colpa grave.

In proposito non può che rimarcarsi il ruolo assolutamente paritetico, tanto sul piano causale, quanto su quello soggettivo che hanno svolto tutti i partecipanti al perfezionamento della deliberazione dannosa.

Quanto al segretario comunale D.S., la contestazione prospettata con l'atto d'appello è quella che il giudice di prime cure non avrebbe adeguatamente valorizzato, in chiave esimente della responsabilità sotto il profilo soggettivo, il parere favorevole espresso di un legale esterno.

Al riguardo, ritiene il Collegio che nel contesto di un procedimento amministrativo finalizzato all'adozione di un atto deliberativo collegiale, la posizione del segretario comunale, al quale, in base all'art. 97, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000, compete la funzione di garanzia e di assistenza giuridico-amministrativa verso l'organo deliberante "in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti", non possa ritenersi in alcun modo surrogata sul piano causale e dell'elemento psicologico della colpa grave, dal coinvolgimento di un legale esterno e dall'acquisizione di relativo parere.

Alla luce di quanto sin qui esposto si deve, infine, ritenere infondato anche l'ultimo motivo di gravame, con cui viene lamentata la mancanza di prova del danno, giacché, incontestato essendo il fatto che la spesa per gli oneri derivanti dall'incarico sia stata effettivamente sostenuta dal Comune capo fila, il pregiudizio erariale si deve ritenere conseguentemente provato in termini [di] certezza, liquidità ed esigibilità in un importo pari a quello addebitato e ripartito dal giudice di prime cure, dopo averne tuttavia ridotto del 20% l'ammontare con l'esercizio del potere riduttivo dell'addebito.

In conclusione, gli appelli devono essere respinti, con spese da liquidarsi secondo il principio della soccombenza ex art. 31 c.g.c. nei termini di seguito statuiti.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale d'appello, disattesa ogni contraria istanza, eccezione o deduzione, definitivamente pronunciando, riuniti gli appelli in epigrafe li respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna gli appellanti al pagamento delle spese del grado che, sino alla pubblicazione della presente sentenza, liquida in euro 112,00 (centododici/00).

F. Caringella

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