Corte dei conti
Sezione I centrale d'appello
Sentenza 12 marzo 2021, n. 73

Presidente: Chiappiniello - Estensore: Grasso

FATTO

Con l'odierno appello la Procura regionale ha impugnato l'epigrafata sentenza nella parte in cui la Sezione emiliana ha dichiarato nulla l'azione proposta per il risarcimento del danno all'immagine asseritamente causato dal Sig. S. Ivan.

Riferiva la Procura che con atto di citazione era stato chiesto il risarcimento del danno cagionato dall'odierno appellato dipendente della A.U.S.L. e Direttore di area complessa del Reparto Chirurgia Generale del Presidio Ospedaliero Stabilimento di Pavullo nel Frignano (MO).

In particolare, al sunnominato veniva contestato il reiterato allontanamento ingiustificato dal posto di lavoro fra il gennaio 2010 ed il giugno 2015 senza aver effettuato le previste ore settimanali per la percezione degli emolumenti stipendiali mediante alterazione della registrazione dell'orario di uscita meglio descritte nella sentenza impugnata (pag. 3-4).

A seguito del procedimento penale instaurato, corroborato anche da attività di indagine della Guardia di Finanza, il S. è stato condannato dal Tribunale di Modena con sentenza n. 1545 del 26 settembre 2018 per i reati di cui agli artt. 640, comma 2, c.p. e 55-quinqu[i]es del d.lgs. 165/2001 ad anni 1 e mesi 4 di reclusione.

La contestazione formulata ha avuto ad oggetto, oltre al danno patrimoniale consistente nella indebita percezione dell'indennità di posizione variabile, anche il danno all'immagine che l'odierno appellato avrebbe cagionato con la sua condotta.

La conseguente pronuncia ha accolto solo in parte la domanda attorea, con riferimento al danno patrimoniale, mentre ha dichiarato nulla l'azione relativa al nocumento all'immagine in quanto non sussisterebbe il presupposto necessario per l'azionabilità in giudizio dello stesso, vale a dire l'accertamento del fatto con sentenza penale passata in giudicato.

L'appellante ha pertanto insistito sulla specialità della fattispecie di cui all'art. 55-quater e quinqu[i]es del d.lgs. 165/2001 che non rientrerebbe nell'alveo della disciplina generale di cui all'art. 17, comma 30-ter, del d.l. 78/2009.

Al riguardo ha citato copiosa giurisprudenza a supporto di tale tesi, rimarcando la circostanza che la fattispecie in questione non era comunque ricompresa nell'alveo dei delitti contro la P.A. ai quali troverebbe applicazione la citata disposizione di cui all'art. 17, comma 30-ter, del d.l. 78/2009.

Sotto altro profilo ha censurato le considerazioni formulate dal giudice di primo grado in ordine alla supposta violazione dell'art. 1, comma 1-sexies, della l. n. 20/1994 e l'art. 51, commi 6 e 7, del codice di giustizia contabile che non avrebbero introdotto alcuna condizione di procedibilità.

Ha concluso, pertanto, chiedendo la riforma parziale della mentovata pronuncia e, conseguentemente, la condanna del convenuto al risarcimento del danno all'immagine per un importo pari ad euro 20.000,00 ovvero della diversa somma ritenuta di giustizia.

Si è costituito l'appellato che, dopo aver ripercorso i fatti oggetto di causa, ha fornito ampie argomentazioni in ordine all'inapplicabilità dell'art. 55-quinqu[i]es del d.lgs. 165/2001 in quanto l'applicazione di tale norma presupporrebbe la restituzione della retribuzione dei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, mentre oggetto del giudizio, sotto il profilo del danno patrimoniale, è l'erogazione della retribuzione variabile.

Ha, poi, contestato la specialità dell'art. 55-quinqu[i]es, sostenendo la necessaria rilevabilità ai fini penali della fattispecie contestata per poter addivenire ad una pronuncia di condanna a titolo di danno all'immagine dando rilievo alla sentenza del giudice di prime cure che ha posto in evidenza la possibile contraddizione di una diversa interpretazione normativa nel caso in cui il pubblico dipendente venisse assolto in sede penale successivamente ad una statuizione di condanna per risarcimento del danno erariale.

Nel merito ha, poi, contestato il quantum richiesto in ragione di diversi elementi di fatto enunciati in memoria.

Con successiva memoria depositata in data 7 gennaio 2021 la difesa ha ulteriormente argomentato in ordine ai motivi di rigetto dell'appello ponendo l'accento anche sulla pronuncia della Consulta n. 61/2020 che ha dichiarato l'illegittimità dei commi secondo, terzo e quarto periodo del comma 3-quater dell'art. 55-quater del d.lgs. 165/2001 che rafforzerebbe la tesi del giudice di primo grado.

All'udienza di discussione della causa, le parti hanno ampiamente illustrato le contrapposte tesi, insistendo nelle rispettive conclusioni come da verbale d'udienza.

DIRITTO

Il Collegio ritiene che l'appello debba essere accolto.

Invero la questione oggetto del presente giudizio è già stata ampiamente trattata dalla magistratura contabile d'appello con argomentazioni ampiamente condivisibili dal Collegio.

In particolare, la previsione dell'art. 55-quinquies del d.lgs. 165/2001, nell'accezione contestata nell'atto di citazione, anche a seguito della pronuncia della Corte costituzionale è stata ritenuta pienamente vigente.

Sul punto, infatti, è stato statuito che "La sentenza della Corte costituzionale non incide in radice sulla fattispecie decisa. La pronuncia afferma che, sebbene le censure del giudice rimettente siano limitate all'ultimo periodo del comma 3-quater dell'art. 55-quater, che attiene alle modalità di stima e quantificazione del danno all'immagine, l'illegittimità riguarda anche il secondo e il terzo periodo di detto comma, perché essi sono funzionalmente inscindibili con l'ultimo, così da costituire, nel loro complesso, un'autonoma fattispecie di responsabilità amministrativa non consentita dalla legge di delega. In relazione a tale assunto, si potrebbe sostenere che gli emendamenti puntualmente indicativi degli effetti ritenuti illegittimi nella più ampia estensione, autorizzino a considerare che la norma sia stata caducata interamente e che non si possa ritenere risarcibile il danno all'immagine indipendentemente dalle condizioni cui è legato l'esercizio dell'azione per questa componente di danno; ovvero che, in altri termini, sia venuta meno anche la ragione per procedere alla condanna per tale componente. // Ma una più articolata riflessione induce a considerare che la disposizione dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 61 del 2020 - l'art. 55-quater - lascia intatta quella dell'art. 55-quinquies, secondo comma, introdotta con l'art. 69 del d.lgs. n. 150 del 2009. La sentenza della Corte costituzionale, in sostanza, non ha tolto di mezzo l'ultima parte del secondo comma dell'art. 55-quinquies se non limitatamente all'ultimo periodo che rimandava al precedente art. 55-quater, comma 3-quater. Il collegio, argomentando alla stregua di una valutazione ipotetica, ritiene che la Corte costituzionale non avrebbe potuto espungere tale ultima norma, attinente alla generale previsione del danno all'immagine, stante l'assorbente rilievo che la questione decisa ineriva alle modificazioni operate dal d.lgs. n. 116 del 2016 e ritenute esorbitanti il margine di discrezionalità offerto dalla legge di delegazione 7 agosto 2015, n. 124. Sicché, il riferimento alla nuova fattispecie [testualmente: l'illegittimità riguarda anche il secondo e il terzo periodo di detto comma perché essi sono funzionalmente inscindibili con l'ultimo, così da costituire, nel loro complesso, un'autonoma fattispecie di responsabilità amministrativa non consentita dalla legge di delega], deve intendersi riferito agli aspetti, e soltanto ad essi, di disciplina che hanno concorso a delineare più compiutamente la responsabilità amministrativa per il danno all'immagine collegato alla violazione dell'art. 55-quinquies, primo comma, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 in relazione alla commissione del delitto di false attestazioni o certificazioni. La norma che prevede la risarcibilità del danno all'immagine, senza ulteriori specificazioni, è, in definitiva, rimasta intatta e sopravvive alla sentenza di accoglimento della Corte costituzionale n. 61 del 2020" (Corte dei conti, Sez. II App., 27 maggio 2020, n. 140).

Alla luce dell'attuale quadro normativo, in considerazione della piena vigenza della norma in questione, non abrogata con effetto ex tunc dalla pronuncia della Consulta, il collegio non può che richiamare i pacifici precedenti giurisprudenziali in tal senso che ritengono che l'applicazione per la procedibilità del danno all'immagine nella fattispecie di cui alla normativa succitata debbano prescindere da quelli di cui all'art. 17, comma 30-ter, del d.l. 78/2009, nel solco già tracciato anche dalle Sezioni Riunite nella ormai nota pronuncia n. 8/2015/QM del 19 marzo 2015 (cfr. Sez. II App., 4 marzo 2019, n. 62)

La configurazione del danno all'immagine di cui all'art. 55-quinqu[i]es del d.lgs. 165/2001, pertanto, non può presupporre la previa sussistenza di un giudicato penale di condanna e, pertanto, non appare corretta la decisione impugnata nella parte in cui ha dichiarato la nullità dell'azione proposta. D'altronde, come ha evidenziato la Procura regionale nell'atto di appello, anche l'art. 1, comma 1-sexies, della l. n. 20/1994, così come novellato dalla l. n. 190/2012, non ha in alcun modo introdotto alcuna preclusione alla sopra indicata disciplina che, invero, è senza dubbio volta a dare uno specifico ed autonomo rilievo alle conseguenze pregiudizievoli della condotta antigiuridica, anche in ragione dell'indubbio particolare giudizio di disvalore che siffatti episodi suscitano nell'opinione pubblica.

Nel caso di specie, unitamente alla creazione di una nuova fattispecie penale incriminatrice, il legislatore ha voluto anticiparne gli effetti causativi, escludendo la sussistenza della condizione di procedibilità consistente nel giudicato penale.

Né rileva la circostanza sollevata dalla difesa dell'appellato in ordine alla mancata contestazione del danno patrimoniale consistente nel compenso corrisposto a titolo di retribuzione previsto dall'art. 55-quinquies, comma 2, del d.lgs. 165/2001 in quanto il dato normativo letterale fa discendere la possibilità di contestare il danno all'immagine correlato alla fattispecie incriminatrice di cui al comma 1 del mentovato art. 55-quinquies, che, ovviamente, ha carattere del tutto autonomo rispetto al correlato danno patrimoniale legato alle indebite retribuzioni percepite.

In conclusione, l'appello del Procuratore regionale va accolto.

Tuttavia, non essendosi la Sezione territoriale pronunciata nel merito del giudizio non può pervenirsi in questa sede ad una decisione nel predetto merito come pure richiesto dall'appellante, dovendosi rinviare al giudice a quo, ex art. 199, comma 2, c.g.c., affinché quest'ultimo proceda alla definizione della prospettata questione.

La Sezione di primo grado si pronuncerà anche sulle spese di questo giudizio d'appello.

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione Prima Giurisdizionale Centrale d'Appello, definitivamente pronunciando sul giudizio iscritto al n. 55798 del ruolo generale, disattesa ogni contraria istanza, eccezione o deduzione, accoglie l'appello e per l'effetto riforma la sentenza della Sezione giurisdizionale per l'Emilia-Romagna n. 139/2019 nella parte in cui ha dichiarato nulla l'azione proposta dalla Procura regionale per il risarcimento del danno all'immagine e rinvia la causa alla stessa Sezione in diversa composizione per la definizione del merito con riguardo allo specifico punto sopra indicato ed anche alle spese del presente giudizio.