Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 6 novembre 2020, n. 6834

Presidente: Maruotti - Estensore: Conforti

FATTO E DIRITTO

1. La presente vicenda riguarda la domanda risarcitoria proposta da un imprenditore, gestore di un impianto di distribuzione di carburante, il quale lamenta di aver subito un ingente danno patrimoniale a causa della chiusura della strada su cui è ubicato l'impianto in questione, disposta per lo svolgimento di alcuni lavori di realizzazione di opere fognarie nell'ambito del territorio del Comune di San Valentino Torio.

2. La società ha dapprima proposto la domanda risarcitoria innanzi al Tribunale civile, per poi riassumerla innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione distaccata di Salerno, successivamente alla declaratoria di difetto di giurisdizione pronunciata dal giudice civile.

3. Innanzi al Tribunale amministrativo regionale, l'interessato ha nuovamente domandato il risarcimento dei mancati guadagni derivanti dalla chiusura della strada provinciale.

3.1. La società ha quantificato il lucro cessante in base alle somme incassate nell'anno precedente, per come risultanti dal relativo bilancio, domandando, in subordine, una valutazione equitativa del danno subito, indicando quale possibile criterio di riferimento le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio depositata agli atti del giudizio civile.

3.2. Si sono costituite in giudizio le amministrazioni intimate, la Provincia di Salerno, il Comune di San Valentino Torio e l'Arcadis, le quali hanno domandato la reiezione del ricorso.

3.3. Il Tribunale amministrativo ha respinto la domanda risarcitoria, evidenziando, in linea generale, che non sono risultati provati i presupposti applicativi della fattispecie risarcitoria.

La sentenza si è poi soffermata nell'evidenziare che non vi è stata alcuna deduzione sull'illegittimità dei provvedimenti che hanno disposto la chiusura della strada; che la loro mancata impugnazione è di tutto rilievo da un punto di vista causale nella verificazione del danno, sino a potersi ritenere che la loro tempestiva (ed eventualmente fondata) impugnazione avrebbe potuto evitare del tutto le conseguenze dannose lamentate in ricorso; che neppure può fondatamente sostenersi la violazione degli obblighi di correttezza e buona fede da parte del Comune.

4. La società titolare dell'impianto di distribuzione carburanti ha proposto appello avverso la pronuncia di primo grado.

4.1. Con un articolato motivo di impugnazione, l'appellante ha censurato la sentenza di primo grado, evidenziando che "l'antigiuridicità del comportamento delle Amministrazioni resistenti non derivasse, nella prospettazione di parte appellante, dall'illegittimità dei singoli provvedimenti di divieto di circolazione su via Vetice, ma dalla complessiva abnorme durata del periodo di chiusura dell'asse viario e dal mancato ripristino delle normali condizioni del manto stradale negli intervalli tra una chiusura e l'altra, oltre che dall'illegittimo prolungamento dei giorni di chiusura al di là dei limiti temporali delle singole ordinanze".

5. Si sono costituiti in giudizio la Provincia di Salerno, il Comune di San Valentino Torio e l'Arcadis, resistendo all'appello.

6. Le parti hanno illustrato le proprie difese con ulteriori scritti difensivi.

7. All'udienza del 22 ottobre 2020, la causa è stata trattenuta a sentenza.

8. Con l'odierno appello, la società in epigrafe censura la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania n. 1006 del 14 giugno 2019, deducendo di aver subito un consistente danno patrimoniale non a causa "dell'illegittimità dei singoli provvedimenti", bensì a causa della "complessiva abnorme durata del periodo di chiusura dell'asse viario", del "mancato ripristino delle normali condizioni del manto stradale" e, infine, dell'"dell'illegittimo prolungamento dei giorni di chiusura al di là dei limiti temporali delle singole ordinanze".

9. Va preliminarmente rilevato che, così come evidenziato dalla Provincia di Salerno, l'appellante ha parzialmente mutato la causa petendi posta a sostegno della domanda risarcitoria, poiché ha individuato, quale ulteriore fatto scaturigine del danno, il prolungamento della chiusura stradale disposta con i provvedimenti via via adottati dall'amministrazione comunale oltre i termini indicati nei singoli atti.

9.1. Si tratta a ben vedere di una circostanza non dedotta in tal modo nel corso del giudizio di primo grado, ove il danno è stato ancorato, esclusivamente, all'asserita eccessiva durata dei lavori e, al contempo, al mancato ripristino delle ottimali condizioni del manto stradale.

9.2. Essendo, dunque, quello allegato, un fatto nuovo, esso non può essere tenuto in considerazione e valutato da questo Giudice di ultimo grado, in applicazione del chiaro disposto dell'art. 104 c.p.a. che prevede che "Nel giudizio di appello non possono essere proposte nuove domande, fermo quanto previsto dall'art. 34, comma 3, né nuove eccezioni non rilevabili d'ufficio".

9.3. Secondo l'orientamento consolidato di questo Consiglio, "Nell'ambito di un giudizio amministrativo d'appello la parte processuale non può introdurre nuove domande processuali, caratterizzate da un nuovo o mutato petitum oppure da una nuova o mutata causa petendi che determinino una nuova o mutata richiesta giudiziale ovvero nuovi o mutati fatti costitutivi della pretesa azionata" (C.d.S., Sez. VI, 29 gennaio 2020, n. 714).

9.4. Va dunque accolta l'eccezione di inammissibilità formulata dalla Provincia.

10. In ragione dell'inammissibilità dichiarata, il danno ingiusto lamentato dall'appellante sarebbe derivato dalle seguenti condotte:

a) la "complessiva abnorme durata del periodo di chiusura dell'asse viario";

b) il "mancato ripristino delle normali condizioni del manto stradale".

11. Individuato così il titolo della pretesa risarcitoria, il Collegio può procedere alla disamina della domanda risarcitoria riproposta in appello, mediante l'impugnazione della sentenza di prime cure e la critica della sua motivazione.

12. L'appello è infondato.

13. Quanto alla prima delle due condotte asseritamente determinative del danno patrimoniale occorso, va evidenziato che "l'abnormità" del periodo di chiusura dell'asse viario è genericamente dedotta da parte della società appellante.

13.1. Né la citazione innanzi al Tribunale di Napoli, né il ricorso in riassunzione innanzi al T.a.r. Campania - Salerno, né, infine, l'appello spiegano le ragioni per le quali, in relazione ai lavori compiuti e relativi alla realizzazione di opere della rete fognaria, la chiusura sarebbe stata abnorme e non, invece, commisurata e congrua rispetto al tempo effettivamente necessario alla realizzazione di tali opere per la realizzazione delle quali la chiusura della strada è stata disposta.

13.2. Relativamente a questo profilo risulta pienamente condivisibile e corretto l'assunto del Giudice di primo grado, quando evidenzia che, in ragione della mancata impugnazione dei provvedimenti disponenti la chiusura della strada e in considerazione della mancata deduzione di qualsivoglia profilo di illegittimità di tali provvedimenti fatto valere nel giudizio risarcitorio, la condotta comunale di interdizione della strada su cui è collocato l'impianto di distribuzione del gas non può essere qualificata da parte dell'organo giudicante come antigiuridica, essendo legittimi i provvedimenti di chiusura dell'asse viario, sia singolarmente che complessivamente considerati.

Il danno eventualmente scaturente dalla lamentata condotta, di conseguenza, non può essere qualificato come "ingiusto", venendo così meno un elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità.

13.3. Va dunque confermata la motivazione della sentenza di primo grado, relativamente a questi profili.

14. L'ulteriore asserita concausa del danno lamentato è individuata dalla società appellante dal "mancato ripristino delle normali condizioni del manto stradale" o, come dedotto in primo grado, dalla negligenza degli enti, i quali non avrebbero vigilato sul corretto e tempestivo svolgimento dei lavori e sul disastroso stato della viabilità stradale scaturente dalla loro esecuzione.

Relativamente a tale deduzione, va dichiarata l'infondatezza della pretesa azionata nei confronti delle amministrazioni intimate nel presente giudizio.

14.1. Premesso che non è stata prospettata l'insussistenza della giurisdizione amministrativa nel corso dei due gradi del giudizio (sicché non va effettuata in questa sede alcuna disamina al riguardo), con riferimento alla domanda dell'appellante va rilevato che la condotta individuata come antecedente causale del danno consiste infatti, a ben vedere, in una doglianza che investe, principalmente, le modalità con le quali sono stati effettuati i lavori sulle aree interdette alla viabilità ordinaria.

14.2. Una simile deduzione, tuttavia, in tutta evidenza, individua quale soggetto danneggiante chi ha effettuato materialmente i lavori che hanno interessato (anche) il fondo stradale che si assume essere stato danneggiato e mai ripristinato, con conseguente calo della viabilità della strada lungo la quale è situato l'impianto di erogazione di carburante.

14.3. Giova evidenziare che per consolidato e risalente orientamento della giurisprudenza "In tema di appalto, solo l'appaltatore deve ritenersi responsabile dei danni cagionati a terzi dall'esecuzione dell'opera, potendosi eccezionalmente configurare una corresponsabilità del committente nel caso di specifica violazione da parte sua di regole di cautela nascenti ex art. 2043 c.c. ovvero quando l'evento dannoso gli sia addebitabile a titolo di culpa in eligendo, per avere affidato l'opera ad impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche ed organizzative" (Cass. civ., Sez. III, 26 marzo 2009, n. 7356; cfr., di recente, Cass. civ., Sez. III, ord. 29 ottobre 2019, n. 27612; Sez. III, ord. 24 aprile 2019, n. 11194; Sez. II, 25 gennaio 2016, n. 1234).

14.4. Non può neppure prospettarsi una culpa in vigilando delle amministrazioni intimate, come pure sostenuto espressamente sia nel ricorso di primo grado, sia nell'appello, sia, infine, nella memoria di replica del 12 aprile 2019.

Come rilevato dalla Corte di cassazione "La possibilità che il committente risponda sulla base dell'art. 2043 c.c. per la violazione di regole di cautela non determina, peraltro, un obbligo generale di supervisione a suo carico sull'attività dell'appaltatore che il terzo danneggiato possa comunque far valere nei suoi confronti, poiché la funzione di controllo è assimilabile a un potere che può essere riconosciuto nei rapporti interni fra committente e appaltatore, in correlazione alla riduzione o eliminazione della sfera di autonomia decisionale dell'appaltatore, e solo eccezionalmente può assumere rilevanza nei confronti dei terzi. Un dovere di controllo di origine non contrattuale gravante sul committente al fine di evitare che dall'opera derivino lesioni del principio del neminem laedere può essere, difatti, configurato solo con riferimento alla finalità di evitare specifiche violazioni di regole di cautela" (Cass. civ., Sez. 3, 1° giugno 2006, n. 13131).

Nella vicenda in esame, l'appellante non ha allegato alcuna specifica violazioni di regole cautelari, di talché anche la sussistenza della violazione di un preteso obbligo di vigilanza si appalesa infondata.

14.5. Non supporta le deduzioni dell'appellante l'orientamento per il quale "gli specifici poteri di autorizzazione, controllo ed ingerenza della pubblica amministrazione nella esecuzione dei lavori, con la facoltà, a mezzo del direttore, di disporre varianti e di sospendere i lavori stessi, ove potenzialmente dannosi per i terzi, escludono ogni esenzione da responsabilità per l'ente committente (in proposito si vedano, tra le altre, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 13266 del 5 ottobre 2000, Rv. 540762-01; Sez. 3, Sentenza n. 4591 del 22 febbraio 2008, Rv. 601941-01; Sez. 3, Sentenza n. 10588 del 23 aprile 2008, Rv. 603248-01; Sez. 6-3, Ordinanza n. 1263 del 27 gennaio 2012, Rv. 620509-01)" (Cass. civ., Sez. III, 28 settembre 2018, n. 23442).

14.6. Va rilevato, infatti, in linea generale, che anche nell'appalto privato, il committente dispone di un generale potere di controllo dello svolgimento dei lavori a regola d'arte, disciplinato dall'art. 1662 c.c., che consente di intimare all'appaltatore di conformarsi alle condizioni stabilite dal contratto o alle leges artis, pena lo scioglimento dal contratto, senza che questo si rifletta sul normale riparto delle responsabilità nei confronti dei terzi.

14.7. Va evidenziato, inoltre, che, anche laddove si volesse ritenere sussistente un dovere di vigilanza in capo all'amministrazione-committente rispetto all'impresa appaltatrice dei lavori, ciò non determinerebbe un'inversione dell'onere probatorio, come contrariamente dedotto dall'appellante nella memoria di replica del 30 settembre 2020, poiché l'eventuale responsabilità per la violazione del suddetto obbligo rimarrebbe disciplinata secondo il paradigma giuridico delineato dall'art. 2043 c.c., con conseguente incombenza dell'onere probatorio degli elementi costitutivi della fattispecie in capo al danneggiato.

14.7.1. Nel caso, in esame, tale onere non può dirsi compiutamente assolto, relativamente ai profili inerenti alle precarie condizioni della sede stradale, contestati, specificamente, dall'Arcadis con la memoria del 22 gennaio 2020 nel presente giudizio (cfr. pag. 5) e, prima ancora, con la comparsa di risposta depositata innanzi al Tribunale di Napoli (cfr. pag. 5) e richiamata nella memoria difensiva depositata dall'Ente nel giudizio innanzi al T.a.r.

15. Alla luce delle esposte motivazioni, il Collegio ritiene che (non essendo rilevanti in questa sede possibili profili di difetto di giurisdizione) vada confermata la sentenza di primo grado che ha respinto la domanda risarcitoria per non essere stati provati gli elementi costitutivi dell'illecito da parte dell'odierna appellante.

16. Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) - definitivamente pronunciando sull'appello n.r.g. 56 del 2020 - lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado.

Condanna l'appellante alla rifusione delle spese del giudizio di appello che liquida, in favore del Comune, in euro 3.000,00 (tremila/00), in favore della Provincia, in euro 1.000,00 (mille/00), in favore dell'Arcadis, in euro 1.000,00 (mille/00), oltre agli accessori di legge, se dovuti, per ciascuna delle parti (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

M. Marazza

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