Corte dei conti
Sezione giurisdizionale per la Lombardia
Sentenza 7 ottobre 2020, n. 152

Presidente ed Estensore: Tenore

FATTO

1. Con atto di citazione del 24 luglio 2019, la Procura Regionale evocava in giudizio il prof. Enrico S., professore di I fascia e direttore di struttura complessa U.O. Ostetricia e Ginecologia presso la ASST Spedali Civili di Brescia, in convenzione con l'Università degli studi di Brescia all'epoca dei fatti, esponendo quanto segue:

a) che, con denuncia 8 luglio 2016, la Guardia di Finanza di Brescia aveva segnalato alla Procura contabile un possibile danno erariale prodotto dal prof. S. con riferimento al periodo 1° gennaio 2006-9 febbraio 2016;

b) che tale danno si sarebbe configurato in relazione alla violazione dell'art. 60 d.P.R. n. 3 del 1957, dell'art. 11 d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, dell'art. 6, comma 9, l. n. 240 del 2010, dell'art. 5, comma 12, seconda parte, del d.lgs. 517/1999, e dell'art. 53, commi 6-7-bis, d.lgs. n. 165 del 2001, avendo il prof. S., svolto con partita iva attività libero professionali extramoenia da ginecologo in favore di una struttura sanitaria privata non convenzionata col SSN (proprio studio privato e Poliambulatorio Santa Maria S.r.l. con sede in Vobarno BS), non autorizzabile in quanto in regime a tempo pieno con l'università di Brescia dal 2006 al 2016, pur avendo optato per il regime non esclusivo nell'ambito dell'attività assistenziale convenzionale con l'ASST Ospedali civili di Brescia;

c) che il S. era stato assunto il 19 maggio 1986 come Ricercatore universitario presso la facoltà di Medicina e Chirurgia, confermato in ruolo dal 3 giugno 1989, diventando Professore Associato dall'1 gennaio 2000, confermato in ruolo dal 1° ottobre 2003 e Professore Straordinario dal 1° ottobre 2006, confermato in ruolo dal 1° ottobre 2009, e che aveva optato per l'impegno a tempo pieno sin dall'assunzione presso l'Ateneo, mantenendo tale regime sino alla data dei controlli effettuati dalla Guardia di Finanza;

d) che tale condotta violava l'art. 5 del d.lgs. n. 517/1999 che, nel premettere al comma 7 che "I professori e ricercatori universitari afferenti alla facoltà di medicina e chirurgia optano rispettivamente per l'esercizio di attività assistenziale intramuraria [...] ovvero per l'esercizio di attività libero professionale extramuraria", al successivo comma 12, seconda parte, dello stesso art. 5 stabilisce che "Fino alla data di entrata in vigore della legge di riordino dello stato giuridico universitario lo svolgimento di attività libero professionale intramuraria comporta l'opzione per il tempo pieno e lo svolgimento dell'attività extramuraria comporta l'opzione per il tempo definito ai sensi dell'art. 11 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382"; dunque l'espletamento di attività extra muraria, come avvenuto per il Prof. S., imponeva ex art. 11 d.P.R. 382 del 1980 e art. 6 l. 240/2010, l'opzione doverosa per il tempo definito, da formalizzare con domanda al Rettore dell'Università sei mesi prima dell'inizio di ogni anno accademico; tale quadro normativo era completato dall'art. 102 del d.P.R. n. 382/1980 che sancisce che "il personale docente universitario i ricercatori che esplicano attività assistenziale preso le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura anche se gestiti direttamente dalle università, convenzionati ai sensi dell'art. 39 l. 23 dicembre 1978, n. 833, assumono per quanto concerne l'assistenza i diritti e i doveri previsti per il personale di corrispondente qualifica del ruolo regionale in conformità ai criteri fissati nei successivi comma e secondo le modalità stabilite negli schemi tipo di convenzione di cui al citato art. 39. Dell'adempimento di tali doveri detto personale risponde alle autorità accademiche competenti in relazione al loro stato giuridico";

e) che tali attività libero-professionali non autorizzate dall'Università, e dolosamente occultate in quanto non oggetto di richiesta autorizzatoria e comunque non autorizzabili, avevano comportato un duplice danno: e.1) per la differenza del trattamento economico percepito dal 1° gennaio 2006 al 31 dicembre 2016 tra il regime di impiego a tempo pieno e il regime di impiego a tempo definito previsto per il personale universitario, pari ad euro 309.599,90, al lordo degli oneri fiscali e previdenziali (doc. 7 Procura); e.2) per omesso riversamento all'Università di Brescia dei compensi extralavorativi libero-professionali percepiti e fatturati dal convenuto dal 1° gennaio 2006 al 31 dicembre 2016 (v. rel. GdF in CD all. 6 Procura), con pacifica violazione dell'art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165/2001, pari ad euro 1.515.373,47 lordi;

f) che la giurisprudenza di questa Corte aveva chiarito da tempo che i medici docenti universitari possono esercitare l'attività libero professionale in rapporto non esclusivo col S.S.N. nella forma e con le regole dell'attività extramoenia optando necessariamente per il tempo definito (cfr. C. conti, Sez. Liguria, n. 38/2015);

g) che l'attività libero professionale di docente medico non era equiparabile, come ritenuto dal convenuto in deduzioni, a quella del medico del SSN che svolga attività extramuraria, avendo già statuito il TAR Lazio con sent. 544/2006 che "è evidente che il mantenimento del tempo pieno anche nei confronti del personale docente optante per l'attività extramoenia si risolverebbe nella acquisizione di una posizione di privilegio dei docenti medici rispetto a quelli di altre facoltà che sarebbero tenuti, volendo svolgere anche attività libero professionale, alla scelta del tempo definito nella docenza universitaria", richiamando la sentenza l'art. 102, primo comma, d.P.R. n. 382 del 1980, per rilevare che nell'adempimento dei doveri inerenti le funzioni assistenziali il personale universitario "risponde alle autorità accademiche competenti, il che sottolinea l'unicità dell'impiego di detti professori";

h) che le deduzioni pervenute in riscontro all'invito a dedurre non erano risultate idonee a superare l'ipotesi accusatoria;

i) che la condotta era connotata da dolo e che alcuna prescrizione era ipotizzabile a fronte di segnalazione da parte del prof. S. solo nel 2015 alla propria Università di aver aperto partita IVA.

Tutto ciò premesso, la Procura chiedeva la condanna del convenuto al pagamento, a favore dell'Università di Brescia, della somma di euro 1.824.973,37, di cui euro 309.599,90 a titolo di differenze retributive tra tempo pieno e definito ed euro 1.515.373,47 a titolo omesso riversamento dei compensi percepiti da attività incompatibile, oltre accessori.

2. Si costituiva il prof. S., difeso dall'avv. Andrea Sticchi Damiani, eccependo quanto segue:

a) l'inammissibilità dell'atto di citazione per violazione dell'art. 67, comma 7, d.lgs. n. 174 del 2016, avendo la Procura attrice svolto indagini ulteriori (acquisendo dalla GdF "copia delle fatture fiscali emesse dal Prof. S. nel periodo 1° gennaio 2006-31 gennaio 2016 nell'ambito dell'attività libero professionale esercitata in regime extra murario ed in costanza di rapporto di impiego a tempo pieno presso l'Ateneo") dopo la notifica del primo invito a dedurre avvenuta il 3 gennaio 2019, seguito da invito a dedurre integrativo 27 maggio 2019 e senza che tali indagini scaturissero dalle deduzioni dell'invitato;

b) il difetto di giurisdizione di questa Corte a favore dell'a.g.o. sulla pretesa ex art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001 per gli introiti intervenuti anteriormente al 28 novembre 2012, data di entrata in vigore della l. 6 novembre 2012, n. 190 che ha radicato la giurisdizione in capo alla Corte dei conti sulla materia;

c) la parziale prescrizione della domanda attorea anteriormente al 3 gennaio 2014 per la prima voce di danno da percezione di maggiorazioni stipendiali (e anteriormente al 27 maggio 2014 per la seconda voce contestata per violazione dell'art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165), avendo la Procura notificato i due inviti a dedurre il 3 gennaio 2019 e il 27 maggio 2019 (senza pregressi atti interruttivi stragiudiziali) e non essendoci occultamento doloso avendo il prof. S. comunicato, sin dal 1996, all'Università di Brescia di esercitare attività libero professionale in rapporto di tempo pieno con l'Università stessa, ribadendo più volte la circostanza all'Ateneo nei carteggi intervenuti (doc. 1-12 difesa). La circostanza della conoscenza datoriale era desumibile anche dai cedolini stipendiali e dalle schede-timbrature;

d) la assenza di dolo o colpa grave in capo al convenuto, che aveva fatto affidamento nella presa d'atto datoriale-rettorale delle proprie comunicazioni su attività extralavorative;

e) la incostituzionalità della fattispecie sanzionatoria introdotta dall'art. 53, commi 7 e 7-bis, d.lgs. n. 165/2001, per difetto di proporzionalità punitiva;

f) l'assenza di prova di un danno patito dall'Università da minor resa del servizio didattico (fornito con intensità e qualità dal S.), avendo la Procura contestato un mero danno in re ipsa per la mera mancata opzione per il regime a tempo definito e per la formale violazione dell'art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165;

g) la infondatezza nel merito della pretesa attorea ex art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165, avendo il S. svolto, percependo "onorari", attività libero-professionali continuative e non incarichi retribuiti occasionali;

h) che in ogni caso l'importo reclamato andava calcolato al netto e non al lordo degli oneri fiscali e previdenziali come da conteggi sviluppati;

i) che andava comunque, in via gradata, esercitato il potere riduttivo dell'addebito e scomputata la quota parte ascrivibile alla negligente condotta dell'Università di Brescia.

Tutto ciò premesso, la difesa, ribadendo la nullità della citazione, il difetto di giurisdizione e la parziale prescrizione di una delle voci di danno (ex art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165), chiedeva il rigetto della pretesa attorea e, in via gradata, una più equa rideterminazione del quantum contestato.

3. All'udienza del 23 settembre 2020, udita la relazione del magistrato designato, le parti ribadivano e sviluppavano i rispettivi argomenti. Quindi la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. La questione sottoposta al vaglio della Sezione concerne un tema ormai arato sul piano giurisprudenziale e concernente la violazione dell'art. 53, commi 6-7-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001 a seguito dell'espletamento di attività extralavorative non autorizzate o non autorizzabili da parte di pubblici dipendenti. Sulla ratio della norma e sul suo inquadramento sistematico nell'ambito del generale principio di esclusività delle prestazioni nel lavoro pubblico ex art. 98 Cost., è dunque sufficiente il rinvio a precedenti specifici, i cui enunciati generali sono da intendere qui ribaditi in ordine al riparto basico tra attività vietate (art. 60 segg., richiamato dall'art. 53, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001), attività autorizzabili (art. 53, commi 2 e 7, d.lgs. n. 165 del 2001) e attività liberalizzate (art. 53, comma 6, d.lgs. n. 165 cit.) ed alle conseguenze derivanti dall'espletamento di attività vietate o non autorizzate ex art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165: ex pluribus, C. conti, Sez. Lombardia, 7 maggio 2019, n. 94; id., 12 ottobre 2018, n. 199; id., 31 ottobre 2018, n. 216; id., 16 aprile 2015, n. 54; id., 30 dicembre 2014, n. 233; id., 25 novembre 2014, n. 216.

Ma il caso in esame presenta una significativa variante rispetto ai tradizionali giudizi di questa Corte, riguardando un professore universitario di medicina, appartenente, come tale, a carriera non privatizzata retta, anche sul piano delle attività extralavorative vietate, autorizzabili o liberalizzate, da un peculiare regime, distinto a seconda che si tratti di professori a tempo pieno o a tempo definito, e significativamente diverso da quello al quale sono sottoposti i restanti pubblici dipendenti, ovvero quello normato dall'art. 11, comma 5, d.P.R. n. 382 del 1980 e soprattutto oggi dall'art. 6, commi 9 e 10, l. n. 240 del 2010, da coordinare con i precetti generali dell'art. 53 d.lgs. n. 165 citato.

2. Va premesso, prima di analizzare il merito, che, pacifica la giurisdizione di questa Corte sulla prima pretesa attorea volta reclamare la refusione di differenze retributive tra professore a tempo pieno e a tempo definito, in ordine alla seconda domanda della Procura (anche per superare doglianze della difesa del S. sul punto), dopo alcune incertezze iniziali, è oggi parimenti pacifica la giurisdizione esclusiva di questa Corte sul mancato versamento delle somme dovute dal pubblico dipendente alla propria amministrazione ai sensi dell'art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165, e che la disposizione di cui al comma 7-bis dell'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, introdotta dalla l. n. 190 del 2012, nell'attribuire testualmente la giurisdizione alla Corte dei conti, non riveste carattere innovativo, ma si pone in "rapporto di continuità regolativa" con l'orientamento giurisprudenziale già delineatosi, con la conseguenza che la regola da essa esplicitata a livello di fonte legale era valida anche in precedenza, sia nell'attuale che nella pregressa formulazione (anteriore alla novella apportata dalla l. n. 190 del 2012 su cui si sofferma la difesa del convenuto): così Cass., Sez. un., 8 luglio 2020, n. 14237; id., Sez. un., 7 aprile 2020, n. 7737; id., Sez. un., 14 gennaio 2020, n. 415; id., Sez. un., 26 giugno 2019, n. 17124; id., Sez. un., 2 novembre 2011, n. 22688; id., Sez. un., 22 dicembre 2015, n. 25769, in sintonia con pregresso e lungimirante indirizzo di questa sezione espresso, tra le altre, con sentenza C. conti, Sez. Lombardia, 25 novembre 2014, n. 216, vero e proprio leading case in materia, avallato di recente da C. conti, Sez. riun., 31 luglio 2019, n. 26.

Pertanto, al pari di quanto ritenuto dalle Sezioni unite della Cassazione in riferimento all'art. 58 della l. 8 giugno 1990, n. 142, il quale ha disposto per gli amministratori degli enti locali l'osservanza delle disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato, con l'effetto di estendere al settore della responsabilità per danno erariale arrecato dall'amministratore all'ente locale le norme di carattere processuale attribuenti la giurisdizione alla Corte dei conti (Cass., Sez. un., 30 giugno 1999, n. 360, Cass., Sez. un., 6 giugno 2002, n. 8229, Cass., Sez. un., 9 febbraio 2010, n. 2786), l'anzidetta disposizione del comma 7-bis, per il principio tempus regit actum, è da ritenersi applicabile comunque ai giudizi di responsabilità instaurati dopo l'entrata in vigore della legge (che lo ha introdotto: l. n. 190 del 2012), ancorché per fatti commessi in epoca anteriore (così testualmente Cass., Sez. un., 26 giugno 2019, n. 17124 cit.).

Quanto, poi, al profilo che attiene alla posizione della P.A. di appartenenza del dipendente percettore di compenso in difetto di autorizzazione, se tale Amministrazione non si attivi, anche in via giudiziale, facendo valere l'inadempimento degli obblighi del rapporto di lavoro, per ottenerne il riversamento nel proprio bilancio e abbia, invece, a tal fine agito il Procuratore contabile, in ragione della responsabilità erariale di cui alla tipizzata fattispecie legale ex art. 53, commi 7 e 7-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001, non potrà più la medesima Amministrazione promuovere azione per ottenere in medesimo riversamento (ma solo eventuali distinte voci non azionate in sede giuscontabile), con conseguente sterilizzazione della possibilità di un conflitto di giudicati. Infatti, è da escludere, stante il divieto del bis in idem, una duplicità di azioni attivate contestualmente che - seppure recanti la propria specificità - tendono a conseguire, dinanzi al giudice munito di giurisdizione per ciascuna di esse, lo stesso identico petitum (predeterminato dal legislatore) in danno del medesimo soggetto obbligato in base ad un'unica fonte (quella legale) e cioè i compensi percepiti dal dipendente pubblico in difetto di autorizzazione allo svolgimento dell'incarico che li ha determinati, i quali una volta soltanto possono essere oggetto di recupero al fine di essere destinati al bilancio dell'amministrazione di appartenenza di quel dipendente.

Per concludere sul punto, la giurisdizione di questa Corte sussiste oggi per il danno erariale nascente dal mancato versamento delle somme dovute dal pubblico dipendente alla propria amministrazione ai sensi dell'art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165, quale che sia la data di espletamento delle attività extralavorative (nella specie dal 2006 al 2016).

Ciò non preclude, si badi, una astratta parallela azione civile datoriale per la medesima pretesa. Difatti, come di recente rimarcato, in modo chiaro e argomentato, dalle Sezioni unite della Cassazione (Cass., Sez. un., 5 agosto 2020, n. 16722), nei limiti del divieto del ne bis in idem sulle medesime pretese azionate innanzi alle due concorrenti magistrature "con riferimento alla controversia avente ad oggetto il pagamento delle somme percepite dal pubblico dipendente nello svolgimento di un incarico non autorizzato, queste Sezioni unite hanno già espresso il principio secondo cui essa appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario anche dopo l'inserimento, nel d.lgs. n. 165 del 2001, art. 53, del comma 7-bis, attesa la natura sanzionatoria dell'obbligo di versamento previsto dal comma 7 cit., che prescinde dalla sussistenza di specifici profili di danno richiesti per la giurisdizione del giudice contabile (Cass. 26 giugno 2019, n. 17124; Cass., Sez. un., 3 agosto 2018, n. 20533; Cass., Sez. un., 28 maggio 2018, n. 13239; Cass. 9 marzo 2018, n. 5789; Cass. 19 gennaio 2018, n. 1415; Cass., Sez. un., 10 gennaio 2017, n. 8688; Cass., Sez. un., 28 settembre 2016, n. 19072). 4.1. Da ultimo, Cass., Sez. un., 14 gennaio 2020, n. 415, ha specificato che l'azione di responsabilità erariale non interferisce con l'eventuale azione di responsabilità amministrativa della P.A. contro il soggetto tenuto alla retribuzione, l'azione d.lgs. n. 165 del 2001, ex art. 53, comma 7, ponendosi rispetto ad essa in termini di indefettibile alternatività (v. anche Cass., Sez. un., 26 giugno 2019, n. 17124)".

Tale approdo della Cassazione, che questa Sezione condivide, si fonda su pacifici indirizzi della Consulta e della Cassazione sul generale parallelismo tra le autonome azioni contabile e civile nei limiti del ne bis in idem. Ed invero, come ben riassunto dalla predetta recente pronuncia Cass., Sez. un., 5 agosto 2020, n. 16722, "3.1. L'assoluta autonomia dei giudizi è stata consacrata anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n. 104/1989, seguita dalla sentenza n. 1/2007. Nel giudizio contabile, invero, il Procuratore generale della Corte dei conti agisce quale pubblico ministero portatore di obiettivi interessi di giustizia nell'esercizio di una funzione neutrale, rivolta alla repressione dei danni erariali conseguenti ad illeciti amministrativi, rappresentando un interesse direttamente riconducibile al rispetto dell'ordinamento giuridico nei suoi aspetti generali ed indifferenziati, non l'interesse particolare e concreto dello Stato in ciascuno dei settori in cui si articola o degli altri enti pubblici in relazione agli scopi specifici che ciascuno di essi persegue, siano pure convergenti con il primo (Corte cost. n. 104 del 1989, n. 1 del 2007, n. 291 del 2008). 3.2. Tale azione, a carattere necessario, non potrebbe mai essere condizionata, in senso positivo o negativo, dalle singole amministrazioni danneggiate (Cass., Sez. un., 18 dicembre 2014, n. 26659; Cass., Sez. un., 19 febbraio 2019, n. 4883), le quali ben possono promuovere dinanzi al giudice ordinario l'azione civilistica di responsabilità a titolo risarcitorio, facendo valere il proprio interesse particolare e concreto (Cass., Sez. un., 10 settembre 2013, n. 20701), non essendo neppure in astratto ipotizzabile che detti soggetti non possano agire in sede giurisdizionale a tutela dei propri diritti e interessi (artt. 3 e 24 Cost.), tanto più in mancanza di specifiche norme derogatorie... (omissis). 3.4. L'autonomia tra le due azioni emerge evidente anche se si guarda alle rispettive finalità: l'azione contabile ha una funzione prevalentemente sanzionatoria (Cass., Sez. un., 2 settembre 2013, n. 20075 e 12 aprile 2012, n. 5756) e si caratterizza per una "combinazione di elementi restitutori e di deterrenza" (cfr. Corte cost. 20 novembre 1998, n. 371 e Corte cost. 30 dicembre 1998, n. 453); non implica necessariamente il ristoro completo del pregiudizio subito dal patrimonio danneggiato dalla mala gestio dell'amministratore o dall'omesso controllo del vigilante; solo in determinati casi (a differenza dell'azione civile in cui il debito risarcitorio è pienamente trasmissibile agli eredi) è esercitabile anche contro gli eredi del soggetto responsabile del danno (Cass., Sez. un., 2 settembre 2013, n. 20075); richiede (a differenza dell'azione civile per la quale è sufficiente la sola colpa) il dolo o la colpa grave; diversamente, l'azione civile o penale proposta dalle amministrazioni interessate è finalizzata al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria ed integralmente compensativa, a protezione dell'interesse particolare della singola amministrazione attrice (Cass., Sez. un., 27 agosto 2019, n. 21742; Cass. 4883/2019, cit.; Cass. 20 dicembre 2018, n. 32929, Cass. 14 luglio 2015, n. 14632; Cass. n. 6372014, cit.). In altri termini, le due azioni restano reciprocamente indipendenti, anche quando investono i medesimi fatti materiali (Cass., Sez. un., 3 febbraio 1989, n. 664; Cass., Sez. un., 4 gennaio 2012, n. 11), declinandosi il rapporto tra le stesse in termini di alternatività e non già di esclusività (Cass., Sez. un., 22 dicembre 2009, n. 27092). 3.5. La diversità di funzione e di presupposti delle due azioni esclude così che possa prospettarsi una violazione del principio del ne bis in idem (Cass., Sez. un., 27 agosto 2019, n. 21742; Cass. 20 dicembre 2018, n. 32929; Cass. 14 luglio 2015, n. 14632; Cass., Sez. un., 28 novembre 2013, n. 26582; Cass. 11 giugno 2007, n. 13662), anche alla stregua della recente giurisprudenza Cedu - a mente della quale il principio deve ritenersi violato solo ove l'ordinamento assoggetti la medesima condotta ad una pluralità di giudizi di responsabilità distinti unicamente sotto il profilo della sanzione e non anche quanto ai relativi presupposti (cfr. Cedu 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia) (Cass. n. 14632/2015, cit.; Cass., Sez. un., n. 21742/2019, cit.). 3.6. Così delineato il rapporto tra le due azioni, deve escludersi che il mancato esercizio dell'una costituisca condizione di proponibilità dell'altra, atteso che "il giudizio civile volto ad ottenere la liquidazione del danno patito dall'Amministrazione può essere instaurato e definito anche allorquando il giudizio di responsabilità amministrativo-contabile innanzi alla Corte dei Conti sia già arrivato a decisione, quante volte quest'ultimo non si sia concluso con una pronuncia di condanna al ristoro integrale del pregiudizio; pena, altrimenti, l'irragionevole compressione della legittima aspettativa ad una integrale compensazione facente capo all'Amministrazione danneggiata. Con l'unico limite del divieto di duplicazione delle pretese risarcitorie, che impone di tener conto, con effetto decurtante, di quanto già liquidato in sede contabile, che il debitore potrà far valere, se del caso, anche in fase di esecuzione" (Cass., Sez. un., n. 14632/2015, cit.; Cass., Sez. un., 32929/2018)".

E tale legittimo parallelismo tra azione contabile ed azione civile innanzi all'a.g.o., con l'unico limite del ne bis in idem, è stato confermato dalla Cassazione anche con riferimento al danno all'immagine arrecato alla p.a. da propri dipendenti. Osserva incidentalmente sul punto la Sezione come sia stato infatti più volte ribadito che (Cass., Sez. un., 5 agosto 2020, n. 16722; Cass. pen. 18 luglio 2017, n. 35205; Cass. pen. 23 ottobre 2017, n. 48603; Cass. pen., Sez. III, 12 dicembre 2013, n. 5481) "In tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, è ammessa la costituzione di parte civile per far valere il risarcimento del danno all'immagine arrecato all'ente pubblico, non essendo prevista una riserva di giurisdizione esclusiva in favore del giudice contabile, in quanto la l. 3 agosto 2009, n. 102, art. 17, comma 3-ter, nel prevedere la proposizione dell'azione risarcitoria da parte della Procura della Repubblica presso la Corte dei conti nel giudizio erariale, si limita a circoscrivere oggettivamente l'ambito di operatività dell'azione, senza introdurre una preclusione alla proposizione della stessa dinanzi al giudice ordinario".

In altri termini, la ratio della norma è quella di individuare i casi di iniziativa della Procura della Corte dei conti per danno all'immagine, senza che ciò comporti alcuna preclusione per l'esercizio della giurisdizione ordinaria. Anche se permane qualche contrasto circa [l']operatività dei limiti dell'art. 17, comma 3-ter, d.l. 1° luglio 2009, n. 78 conv.to in l. 3 agosto 2009, n. 102 alla perseguibilità del danno all'immagine (previo giudicato penale e per soli reati contro la p.a.).

Il secondo limite (contestabilità del danno all'immagine solo a fronte di reati contro la p.a.) è stato poi superato per la Corte dei conti dall'art. 4 dell'all. 3 d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174 (cfr. C. conti, Sez. app. Sicilia, 28 novembre 2016, n. 183; Sez. Lombardia, 1° dicembre 2016 n. 201; Sez. Lazio, 13 febbraio 2018, n. 81) e comunque la norma era stata ritenuta non vincolante per l'a.g.o., che poteva vagliare pretese risarcitorie anche a fronte di reati comuni (cfr. Cass., Sez. II, 20 giugno 2018, n. 41012; id., Sez. III, n. 5481 del 12 dicembre 2013 - dep. 4 febbraio 2014; id., Sez. II, n. 29480 del 7 febbraio 2017 - dep. 13 giugno 2017; id., Sez. III, 1° febbraio 2017, n. 38837; contra, per la operatività anche per l'a.g.o. del limite normativo del 2009, Cass., Sez. VI, n. 48603 del 27 settembre 2017 - dep. 23 ottobre 2017; Cass., Sez. II, n. 14605 del 12 marzo 2014 - dep. 28 marzo 2014).

Il primo limite (contestabilità del danno all'immagine solo dopo il giudicato penale) è stato ritenuto in talune decisioni vincolante anche per l'a.g.o. (in senso estensivo, seppur incidenter, C. cost., 1° dicembre 2010, n. 355, di rigetto e come tale non vincolante erga omnes), mentre altra giurisprudenza lo ha ritenuto operante per la sola giurisdizione contabile e non per quella ordinaria, con conseguente attivabilità dell'azione civile anche senza il previo giudicato penale (Cass., 20 giugno 2018-24 settembre 2018, n. 41012).

2.1. Per chiudere la preliminare disamina delle eccezioni mosse dalla difesa del prof. S. all'art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165, va poi respinta la prospettata incostituzionalità della fattispecie sanzionatoria introdotta da tale norma, per asserita violazione dei principi di bilanciamento degli interessi in gioco, proporzionalità e modulazione delle sanzioni, che trovano il proprio fondamento costituzionale negli artt. 2, 3, 23 e 24 Cost.

A prescindere dalla non chiarissima formulazione difensiva dei parametri costituzionali che si deducono violati, giova osservare, riprendendo e adattando al profilo in esame le parole di C. cost. n. 98 del 2015 (intervenuta su altro aspetto dell'articolo de quo) come la sanzione pecuniaria predetta rappresenta l'indispensabile, e dunque ragionevole, corollario di una prescrizione, quella sul divieto di svolgere attività non autorizzabili o non autorizzate, che non potrebbe naturalmente svolgere, di per sé, una propria autosufficiente funzione, quella di richiedere e ottenere un'esauriente ed efficace osservanza volontaria, se non con una chiara previsione punitiva verso dipendenti riottosi ad ottemperare spontaneamente al precetto.

Tra l'altro la sanzione è pienamente proporzionata in quanto ancorata, nel suo crescente importo, alla somma extralavorativa introitata senza autorizzazione e non è, dunque, in misura fissa, rispondendo così al predetto canone che connota tutto il diritto punitivo e non solo quello penale.

Gli approdi di questa Sezione in punto di legittimità costituzionale della norma sono stati già condivisi dalle Sezioni riunite con la importante sentenza 31 luglio 2019, n. 26/QM/2019.

3. Ciò chiarito in punto di giurisdizione e di costituzionalità della normativa, sempre in via preliminare, in perfetta sintonia con la già ricordata e accurata pronuncia delle sezioni riunite della Corte dei conti 31 luglio 2019, n. 26/QM, va ribadita la giurisdizione secondo rito ordinario tipico di questa Corte, come già chiarito anche da questa Sezione con risalente sentenza n. 31 del 2012, in sede di appello (cfr. Corte dei conti, Sez. I, sent. n. 406 del 2014), e in sede di decisione del conseguente ricorso per Cassazione (cfr. Cass., Sez. un., n. 25769 del 2015, oltre che nel precedente nomofilattico di cui alla sent. Cass., Sez. un., n. 22688 del 2011), in quanto collegata alla prospettazione di un "danno" conseguente alla violazione dell'obbligo di riversamento di cui all'art. 53, comma 7, del d.lgs. n. 65 del 2001: va escluso, dunque, che, nella fattispecie, si versi in una fattispecie di sanzioni pecuniarie irrogate dalla Corte dei conti, quale disciplinata ex artt. 133 e seguenti del d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174. La condotta omissiva del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore, di cui al successivo art. 53, comma 7-bis, dà quindi luogo ad un'ipotesi autonoma di responsabilità amministrativa tipizzata, a carattere risarcitorio del danno da mancata entrata per l'amministrazione di appartenenza del compenso indebitamente percepito e che deve essere versato in un apposito fondo vincolato. Dalla natura risarcitoria di tale responsabilità consegue l'applicazione degli ordinari canoni sostanziali e processuali della responsabilità, con rito ordinario, previa notifica a fornire deduzioni di cui all'art. 67 c.g.c.

Tale approdo consente altresì di superare i suggestivi argomenti difensivi volti ad eccepire l'assenza di prova di un danno patito dall'Università, non essendo dimostrata una da minor resa del servizio didattico (fornito con intensità e qualità dal S.), e a rimarcare come la Procura si fosse limitata a contestare un mero danno in re ipsa per la mera mancata opzione per il regime a tempo definito e per la formale violazione dell'art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165.

È agevole replicare che, come detto, il presente giudizio concerne il mancato versamento all'Università di Brescia della somma corrispondente alla ragionevole sanzione ope legis inflitta al S. e non volontariamente saldata: non si verte dunque in una ipotesi di danno in re ipsa, ma di danno da omesso versamento di ciò che andava spontaneamente versato al datore dal dipendente per una sanzione inflitta dall'art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 a prescindere dalla eccellente resa didattica, ben dimostrata e mai messa in discussione, del prof. S.

4. Ancora in via preliminare, va superata l'eccezione di inammissibilità della domanda attorea per asserita violazione dell'art. 67, comma 7, d.lgs. n. 174 del 2016 (nel testo anteriore alle modifiche apportate dall'art. 29, comma 1, lett. b), d.lgs. 7 ottobre 2019, n. 114), avendo la Procura attrice, secondo la difesa del S., svolto indagini ulteriori (acquisendo dalla GdF "copia delle fatture fiscali emesse dal Prof. S. nel periodo 1° gennaio 2006-31 gennaio 2016 nell'ambito dell'attività libero professionale esercitata in regime extra murario ed in costanza di rapporto di impiego a tempo pieno presso l'Ateneo") dopo la notifica del primo invito a dedurre avvenuta il 3 gennaio 2019, seguito da invito a dedurre integrativo 27 maggio 2019 e senza che tali indagini scaturissero dalle deduzioni dell'invitato.

Osserva sul punto il Collegio come la Procura si era testualmente riservata, nel primo invito a dedurre (pp. 8 e 10), di agire per ulteriori poste di danno, ed avendo ricevuto solo il 20 marzo 2019 dalla GdF risultanze istruttorie già da tempo richieste il 19 novembre 2018, ha in attuazione di tale riserva inoltrato un invito a dedurre integrativo sui medesimi fatti storici riferiti alla violazione anche dell'art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001.

La Procura si è dunque limitata, proprio per una miglior comprensione dei medesimi ed immutati fatti, dopo le deduzioni presentate dal convenuto a fronte del primo invito a dedurre, ad acquisire dati materiali oggettivi e palesemente noti alla difesa del prof. S. (autore delle fatture), nel comune interesse ad una successiva corretta valutazione giuridica dei fatti stessi anche sotto il profilo quantificatorio del danno già contestato. Non si verte dunque in ipotesi di "citazione a sorpresa" e in nulla risulta leso il convenuto da questa acquisizione di fatture, che, anzi, hanno consentito di formulare pertinenti e giovevoli rilievi difensivi.

5. Venendo al merito, l'attività extramoenia da ginecologo, svolta dal convenuto professore universitario dal 1° gennaio 2006-9 febbraio 2016 presso il proprio studio privato ed il Poliambulatorio Santa Maria S.r.l. con sede in Vobarno BS, configura pacificamente una "attività libero-professionale" (sul distinguo tra "attività libero-professionale" e "collaborazione scientifica e consulenza" consentita anche ai professori a tempo pieno cfr. C. conti, Sez. Lombardia, 3 febbraio 2020, n. 11 che ha ben delineato dei criteri-guida), e, come tale, vietata in modo assoluto ai professori universitari a tempo pieno in base all'art. 6, comma 9, l. n. 240 del 2010 (e in precedenza all'art. 11 d.P.R. n. 382 del 1980) che recita: "L'esercizio di attività libero-professionale è incompatibile con il regime di tempo pieno". A fronte di tale divieto ope legis, lo stesso non poteva e non può dunque venir meno per una eventuale, ma illegittima, autorizzazione o presa d'atto (espressa o tacita) rettorale, in quanto un atto amministrativo (o un silenzio) non può notoriamente derogare alla legge, consentendo ciò che la legge vieta.

Va chiarito che sia le attività consulenziali che libero professionali erano assolutamente vietate ai professori a tempo pieno, quale il convenuto, nel più restrittivo regime anteriore alla legge Gelmini (l. n. 240 del 2010), ovvero sotto la vigenza dell'art. 11, ultimo comma, d.P.R. n. 382 del 1980 secondo cui "Il regime a tempo pieno: è incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi attività professionale e di consulenza esterna e con l'assunzione di qualsiasi incarico retribuito e con l'esercizio del commercio e dell'industria...".

Dopo invece la più largheggiante novella Gelmini, che consente, rispetto al passato, ai professori a tempo pieno l'attività di "collaborazione scientifica e di consulenza" (art. 6, comma 10), resta il solo divieto di attività libero-professionali, quali quelle svolte dal convenuto.

Destituita dunque di qualsiasi fondamento normativo è l'eccezione difensiva del prof. S. che vorrebbe distinguere, ai fini dell'operatività dell'art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001, la percezione di "onorari" da attività libero-professionali continuative consentite e incarichi retribuiti occasionali a cui si riferirebbe la norma sanzionatoria: è agevole replicare che, essendo indubitabile che l'attività libero professionale fosse assolutamente vietata e non autorizzabile per il peculiare status del S., la portata dell'art. 53, comma 7, cit. riguarda qualsiasi attività vietata (in quanto non autorizzabile) o non autorizzata (per mancata richiesta da parte dell'interessato o per diniego della P.A.) concernente pubblici dipendenti, come ormai pacificamente affermato da questa Corte (da ultimo C. conti, Sez. Lombardia, 3 febbraio 2020, n. 11; id., Sez. Lombardia, 7 maggio 2019, n. 94).

6. A fronte di tale chiaro quadro normativo, la fattispecie sub iudice presenta però una "complicazione" derivante dalla peculiarità dello status accademico del S., professore di medicina presso l'Università di Brescia e dallo svolgimento in regime di convenzione con l'Ateneo di attività primariale in convenzione con l'Ospedale di Brescia.

Tuttavia, ad avviso del Collegio, pur a fronte di tale peculiarità, non può escludersi l'operatività della predetta basilare norma che connota lo status di tutti i professori (senza eccezione alcuna, ad esempio per quelli di medicina), ritenendo che per i docenti sanitari, anche a tempo pieno universitario, vi sia una equiparazione ai medici non universitari nella libera espletabilità di attività extramoenia.

Ed invero, l'art. 5 del d.lgs. n. 517/1999 (normativa che continua ad applicarsi anche dopo l'emanazione della l. n. 230/2005, il cui art. 1, comma 2, esplicitamente ne fa salve le disposizioni: cfr. C.d.S., Sez. VI, n. 6540/2007; id., Sez. VI n. 6541/2007), nel premettere al comma 7 che "I professori e ricercatori universitari afferenti alla facoltà di medicina e chirurgia optano rispettivamente per l'esercizio di attività assistenziale intramuraria [...] ovvero per l'esercizio di attività libero professionale extramuraria", al successivo comma 12 seconda parte dello stesso art. 5 stabilisce chiaramente, e senza dubbi di sorta, che "Fino alla data di entrata in vigore della legge di riordino dello stato giuridico universitario lo svolgimento di attività libero professionale intramuraria comporta l'opzione per il tempo pieno e lo svolgimento dell'attività extramuraria comporta l'opzione per il tempo definito ai sensi dell'art. 11 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382"; dunque è la stessa normativa "sanitaria" speciale a ribadire che l'espletamento di attività extra muraria, come avvenuto per il Prof. S., imponeva, in base alla normativa basica generale, ovvero l'art. 11 d.P.R. 382 del 1980 e oggi l'art. 6, comma 9, l. 240/2010, l'opzione doverosa per il tempo definito, da formalizzare con domanda al Rettore dell'Università sei mesi prima dell'inizio di ogni anno accademico; tale chiaro quadro normativo è poi completato dall'art. 102 del d.P.R. n. 382/1980 che, pur non toccando il punto oggetto di causa, sancisce che "il personale docente universitario i ricercatori che esplicano attività assistenziale preso le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura anche se gestiti direttamente dalle università, convenzionati ai sensi dell'art. 39 l. 23 dicembre 1978, n. 833, assumono per quanto concerne l'assistenza i diritti e i doveri previsti per il personale di corrispondente qualifica del ruolo regionale in conformità ai criteri fissati nei successivi comma e secondo le modalità stabilite negli schemi tipo di convenzione di cui al citato art. 39. Dell'adempimento di tali doveri detto personale risponde alle autorità accademiche competenti in relazione al loro stato giuridico".

Del resto, come ben colto dalla attrice Procura, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito da tempo che i medici docenti universitari possono esercitare l'attività libero professionale in rapporto non esclusivo col S.S.N. nella forma e con le regole dell'attività extramoenia optando però necessariamente per il tempo definito (cfr. C. conti, Sez. Liguria, 15 giugno 2015, n. 38, confermata da C. conti, Sez. II app., 21 dicembre 2018, n. 744; in terminis id., Sez. II, 24 dicembre 2018, n. 748).

Ma anche il giudice amministrativo (si veda la chiarissima ed ampia sentenza ricostruttiva del TAR Lazio n. 544/2006) ha rimarcato sul piano sistemico, sulla scorta del suddetto art. 5, comma 12, del d.lgs. n. 517/1999, come l'attività libero professionale di docente medico non è equiparabile, come ritenuto dalla difesa del convenuto, a quella del medico del SSN che svolga attività extramuraria, essendo "evidente che il mantenimento del tempo pieno anche nei confronti del personale docente optante per l'attività extramoenia si risolverebbe nella acquisizione di una posizione di privilegio dei docenti medici rispetto a quelli di altre facoltà che sarebbero tenuti, volendo svolgere anche attività libero professionale, alla scelta del tempo definito nella docenza universitaria". Tale sentenza ha poi ben sottolineato come l'espletamento di attività assistenziale non elimina o stravolge lo status di docente del medico-professore, che sottostà alle relative normative di base, essendo equiparato al medico ospedaliero ai soli fini dell'attività assistenziale espletata (sul punto si veda anche C. cost. 126/1981).

A fronte di questo chiarissimo quadro normativo, risulta incomprensibile, se non stupefacente, che l'Università di Brescia, in persona del Rettore e dei funzionari e dirigenti preposti alla doverosa attuazione della normativa universitaria vigente ed alla vigilanza sulla corretta osservanza della stessa da parte dei suoi docenti, nel ricevere numerose lineari dichiarazioni del prof. S. dal 1996 in poi (v. documenti nn. 1-12 difesa del convenuto) circa l'espletamento di attività libero-professionali extramoenia in regime di tempo pieno, non sia intervenuta ed abbia sostanzialmente illegittimamente avallato l'abnorme situazione di clamorosa illegalità in cui versava il convenuto.

In altre parole, l'Università di Brescia, in persona del suo Rettore e dei suoi dirigenti (motori dell'azione amministrativa e della connessa vigilanza), era testualmente e formalmente a conoscenza, tra l'altro reiterata nel tempo a fronte di diverse comunicazioni del S., che un suo docente a tempo pieno svolgesse attività extramoenia libero professionale.

Tale palese conoscenza datoriale rende assai peculiare il presente giudizio, ponendo una situazione in fatto ben diversa da quella vagliata in similari vicende connotate però da sconoscenza da parte dell'Università di tali attività extramoenia occultate o non dichiarate da propri docenti (si veda il caso vagliato da C. conti, Sez. Liguria, 15 giugno 2015, n. 38, confermata da C. conti, Sez. II app., 21 dicembre 2018, n. 744; si vedano anche id., Sez. II, 24 dicembre 2018, n. 748 e id., Sez. III, 22 gennaio 2019, n. 7).

Tale abulica presa d'atto datoriale si traduce, ai fini del decidere nel presente giudizio, in diverse conseguenze:

6.1. in primo luogo, circa la prima voce di danno reclamata dalla Procura, a fronte della evidente e plateale conoscenza datoriale di una violazione di legge che comportava una maggior e non dovuta erogazione stipendiale al prof. S. (pari alla differenza tra stipendio di professore a tempo pieno e professore a tempo definito), non è ipotizzabile il contestato occultamento doloso del danno cagionato dal convenuto all'Ateneo, con conseguente parziale prescrizione dei ratei stipendiali anteriori al 3 gennaio 2014, avendo la Procura notificato il primo invito a dedurre il 3 gennaio 2019 e in assenza di pregressi atti interruttivi stragiudiziali; è notorio che affinché si configuri occultamento doloso del danno contestato dalla Procura, non è sufficiente una condotta, anche dolosa (nella specie palesemente inesistente), in violazione degli obblighi di servizio, ma risulta necessario un quid pluris consistente in "una condotta specifica, ingannatrice e fraudolenta, diretta intenzionalmente ad occultare l'esistenza del danno" (C. conti, Sez. Emilia-Romagna, n. 292/2018; id., n. 189/2017; id., Sez. Lazio, n. 434/2018; id., Sez. I app., n. 393/2016);

6.2. in secondo luogo, in merito alla seconda voce di danno contestata dalla Procura, ovvero per violazione dell'art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001, pare evidente come, a differenza di casi analoghi vagliati da questa Corte concernenti doloso svolgimento "di fatto" di attività extramoenia da parte di primario-professore universitario che aveva formalmente optato per il tempo pieno e l'intramoenia (C. conti, Sez. Lombardia, 17 febbraio 2017, n. 14; id., Sez. II, 24 dicembre 2018, n. 748 e id., Sez. III, 22 gennaio 2019, n. 7), nella vicenda in esame il prof. S. abbia più volte comunicato al datore Università (in persona del Rettore: si veda l'eloquente attestazione del Rettore prof. Sergio P. 26 ottobre 2016, prot. 99178 in doc. 11 all. a deduzioni convenuto) lo svolgimento di attività extraprofessionale, circostanza che se da un lato (v. sopra) non esclude una oggettiva maggior e non dovuta percezione stipendiale, parimenti non esclude una corresponsabilità gravemente colposa del S. nel percepire compensi extramoenia a fronte di un regime universitario a tempo pieno in un quadro normativo ostativo chiaro e comprensibile. Avendone tuttavia palese conoscenza l'Università, tale gravemente colpevole condotta dannosa è connotata dalla prescrizione delle somme che l'Università dovrebbe introitare ex art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 per il periodo anteriore al quinquennio decorrente dalla notifica del primo invito a dedurre, e dalla conseguente ascrivibilità al convenuto, nei limiti infraprecisati, del danno da omesso versamento degli importi relativi ad attività professionali dei soli anni 2014-2016;

6.3. in terzo luogo, sia la prescrizione parziale del credito stipendiale sub 6.1. e 6.2., sia l'avallo dato allo svolgimento di attività extramoenia ad un professore a tempo pieno da parte dei vertici universitari, apre scenari di possibile responsabilità omissiva nei confronti di questi ultimi, che la Procura potrà valutare e far valere.

7. Passando conclusivamente alle due voci di danno qui acclarate, il collegio è ben cosciente del contrasto interpretativo venutosi a delineare sul punto (evenienza che meriterebbe un pronunciamento delle Sezioni riunite o, quanto meno, un indirizzo nomofilattico consolidato in appello) tra la tesi tendente ad escludere il cumulo tra il danno ex art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 e quello per maggiorazioni retributive percepite durante l'espletamento di attività extralavorative qualora non si dimostri una minor resa lavorativa del dipendente "a tempo pieno" o percettore "di indennità di esclusiva" (così C. conti, Sez. III app., sent. n. 7 del 2020; C. conti, Sez. Lombardia, sent. n. 157 del 2019; C. conti, Sez. Emilia-Romagna, sent. n. 14 del 2014; C. conti, Sez. Toscana, sent. n. 26 del 2019; C. conti, Sez. Marche, sent. n. 112 del 2019; C. conti, Sez. Lazio, sent. n. 251 del 2018; C. conti, Sez. III app., sent. n. 653 del 2016; C. conti, Sez. Trentino-Alto Adige - BZ, sent. n. 18 del 2012; in terminis anche C.d.S., Sez. VI, n. 2779 del 2016) e la tesi opposta che ritiene cumulabili le due voci in quanto aventi diversa finalità (C. conti, Sez. Lombardia, 3 febbraio 2020, n. 11; C. conti, Sez. I app., sent. n. 250 del 2019; C. conti, Sez. Puglia, sent. n. 255 del 2019; C. conti, Sez. I app., sent. n. 97 del 2018; C. conti, Sez. Lombardia, sent. n. 14 del 2017, confermata in appello da C. conti, Sez. I app., sent. n. 97 del 2018; C. conti, Sez. Puglia, sent. n. 410 del 2016).

Ritiene il Collegio di optare per questa seconda tesi, favorevole alla evidente cumulabilità delle due poste contestate dalla Procura, avendo le stesse ben distinte finalità: a) il danno per differenze stipendiali nasce dalla violazione del prescelto regime di esclusiva che compensa con retribuzione più elevata i docenti (in altri campi i medici non accademici) a tempo pieno. Ne consegue che la violazione del tempo pieno comporta una indebita erogazione di maggiorazioni stipendiali, essendo un dato empirico e fattuale inconfutabile che lo svolgimento di attività extralavorative parallele (soprattutto se rilevanti e reiterate) riduce il tempo giornaliero a disposizione non solo per servizi resi alla P.A. attraverso una fisica presenza in università o in ospedale, ma anche il tempo per la ricerca, lo studio, i contatti con allievi (per i docenti o i medici) rientranti anch'esse, come "energie lavorative", nel remunerato rapporto di lavoro a tempo pieno con la P.A.; b) il danno da violazione dell'art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165, riguarda invece il mancato versamento spontaneo al datore di somme che, a titolo sanzionatorio, il legislatore ha posto a carico di dipendenti che espletino attività extralavorative non autorizzate o non autorizzabili.

La evidente diversità etiologica e teleologica tra le due voci di danno, ne consente la corretta cumulativa reclamabilità da parte della Procura.

Ciò chiarito, va in primis analizzato l'importo per le maggiorazioni stipendiali non prescritte (v. supra sub 6.1.) percepite dal prof. S. dal 3 gennaio 2014 al 9 febbraio 2016 quale docente universitario a tempo pieno rispetto a quelle spettantegli nel pertinente regime a tempo definito, unico a consentire l'espletamento, per qualsiasi professore universitario (ivi compresi quelli di medicina), di attività libero professionale. Tale importo, sulla base dei conteggi in atti (pag. 11 citaz. e doc. 7 Procura, fondata sui rilievi critici di parte convenuta all'invito a dedurre), è stato concordemente quantificato dalle parti in causa nei seguenti importi lordi: - Anno 2014 differenza retributiva totale pari a euro 31.860,66 - Anno 2015 differenza retributiva totale pari a euro 31.860,66 - Anno 2016 differenza retributiva totale pari a euro 32.207,47, per un totale di euro 95.928,79.

La seconda voce di danno ex art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001 va invece determinata, sempre secondo la documentazione in atti, ovvero le fatture per attività extramoenia emesse dal 2014 al 2016 dal convenuto (doc. 6 Procura con CD della GdF), in euro 330.869,20 (anno 2014, 864 ricevute totale euro 158.940,20; anno 2015, 820 ricevute totale euro 161.743,00; anno 2016, 50 ricevute totale euro 10.186,00).

8. Si giunge così alla somma di euro 95.928,79 + 330.869,20 per un totale di euro 426.797,99, calcolata tuttavia dalla Procura al lordo e non al netto delle ritenute fiscali e previdenziali, come invece già chiarito da pregressi e più condivisibili (rispetto a minoritari[e] avverse pronunce: Sez. II app., nn. 86, 260 e 412 del 2019; Sez. III app., nn. 216 e 230 del 2019) indirizzi di questa Corte e del giudice ordinario e amministrativo che ben valorizzano l'avvenuto introito da parte di altre amministrazioni pubbliche (fiscali e previdenziali) di quota parte degli incassi del convenuto (v. Cass., Sez. lav., 2 febbraio 2012, n. 1464 e id., 25 luglio 2018, n. 19735; C.d.S., Sez. III, 4 luglio 2011, n. 3984; C.d.S., Sez. VI, 2 marzo 2009, n. 1164; TAR Toscana, Sez. I, 22 giugno 2017, n. 858; TAR Lombardia, Sez. IV, 7 marzo 2013, n. 614; C. conti, Sez. III, 27 marzo 2014, n. 167, e n. 273 del 6 maggio 2014; Sez. Toscana, 8 settembre 2014, n. 159; Sez. Lazio, n. 897 del 16 dicembre 2013; Sez. Lombardia, 25 novembre 2014, n. 216, 30 dicembre 2014, n. 233 e 16 aprile 2015, n. 54; Sez. Lombardia, 14 dicembre 2016, n. 214; Sez. Puglia, n. 91/2018; Sez. Lombardia, n. 274/2019; Sez. Lombardia, 7 maggio 2019, n. 94; Sez. I app., nn. 150 e 271 del 2019; id., Sez. Lombardia, 3 febbraio 2020, n. 11). E tale indirizzo ha di recente ricevuto avallo ad opera dell'art. 150 d.l. 19 maggio 2020, n. 34 convertito con modificazioni dalla l. 17 luglio 2020, n. 77 (c.d. decreto rilancio). A tale indirizzo intende questa Sezione rifarsi, in attesa di un autorevole pronunciamento delle Sezioni Riunite di recente adite da C. conti, Sez. I app., 16 luglio 2020, n. 18/ord.

9. Orbene, tenuto conto della qualifica elevata del prof. S. e del connesso non minimale trattamento economico da professore e degli innalzamenti di aliquote legate al fatturato extralavorativo, può ragionevolmente presumersi ed equitativamente determinarsi, anche sulla base dei conteggi prospettati dalla difesa in comparsa di costituzione e non contestati, una aliquota fiscale apicale (i connessi contributi previdenziali non possono invece essere valutati, in quanto rappresentano vantaggio futuro per il convenuto) quantificabile nel 43%, che va ad intaccare il suddetto importo lordo di euro di euro 426.797,99, giungendosi ad euro 243.274,86 netti.

Su tale somma è esercitabile, più che un moderato potere riduttivo dell'addebito, un più pertinente scomputo del rilevante contributo concausale dato in modo paritetico all'evento dagli statici vertici (Rettore e dirigenti del settore risorse umane, in primis) dell'Università di Brescia, essendo evidente come un medico, quale è il prof. S., pur in colpa grave, potesse non aver sicura conoscenza del quadro normativo che, invece, i vertici della sua Università dovevano ben conoscere e dovevano far meglio conoscere ai propri docenti con idonee circolari e, soprattutto, con doverose verifiche sulle (chiarissime) dichiarazione reiteratamente inviate dal S., sugli incarichi in corso di espletamento o espletati (verifiche mai svolte), che avrebbero impedito il protrarsi della pluriennale attività contra legem del convenuto.

La somma di euro 243.274,86 va dunque rideterminata in complessivi euro 121.637,43 (il residuo 50% è quota parte ascrivibile ai vertici universitari all'esito di eventuale attivabile giudizio) ad oggi già rivalutati, oltre interessi legali dal deposito della sentenza al saldo effettivo, al cui pagamento a favore dell'Università di Brescia va condannato il convenuto.

Il convenuto va condannato anche alle spese di lite, liquidate come da dispositivo.

10. Da ultimo la Sezione, a fronte di spunti offerti dalla difesa in pubblica udienza, ribadisce quanto già affermato dalla Sez. I app., 2 settembre 2020, n. 234 in sintonia con la dottrina ad oggi espressasi, ovvero che l'art. 21 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76 (misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale), in vigore dal 17 luglio 2020, e convertito in l. 11 settembre 2020, [n.] 120, nel limitare temporalmente la responsabilità amministrativo-contabile alle sole condotte dolose commissive dei pubblici dipendenti, ha natura sostanziale, quale "norma sulla prova" dell'elemento psicologico (in terminis sulla natura sostanziale delle norme sulla prova cfr. Cass., Sez. un., 4 febbraio 2000, n. 1247; id., Sez. lav., 19 marzo 2014, n. 6332). Essa non trova dunque applicazione nel caso in esame, a fronte di fatti dannosi ben anteriori al 17 luglio 2020 (tra l'altro il fatto sub iudice è connotato non già da condotta commissiva, ma da condotta omissiva consistente nel non aver riversato spontaneamente somme dovute all'università di Brescia). Del resto, il testo chiarissimo del precetto nella sua portata temporale e la ratio della norma, desumibile dal contesto in cui si colloca e dai lavori preparatori, evidenziano la palese finalità (che presenta però molti profili di irragionevolezza e contraddittorietà da rimettere alla Consulta in pertinenti contenziosi) di tutela dei dipendenti pubblici nel loro sereno agere post Covid19: il testo limitativo, eloquentemente definito "scudo erariale", non può dunque riguardare fatti assai pregressi e risalenti non connessi a periodi di pandemia, quali quelli sub iudice.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia, definitivamente pronunciando, condanna S. Enrico, [omissis], al pagamento a favore dell'Università di Brescia, della somma ad oggi già rivalutata di euro 121.637,43, oltre interessi legali dal deposito della sentenza al saldo effettivo. Condanna il convenuto al pagamento delle spese di lite, quantificate in euro 355,38 (trecentocinquantacinque/38).

L. Iacobellis

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