Consiglio di Stato
Sezione II
Sentenza 4 giugno 2020, n. 3537

Presidente: Cirillo - Estensore: Manzione

FATTO

1. Con ricorso al T.A.R. per la Campania n.r.g. 915/2006 l'odierno appellato impugnava la determina n. 7534 del 17 febbraio 2006 con la quale il Direttore regionale della Campania dell'Agenzia delle Entrate ha rettificato la graduatoria degli ammessi al percorso formativo interno alla procedura selettiva per il passaggio dalle categorie "B1", "B2" e "B3" alla categoria "C1", approvata con precedente provvedimento n. 52275 del 21 dicembre 2005.

Il Tribunale adìto, con la sentenza n. 2266/2010 accoglieva il ricorso sull'assunto che un "atto di secondo grado", quale la rettifica di una graduatoria, necessita di previa comunicazione di avvio del procedimento, salvo l'Amministrazione ne dimostri in giudizio l'inutilità, siccome previsto dall'art. 21-octies della l. 7 agosto 1990, n. 241. La difesa erariale, invece, in particolare con memoria depositata il 18 marzo 2009, si sarebbe limitata a ribadire la legittimità della graduatoria originaria, nella quale il ricorrente si collocava utilmente, senza nulla aggiungere circa la ritenuta superfluità del suo apporto partecipativo alla definizione del provvedimento di rettifica, che ne ha determinato l'esclusione dal corso.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto appello il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate: il contenuto necessitato del provvedimento impugnato, che ha soltanto corretto alcuni errori materiali nel calcolo del punteggio dei titoli dei candidati, ha comportato l'elevazione della soglia minima per l'ammissione, limitata ad un numero di posti stabiliti in percentuale su quelli messi a concorso, a punti 33,60, laddove l'interessato aveva riportato il punteggio di 33,40.

3. Si è costituito in giudizio il signor Antonio F. con memoria in controdeduzione per insistere nella reiezione dell'appello e nella conferma della sentenza di primo grado.

4. Con ordinanza n. 3389 del 21 luglio 2010 della sez. IV, veniva rigettata l'istanza di sospensione della sentenza impugnata proposta incidentalmente dall'Amministrazione appellante.

5. All'udienza del 19 maggio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione con le modalità di cui all'art. 84, comma 5, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18.

DIRITTO

6. Il Collegio ritiene l'appello fondato e come tale da accogliere, con conseguente riforma della sentenza impugnata.

Risulta decisiva, al riguardo, la considerazione della natura del provvedimento di rettifica della graduatoria. Il giudice di prime cure, dopo averlo ricondotto alla categoria degli "atti di secondo grado", ha ritenuto per ciò solo applicabile la disciplina di cui al secondo alinea del comma 2 dell'art. 21-octies della l. 7 agosto 1990, n. 241, in forza del quale il provvedimento amministrativo non è annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento solo qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il che ad avviso del T.A.R. per la Campania non sarebbe avvenuto nel caso di specie.

7. L'art. 21-octies, introdotto nella l. n. 241/1990 dalla novella attuata con l. 11 febbraio 2005, n. 15, prevede due distinte ipotesi di vizi formali o procedimentali inidonei a determinare l'annullabilità del provvedimento che ne è affetto: quella contemplata nel primo alinea del comma 2, riguarda gli atti a carattere vincolato, per i quali la mancata rispondenza al paradigma legislativo, non avendo alcuna incidenza sul contenuto dispositivo, che non avrebbe potuto comunque essere diverso, non comporta mai l'annullamento; quella dettata invece per lo specifico vizio procedurale rappresentato dalla mancata comunicazione di avvio del procedimento, richiede per la conservazione dell'atto, pure se discrezionale, un onere probatorio aggiuntivo a carico dell'amministrazione procedente circa l'inutilità del potenziale apporto collaborativo dell'interessato. Non si tratta, evidentemente, di modalità contrapposte di conformazione dell'atto del quale si è chiesta la caducazione, in ossequio a condivisibili esigenze di efficacia ed economia procedimentale. Il richiamo, cioè, all'omessa comunicazione di avvio del procedimento non costituisce una "specializzazione" alternativa, anche di disciplina, della più generica e generale "violazione di norme sul procedimento", di cui al periodo precedente del comma in esame: esso ha inteso casomai estendere il principio di conservazione degli atti, pur se discrezionali, per economia generale, laddove in sede processuale si sia sostanzialmente rimediato a quello strappo alle regole partecipative che pure costituiscono un caposaldo della disciplina del procedimento amministrativo. Una volta, cioè, che l'Amministrazione sia stata costretta a confutare addirittura in giudizio la potenziale incidenza delle ragioni dell'interessato, non può non trovare comunque applicazione il principio riassunto nel noto brocardo utile per inutile non vitiatur.

8. Nel caso di specie, dunque, il giudice di prime cure ha ritenuto l'atto potenzialmente suscettibile di essere modificato sotto il profilo contenutistico dall'apporto collaborativo/informativo del diretto interessato, sostanzialmente collegando al suo innegabile effetto negativo nella sfera giuridica del privato la necessaria applicazione delle previste garanzie partecipative. Essendo, cioè, la rettifica un atto "di secondo grado" idoneo a incidere «in senso eliminativo, sul vantaggio conseguito dal ricorrente per effetto del provvedimento rettificato», se ne rendeva doverosa la previa comunicazione di adozione al destinatario, salvo dimostrarne in concreto l'inutilità. Il che, rileva la Sezione, implica un'indebita commistione fra effetti e contenuto del provvedimento, laddove al contrario un atto vincolato, sebbene lesivo, non è mai annullabile se il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso.

9. Il provvedimento di rettifica della graduatoria di un concorso pubblico ha natura di atto di autotutela (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, 13 dicembre 2010, n. 36323) e dunque ne è corretta la qualificazione come "di secondo grado" in quanto va ad incidere su un sottostante provvedimento.

Esso, tuttavia, si caratterizza per il suo fondarsi su un errore che non attiene all'accertamento dei presupposti dell'agire dell'amministrazione, all'interpretazione della disciplina applicabile alla fattispecie, ovvero all'esercizio dell'eventuale discrezionalità; bensì consiste nella mera errata trasposizione nel provvedimento della volontà dell'amministrazione, per come risultante dallo stesso atto. Dati per presupposti, infatti, in quanto predeterminati dal bando, i criteri di valutazione dei titoli, l'Agenzia ne ha sbagliato la traduzione in punti, con ciò alterando l'ordine della graduatoria basata esclusivamente su tali conteggi. In presenza dell'allegazione di un errore materiale, nel senso ora indicato, ovvero in caso di sua autonoma individuazione, non poteva dunque esimersi dall'obbligo di accertare nel merito se effettivamente l'errore dedotto fosse riscontrabile ovvero comunque dal correggerlo, una volta rilevato.

Tale obbligo discende, in particolare, dal fondamentale canone di buona fede, cui è informato l'ordinamento giuridico e al quale devono essere improntati non solo i rapporti tra i consociati - tenuti, ai sensi dell'art. 2 della Costituzione, al rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà - ma anche e soprattutto la pubblica amministrazione, cui l'art. 97 della Costituzione impone di agire con imparzialità e in ossequio al principio del buon andamento.

D'altro canto, la mera correzione di errori materiali non implica, per sua natura, alcuna ponderazione di interessi, non essendo astrattamente configurabile un'esigenza pubblica alla conservazione di un atto a contenuto errato (sul punto cfr. T.A.R. Lazio, sez. II, 5 marzo 2020, n. 2990).

I principi in questione sono a tal punto immanenti all'ordinamento giuridico che il legislatore impone persino al giudice di intervenire sui propri provvedimenti in presenza di un'istanza di correzione di errore materiale, senza che ciò determini alcuna violazione del divieto del ne bis in idem (cfr., per il processo amministrativo, l'art. 86 c.p.a.). Mutuando peraltro le risultanze giurisprudenziali cristallizzatesi proprio in ambito giudiziario, può affermarsi che sussistono gli estremi di un errore materiale quando ci si trovi di fronte ad «una inesattezza o svista accidentale rilevando una discrepanza tra la volontà del giudicante e la sua rappresentazione, chiaramente riconoscibile da chiunque e che è rilevabile dal contesto stesso dell'atto» (C.d.S., sez. III, 5 agosto 2011, n. 4695).

10. Nel caso di specie non è in contestazione tra le parti che l'intervento apportato sulla graduatoria del concorso, limitata in tale fase alla sola valutazione dei titoli, abbia concretizzato un atto di rettifica: non si comprende pertanto quale avrebbe potuto essere il contributo impeditivo o modificativo del ricorrente in primo grado, stante che nel merito egli nulla dice al riguardo, non potendosi neppure dolere del proprio punteggio, rimasto invariato anche dopo la correzione di quelli altrui.

La natura doverosa della rettifica, secondo quanto sopra chiarito, impone peraltro solo che la motivazione dia conto dell'errore di fatto commesso (T.A.R. Calabria, sez. II, 9 maggio 2014, n. 699): il che è avvenuto con il provvedimento impugnato, laddove, diversamente da quanto argomentato dall'appellato, si dà palesemente atto di aver agito in via necessitata per la sopravvenuta esigenza di «modificare le posizioni di alcuni candidati ai quali era stato attribuito, per mero errore materiale, un punteggio inferiore». D'altro canto, il ristretto arco temporale intercorso tra l'approvazione della prima graduatoria (21 dicembre 2005) e la sua successiva rettifica consente di apprezzare l'unicità della procedura, sviluppatasi senza soluzione di continuità, rendendo superflua, oltre che ultronea, una motivazione aggiuntiva in ordine alla sussistenza di esigenze di interesse pubblico diverse ed ulteriori rispetto a quella del ripristino della legalità (C.d.S., sez. VI, 27 ottobre 2011, n. 5780; sez. IV, 15 maggio 2000, n. 2733; T.A.R. Campania, 23 luglio 2003, n. 9659).

11. Inquadrata dunque la rettifica che sia effettivamente tale nell'ambito di quei particolari provvedimenti di secondo grado connotati dall'avere tipicamente ad oggetto l'eliminazione di un errore materiale, gli eventuali vizi formali e/o procedurali dai quali essa risulti affetta non possono che ricadere nel paradigma automaticamente conformativo, anziché caducatorio, declinato nel primo alinea del comma 2 dell'art. 21-octies della l. n. 241/1990, senza che sia richiesta alcuna allegazione aggiuntiva da parte dell'Amministrazione procedente. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha al riguardo più volte evidenziato come l'inosservanza dell'obbligo di procedere all'avviso di avvio del procedimento amministrativo non determina l'annullamento dell'atto adottato laddove, secondo quanto previsto dal predetto art. 21-octies, il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato in concreto (ex plurimis, C.d.S., VI, 28 marzo 2019, n. 2064, nonché, con specifico riferimento ad un caso paradigmatico di atto destinato ad incidere negativamente nella sfera giuridica del destinatario, quale l'ordine di demolizione di un abuso edilizio, e tuttavia a contenuto necessitato, sez. IV, 26 maggio 2020, n. 3330).

12. Ma anche a voler seguire la diversa opzione ermeneutica propugnata dal giudice di prime cure, senza peraltro chiarire come l'Agenzia avrebbe dovuto - rectius, potuto - provare l'inutilità del contributo partecipativo del ricorrente, salvo ribadire tautologicamente la necessità di correggere gli errori materiali riscontrati, non si addiviene comunque ad un diverso risultato di giudizio.

Il compito imposto ad un'amministrazione dall'art. 21-bis, comma 2, della l. n. 241/1990, per salvare dall'annullamento il provvedimento, è dunque quello di dimostrare che anche se il privato pretermesso avesse partecipato al procedimento allegando fatti e argomenti, tale partecipazione non sarebbe stata significativa in quanto non avrebbe ragionevolmente condotto ad una decisione diversa. Non potendosi tuttavia certo pretendere che essa prevenga qualsivoglia allegazione e argomentazione che sarebbe potuta provenire dal ricorrente per dimostrarne l'irrilevanza, la prova che il provvedimento sarebbe stato diverso non può che essere fornita in relazione ai fatti e agli argomenti che il privato lamenta non essere stati presi in considerazione a causa della sua mancata partecipazione. In concreto, quindi, è quest'ultimo che deve circoscrivere in qualche modo la valutazione dell'amministrazione, portando in giudizio le argomentazioni che avrebbe veicolato nel procedimento ove gliene fosse stata data l'opportunità, così da consentire alla controparte di dimostrare, ove possibile, la legittimità sostanziale del provvedimento, ragionevole e accettabile nonostante le prospettazioni di parte avversa al punto da comportare da parte del giudice la valutazione in concreto che la riedizione del potere che conseguirebbe all'annullamento dell'atto, pur rispettosa delle omesse garanzie procedurali, si rivelerebbe comunque inutile in quanto porterebbe allo stesso identico risultato.

13. Nel caso di specie, invece, il ricorrente non contesta nulla di specifico all'Amministrazione, né chiarisce quali ipotetici errori essa abbia commesso nel rettificare i precedenti o, ancor prima, perché non li avrebbe dovuti rettificare: limitandosi a lamentare il proprio mancato coinvolgimento, finisce, cioè, per renderne incomprensibile afferrarne le potenzialità. Né risulta di aiuto al riguardo la contestata lacuna motivazionale, come già detto sconfessata per tabulas non soltanto dal tenore letterale dell'atto impugnato, ma ancor prima dalla sua struttura, trattandosi della sostanziale approvazione di due elenchi nominativi (le graduatorie, appunto, rispettivamente degli ammessi e dei non ammessi) ordinati in ordine decrescente sulla base del punteggio conseguito. Risultavano pertanto di tutta evidenza i nominativi dei candidati per i quali la correzione aveva portato al raggiungimento della soglia minima di ammissione, in quanto collocati nei primi 336 posti, mentre il ricorrente, a seguito del loro inserimento, "slittava" al n. 405, dunque ben al di sotto della stessa.

14. Solo per completezza, trattandosi di valutazione comunque assorbita nel merito, la Sezione non può esimersi dall'evidenziare un profilo di improcedibilità del ricorso di primo grado, cui ritiene di far cenno in quanto la mancanza di indicazioni da parte di ambo le parti sugli esiti finali della procedura non consente di valutare appieno la portata conformativa dell'odierna pronuncia. La peculiarità delle selezioni effettuate con la modalità del corso-concorso, come quella de qua, è data dalla segmentazione in fasi distinte, delle quali la prima, nel caso di specie solo per titoli, funzionale esclusivamente all'ammissione al corso; l'ultima, effettivamente valutativa, collocata al termine di tale percorso formativo. Ora, è innegabile, ritiene la Sezione, che la graduatoria degli ammessi al corso, seppure atto meramente endoprocedimentale, abbia una sua autonoma lesività, sia in quanto ostativa all'accesso alla fase successiva della procedura, a sua volta prodromica all'esame finale, sia ex se, venendo il candidato comunque privato di un'opportunità di arricchimento e qualificazione professionale. Ma affinché all'esito del corso gli potesse anche essere assicurato il bene della vita rappresentato dall'inquadramento al superiore livello "C", si sarebbe resa necessaria la partecipazione al colloquio selettivo e, ancor più, il suo superamento, collocandosi utilmente nella graduatoria finale. Le eventuali illegittimità dell'esclusione dal corso, cioè, in quanto tappa intermedia della procedura, potevano certo riflettersi sull'atto di approvazione della graduatoria finale (di cui neppure si conosce l'esito), viziandolo (c.d. invalidità viziante), rimanendo tuttavia in piedi l'onere di impugnarlo, pur dopo aver fatto oggetto di gravame l'atto presupposto (cfr., ex multis, C.d.S., sez. III, 10 luglio 2019, n. 4858; sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4814, in riferimento alla mancata impugnazione dell'approvazione della graduatoria da parte di colui che si sia gravato contro la propria esclusione dal concorso). In definitiva, dall'annullamento dell'atto di esclusione dal corso - cui peraltro il ricorrente in primo grado ha potuto partecipare giusta la richiamata decisione cautelare - non avrebbe dovuto conseguire in capo all'interessato alcun concreto vantaggio, versando in condizione di inoppugnabilità quello conclusivo della procedura, il cui esito finale non è dato sapere in quanto estraneo alla rappresentazione dei fatti da parte di ambo le parti.

15. Alla luce di quanto sopra, il Collegio ritiene che l'appello debba essere accolto, e conseguentemente, in riforma della sentenza del T.A.R. per la Campania n. 2266 del 15 maggio 2009, debba essere respinto il ricorso di primo grado n.r.g. 915/2006 e confermato il provvedimento prot. n. 7534 del 17 febbraio 2006 di rettifica della graduatoria già approvata con precedente determinazione 52275 del 21 dicembre 2005.

16. La particolarità della controversia in relazione alla materia trattata induce a compensare le spese di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza del T.A.R. per la Campania n. 2266/2009, respinge il ricorso n.r.g. 915/2006 e conferma la validità della determina n. 2006/7534 del Direttore regionale dell'Agenzia delle Entrate.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

V. De Gioia

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