Corte dei conti
Sezione giurisdizionale per l’Emilia-Romagna
Sentenza 30 aprile 2020, n. 44

Presidente: Rigoni - Estensore: Patumi

MOTIVAZIONE

1. Con atto di citazione depositato in data 27 maggio 2019, la Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Emilia Romagna ha convenuto in giudizio [omissis], chiedendone la condanna al pagamento della somma di euro 2.816.527,22 in favore dell'Inps, oltre rivalutazione monetaria a decorrere dal momento dell'effettivo depauperamento dell'amministrazione e sino alla data della pubblicazione della sentenza, e agli interessi legali su tale somma dalla pubblicazione sino all'effettivo soddisfo, con condanna alle spese del presente procedimento.

La domanda consegue alla denuncia di danno n. [omissis], con la quale il Direttore regionale dell'Inps Emilia Romagna ha segnalato alla Procura regionale presso questa Sezione giurisdizionale un'ipotesi di responsabilità erariale a carico del proprio dipendente avv. [omissis].

Essa si fonda su un presunto danno erariale cagionato dalla mancata impugnazione, da parte del convenuto [omissis], avvocato in servizio presso l'Ufficio legale della sede Inps di [omissis], e al conseguente passaggio in giudicato, della sentenza del Tribunale di [omissis], in funzione di giudice del lavoro, n. [omissis].

Il Tribunale di [omissis], con la sopra menzionata sentenza, ha condannato l'Inps a corrispondere, in favore di alcuni ricorrenti, ciechi civili assoluti, l'indennità di accompagnamento, nonché l'assegno sostitutivo degli accompagnatori militari.

Poiché la sentenza del Tribunale di [omissis], n. [omissis], è stata depositata in cancelleria il [omissis], e notificata all'Inps il [omissis], il passaggio in giudicato della stessa deve farsi risalire al [omissis]; ciò, ai sensi dell'art. 327 del codice di procedura civile, rubricato "Decadenza dall'impugnazione", nel testo in vigore all'epoca dei fatti, per il quale "Indipendentemente dalla notificazione l'appello, il ricorso per cassazione e la revocazione [...] non possono proporsi dopo decorso un anno dalla pubblicazione della sentenza".

Solo successivamente al passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di [omissis], n. [omissis], l'avv. [omissis], con una nota dell'8 agosto 2007, ha notiziato l'Ufficio liquidazione pensioni del proprio ente in merito al contenuto della sentenza, affermando che "L'Ufficio legale ha proceduto alla archiviazione della pratica senza proporre appello in quanto la sentenza risulta correttamente motivata ed insuscettibile del gravame". Successivamente, in data 30 settembre 2008, con un'ulteriore nota indirizzata al Dirigente l'Ufficio provinciale dell'Inps di [omissis], ha esposto dettagliatamente le motivazioni giuridiche in forza delle quali, nonostante le indicazioni fornite dal Direttore centrale dell'Inps con nota n. [omissis], aveva ritenuto di non dover appellare la pronuncia di primo grado. Il convenuto ha, infatti, confutato le conclusioni del Direttore centrale dell'Inps, e con esse la ricostruzione accolta dalla Corte Suprema, giudicandole contraddittorie, e sostenendo che, al contrario, considerava condivisibili le motivazioni alla base della sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di [omissis].

La nota a firma del Direttore centrale dell'Inps sopra richiamata del [omissis], dopo aver ricostruito la consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione secondo la quale "l'equiparazione dell'indennità di accompagnamento spettante agli invalidi civili totali e ai ciechi civili assoluti a quella goduta dai grandi invalidi di guerra riguarda esclusivamente la misura base dello stesso beneficio, con espressa esclusione dell'assegno integrativo sostitutivo della prestazione di accompagnatori militari", nonché le ragioni sottostanti tale interpretazione, aveva evidenziato che le istanze di equiparazione avrebbero dovuto per tali motivi essere respinte e aveva concluso stabilendo che "dovranno essere contrastate anche le eventuali controversie giudiziarie in corso".

Dopo la pubblicazione e il passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di [omissis], n. [omissis], tra le parti si è aperto un contenzioso avente a oggetto l'esecuzione della stessa. L'atto di precetto costituito dalla sentenza stessa, intimato dai ricorrenti, infatti, è stato oggetto di opposizione da parte dell'Inps; il Tribunale di [omissis], Sez. lavoro, con sentenza n. [omissis], ha annullato tale precetto sulla base della motivazione che "Per costante giurisprudenza la sentenza, per essere titolo esecutivo, deve contenere al suo interno tutti i parametri onde poter effettuare il conteggio della somma finale. La liquidità in questo caso non sussiste" (poiché) "non è stabilita la decorrenza" e "si parla di assegno sostitutivo senza citare il parametro normativo di riferimento".

Il contenzioso si è, infine, concluso con la sentenza, n. [omissis], con la quale il Tribunale civile di [omissis] ha provveduto a quantificare le somme dovute ai ricorrenti.

A seguito di quest'ultima pronuncia, l'Inps ha proceduto a pagare l'assegno sostitutivo degli accompagnatori ai soggetti ricorrenti, per un importo quantificato dal Direttore provinciale dell'Inps [omissis], al 1° marzo 2019, in euro 2.816.527,22, pari alla richiesta attorea, di cui 2.688.219,19 in quota capitale e 128.308,03 in conto interessi.

2. La Procura Regionale, per i fatti sopra esposti, ha citato [omissis] avanti a questa Sezione Giurisdizionale chiedendone la condanna, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, per l'importo complessivo di euro 2.816.527,22, pari all'importo corrisposto dall'Inps ai ricorrenti a titolo di assegni sostitutivi degli accompagnatori militari, oltre rivalutazione monetaria, ed interessi legali sino al momento dell'integrale soddisfazione.

2.1. A fondamento della domanda, la Procura Regionale ha sostenuto che la condotta dell'avv. [omissis] dev'essere considerata antigiuridica, sulla base del rilievo che la sentenza del Tribunale di [omissis], n. [omissis], nel riconoscere ai ricorrenti, ciechi civili assoluti, l'assegno sostitutivo degli accompagnatori militari, non è stata impugnata nonostante si fosse posta, nel riconoscere tale indennità, in chiaro contrasto con il consolidato indirizzo della Corte di cassazione. Inoltre, la Procura ha evidenziato come la Direzione centrale dell'Inps, con nota n. [omissis], avesse richiamato l'indirizzo giurisprudenziale della Corte Suprema, consolidato nel negare per i ciechi civili assoluti la spettanza dell'assegno sostitutivo della prestazione di accompagnatori militari, la quale andava quindi considerata come destinata esclusivamente in favore dei grandi invalidi di guerra, e conseguentemente invitando i propri uffici periferici a non concedere dette indennità e a contrastare le eventuali iniziative giudiziarie.

La Procura ha evidenziato, inoltre, come non risultino tempestive segnalazioni da parte dell'avvocato [omissis] in merito al deposito della sentenza di condanna n. [omissis] e ha sostenuto come il parere dallo stesso reso in data 30 settembre 2008 fosse tardivo e, nel giustificare la scelta di non procedere a proporre appello, avesse richiamato isolati precedenti di giudici di merito.

Secondo la tesi accusatoria, le vicende relative alla gestione del contenzioso insorto per la mera quantificazione delle somme dovute ai ricorrenti non avrebbero alcun rilievo nella determinazione dei presupposti dell'illecito erariale, se non sotto il limitato profilo della determinazione del suo ammontare.

La Procura ha ricostruito il quadro normativo che, come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità già consolidata al tempo della più volte citata sentenza n. [omissis], riconosce ai ciechi invalidi civili assoluti l'equiparazione dell'indennità di accompagnamento a quella goduta ai grandi invalidi di guerra, ma non anche quella sostitutiva degli accompagnatori militari, quindi limitandola al costo di un solo accompagnatore.

Tanto premesso, la Parte pubblica ha evidenziato come il convenuto, a seguito del deposito in cancelleria delle motivazioni della sentenza n. [omissis], non abbia svolto alcuna attività, neanche per informare i propri vertici dell'esito della controversia; ha affermato che da ciò si evincerebbe come l'avvocato [omissis] si fosse dimenticato di proporre l'appello.

La condotta tenuta dal convenuto, per quanto sopra esposto, sarebbe, secondo la Procura contabile, connotata da colpa gravissima, sia in ragione della univoca giurisprudenza di legittimità, sia in considerazione della citata nota della Direzione generale dell'Inps, finalizzata ad allertare le strutture regionali sull'argomento.

Parte pubblica ha continuato, affermando che se anche l'avvocato [omissis] non si fosse dimenticato di impugnare, ma invece avesse consapevolmente scelto di non impugnare, avrebbe comunque operato una scelta incongrua.

Inoltre, la Procura ha evidenziato come lo stesso avvocato [omissis] abbia impugnato altra sentenza relativa alla medesima problematica dell'assegno sostitutivo della prestazione di accompagnatori militari, ottenendo un accoglimento del ricorso da parte della Corte d'Appello di Bologna, con sentenza n. [omissis].

Per quanto sopra esposto, la Procura sostiene che il convenuto ha cagionato all'Inps un danno per l'omessa impugnazione, violando gravemente le regole professionali sullo stesso incombenti, con colpa grave consistente, alternativamente, nell'aver dimenticato, di proporre appello avverso la sentenza n. [omissis] del Tribunale Civile di [omissis]; ovvero, in grave imperizia, per aver deciso di non proporlo, senza peraltro informare l'amministrazione di appartenenza.

A sostegno della responsabilità del convenuto, la Procura richiama altresì l'ampiezza della procura alle liti rilasciata in favore dell'avvocato [omissis], che comunque, sempre secondo l'Attore, avrebbe dovuto informare i vertici dell'apparato amministrativo dell'Ufficio provinciale dell'Inps di [omissis] in merito alla sentenza di condanna, evidenziando i profili favorevoli e sfavorevoli rispetto alle scelte tecniche da adottarsi, e rimettendo a esso ogni decisione in merito all'impugnazione, o quantomeno comunicando la propria scelta di non proseguire nel giudizio.

2.2. Ha concluso la Procura chiedendo che sia accertato che le condotte tenute dal convenuto hanno configurato fatti illeciti fonte di responsabilità amministrativa e, per l'effetto, che il convenuto sia condannato a pagare, in favore dell'Inps, l'importo di euro 2.816.527,22, a titolo di risarcimento del danno sofferto dall'ente di appartenenza, oltre a rivalutazione monetaria a decorrere dall'effettivo depauperamento dell'amministrazione e sino alla data di pubblicazione della sentenza, e interessi legali su tale somma, fino all'effettivo soddisfo, con pagamento integrale delle spese del giudizio.

3. Il convenuto, avv. [omissis], si è costituito in giudizio a mezzo degli avvocati Beatrice Belli, Enrico Gragnoli e Luca Zaccarelli, con memoria depositata il 8 gennaio 2020.

3.1. Ha premesso che la decisione di non impugnare trova riscontro in alcune pronunce che pure sostenevano la tesi fatta propria dal Tribunale di [omissis] con la sentenza n. [omissis]. Inoltre, ha affermato che tale sentenza aveva una motivazione molto articolata, tanto da indurre l'avvocato [omissis] a non proporre appello, operando una scelta che rientrava nella sua sfera decisionale, come si ricava dalla procura rilasciata in suo favore che rimetteva a lui solo la scelta se ricorrere o meno. Da quanto sopra, inoltre, si evincerebbe come il convenuto non sarebbe stato tenuto a rendere alcun parere.

Nella memoria viene quindi evidenziato come ci fossero state delle disfunzioni organizzative a lui non imputabili all'avvocato [omissis], che al momento della costituzione in giudizio non aveva il materiale inerenti ai casi, con conseguente difficoltà a esercitare il mandato difensivo in modo compiuto in primo grado e ad avere contezza dell'entità economica delle pretese avanzate dai ricorrenti.

La difesa prosegue evidenziando come l'avvocato [omissis], con nota del 27 settembre 2007, avesse chiesto alle strutture amministrative dell'ente di procedere a dare esecuzione alla sentenza.

Sottolinea, inoltre, la situazione organizzativa dell'ufficio legale della dell'ufficio Inps di [omissis] e del notevole carico di lavoro che gravava sui due avvocati allora in servizio; a tal fine, allega le statistiche relative agli anni tra il 2003 e il 2006, raffrontate con quelle del 2018, evidenziando che sono tuttora in servizio due avvocati, ma a fronte di un carico di lavoro notevolmente inferiore. In ragione di ciò, l'avvocato [omissis], secondo la prospettazione difensiva, avrebbe ritenuto non necessario proporre un appello cautelativo.

Nella comparsa di costituzione e risposta è altresì affermato come non vi sarebbe alcuna prova di una dimenticanza da parte del convenuto, in merito alla proposizione dell'appello.

Ricostruita la vicenda come sopra, la difesa eccepisce la prescrizione totale della pretesa attorea, in quanto il dies a quo della stessa andrebbe individuato nel passaggio in giudicato della sentenza civile di condanna, che è del 2006. A seguito di essa, infatti, il debito era da considerarsi certo, liquido e esigibile, essendo, secondo la prospettazione difensiva, irrilevante la successiva quantificazione delle somme dovute, giacché il danno sarebbe sorto con il passaggio in giudicato della sentenza sull'an.

Sempre in via preliminare, la difesa eccepisce la prescrizione parziale del pagamento di 275.233,72 euro del 20 luglio 2009, anteriore di oltre 5 anni rispetto all'atto di costituzione in mora del 16 marzo 2016.

Nel merito, chiede che la domanda sia giudicata infondata, in quanto la decisione dell'avvocato [omissis] sulla proposizione dell'appello sarebbe stata discrezionale ed insindacabile, quindi assunta in difetto di un obbligo di adempiere. A fronte di tale discrezionalità non assumerebbero alcun rilievo le indicazioni inviate dalla Direzione centrale dell'Inps alle proprie strutture periferiche.

La difesa, inoltre, ritiene che non sia stato assolto l'onere della prova incombente sulla Procura contabile, in merito ai fatti a fondamento dell'azione di risarcimento.

Richiama precedenti giurisprudenziale che escluderebbero il danno da mancata impugnazione, poiché detto danno non potrebbe considerarsi certo.

In ragione dei ritardi nell'esecuzione della sentenza, la difesa, inoltre, evidenziando come gli stessi non siamo imputabili al convenuto, chiede che non gli venga addebitato l'importo pari agli interessi legali.

In subordine, chiede che sia esercitato il potere riduttivo, in particolare come conseguenza delle disfunzioni amministrative, in ragione delle quali il danno non potrebbe essere interamente addebitabile al convenuto.

3.2. Concludendo domanda:

- in via preliminare, che sia rilevata la maturata prescrizione totale dell'azione di responsabilità amministrativa;

- in subordine, che sia rilevata l'avvenuta estinzione dell'azione relativa al pagamento di euro 275.233,72;

- in subordine, nel merito, che siano rigettate le domande perché infondate in fatto e in diritto, sia sull'an che sul quantum, nonché sugli accessori dei pretesi crediti; in subordine, che sia considerato il contributo reso da altri soggetti alla determinazione del danno;

- in subordine, nel merito, che sia esercitato il potere riduttivo dell'addebito.

4. All'udienza pubblica del 29 gennaio 2020 erano presenti, per la Procura regionale, il V.P.G. Roberto Angioni, mentre per il convenuto, l'avv. Enrico Gragnoli.

Parte Pubblica ha evidenziato che il rischio di un appello sarebbe stato, per l'ufficio di appartenenza del convenuto, limitato alle spese legali; che l'avv. [omissis] aveva appellato e vinto altra causa avente il medesimo oggetto, e ha affermato che il parere legale reso dal convenuto dovrebbe essere considerato semplicemente come una giustificazione postuma, a fronte dell'omessa impugnazione della pronuncia di primo grado. Ha comunque aggiunto che nel determinare il danno dovrebbe tenersi conto della disorganizzazione dell'ufficio presso il quale l'avv. [omissis] era incardinato.

La difesa ha evidenziato come la effettiva ragione della mancata impugnazione sarebbe da rinvenirsi nel notevole carisma del giudice di primo grado. Ha ancora una volta sottolineato come la decisione in merito all'appello delle controversie all'Inps, in ragione dell'elevato numero delle controversie, fosse rimessa esclusivamente agli avvocati, rimanendo a essa estranea la struttura amministrativa. Ha affermato che la complessità della questione sarebbe provata dalla decisione del giudice di appello, nel riformare la successiva sentenza avente a oggetto la medesima questione e impugnata dal convenuto, di compensare le spese. Da ultimo, ha rilevato come non possa mai essere considerato certo l'esito di una lite.

Per il resto, le parti si sono riportate alle rispettive argomentazioni e conclusioni in atti.

5. In via preliminare, la Sezione deve pronunciarsi sulle eccezioni di prescrizione sollevate da parte convenuta: un'eccezione di prescrizione totale e, in subordine, di prescrizione parziale.

5.1. L'eccezione di prescrizione totale si basa sull'assunto per cui il dies a quo della prescrizione dovrebbe essere individuato nella sentenza civile di condanna, poiché il debito nei confronti dell'ente danneggiato già con essa sarebbe divenuto certo, liquido ed esigibile.

L'eccezione è infondata. A seguito della sentenza n. [omissis] del Tribunale di [omissis], l'atto di precetto intimato dai ricorrenti, è stato opposto da parte dell'Inps e il Tribunale di [omissis], Sez. lavoro, con sentenza n. [omissis], ha annullato il precetto evidenziando che "Per costante giurisprudenza la sentenza, per essere titolo esecutivo, deve contenere al suo interno tutti i parametri onde poter effettuare il conteggio della somma finale. La liquidità in questo caso non sussiste". Il dies a quo del termine di prescrizione, pertanto, deve correttamente essere individuato al [omissis], data di pubblicazione della sentenza n. [omissis] del Tribunale di [omissis], che ha proceduto a liquidare le somme dovute ai ricorrenti.

5.2. L'eccezione di prescrizione parziale, avente a oggetto la somma di euro 275.233,72, corrisposti dall'Inps ai ricorrenti in data 20 luglio 2009, è parimenti infondata.

Detta somma, infatti, è stata erogata a titolo di arretrati, in applicazione della l. n. 288/2002, quindi in riferimento alla differenza tra le indennità di accompagnamento previste per i ciechi civili e quella stabilita per gli invalidi di guerra, e non invece a titolo di assegno sostitutivo degli accompagnatori militari ulteriori rispetto al primo; pertanto, essa non è stata calcolata dalla Procura nel determinare la pretesa attorea. A supporto di quanto sopra vi è la sentenza n. [omissis], secondo la quale "Quanto corrisposto dall'Inps a diverso titolo con pagamento del 30 giugno 2009 (e cioè, lo si ripete, in applicazione della legge 27 dicembre 2002 n. 288 ed a titolo di arretrati) è stato dal CTU decurtato dal credito complessivo (così a pg. 8 della CTU)". Il fatto che tale posta (in realtà liquidata a luglio 2009) sia riferita alla differenza tra gli importi delle indennità del primo accompagnatore, trova conferma sia nella lettera dell'avv. Marcello Fornaciari, difensore dei ricorrenti, del 21 novembre 2014, nella quale si legge "La sentenza n. [omissis] aveva liquidato ai miei assistiti anche la differenza tra l'indennità di accompagnamento dai medesimi percepita e il maggior importo spettante agli invalidi di guerra, ma tale somma è già stata liquidata con il versamento effettuato nel luglio 2009", sia nella relazione del Direttore provinciale dell'Ufficio Inps di [omissis], del 27 novembre 2014, in cui è evidenziato come fino al 2012 non fossero stati erogati pagamenti riferiti agli assegni sostitutivi delle prestazioni di accompagnatori militari: "In data 17 maggio 2012 i ricorrenti, non avendo ricevuto nessun tipo di pagamento, se non quelli originariamente disposti dalla sede (Euro 878,00 mensili in applicazione della L. 288/2002), [...]".

Pertanto, non vi sono pagamenti rispetto ai quali sia possibile dichiarare l'intervenuta prescrizione.

6. Nel merito, la domanda attorea è fondata nei limiti di seguito riportati.

6.1. Innanzitutto, è da ricordare che il legislatore a favore dei ciechi civili assoluti, mediante l'art. 1 della l. n. 165/1983, ha esplicitamente equiparato, a decorrere dal 1° gennaio 1982, l'importo dell'indennità di accompagnamento a quella, di importo più elevato, goduta dai grandi invalidi di guerra.

La giurisprudenza della Corte di cassazione, a decorrere dal 1993, si è progressivamente consolidata nel senso di ritenere che l'equiparazione dell'indennità di accompagnamento spettante ai ciechi civili assoluti a quella goduta dai grandi invalidi di guerra riguarderebbe solo la misura dell'indennità di accompagnamento, e non anche l'estensione ai ciechi civili dell'intero complesso delle misure di assistenza predisposte a favore degli invalidi di guerra, che comprendono l'assegno integrativo sostitutivo della prestazione di accompagnatori militari, previsto dall'art. 6, del d.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834, che ha sostituito l'art. 21 del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, prevedendo che i grandi invalidi di guerra possano altresì chiedere l'assegnazione di altri due accompagnatori militari e, in luogo di ciascuno di questi, ottenere, a domanda, la liquidazione di un assegno. La Cassazione, nel motivare la propria interpretazione del quadro normativo, ha evidenziato come essa non realizzi una ingiustificata disparità di trattamento, anche in considerazione di quanto affermato dalla Corte costituzionale, con ordinanza n. 487/1988, sulla differenziazione di situazioni tra gli invalidi civili e quelli di guerra, che va ravvisata nella obiettiva diversità dei presupposti alla base del fatto invalidante, scaturente, nel secondo caso, da eventi bellici, che comportano anche un elemento risarcitorio, estraneo all'ipotesi della invalidità civile. Peraltro, all'epoca del deposito della più volte citata sentenza n. [omissis], anche le pronunce assolutamente prevalenti dei giudici di merito si erano allineate alla giurisprudenza di legittimità.

La difesa del ricorrente ha depositato diverse pronunce giurisprudenziali favorevoli alla tesi fatta propria dal Tribunale di [omissis] con la sentenza non impugnata dall'avv. [omissis], la maggior parte delle quali erano però all'epoca dei fatti già da considerarsi risalenti nel tempo.

6.2. Non può essere accolta l'affermazione della difesa, secondo la quale la decisione sulla proposizione dell'appello sarebbe stata discrezionale e insindacabile.

In realtà, se è corretta l'affermazione difensiva secondo la quale non vi è alcuna prova in merito all'allegazione attorea che sostiene come la mancata impugnazione sarebbe stata frutto di una dimenticanza, tuttavia non può essere neppure accolta l'ulteriore prospettazione difensiva per cui la decisione di non impugnare sarebbe stata frutto di una scelta discrezionale e insindacabile.

Al contrario, nessuna discrezionalità da parte del convenuto può venire in rilievo nella fattispecie, in considerazione sia della nota da parte del Direttore generale dell'Inps, che esplicitamente prescriveva di contrastare le controversie giudiziarie in corso aventi a oggetto l'assegno integrativo sostitutivo degli accompagnatori militari, che della giurisprudenza, consolidata nel senso opposto alla decisione di primo grado non appellata.

Non vi è, inoltre, alcuna prova di una interlocuzione del convenuto con i vertici del proprio ufficio antecedente il passaggio in giudicato della sentenza; al contrario, la difesa afferma che "la decisione sulla proposizione dell'appello era esclusiva prerogativa dell'avv. [omissis], il quale non doveva rendere alcun parere (v. l'atto di citazione introduttivo a questo giudizio, pag. 16 ss.), né chiedere autorizzazioni, né coinvolgere altri soggetti, in forza del potere a lui conferito con la citata procura alle liti".

6.3. La giurisprudenza civile unanimemente riconosce il risarcimento del danno da omessa impugnazione nel caso in cui, come quello in analisi, sulla base della regola del "più probabile che non", sia possibile, sulla base di un accertamento prognostico, affermare che l'omessa impugnazione abbia avuto efficacia causale diretta nella determinazione del danno (ex multis, Corte di cassazione, sez. III civ., ord. 30 aprile 2018, n. 10320). Tali approdi della giurisprudenza civile ben possono essere utilizzati anche nel giudizio di responsabilità amministrativo-contabile, ovviamente in presenza dell'elemento psicologico minimo costituito dalla colpa grave.

Peraltro, è granitico l'orientamento della giurisprudenza contabile nel senso di riconoscere la responsabilità dell'agente pubblico a fronte di una lite temeraria, situazione sovrapponile all'omessa impugnazione. In proposito, è stato evidenziato, con affermazione utilizzabile anche ai fini del presente giudizio, che "la temerarietà della lite si ravvisa nella coscienza dell'infondatezza della domanda o nel difetto della normale diligenza per l'acquisizione di detta coscienza" (Corte dei conti, Sez. giur. per il Trentino-Alto Adige, sede di Trento, sent. n. 18 del 16 giugno 2018); nel caso in argomento, da parte dell'avv. [omissis] è mancata proprio l'ordinaria diligenza nell'acquisire la coscienza in merito alle elevate possibilità di successo che avrebbe avuto l'impugnazione della sentenza n. [omissis] del Tribunale di [omissis].

Del resto, a ulteriore riprova del fatto che con ogni probabilità l'impugnazione della sentenza n. [omissis] avrebbe permesso all'Inps di evitare un danno, vi è la circostanza che a distanza di tre anni dal passaggio in giudicato di quest'ultima, con precisione in data [omissis], l'avv. [omissis], ha invece impugnato la sentenza n. [omissis] del Tribunale di [omissis], che pure aveva condannato l'Inps a corrispondere al ricorrente l'assegno sostitutivo degli accompagnatori militari. Sulla scia della consolidata giurisprudenza di legittimità, la Corte d'Appello di Bologna, con sentenza n. [omissis], ha riformato la pronuncia di primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto l'assegno integrativo sostitutivo degli accompagnatori militari.

6.4. Sulla base di quanto sopra esposto, questo Collegio ritiene che nella vicenda in analisi la condotta omissiva dell'avv. [omissis], consistente nella mancata impugnazione della sentenza del Tribunale di [omissis], n. [omissis] debba essere qualificata illecita, giacché tenuta in violazione dei doveri di ufficio. L'avvocato [omissis], infatti, in ragione della consolidata giurisprudenza di legittimità che giudicava non riconoscibile, in favore dei ciechi civili assoluti, l'assegno sostitutivo degli accompagnatori militari, nonché delle indicazioni ricevute dalla Direzione centrale dell'Inps, avrebbe senza dubbio dovuto impugnare la sentenza sfavorevole.

Non rileva in alcun modo, in senso contrario, il parere dallo stesso reso in data 30 settembre 2008, quando ormai il termine per impugnare era spirato da tempo. Peraltro, sarebbe stato onere del convenuto, qualora avesse consapevolmente ritenuto di non impugnare la pronuncia di condanna nonostante la giurisprudenza di legittimità consolidata in senso sfavorevole e le indicazioni ricevute dalla propria Direzione centrale, informare tempestivamente i vertici del proprio ufficio.

6.5. La condotta dell'avvocato [omissis] ha arrecato all'Inps un danno, poiché ha precluso la possibilità di ottenere la riforma della sentenza di primo grado. Tale danno, sulla scia degli approdi del giudice ordinario, può essere considerato da perdita di chance che, sulla base della regola del "più probabile che non", si considera integrato ogniqualvolta si ravvisi la ragionevole probabilità che la situazione lamentata avrebbe potuto avere una diversa e più favorevole evoluzione se fosse stata usata l'ordinaria diligenza professionale.

6.6. Sotto il profilo soggettivo la condotta del convenuto, sulla base di un accertamento condotto ex ante e in concreto, dev'essere qualificata come gravemente colposa, poiché carente del livello minimo di prudenza e perizia che è lecito attendersi da un avvocato di ente pubblico. In particolare, occorre evidenziare come nel caso in questione fosse pienamente prevedibile e, quindi, prevenibile, l'evento dannoso che, a fronte della mancata impugnazione, si è verificato a carico dell'ente di appartenenza.

6.7. Il danno erariale è stato quantificato dalla Procura in euro 2.816.527,22, somma comprensiva di capitale ed interessi.

6.7.1. Questo Collegio ritiene di dover accogliere la richiesta, formulata dalla difesa, di considerare estraneo al danno cagionato dal convenuto l'importo corrisposto dall'Inps ai ricorrenti a titolo di interessi legali, pari a 128.303.03 euro, in quanto effettivamente conseguente al notevole ritardo con il quale l'Inps ha dato esecuzione alla sentenza, ritardo in alcun modo imputabile all'avv. [omissis], come anche si evince da tre messaggi di posta elettronica, depositati, con i quali il convenuto sollecitava che venissero eseguiti i pagamenti in argomento.

6.7.2. Tuttavia, la somma come sopra determinata, pari a 2.688.224,19 euro, non può essere interamente considerata come danno cagionato all'Inps. Si ritiene, infatti, corretto aderire alla giurisprudenza civile che quantifica il danno da perdita di chance diminuendo il vantaggio economico realizzabile o, come nel caso de quo, la perdita evitabile, di un coefficiente di riduzione proporzionato al grado di possibilità di un esito sfavorevole. Ciò, in considerazione della circostanza che anche nelle situazioni, come quella in analisi, in cui sulla base di un giudizio prognostico ex ante, in ragione di una giurisprudenza di legittimità consolidata, è possibile ritenere che la vicenda avrebbe avuto ottime probabilità di una definizione favorevole per l'ente pubblico danneggiato, tuttavia, l'esito di ogni giudizio non può mai considerarsi assolutamente certo, essendo comunque il prodotto di una pluralità di fattori imponderabili e non riproducibili. Ne consegue, che occorre quindi diminuire il danno che si sarebbe potuto evitare, applicando un coefficiente di riduzione proporzionato al grado di possibilità di un esito processuale sfavorevole. Nella fattispecie, si ritiene ragionevole individuare tale coefficiente nel 20%.

6.7.3. Determinato come sopra il danno cagionato all'ente di appartenenza in 1.930.392,37 euro, questo Collegio ritiene, nell'individuare il danno a esso concretamente risarcibile, che vi siano altresì i presupposti che legittimano l'esercizio del potere riduttivo dell'addebito, intestato a questa Corte dall'art. 52, comma 2, del t.u. delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, norma non abrogata dal codice del processo contabile, secondo il quale "La Corte, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto".

Il potere riduttivo consiste nella possibilità, intestata al giudice contabile, di diminuire, secondo il proprio prudente apprezzamento, il danno risarcibile dall'agente pubblico, sulla base delle valutazioni del caso concreto, in tal modo applicando il principio di personalità della responsabilità amministrativa, ed è utilizzabile a fronte di circostanze sia soggettive, che oggettive.

Nella fattispecie ricorrono diverse circostanze oggettive utilmente valutabili.

Innanzitutto, il notevole carico di lavoro che gravava sul convenuto, come da documentazione depositata dalla sua difesa. Sicuramente a tal fine è potenzialmente fuorviante l'allegazione difensiva secondo la quale il carico sarebbe stato pari a 11.641 giudizi giacenti al 2006, giacché tale dato, come emerge dagli atti, è da riferirsi a tutti gli uffici Inps dell'Emilia Romagna. In ogni caso, da quanto si evince dal prospetto sulla verifica andamento produttivo degli uffici Inps dell'Emilia Romagna, agli atti, i giudizi iniziati dall'Avvocatura dell'Inps di [omissis] nel 2006 sono stati 266, ai quali occorre aggiungere i [omissis] giudizi rispetto ai quali nell'anno in analisi l'Inps di [omissis] si è costituito. Pertanto, i due avvocati in servizio nel 2006 presso l'Ufficio di avvocatura dell'Inps di [omissis] hanno trattato complessivamente [omissis] giudizi, dato comunque significativo.

Questo Collegio ritiene, altresì, di poter prendere in considerazione, nell'esercizio del potere riduttivo, le allegazioni difensive relative alle disfunzioni organizzative che caratterizzavano l'Ufficio Inps di [omissis], e che la stessa Procura contabile, in udienza, ha riconosciuto come circostanze rilevanti.

È possibile, infine, considerare l'importo del danno cagionato. Pur non avendo la difesa allegato tale circostanza, né essendo in atti la certificazione unica (CU) del convenuto, che avrebbe consentito di rapportare il danno addebitabile al trattamento economico dallo stesso percepito, questo Collegio può comunque esercitare il potere riduttivo tenendo conto dell'enormità del danno cagionato; ciò, in ragione del carattere personale della responsabilità amministrativo-contabile che, pur avendo essenzialmente, secondo la prevalente giurisprudenza, natura risarcitoria-riparatoria, svolge altresì una funzione repressivo-sanzionatoria, per la centralità che in essa ha l'agente pubblico danneggiante. Proprio quest'ultima funzione giustifica la previsione legislativa del potere riduttivo, il quale non potrebbe avere ingresso nel giudizio contabile se quest'ultimo svolgesse una funzione esclusivamente risarcitoria.

Al contrario, si ritiene che nessun rilievo possa essere attribuito alla circostanza, sulla quale la difesa ha insistito sia nella comparsa di costituzione e risposta, che in udienza, costituita dal presunto notevole carisma del giudice unico estensore della sentenza non impugnata. Non si vede, infatti, come detto elemento avrebbe potuto incidere sulla valutazione del giudice di secondo grado.

6.7.4. Per le valutazioni sopra esposte, questo Collegio ritiene di poter fare ampio uso del potere riduttivo, individuando il danno risarcibile dal convenuto in 600.000,00 euro, comprensivi di rivalutazione monetaria.

7. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Emilia Romagna, definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria eccezione, accoglie parzialmente la domanda attorea come da motivazione e, per l'effetto, condanna [omissis] al risarcimento del danno erariale in favore dell'Istituto nazionale della previdenza sociale per la somma di euro 600.000,00 (seicentomila/00), già rivalutata, ed interessi legali su detto importo, dalla pubblicazione della presente sentenza sino al soddisfo.

Condanna, altresì, il convenuto, al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in euro 340,67 (trecentoquaranta/67).

Il Collegio, considerata la normativa vigente in materia di protezione di dati personali e ravvisati gli estremi per l'applicazione dell'art. 52 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, avente ad oggetto "Codice in materia di protezione di dati personali", dispone che, a cura della segreteria, venga apposta l'annotazione di omissione delle generalità e degli altri elementi identificativi, anche indiretti, del convenuto, dei terzi e, se esistenti, dei danti causa e degli aventi causa.

Manda alla Segreteria per i conseguenti adempimenti.

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