Corte dei conti
Sezione I centrale d'appello
Sentenza 2 dicembre 2020, n. 333

Presidente ed Estensore: Lasalvia

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di appello notificato in data 13 maggio 2019 l'appellante si duole della epigrafata decisione con la quale la Sezione territoriale l'ha condannato - in qualità di direttore generale pro-tempore dell'Agenzia regionale per le attività irrigue e forestali (ARIF) - al pagamento in favore dell'Ente dell'importo di euro 28.485,60, oltre rivalutazione, interessi e spese di giudizio, per l'affidamento di incarichi di consulenza disposti dal 2013 al 2015 in difetto dei presupposti di legge.

Occorre premettere che, con atto di citazione depositato il 25 luglio 2018, la Procura Regionale della Corte dei conti per la Puglia aveva convenuto in giudizio T. Giuseppe Maria, quale direttore generale pro-tempore dell'Agenzia regionale delle attività irrigue e forestali per la Regione Puglia (ARIF), per sentirlo condannare al risarcimento del danno di euro 64.396,80 oltre a rivalutazione monetaria e interessi di legge, a cagione di incarichi di consulenza legale dallo stesso affidati a soggetti esterni all'Ente asseritamente in violazione di legge.

Secondo quanto riportato in citazione, gli incarichi si sarebbero rivelati dannosi in quanto conferiti senza che ricorressero i presupposti normativi di cui all'art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, atteso che essi risultavano sostanzialmente immotivati e generici e con delibere di conferimento reiterate a fronte di procedure del tutto irregolari.

In particolare, la Procura regionale aveva fatto riferimento alle deliberazioni n. 218 del 16 luglio 2013, n. 170 del 26 giugno 2014 e n. 195 del 23 luglio 2015 con le quali il T. aveva affidato negli anni dal 2013 al 2015, senza soluzione di continuità, incarichi di consulenza legale all'avv. Antonio C. per esperire attività legale di carattere stragiudiziale e garantire la rappresentanza dell'ente in sede di eventuali e non meglio definiti procedimenti che lo vedessero parte in causa. Il Requirente aveva riferito inoltre che l'affidamento di consulenze a favore dell'avv. C. risaliva all'anno 2010 e che, in relazione ad un precedente giudizio riguardante proprio alcuni di tali incarichi, la Sezione territoriale aveva già condannato l'odierno appellante al risarcimento del danno stante l'assoluta genericità degli incarichi conferiti, a titolo di colpa grave. Di conseguenza, anche per il triennio 2013/2015, la Procura aveva contestato al T. l'affidamento della medesima tipologia di incarichi per i quali non veniva esplicitato alcunché in ordine alle problematiche sottese alla attività stragiudiziale da porre in essere, né tantomeno in ordine alle diffide o istanze presentate all'ente idonee a dar vita a futuri contenziosi.

Con la sentenza in epigrafe, la Sezione regionale ha censurato l'indebito affidamento all'avv. C. - mediante le deliberazioni n. 218 del 16 luglio 2013, n. 170 del 26 giugno 2014 e n. 195 del 23 luglio 2015 - di incarichi, ciascuno per la durata di un anno, aventi ad oggetto attività di assistenza e consulenza legale stragiudiziale di contenuto assolutamente generico in violazione della disposizione di cui all'art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001.

Per tali fatti il quantum risarcibile è stato determinato in via equitativa in euro 28.485,60, pari alla metà dei compensi effettivamente corrisposti al consulente, tenuto conto dei vantaggi conseguiti dall'ARIF dalle prestazioni rese dal C.

Avverso la predetta decisione, il T. ha interposto appello a mezzo del proprio legale, avv. Saverio Sticchi Damiani, presso il cui studio in Roma, Piazza San Lorenzo in Lucina n. 26 ha eletto domicilio, sulla scorta dei seguenti motivi di diritto:

- "erroneità della sentenza appellata nelle parti in cui la Corte ha ritenuto illegittimo il conferimento degli incarichi esterni all'avv. C. e, per l'effetto, accertata la responsabilità erariale per colpa grave dell'avv. Giuseppe M. T., in qualità di direttore generale p.t. di ARIF, ha condannato il medesimo al pagamento dell'importo di euro 28.485,60, oltre rivalutazione e interessi, nonché al pagamento delle spese di giustizia - errata valutazione dell'elemento soggettivo ed errata valutazione del pregiudizio patrimoniale semmai arrecato - errata ed omessa valutazione degli elementi istruttori - vizio di motivazione - in subordine: erronea mancata applicazione del potere riduttivo".

Secondo l'appellante, la sentenza sarebbe erronea per la parte in cui, da un lato, ha ritenuto gli incarichi connotati da estrema genericità nella delimitazione delle prestazioni professionali richieste al consulente; dall'altro, ha espresso il convincimento che le prestazioni svolte dai professionisti avrebbero potuto essere assicurate dall'Avvocatura regionale della Regione Puglia ai sensi della l.r. n. 18/2006.

Ad avviso dell'appellante, invece, i provvedimenti con cui sono stati attribuiti gli incarichi erano tutt'altro che aspecifici ed ingiustificati, perché in essi si era dato espressamente atto di come l'Agenzia, sprovvista al suo interno di una struttura burocratico-legale, si fosse trovata nella necessità di avvalersi di una specifica "consulenza giuridica per l'attività stragiudiziale, nonché per la costituzione in giudizio nei procedimenti in cui la stessa Agenzia era parte". Nei rispettivi contratti sottoscritti con il professionista venivano altresì specificati i compiti richiesti (istruttoria delle pratiche pendenti, assistenza e consulenza legale stragiudiziale mediante pareri scritti). Il tutto non senza considerare che il primo giudice avrebbe ingiustificatamente omesso di considerare che l'Agenzia, di recente istituzione, si era vista "scaricare" dalla Regione Puglia "una ingente mole di fascicoli (circa 300) riguardanti diversificate vicende giudiziali e stragiudiziali", per cui il direttore pro-tempore, onde evitare di incorrere in decadenze "e/o rischiare l'avvio di contenziosi in caso di mancata risposta su istanze pervenute, nonché comunque avviare l'attività dell'Agenzia, anche nella gestione del personale ivi transitato cui larga parte di detti fascicoli afferivano", non avrebbe potuto che "dotarsi, senza indugio, di adeguate professionalità dall'esterno, essendone l'ARIF sprovvista". Parimenti erroneo il riferimento alla l.r. n. 18/2006 riguardo la possibilità per ARIF di farsi assistere dall'Avvocatura regionale della Regione Puglia; il contenuto di note ufficiali di riscontro formulate dal Responsabile dell'Avvocatura regionale fanno emergere un diniego assoluto rispetto a qualsivoglia richiesta di assistenza da parte dell'ARIF.

Infine, difetta nella fattispecie l'elemento materiale ed oggettivo della responsabilità caratterizzato dal danno erariale certo, attuale ed economicamente valutabile, atteso che addirittura l'Agenzia avrebbe ottenuto un risparmio di spesa rispetto al dover assumere, anche a tempo determinato, un funzionario amministrativo con profilo legale.

L'appellante ha, pertanto, chiesto che la sentenza impugnata venga annullata e/o riformata, con una pronuncia di proscioglimento dagli addebiti formulati. Il tutto invocando, in via subordinata, l'esercizio del potere riduttivo sulla condanna inflitta, anche in via equitativa, in considerazione delle argomentazioni difensive esposte.

Con atto ritualmente depositato il 18 maggio 2020 ha rassegnato le proprie conclusioni il Procuratore generale che, in opposizione al gravame, ne ha dedotto l'infondatezza e chiesto la reiezione, con integrale conferma della sentenza impugnata e condanna dell'appellante alle spese del grado.

In udienza le parti hanno esposto gli scritti in atti e ne hanno chiesto l'accoglimento.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L'appello del sig. T. mira alla riforma della decisione impugnata che lo ha riconosciuto responsabile del danno connesso al conferimento di un incarico di assistenza e consulenza legale stragiudiziale a professionista esterno all'amministrazione, in difetto dei presupposti di legge per un importo di euro 28.485,60.

Con l'unico, articolato motivo di gravame, l'appellante contesta l'erroneità della decisione impugnata laddove ha ritenuto che gli incarichi sono stati connotati da estrema genericità e, comunque, tali da non evidenziare prestazioni che non potessero essere assicurate dall'Avvocatura regionale.

L'appello è infondato per quanto di ragione.

In proposito occorre premettere che la materia degli incarichi a consulenti esterni alla pubblica amministrazione risulta disciplinata dall'art. 7, comma 6, del d.lgs. 30 marzo 2011, n. 165, a norma del quale, nella formulazione ratione temporis applicabile al caso in esame, "Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:

a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;

b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;

d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione".

La giurisprudenza contabile e, segnatamente, quella delle Sezioni centrali d'appello (cfr. ex plurimis, Sez. II d'appello, sent. n. 625 del 2018 e sent. n. 327/2019, per affidamenti all'esterno di incarichi di consulenza analoghi a quelli in esame), si è espressa nel senso che detta disciplina si inserisce in un contesto nel quale le amministrazioni pubbliche hanno l'obbligo di svolgere i compiti istituzionali avvalendosi di personale interno, essendo tale regola espressione del principio costituzionale di buon andamento dell'azione amministrativa anche, e soprattutto, sotto il profilo dell'economicità della stessa.

In quest'ottica, gli incarichi di consulenza a soggetti esterni possono sì rappresentare un'opzione operativa percorribile, ma a condizione che ricorrano specifiche situazioni, ovvero: la carenza organica che impedisca, o renda oggettivamente difficoltoso, l'esercizio di una determinata funzione, da accertare per mezzo di una reale ricognizione condotta sulle professionalità in servizio; la complessità dei problemi da risolvere, che richiedano conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale interno; l'indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell'incarico e la sua durata; la proporzione fra il compenso corrisposto al soggetto incaricato e l'utilità conseguita dall'Amministrazione. Tali condizioni, che per la giurisprudenza citata costituiscono altrettanti presupposti di legittimità, non solo devono coesistere, ma devono anche essere logicamente esplicitati nel provvedimento amministrativo di conferimento, in quanto indefettibilmente concorrenti a costituirne il supporto motivazionale.

Infatti, pur con l'ovvia precisazione che un profilo di illegittimità formale non possa di per sé costituire fonte di danno erariale, non si può tuttavia revocare in dubbio che, soprattutto in una materia quale quella in esame in cui la condotta da osservare risulta delineata da ristretti ambiti normativi, l'assenza di questo o quel presupposto di legittimità del provvedimento appare chiaramente sintomatica di un comportamento contrario, o quantomeno non in linea, con il modello legale della corretta gestione amministrativa (Sez. III d'appello, sent. n. 347/2018).

Con tali precisazioni, si deve, pertanto, in fattispecie osservare che i giudici di prime cure hanno correttamente evidenziato che le deliberazioni n. 218/2013, n. 170/2014 e n. 195/2015 con le quali il T. aveva affidato all'avv. C., negli anni dal 2013 al 2015, incarichi di consulenza legale, erano del tutto carenti dei requisiti della particolarità e specificità dell'incarico e della previa verifica d'inesistenza di apposite professionalità all'interno dell'Ente.

Con dette deliberazioni, l'appellante ha conferito al professionista negli anni, senza soluzione di continuità, l'incarico di consulenza per esperire attività legale di carattere stragiudiziale e garantire la rappresentanza dell'ente in sede di eventuali e non meglio definiti procedimenti che lo vedessero parte in causa. Come si può osservare, pur in disparte tutte le altre condizioni delineate dall'art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, si deve, dunque, ragionevolmente riconoscere la estrema genericità della prestazione richiesta e la conseguente assenza di uno specifico oggetto su cui si sarebbe dovuta svolgere l'attività di consulenza legale; in aggiunta, occorre osservare che nelle citate deliberazioni, al di là del generico riferimento al fatto che l'agenzia fosse sprovvista di una "struttura burocratico-legale", nessun'altro elemento è stato obiettivamente indicato a giustificazione dell'incarico a soggetto del quale, non meno genericamente, veniva asserita l'"esperienza e la specializzazione posseduta" senza, però, spiegare in quale campo giuridico-legale, e attraverso quale percorso professionale, tale esperienza fosse stata maturata.

In ogni caso, il contenuto degli incarichi era talmente generico e privo di concretezza e specificità - come risulta per tabulas - tanto da dover essere considerati alla stregua degli ordinari compiti istituzionali affidati ex lege all'Agenzia regionale per le attività irrigue e forestali della Puglia (ARIF) e che dunque potevano e dovevano essere espletati dai rispettivi dipendenti senza necessità alcuna di una "esternalizzazione".

Peraltro, il T. era stato già condannato con sentenza della stessa Sezione giurisdizionale della Puglia n. 579/2017, confermata con sentenza della Seconda Sezione giurisdizionale di appello n. 327/2019, per affidamenti all'esterno di incarichi di consulenza anche legale, analoghi a quelli in esame.

L'appellante ha confutato tale impostazione facendo leva sia sulla ingente mole di giudizi (circa 300 fascicoli di contenzioso giuslavoristico) "scaricati" dalla Regione Puglia alla neocostituita Agenzia, sia sul fatto che l'Avvocatura regionale avesse "declinato" la propria disponibilità a svolgere le prestazioni consulenziali e di assistenza legale richieste dal T.

Sia l'uno che l'altro profilo di censura non sono meritevoli di condivisione.

Riguardo al primo è sufficiente osservare che, pur se ingente, la quantità di lavoro che un ufficio pubblico è chiamato a svolgere non può ex se giustificare il ricorso a collaborazioni esterne, se, oltre al numero dei fascicoli da trattare, non si evidenzino profili di complessità tecnica, tali da richiedere l'intervento di competenze professionali non presenti all'interno dell'amministrazione.

Come ben evidenziato dai giudici di primo grado con l'impugnata sentenza e dai giudici di appello per fattispecie analoga, nessun valore può attribuirsi al secondo profilo di censura, legato alla "impossibilità per l'Avvocatura di fare fronte alle attività di supporto consulenziale e giudiziale di cui necessita Arif", in quanto nello specifico non si è trattato di portare a compimento un'attività di particolare straordinarietà e complessità alla luce dell'estrema vaghezza degli incarichi.

Nel caso in esame, si deve ragionevolmente riconoscere l'estrema genericità della prestazione richiesta e la conseguente assenza di uno specifico oggetto su cui si sarebbe dovuta svolgere l'attività di esperto legale.

In aggiunta, occorre osservare che, al di là del generico riferimento al fatto che l'Agenzia fosse sprovvista di una struttura burocratico-legale, non è esplicitato alcunché in ordine alle problematiche sottese all'attività da porre in essere.

Nel considerare, dunque, esente da censure la motivazione del giudice di prime cure, per la quale le prestazioni contestate avrebbero potuto bene essere assicurate dall'avvocatura regionale, posto che, a norma dell'art. 1, comma 3, della l.r. n. 18/2006, detto ufficio "esprime pareri e svolge consulenza legale, oltre che alla Presidenza della Regione, al Consiglio, alla Giunta e agli Assessorati regionali, anche agli enti strumentali della Regione, quale si configura appunto l'Agenzia Regionale per le Attività Irrigue e Forestali (ARIF)", è bene evidenziare che gli atti di conferimento in esame non recano alcun criterio per addivenire alla quantificazione dei compensi e che gli stessi sono stati adottati, senza soluzione di continuità, in violazione del divieto di rinnovo degli incarichi, posto dall'art. 7, comma 6, lett. c), in base a finalità imprecisate e generiche, oltre che in assenza di congrui parametri di riferimento per la definizione dei compensi.

Correttamente, i giudici di prime cure hanno, dunque, ravvisato nella condotta osservata dal T. l'elemento soggettivo della colpa grave per aver egli agito in spregio alle più elementari regole dell'agire amministrativo, ed hanno tuttavia tenuto conto, nella definizione del quantum risarcibile, degli eventuali vantaggi conseguiti dall'ARIF dalle prestazioni rese dal C. (art. 1, comma 1-bis, l. 14 gennaio 1994, n. 20, aggiunto dall'art. 3 d.l. 23 ottobre 1996, n. 543).

Conclusivamente, ritiene il Collegio che l'appello proposto dal sig. T. sia privo di fondamento e che, pertanto, debba essere respinto.

Sono poste a carico del soccombente le spese di giudizio ex art. 31 c.g.c.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Prima Giurisdizionale Centrale d'Appello, disattesa ogni contraria istanza, eccezione o deduzione, definitivamente pronunciando, rigetta l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia n. 127/2019.

Condanna l'appellante alle spese del presente grado di giudizio che liquida in euro 80,00 (ottanta/00).

Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.

V. De Gioia

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