Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Ordinanza 20 ottobre 2020, n. 22811

Presidente: Tirelli - Relatore: Giusti

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 96/2016 depositata il 7 aprile 2016, la Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana della Corte dei conti condannava la dott.ssa Cristina A., nella sua qualità, allora, di Soprintendente Speciale per il Polo Museale Fiorentino, al pagamento della somma complessiva di euro 170.994,40 per il danno erariale conseguente all'irregolare affidamento, alla associazione culturale Multipromo, di spazi del Giardino di Boboli, per la realizzazione di spettacoli teatrali estivi per il periodo 2010-2011.

Nello specifico, la sentenza riconosceva integralmente la prima posta di danno richiesta con l'atto introduttivo (euro 4.718,80), relativa ai danni materiali cagionati dall'associazione culturale Multipromo ad alcune strutture del Giardino di Boboli, così come la seconda posta di danno (euro 16.556,40), che si ricollegava alla sentenza di condanna del TAR Toscana n. 1437 del 2013 nel giudizio intentato dalla associazione IKO con riferimento alla concessione di spazi; mentre riduceva, in via equitativa, la terza posta di danno a euro 149.669,20 (inizialmente quantificata in euro 249.448,67), per la mancata applicazione dei canoni di concessione per l'utilizzo degli spazi del Giardino di Boboli, offerti in uso gratuito all'associazione Multipromo.

2. La Terza Sezione giurisdizionale centrale d'appello della Corte dei conti, con sentenza n. 376/2018 depositata il 19 ottobre 2018, ha accolto in parte l'appello della dott.ssa A. e, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha mandato assolta l'appellante con riguardo alla posta di danno di euro 16.556,40, mentre ha confermato la condanna in relazione alle altre due voci di danno.

2.1. Per quanto ancora di interesse in questa sede, la Corte dei conti ha rilevato che l'assegnazione della concessione non è stata preceduta da una adeguata valutazione dei presupposti per la gratuità e che quindi la mancata riscossione dei canoni concessori ha comportato la violazione della disciplina sulle esenzioni per l'uso dei beni culturali affidati alla gestione della Soprintendente. Secondo il giudice contabile, la gestione dell'intera vicenda è stata condotta in maniera molto approssimativa, per non dire irrazionale, senza considerare in alcun modo l'esigenza di valorizzazione del bene e le criticità emerse in sede istruttoria, debitamente segnalate da una nota dell'Ufficio tecnico. In particolare - ha sottolineato la Sezione giurisdizionale centrale d'appello - non è assolutamente provato nel caso di specie il diretto rapporto e l'effetto di valorizzazione tra il bene culturale concesso in uso e gli eventi organizzati dalla Multipromo, che ha in sostanza svolto attività destinate ad un pubblico pagante, né, tantomeno, risulta dimostrato un aumento di fruizione del bene nei valori ideali che esso esprime, ma anzi la fruibilità complessiva risulta addirittura ridotta.

3. Per la cassazione della sentenza della Corte dei conti, Terza Sezione giurisdizionale centrale d'appello, la dott.ssa Cristina A. ha proposto ricorso, con atto notificato il 17-24 aprile 2019, sulla base di un motivo.

Ha resistito con controricorso il Procuratore Generale rappresentante il Pubblico Ministero presso la Corte dei conti.

4. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380-bis.1 c.p.c.

Il pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

La ricorrente, a sua volta, ha depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l'unico motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 103, secondo comma, Cost., 1, comma 1, del codice di giustizia contabile, approvato con il d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, 1, comma 1, della l. 14 gennaio 1994, n. 20, come novellato dall'art. 3 del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, eccesso di potere giurisdizionale per violazione dei limiti imposti dalla legislazione al sindacato della Corte dei conti in merito alle scelte discrezionali dell'amministrazione, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 102, 108 e 111 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, del d.P.R. 2 settembre 1971, n. 1249, e dei decreti del Ministero per i beni culturali e ambientali 24 marzo 1997, n. 139, e 8 aprile 1994. La ricorrente premette che non può essere ritenuta contra ius e idonea a integrare gli estremi di un illecito amministrativo-contabile la condotta del dipendente pubblico che, pur mantenendosi entro i confini dell'attività amministrativa sanciti dalla legge, si sia tradotta in una scelta gestoria ritenuta "inopportuna" dal giudice contabile. Tanto premesso, la ricorrente si duole che la sentenza impugnata abbia finito per escludere illegittimamente ed erroneamente che l'iniziativa culturale svolta dall'associazione Multipromo rientrasse nel novero delle attività funzionali allo scopo di valorizzazione del patrimonio artistico istituzionalmente perseguito dalla Soprintendenza. Secondo la difesa della dott.ssa A., il positivo apporto alla valorizzazione del bene culturale non potrebbe essere provato (né documentalmente, né altrimenti), ma sarebbe insito nel contenuto stesso dell'iniziativa culturale autorizzata; l'iniziativa culturale, infatti, dovrebbe essere apprezzata nei suoi contenuti artistici, formativi e scientifici soltanto da parte del soggetto istituzionalmente preposto alla cura del patrimonio culturale, con giudizio di natura pienamente tecnico-discrezionale, insindacabile dal giudice contabile. Avrebbe errato la Corte dei conti a negare dignità di attività culturale alle iniziative che non garantiscono - oltre alla valorizzazione del patrimonio artistico - una certa remunerazione economica per le casse statali. La Corte dei conti avrebbe irragionevolmente limitato l'autonomia amministrativa della Soprintendenza nel perseguimento degli obiettivi cui è istituzionalmente preposta, costringendone l'azione entro i limiti di una logica economicistica, incompatibile con la corretta gestione del patrimonio storico-artistico. Ad avviso della ricorrente, dalla disciplina di settore deriverebbe la legittimità della scelta della Soprintendenza di concedere gratuitamente l'uso di una porzione del Giardino di Boboli all'associazione Multipromo per lo svolgimento di spettacoli culturali nel periodo 2010-2011. La Soprintendenza - titolare del potere di esonerare il concessionario di un bene storico-artistico dal pagamento del canone di concessione in presenza dei requisiti previsti dalla legge - avrebbe correttamente esercitato tale potere, attribuendo il vantaggio economico a un soggetto (l'associazione Multipromo) che svolge attività di sicuro pregio artistico senza scopo di lucro. Secondo la ricorrente, la Corte dei conti avrebbe sindacato nel merito le scelte amministrative compiute dalla Soprintendente ai fini della promozione della cultura e dell'arte, attraverso l'indebita delimitazione interpretativa del concetto di valorizzazione di beni culturali e il conseguente restringimento del novero delle finalità concretamente perseguibili dall'organo statale.

2. Il motivo è infondato.

3. Come queste Sezioni unite hanno già avuto modo di affermare (v., da ultimo, Cass., Sez. un., 11 novembre 2019, n. 29082; Cass., Sez. un., 15 aprile 2020, n. 7839; Cass., Sez. un., 13 maggio 2020, n. 8848), l'eccesso di potere denunciabile con ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale) o di difetto relativo di giurisdizione (riscontrabile quando detto giudice abbia violato i limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull'erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici), e ciò in coerenza con la relativa nozione posta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 6 del 2018 (che non ammette letture estensive neanche limitatamente ai casi di sentenze abnormi, anomale ovvero frutto di uno stravolgimento radicale delle norme di riferimento).

In particolare, si è chiarito che l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti non comporta che esse siano sottratte ad ogni possibilità di controllo, e segnatamente a quello della conformità alla legge che regola l'attività amministrativa, con la conseguenza che il giudice contabile non viola i limiti esterni della propria giurisdizione quando accerta la mancanza di tale conformità (Cass., Sez. un., 10 marzo 2014, n. 5490; Cass., Sez. un., 6 marzo 2020, n. 6462). Infatti, la Corte dei conti può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell'ente, che devono essere ispirati ai criteri di economicità ed efficacia, ex art. 1 della l. 7 agosto 1990, n. 241: essi assumono rilevanza sul piano, non già della mera opportunità, ma della legittimità dell'azione amministrativa e consentono, in sede giurisdizionale, un controllo di ragionevolezza sulle scelte della pubblica amministrazione, onde evitare la deviazione di queste ultime dai fini istituzionali dell'ente e permettere la verifica della completezza dell'istruttoria, della non arbitrarietà e proporzionalità nella ponderazione e scelta degli interessi, nonché della logicità ed adeguatezza della decisione finale rispetto allo scopo da raggiungere (Cass., Sez. un., 15 marzo 2017, n. 6820; Cass., Sez. un., 23 novembre 2018, n. 30419; Cass., Sez. un., 10 febbraio 2019, n. 3159; Cass., Sez. un., 22 novembre 2019, n. 30527).

4. Tanto premesso, nella specie la Corte dei conti non ha esercitato un sindacato sull'opportunità della scelta compiuta dalla Soprintendente, estrinsecatasi nella concessione all'associazione Multipromo dell'uso di spazi del Giardino di Boboli per la realizzazione di spettacoli teatrali negli anni 2010 e 2011.

Il giudice contabile, al contrario, ha censurato la condotta violativa delle norme di settore che imponevano la corresponsione del canone di concessione da parte dell'associazione, laddove l'utilizzazione degli spazi era stata consentita dall'amministrazione a titolo gratuito, senza che l'assegnazione fosse stata preceduta da una adeguata valutazione dei presupposti per la gratuità e senza tenere nel debito conto le criticità evidenziate da una nota dell'Ufficio tecnico; inoltre, ha addebitato alla Soprintendente la mancata rispondenza di tale assegnazione gratuita al fine della valorizzazione del bene appartenente al patrimonio culturale.

Sotto quest'ultimo profilo, la Corte dei conti ha osservato che, secondo la disciplina dettata dal codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con il d.lgs. 12 gennaio 2004, n. 42, la valorizzazione si compendia nell'insieme delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, da attuarsi in forme compatibili con la tutela ed in modo da non pregiudicarne le esigenze, e ha sottolineato che la valorizzazione può essere intesa in due modi, sia quale potenziamento dell'espressione del valore culturale del bene, sia come criterio di gestione dell'istituto della cultura capace di autofinanziarsi secondo canoni di efficienza, di efficacia e di economicità. Su queste basi, il giudice contabile ha evidenziato che nella specie manca il diretto rapporto e l'effetto di valorizzazione tra il Giardino di Boboli concesso in uso e gli eventi organizzati dalla Multipromo, considerato, per un verso, che l'associazione ha svolto attività destinate ad un pubblico pagante e, per l'altro verso, che il rilascio della concessione ha comportato una riduzione della fruibilità complessiva del Giardino.

Ne deriva che è infondata la questione di difetto di giurisdizione in relazione al preteso sindacato della Corte dei conti su scelte discrezionali della pubblica amministrazione, avendo esso riguardato non le scelte proprie del potere discrezionale, ma l'uso del potere in modo non conforme al dovere di diligente cura degli interessi dell'ente, e quindi causativo di un pregiudizio diretto al patrimonio dell'ente medesimo sotto il profilo del mancato introito di canoni concessori.

La discrezionalità amministrativa (che postula la possibilità di scelta tra condotte tutte consentite da una disposizione di legge) non può essere invocata al fine di escludere il sindacato della Corte dei conti, ove l'esercizio in concreto di tale discrezionalità si risolva in una condotta del Soprintendente in violazione della disciplina normativa che, ai fini della valorizzazione del bene appartenente al patrimonio culturale, imponeva, per la concessione in uso di spazi del bene stesso, l'applicazione del canone.

La valutazione operata, nella specie, dalla Corte dei conti non ha avuto, dunque, ad oggetto il "merito" della concessione in uso degli spazi del parco storico della città di Firenze, ossia un controllo volto a sindacarne l'utilità, bensì, unicamente, la verifica della conformità a legge dell'atto posto in essere, sotto il profilo del rispetto della disciplina sulle esenzioni dal pagamento del canone concessorio e dei principi in tema di valorizzazione dei beni culturali.

L'eventuale errore commesso dal giudice contabile nel concreto svolgersi dell'anzidetta verifica è da ascriversi, semmai, a violazioni di legge concernenti soltanto il modo di esercizio della giurisdizione speciale e non inerenti all'essenza della giurisdizione o allo sconfinamento dai limiti esterni di essa.

5. Il ricorso è rigettato.

6. Non vi è luogo a provvedere sulle spese, stante la natura di parte solo in senso formale del Procuratore generale della Corte dei conti.

7. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti processuali per dare atto - ai sensi dell'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1-quater all'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P. Corso

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