Corte dei conti
Sezione I centrale d'appello
Sentenza 20 settembre 2021, n. 353

Presidente: Chiappiniello - Estensore: Scandurra

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I. Con atto di citazione, depositato in segreteria in data 4 ottobre 2019 e ritualmente notificato, la Procura regionale della Corte dei conti presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Veneto conveniva in giudizio il prof. D.M. Roberto, professore ordinario presso il Dipartimento di Architettura Costruzione Conservazione dell'Istituto Universitario di Architettura di Venezia (IUAV), titolare di partita Iva, chiedendone la condanna al pagamento della somma di euro 174.015,56, oltre accessori e spese di giudizio, per il danno derivante dallo svolgimento di attività incompatibili con lo status di docente a "tempo definito".

L'azione erariale trovava fondamento in una articolata segnalazione del Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Venezia, datata 25 ottobre 2017, originata da una specifica attività ispettiva in materia di spesa pubblica, riguardante la disciplina del "tempo pieno" dei docenti universitari (svolta su delega del Nucleo Speciale Spesa Pubblica e Repressione Frodi Comunitarie della Guardia di Finanza).

In esito agli accertamenti disposti dalla Procura territoriale della Corte dei conti, l'organo requirente contestava al D.M. di possedere quote del capitale sociale di alcune società e di avere svolto attività incompatibili con il regime di lavoro a "tempo definito" intrattenuto con l'Università. In particolare, risultava che D.M. aveva detenuto o deteneva partecipazioni al 50 per cento, nelle seguenti società: "Prog. in progettare insieme s.r.l." (dal 31 dicembre 1993); "Le agavi s.r.l." (dal 16 settembre 2008); "Gli oleandri s.r.l." (dal 19 luglio 2004 al 1° settembre 2014); allo 0,25 per cento nella "Mb Service s.r.l." (dal 10 giugno 2016); che lo stesso aveva svolto o continuava a svolgere i seguenti incarichi:

- amministratore unico e rappresentante legale della "Prog. in progettare insieme s.r.l." dal 1° gennaio 1989;

- presidente c.d.a. e rappresentante legale del "Intraeng consortium" dal 9 dicembre 2010 al 9 dicembre 2013;

- procuratore della immobiliare "Le agavi s.r.l." dal 2 ottobre 2008;

- procuratore amministrativo della immobiliare "Gli oleandri s.r.l.", in liquidazione, dal 29 luglio 2004 al 15 settembre 2014;

- componente del consiglio di amministrazione del Consorzio SAFER, da marzo del 2014.

Secondo la Procura, l'assunzione di detti incarichi era avvenuta in violazione dell'art. 60 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, dell'art. 11 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 e dell'art. 6, comma 9, della l. 30 dicembre 2010, n. 240 (c.d. Riforma Gelmini), stante il divieto, vigente per tutti i docenti (sia in regime di tempo pieno sia in regime di tempo definito), di svolgere attività commerciali e industriali, comprendenti quest'ultime "l'assunzione di cariche e la partecipazione a consigli di amministrazione o ad organi con poteri di gestione in società di persone o di capitali, in fondazioni, o comunque in enti con personalità giuridica di diritto privato" (art. 4, comma 2, lett. a), del decreto rettorale 18 luglio 2007, n. 704, in vigore fino al gennaio 2015, e art. 2, comma 1, del decreto rettorale 2 febbraio 2015, n. 48).

Il danno cagionato all'Università veniva quantificato dalla Procura in euro 174.015,56, pari al 70 per cento degli emolumenti percepiti nel periodo 2012-2017, al lordo dei contributi previdenziali e al netto delle ritenute fiscali.

II. Con sentenza n. 65/2020, la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Veneto - respinte le eccezioni preliminari (nullità, inammissibilità e prescrizione), accoglieva la richiesta dalla Procura e condannava D.M. al pagamento di euro 174.015,56, oltre interessi, in favore dell'Università IUAV di Venezia.

Le eccezioni di nullità dell'azione, per presunta erronea impostazione delle contestazioni di parte attrice, di violazione del principio del ne bis in idem, per avere il D.M. già subìto un procedimento disciplinare, conclusosi con la sanzione della sospensione dall'ufficio e dallo stipendio per un mese (dal 1° luglio al 31 luglio 2018), e di prescrizione non venivano ritenute meritevoli di accoglimento, in quanto l'azione era stata esercitata in base a una notizia del fatto illecito; procedimento disciplinare e giudizio erariale rispondono a fini e a presupposti differenti; vi era stato occultamento doloso del danno e il termine iniziale della prescrizione (dies a quo) andava individuato alla data di acquisizione della segnalazione di danno erariale (25 ottobre 2017).

Nel merito, al professore la sentenza addebitava sia il concreto svolgimento di attività imprenditoriale, sia l'assunzione di cariche in società, in violazione della normativa sul pubblico impiego e sull'ordinamento universitario, secondo cui l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società, costituite a fine di lucro. L'ampiezza del contenuto delle procure, l'abitualità e non occasionalità dell'attività gestoria svolta, la detenzione di rilevanti quote societarie e l'elevato numero di cariche operative e gestionali in un lasso temporale molto lungo (2012-2017) venivano assunti come elementi indiziari, univoci e concordanti del ruolo di amministratore di fatto effettivamente ricoperto da D.M. in alcune società. Il perdurante silenzio informativo delle attività poste in essere, che sistematicamente non venivano comunicate all'Ateneo, stante la piena consapevolezza che si trattasse di incarichi incompatibili con l'attività istituzionale, seppure a "tempo definito", oltre ad integrare l'occultamento doloso e la reiterata violazione di doveri di servizio, denotava, secondo i Giudici di prime cure, un comportamento connotato da colpa grave, al limite del dolo.

III. Avverso la sentenza proponeva appello D.M., riproponendo le eccezioni di:

- nullità dell'atto di citazione, in ragione del fatto che le indagini condotte dalla Guardia di Finanza avevano preso le mosse da una delega conferita sulla disciplina del "tempo pieno" dei docenti universitari e sulle sue implicazioni in ipotesi di incompatibilità, del tutto inconferenti rispetto alla posizione dell'odierno appellante che è sempre stato professore a "tempo definito";

- nullità dell'azione per carenza di una notizia di danno erariale concreta e specifica;

- inammissibilità dell'atto di citazione per violazione del principio del ne bis in idem, considerato che nel procedimento disciplinare si è riconosciuto che "non risultano essere stati sollevati rilievi, da parte dell'Ateneo, in ordine all'assolvimento dei compiti didattici e istituzionali del docente" e che il procedimento contabile rappresenta un'ingiusta duplicazione in danno dell'esponente;

- prescrizione di alcuni rimborsi richiesti, per inconfigurabilità dell'ipotesi di occultamento doloso del danno.

Nel merito, lamentava l'erroneità della sentenza per travisamento della ratio e della normativa applicabile ai professori assunti in regime di "tempo definito"; sosteneva che per tale tipologia di rapporto di lavoro non sussisteva alcun obbligo e/o onere informativo; osservava che le attività erano state svolte a titolo gratuito; che l'esercizio dell'attività libero professionale di ingegnere in forma societaria non differisce in alcun modo rispetto a quella svolta in forma singola e che il libero professionista può considerarsi amministratore di sé stesso. Sosteneva l'assenza dell'elemento soggettivo, sotto il profilo del dolo e della colpa grave; del nesso di causalità e del danno erariale. Chiedeva, quindi, l'accoglimento dell'appello e, in subordine, l'applicazione della compensatio lucri cum damno e del potere riduttivo. Riteneva non dovuta la rivalutazione monetaria.

IV. Si costituiva la Procura generale contrastando le avverse tesi argomentative. In particolare, riteneva che la notizia di danno, da cui ha preso avvio l'istruttoria nei confronti del D.M., è stata correttamente qualificata come specifica e concreta dal Collegio di primo grado; che non vi è stata alcuna lesione del principio del ne bis in idem, considerata la natura risarcitoria-riparatoria della responsabilità amministrativa e il diverso ambito di operatività del procedimento disciplinare rispetto a quello erariale; ribadiva la sussistenza dei presupposti dell'occultamento doloso del danno con esordio del dies a quo del termine prescrizionale all'esito delle indagini condotte dalla Guardia di Finanza (data in cui il fatto è stato scoperto); nel merito, insisteva per la violazione del divieto, vigente per tutti i docenti (sia a "tempo pieno" che a "tempo definito") dell'esercizio del commercio e dell'industria, a prescindere dal regime di impegno prescelto, in violazione del regime di esclusività del rapporto di lavoro a "tempo definito". Chiedeva, quindi, il rigetto dell'impugnativa, con condanna dell'appellante alle spese di giudizio.

V. Il D.M. provvedeva al deposito di memoria conclusiva. Ribadiva che mentre per i professori a "tempo pieno" la disciplina sottende un rapporto esclusivo con l'Università, salvo la possibilità di prestazioni extra occasionali autorizzate, i professori a "tempo definito" possono svolgere liberamente incarichi retribuiti, attività extraistituzionale e professionale. Nel contestare la quantificazione equitativa del danno insisteva per l'accoglimento dell'appello.

VI. All'odierna udienza pubblica le parti si sono sostanzialmente riportate alle conclusioni in atti.

La causa è, quindi, passata in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La questione all'esame attiene ad un'ipotesi di responsabilità amministrativo-contabile per il danno cagionato all'Università da un docente ordinario, derivante dalla detenzione di quote sociali e dallo svolgimento di incarichi di amministratore unico, rappresentante legale e procuratore e di società, aventi scopo di lucro, ritenuti incompatibili con il rapporto di lavoro a "tempo definito" intrattenuto con l'Ateneo.

La sentenza di condanna è stata appellata con plurimi motivi di gravame, in larga misura riproduttivi delle argomentazioni sostenute in primo grado.

In base al sistema delineato dall'art. 101, n. 2, del codice di giustizia contabile, approvato con d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174 (c.g.c.), spetta al giudice l'individuazione dell'ordine logico delle questioni da trattare, con esame prioritario delle questioni pregiudiziali di rito, delle preliminari di merito e, infine, del merito in senso stretto.

2. Con un primo motivo di appello, il ricorrente lamenta l'erroneità della sentenza, nella parte in cui ha rigettato l'eccezione di nullità dell'atto di citazione.

Sostiene l'appellante che qualsivoglia attività svolta dal Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza nei confronti dei docenti a "tempo definito" sia da ritenere esorbitante dalla delega ad esso conferita dal Nucleo Speciale Spesa Pubblica e Repressione Frodi Comunitarie della Guardia di finanza, riguardante esclusivamente la disciplina del "tempo pieno" dei docenti universitari.

Il motivo è infondato.

L'azione erariale è stata legittimamente esercitata in base ad una notizia di danno (acquisita nell'ambito di un'indagine ispettiva del Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza) e agli accertamenti compiuti dallo stesso Nucleo di Polizia tributaria, su delega della Procura territoriale della Corte dei conti (ex art. 56 del codice di giustizia contabile, approvato con d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174 e s.m.i.).

Il danno in contestazione deriva dalla violazione del divieto, posto a carico di tutti i docenti universitari (sia a "tempo pieno" che a "tempo definito") di esercitare attività dedite al commercio e all'industria e non dal regime di lavoro a "tempo definito", scelto dal docente.

Nessun eccesso di delega è dunque ravvisabile nell'operato del Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza per avere esso agito nei limiti delle deleghe conferite.

3. Parimenti infondato è il motivo di appello riguardante la presunta nullità dell'azione, volto a contestare la specificità della notizia di danno, in quanto l'informativa acquisita dal Nucleo di Polizia tributaria e il processo verbale di contestazione redatto nei confronti di D.M. testimoniano la presenza di una notizia di danno particolarmente qualificata, specifica e concreta.

Contrariamente a quanto sembra postulare l'appellante, l'azione non è fondata su dati e circostanze in radice erronee, quanto piuttosto su un'articolata attività di indagine svolta dal Nucleo di Polizia tributaria di Venezia.

Ai fini dell'esercizio dell'azione erariale, non occorre, infatti, che la notitia damni sia completa, e cioè individui tutti gli elementi necessari della responsabilità amministrativa-contabile, in quanto il requisito della specificità e concretezza della notizia di danno è soddisfatto, in base al principio di diritto formulato dalle Sezioni Riunite di questa Corte, con la sentenza n. 12/2011/QM, dalla presenza di un'informazione comunque acquisita, relativa ad un fatto, anche non completo in tutti suoi elementi, ma individuato nelle sue linee essenziali e, comunque, presentante una obiettiva capacità di produrre un danno erariale, sì da richiedere lo svolgimento dell'attività istruttoria volta ad accertare la sussistenza di tutti i presupposti che concorrono a configurare la responsabilità amministrativa.

In coerenza con la ratio sottesa alla previsione introdotta dall'art. 17, comma 30-ter, del d.l. 1° luglio 2009, n. 78, convertito con l. 3 agosto 2009, n. 102 ed ora trasfusa nell'art. 51, primo comma, del codice di giustizia contabile, la notitia damni deve costituire solo il presupposto, da cui prende le mosse l'attività istruttoria del P.M. contabile naturalmente destinata ad individuare tutti gli elementi rilevanti ai fini dell'esercizio dell'azione di responsabilità.

4. Infondato è anche il motivo di appello che riproduce l'eccezione di inammissibilità della citazione per violazione del principio del ne bis in idem, avendo il docente già subìto un procedimento disciplinare, conclusosi con l'irrogazione della sanzione della sospensione dall'ufficio e dallo stipendio per un mese (dal 1° luglio al 31 luglio 2018), che, a giudizio dell'appellante, sarebbe di per sé satisfattiva degli interessi dell'Ateneo.

Esattamente, la sentenza di primo grado ha osservato che la conclusione del procedimento disciplinare non può integrare alcuna violazione del principio del ne bis in idem, considerata la natura risarcitoria-riparatoria della responsabilità amministrativa e la circostanza che il procedimento disciplinare e il processo amministrativo-contabile hanno ad oggetto profili e scopi diversi riguardo alla medesima condotta antigiuridica. Mentre il potere di azione del P.M. è teso alla tutela delle pubbliche finanze e dell'Erario pubblico avverso i danni causati da comportamenti di soggetti legati da rapporto di servizio o di impiego con la stessa, i procedimenti disciplinari sanzionano ipotesi di inosservanza di obblighi contrattualmente assunti, concretizzando violazioni di doveri d'ufficio.

Nessuna violazione del principio del ne bis in idem è, dunque, ravvisabile nella fattispecie in esame.

5. Ai fini dell'individuazione del termine iniziale di decorrenza della prescrizione, l'appellante sostiene che non vi sarebbe stato alcun occultamento doloso del danno, per un duplice ordine di ragioni: in primo luogo, perché nessun obbligo informativo sarebbe in alcun modo ravvisabile nei confronti dei docenti in rapporto di lavoro a "tempo definito"; in secondo luogo, perché sia il possesso di alcune quote sociali, sia le cariche rivestite, che l'attività posta in essere risultano da atti, contenuti in pubblici registri. Mancherebbe, dunque, qualsivoglia condotta ingannatrice e fraudolenta ovvero quel quid pluris rispetto al fatto illecito, diretto a nascondere l'esistenza del danno.

La riproposta eccezione di prescrizione va, dunque, esaminata in stretta correlazione con la valutazione del comportamento omissivo del docente in termini di occultamento doloso del danno (da non confondere con il dolo quale elemento strutturale dell'illecito contabile) e di scoperta del danno medesimo.

Ai fini della decorrenza, l'art. 1, comma 2, della l. 14 gennaio 1994, n. 20, stabilisce che il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni "decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta".

Il dies a quo va, dunque, individuato in relazione non al momento in cui l'agente compie l'illecito, bensì a quello in cui si ha la conoscibilità obiettiva, vale a dire, al momento in cui sia stata acquisita certezza storica dell'illiceità fattuale.

Secondo la giurisprudenza contabile, che questo Collegio condivide a pieno, "l'art. 1, comma 2, l. 20/1994 non fa nessun riferimento ad un'attività di occultamento effettuata dal debitore, diversamente dall'analogo art. 2941, n. 8, c.c., secondo cui "La prescrizione rimane sospesa: (...) 8) tra il debitore che ha dolosamente occultato l'esistenza del debito e il creditore, finché il dolo non sia scoperto" (Sez. II centr. app., sent. n. 641/2013 e n. 416/2013).

In altri termini, il "doloso occultamento" è una fattispecie rilevante non tanto soggettivamente (in relazione ad una condotta occultatrice del debitore), ma oggettivamente (in relazione all'impossibilità dell'amministrazione di conoscere il danno e quindi di azionarlo in giudizio, ex art. 2935 c.c.) (Sez. III centr. app., sent. n. 26/2017).

Tutte le argomentazioni sostenute da D.M. non possono dunque trovare accoglimento. Né quella, secondo cui non vi sarebbe stata alcuna condotta ingannatrice, mancando una qualsivoglia attività diretta a nascondere l'esistenza del danno, né quella, secondo cui il possesso delle quote e l'assunzione delle cariche societarie erano, comunque, conoscibili da parte dell'amministrazione, perché rinvenibili in pubblici registri, in quanto l'Ateneo si è trovato nell'impossibilità "oggettiva" (nei termini sopra evidenziati) di conoscere il danno, e la pubblicazione dei bilanci e dei dati aziendali risponde a finalità diverse, costituendo un adempimento di obblighi civilistici, incombenti per legge sul soggetto esercente attività di impresa, che investe i rapporti tra la società e i terzi, e non quelli tra D.M. e l'Istituto Universitario di Architettura di Venezia (IUAV).

Vertendosi, dunque, in una fattispecie di occultamento doloso, il termine di prescrizione inizia a decorrere dalla sua scoperta, che, nel caso di specie, risale alla data di acquisizione della prima informativa del Nucleo di Polizia tributaria di Venezia e alla conseguente apertura dell'istruttoria che, come risulta dall'identificativo della vertenza (n. V2017/0001442), ha avuto luogo nel 2017.

I Giudici di prime cure hanno esattamente osservato che il dies a quo del termine prescrizionale va, quindi, individuato in relazione alla data di effettiva conoscibilità del pregiudizio erariale; correttamente, hanno respinto sia l'eccezione formulata, in via principale (ora riproposta), per le somme riferite agli anni 2012, 2013 e a gennaio e febbraio 2014, che (secondo D.M.) sarebbero prescritte per decorso del termine quinquennale, in relazione alla data di notifica dell'invito (28 marzo 2019); sia quella proposta, in subordine (ora riformulata nel presente giudizio), per le somme relative al 2012 e a gennaio e febbraio 2013, che risulterebbero prescritte con riferimento alla data di notifica dell'atto di diffida e costituzione in mora adottato dall'ente danneggiato (2 febbraio 2018).

Anche questo motivo di appello non può, dunque, trovare accoglimento.

6. Con i successivi motivi di impugnativa, l'appellante lamenta l'erroneità della sentenza per travisamento della ratio e della normativa applicabile ai professori assunti in regime di "tempo definito". Contesta l'ordito motivazionale della sentenza, osservando che: si era sempre trattato di attività svolte a titolo gratuito e in modo del tutto marginale, che non avevano influito sul corretto svolgimento delle attività di istituto; la mera titolarità di quote della società di capitali "attenendo alla sola sfera patrimoniale del pubblico dipendente, non dà di per sé luogo all'esercizio di un'attività commerciale o industriale incompatibile con il rapporto di pubblico impiego"; per la configurabilità della veste di amministratore di fatto in capo ad un soggetto occorre l'esercizio, continuativo e non occasionale di funzioni riservate alla competenza tipica degli amministratori di diritto e il godimento di una autonomia decisionale; le due società immobiliari erano state costituite per la conduzione di immobili ricevuti in eredità dalla madre deceduta nel 2005, per le quali l'attività gestoria è sempre stata effettuata dal fratello; l'esercizio dell'attività libero professionale di ingegnere in forma societaria non differisce in alcun modo rispetto a quella svolta in forma singola.

Al docente la sentenza di primo grado ha addebitato sia il concreto svolgimento di attività imprenditoriale, sia l'assunzione di cariche in società, in violazione della normativa sul pubblico impiego e sull'ordinamento universitario, stante il divieto di esercitare attività commerciali e imprenditoriali, di assumere impieghi alle dipendenze di privati o di accettare cariche in società, costituite a fine di lucro. L'ampiezza del contenuto delle procure, l'abitualità e non occasionalità dell'attività gestoria, la detenzione di rilevanti quote societarie e l'elevato numero di cariche operative e gestionali in un lasso temporale molto lungo (2012-2017) sono stati, poi, assunti come elementi indiziari, univoci e concordanti del ruolo di amministratore di fatto effettivamente ricoperto da D.M. Il perdurante silenzio informativo delle attività poste in essere, che sistematicamente non venivano comunicate all'Ateneo, stante la piena consapevolezza che si trattasse di incarichi incompatibili con l'attività istituzionale, seppure a "tempo definito", oltre ad integrare l'occultamento doloso e la reiterata violazione di doveri di servizio, ha denotato, infine, secondo i Giudici di prime cure, un comportamento connotato da colpa grave, al limite del dolo.

L'impianto accusatorio della sentenza di condanna in primo grado va sostanzialmente confermato.

La decisione si basa essenzialmente sul divieto, vigente per tutti i docenti (sia in regime di "tempo pieno" sia in regime di "tempo definito"), di svolgere attività commerciali e industriali, stabilito, in materia di pubblico impiego, dall'art. 60 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, confermato, in materia di ordinamento universitario, dall'art. 11 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, dall'art. 6, comma 9, della l. 30 dicembre 2010, n. 240 (c.d. riforma Gelmini) e dai regolamenti universitari, adottati dall'Istituto Universitario di Architettura di Venezia (IUAV), secondo cui ai professori e ai ricercatori a "tempo pieno" e "definito" è vietato "l'esercizio del commercio e dell'industria, compresa l'assunzione di cariche e la partecipazione a consigli di amministrazione o ad organi con poteri di gestione in società di persone o di capitali, in fondazioni, o comunque in enti con personalità giuridica di diritto privato" (art. 4, comma 2, lett. a), del decreto rettorale 18 luglio 2007, n. 704, in vigore fino al gennaio 2015, e art. 2, comma 1, del decreto rettorale 2 febbraio 2015, n. 48).

La giurisprudenza contabile è univoca nel ritenere che il regime delle incompatibilità, stabilito dalla normativa, va collegato allo status di pubblico dipendente e non al regime di impegno prescelto, a "tempo pieno" o "definito". In sintesi, ritiene che l'assunzione di incarichi sia vietata laddove il docente assuma cariche in consigli di amministrazione o in organi gestionali, comportanti deleghe operative, costituenti esercizio di attività imprenditoriali.

In particolare, a D.M. la sentenza di primo grado addebita, oltre alla detenzione delle quote societarie, lo svolgimento delle seguenti attività:

1) amministratore unico (dal 1° gennaio 1989) con ampi poteri gestori e rappresentante legale nei confronti dei terzi ed in giudizio della "Prog. in. progettare insieme s.r.l." - società che si occupa di servizi tecnici di ingegneria, architettura e design. In particolare, la sentenza ritiene che l'assunzione di detto incarico fosse incompatibile con il ruolo di docente universitario, in quanto l'ampiezza dei poteri riconosciuti a D.M., ex artt. 18 e 20 dello statuto, fosse tale da comportare l'esercizio di significativi poteri gestori in rappresentanza della società, a nulla rilevando che la società fosse inattiva, risultando essa alla data del 26 settembre 2019 (data della visura camerale), iscritta nel registro delle imprese presso CCIAA di Roma e, sempre alla stessa data, non in liquidazione o assoggettata a procedura fallimentare, come evincibile anche dai bilanci depositati dal 2012 al 2017 e, in particolare, dalle risultanze del conto economico;

2) presidente del consiglio di amministrazione e rappresentante legale (dal 9 dicembre 2010 al 9 dicembre 2013) con ampi poteri di gestione e di rappresentanza del "Intraeng consortium" - svolgente servizi di progettazione e di ingegneria (al consorzio ha, tra gli altri, aderito la "Prog. in. progettare Insieme s.r.l."); l'impresa risulta cancellata il 12 gennaio 2016 (ultimo atto il 9 dicembre 2015);

3) procuratore (dal 2 ottobre 2008) e amministratore di fatto (dato il carattere non occasionale dell'attività) della immobiliare "Le agavi s.r.l.", esercente attività di costruzione di edifici residenziali e non residenziali, in forza di procura speciale molto ampia, comprendente "la stipula di contratti di acquisto e di vendita, permuta e locazione, gestione di beni immobili e mobili, terreni (edificatori ed agricoli), azioni e quote di società, la stipula di atti d'obbligo e convenzioni, la sottoscrizione di atti finalizzati al rilascio di autorizzazioni amministrative, la presentazione di qualsiasi dichiarazione ai fini delle leggi urbanistiche, la stipula di contratti di leasing, l'assunzione di dilazioni di pagamento, l'assunzione di partecipazioni in altre società, la costituzione di società di qualsiasi tipo, il recesso dalle medesime, lo scioglimento, la partecipazione ad assemblee straordinarie ed ordinarie, con più ampi poteri, la costituzione di consorzi o raggruppamenti, la stipulazione di contratti di appalto con qualsiasi ente pubblico o privato, la contrazione di mutui, la costituzione e la rinuncia alle ipoteche, il compimento di qualsiasi operazione, attiva e passiva, in banca, l'apertura e l'estinzione di conti correnti bancari, la girata e la firma di cambiali, l'assunzione ed il licenziamento del personale, la fissazione dei compiti di ciascun dipendente, il compimento di qualsiasi operazione con le Camere di commercio, i Ministeri e presso qualsiasi ente pubblico o privato, previdenziale e assistenziale, il compimento di tutte le operazioni necessarie alle importazioni o esportazioni, la presentazione di istanze, denunce e concordati presso gli uffici pubblici, la rappresentanza in giudizio la società dinanzi a qualsiasi organo giurisdizionale, nominando avvocati e procuratori, la promozione di qualsivoglia atto conservativo ed esecutivo ed, in generale, il compimento di tutto quanto necessario per il completo espletamento del mandato, con ogni più ampio potere in merito";

4) procuratore amministrativo (dal 29 luglio 2004 al 15 settembre 2014) dell'immobiliare "Gli oleandri s.r.l.", in liquidazione, esercente attività di costruzione di edifici residenziali e non residenziali, in forza di una procura speciale amplissima, di contenuto identico a quella illustrata al punto precedente;

5) componente (da marzo del 2014) del consiglio di amministrazione del Consorzio SAFER - consorzio di università senza fini di lucro, avente ad oggetto la promozione ed il coordinamento di attività scientifiche per gli atenei consorziati.

La sentenza di primo grado, con motivazioni che si condividono, ha ribadito che al docente non si contesta lo svolgimento dell'attività libero professionale, quanto piuttosto l'assunzione del ruolo di amministratore unico, di presidente del c.d.a. e di rappresentante legale nell'ambito di società di capitali, aventi scopo di lucro.

Correttamente, la decisione qui impugnata ha affermato che l'esercizio dell'attività libero professionale di ingegnere può essere svolta in forma societaria e che le società di ingegneria costituite in forma di società di capitali possono svolgere attività in parte coincidente con quella dei professionisti iscritti agli albi.

Ciò posto, occorre vedere sino a che punto il ruolo svolto da D.M. nelle singole fattispecie sia da considerare esercizio di attività di impresa. Occorre, dunque, verificare se nelle singole ipotesi in esame l'assunzione dei predetti incarichi abbia o meno comportato l'esercizio di deleghe funzionali o se piuttosto essa si sia tradotta in compiti meramente interni, limitati al concorso nella formazione della volontà di altro organo decisionale ed all'esercizio di poteri rappresentativi.

Riguardo ai singoli addebiti, rileva il Collegio che gli artt. 18 e 20 dello Statuto della "Prog. in progettare insieme s.r.l." attribuiscono alla figura dell'amministratore unico ampi poteri di gestione e di rappresentanza della società di fronte ai terzi e in giudizio; analoghi a quelli esercitabili in veste di presidente del c.d.a. e di rappresentante legale del consorzio "Intraeng" nonché di "procuratore" delle due società immobiliari.

Le informative della Guardia di finanza e gli accertamenti compiuti hanno accertato che D.M. ha presentato alla "Prog. in progettare insieme s.r.l." quattro fatture (due nel 2012 e due nel 2013 per un totale di euro 43.000) e tredici fatture ad altro committente (12 nel 2014 e una nel 2015 per un totale di euro 20.000); che al presidente del consiglio di amministrazione del consorzio "Intraeng" erano attribuiti tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione; che D.M. ha stipulato numerosi atti di compravendita delle due società immobiliari: 13 per conto della società "Agave s.r.l." (di cui uno nel 2010, due nel 2011, quattro nel 2012, uno nel 2013, uno nel 2014 e quattro nel 2017) e 2 per conto della "Gli oleandri s.r.l." (entrambi nel 2010).

In relazione all'attività svolta nell'ambito delle due società immobiliari, D.M. insiste sul fatto che si trattava di società immobiliari nate per la conduzione di immobili ricevuti in eredità dalla madre deceduta nel 2005, per le quali l'attività gestoria (partecipazione alle trattative e contrattazione del prezzo) è sempre stata effettuata dal fratello, amministratore delle due società.

In effetti, dalla documentazione presente in atti risulta che il fratello, Fabio, ha partecipato attivamente alla compravendita degli immobili in questione, conferendo l'incarico di mediazione a intermediari immobiliari e sottoscrivendo, in veste di amministratore, le proposte di acquisto ricevute oltre che i contratti preliminari di vendita, mentre l'odierno appellante ha sottoscritto, in veste di rappresentante delle società, i contratti di compravendita, dispositivi del patrimonio immobiliare (anche nel periodo precedente a quello in contestazione).

Correttamente, la sentenza impugnata ha accertato che D.M. ha svolto, nei termini sin qui evidenziati, attività incompatibili con il proprio status, senza che lo svolgimento di dette attività abbia, però, comportato un pregiudizio sia qualitativo che quantitativo nell'attività didattica del docente che risulta aver svolto tutte le ore di insegnamento e tutte le attività collaterali e complementari di Istituto.

Inoltre, all'epoca dei fatti, il regime delle incompatibilità per i docenti a "tempo definito" non risultava ancora ben definito, tanto è vero che, a distanza di anni dalla riforma in materia di ordinamento universitario, con atto di indirizzo n. 39 del 2017, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha ritenuto di dover fornire indicazioni interpretative in materia di attività extra-istituzionali dei docenti universitari, considerato che "nel settore Università l'area delle discipline sui conflitti di interessi e le situazioni di incompatibilità, con particolare riferimento al personale docente e ricercatore, appare caratterizzata da incertezza interpretativa e da un alto livello di difformità applicativa".

Dovendo tenere conto delle circostanze ambientali e soggettive (non solo al momento della causazione del danno, ma anche in momenti precedenti o successivi), quali emergono dalla valutazione della posizione e condizione personale del docente nell'ambito del rapporto di servizio con l'Università, il Collegio ritiene di dovere ulteriormente ridurre in via equitativa il danno in euro 120.000,00. Sulla predetta somma sono dovuti gli interessi legali dal deposito della sentenza sino all'effettivo soddisfo.

7. Le spese di giudizio vanno compensate in ragione della parziale soccombenza dell'appellante.

Nulla per le spese di difesa.

P.Q.M.

La Corte dei conti - Sezione prima giurisdizionale centrale d'appello - disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, definitivamente pronunciando:

- accoglie parzialmente l'appello;

- condanna D.M. Roberto al pagamento in favore dell'Istituto Universitario di Architettura di Venezia (IUAV) della somma di euro 120.000,00, oltre interessi legali.

Spese di giudizio compensate. Nulla per le spese di difesa.

Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.

S. Gallo (cur.)

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