Corte di cassazione
Sezione I civile
Ordinanza 7 ottobre 2021, n. 27227

Presidente: Scaldaferri - Relatore: Nazzicone

FATTI DI CAUSA

La Immobiliare Gabbi s.r.l. ottenne con ricorso per decreto ingiuntivo la condanna dell'odierno ricorrente al pagamento della somma di euro 684.000,00, a titolo di prezzo prefissato per l'opzione put e call conclusa tra i medesimi nell'accordo del 3 novembre 2009, finalizzato al comune acquisto (per il 90% la Immobiliare Gabbi s.r.l. e per il 10% del capitale sociale il D.) della Beta Sh. p.k., società kosovara.

Proposta opposizione, il Tribunale di Milano con sentenza del 22 luglio 2015 la respinse.

Quindi, con sentenza del 27 febbraio 2017 la Corte d'appello di Milano ha respinto l'impugnazione. Sul primo motivo, concernente la nullità dell'accordo per difetto di causa, ai sensi degli artt. 1325, n. 2, e 1418 c.c., ha ritenuto la domanda nuova ex art. 345 c.p.c.; circa il secondo motivo, ha escluso che il patto de quo integri violazione dell'art. 2265 c.c., in quanto asseritamente costituente un patto leonino vietato; ha disatteso, infine, anche il terzo motivo di appello, concernente il titolo del pagamento della somma di euro 503.000,00 ad opera di Beta Sh. p.k. alla Immobiliare Gabbi s.r.l., da essa reputato, sulla base degli atti, parziale adempimento del credito portato dal decreto ingiuntivo predetto, e non restituzione di finanziamento.

Avverso questa sentenza viene proposto ricorso dal D., affidato a due motivi.

Resiste Immobiliare Gabbi s.r.l. con controricorso.

Il ricorrente ha depositato la memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso vanno così riassunti:

1) violazione dell'art. 345 c.p.c., in quanto il difetto della causa in concreto della opzione put e call era stato dedotto in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, giudizio nel quale l'opponente ha la veste di convenuto, che può proporre ogni eccezione di nullità, oltretutto rilevabile d'ufficio ex art. 1421 c.c.; onde, a fronte dell'introduzione della domanda di nullità in appello, il giudice può reputarla ammissibile come eccezione; la causa concreta nella specie difetta, posto che i patti di opzione put e call costituiscono contratti di borsa derivati ed ineriscono alla vendita a termine di strumenti finanziari, aventi il fine tipico di lucrare o proteggere da differenze positive o negative di prezzo, secondo l'andamento del mercato di un titolo sottostante, e prevedono il pagamento di un premio costituente il corrispettivo della facoltà conferita: elementi del tutto mancanti nel caso di specie, sia perché si tratta di quote di s.r.l. non quotabili, sia per la mancanza quindi di un prezzo di mercato o dello stesso mercato regolamentato, sia perché il prezzo concordato per l'esercizio dell'opzione si commisurava non al valore di mercato dello strumento finanziario sottostante ma direttamente all'affare immobiliare, sia per l'assenza di un premio e per la permanenza dei poteri amministrativi alla stessa parte optante e maggioritaria, come tale in grado di modificare la governance ed influire sulle scelte decisionali; ne deriva la mancanza di causa e l'utilizzo di uno schema tipico degli usi di borsa per una funzione ad esso estranea, privo di meritevolezza ai sensi dell'art. 1322 c.c.;

2) violazione dell'art. 2265 c.c., in quanto il patto in questione, che aveva l'evidente scopo di finanziamento dell'operazione immobiliare, vìola il divieto di patto leonino, mirando ad escludere totalmente la socia Immobiliare Gabbi s.r.l. dalle perdite.

2. Il primo motivo è infondato.

Lo sforzo del ricorrente non coglie nel segno, laddove pretende di ricondurre la vicenda alla figura dei c.d. contratti derivati, di cui alle opzioni call e put note nell'ambito del mercato degli investimenti finanziari, al fine di escludere che detto meccanismo possa operare al di fuori degli strumenti finanziari negoziati sui mercati regolamentati.

Questa Corte (Cass. 19 gennaio 2016, n. 763) - in una decisione ampiamente riportata anche dal ricorrente, il quale in tal modo conferma l'impropria assimilazione operata - ha avuto modo di efficacemente rilevare che «le opzioni sono call o put. Le call options sono dei contratti in cui l'acquirente acquista, con il pagamento del premio, il diritto, ma non l'obbligo, di acquistare un determinato bene a un prezzo specifico. Le put options sono invece dei contratti in cui l'acquirente acquista, con il pagamento del premio, il diritto, ma non l'obbligo, di vendere un determinato bene a un prezzo specifico».

Prosegue la citata decisione precisando che «L'acquisto di un'opzione call è uno strumento finanziario utilizzato quando l'investitore ha delle aspettative al rialzo sul titolo sottostante; la differenza che esiste tra l'acquisto di quest'ultimo e quello dell'opzione consiste nel fatto che acquistando il titolo sottostante si incorre nel rischio di subire perdite anche consistenti, in caso di ribasso delle quotazioni, mentre con le opzioni il rischio di perdita massima è pari al premio pagato. Inoltre è possibile sfruttare l'effetto leva che permette di amplificare i guadagni; infatti questi strumenti hanno variazioni di prezzo maggiori rispetto a quelle dei loro titoli sottostanti. Per un'opzione call l'effetto leva esprime il rialzo del prezzo dell'opzione rispetto ad una variazione percentuale del prezzo del sottostante titolo. Viceversa, nel caso di una opzione put, l'effetto leva esprime il rialzo dell'opzione per un ribasso percentuale del titolo sottostante... Il premio dell'opzione è il prezzo che paga il beneficiario di essa per assicurarsi il diritto di acquistare o vendere un determinato bene - nella specie azioni - e varia in base al valore del bene correlato, all'accordo delle parti, al periodo di tempo alla scadenza, all'andamento del mercato (la volatilità) e all'andamento dei tassi di interesse... Perciò la differenza fondamentale delle opzioni rispetto agli altri strumenti derivati consiste nella definizione dei diritti del possessore: egli non è obbligato ad acquistare/vendere il sottostante, ma può farlo se esercitando l'opzione ne trae un'effettiva convenienza economica. Per tale ragione sono anche detti titoli derivati asimmetrici».

Le options del mercato finanziario sono dunque contratti di natura finanziaria, consistenti nella negoziazione a termine di una entità economica e volti a coprire i rischi assunti dagli operatori sui mercati «a pronti», derivanti dalla possibile oscillazione di prezzo dei titoli, valute, tassi di interesse o merci, fra la data di conclusione del contratto e quella della scadenza (funzione protettivo-assicurativa), oppure a permettere senz'altro una speculazione (funzione speculativa).

Si rileva, in dottrina, come i contratti derivati siano, pertanto, caratterizzati dalla logica del differenziale, dall'irrilevanza dello strumento economico sottostante e dall'astrazione pura, che rappresenterebbero la traduzione giuridica della funzione economica del derivato.

La motivazione esposta nel menzionato precedente, che per la prima volta in sede di legittimità ha offerto la definizione di contratto call e put option - sopra ampiamente richiamata a fini di chiarezza dei contorni della diversa fattispecie giuridica, nonché la stessa vicenda in fatto ivi decisa - palesano come il meccanismo tecnico-giuridico delle opzioni non sia delimitabile solo all'interno dei derivati finanziari in ambito borsistico, ben potendo i patti parasociali contenere il medesimo meccanismo dell'opzione, ma limitati ai soci di una società, dei quali, in particolare come nella specie, l'uno funga da socio finanziatore garantito dal patto in questione.

La stessa causa concreta del patto parasociale oggetto di causa, evocata dalla ricorrente sin dal proprio atto introduttivo, si palesa diversa da quella di uno strumento finanziario del mercato borsistico (cfr. art. 1, comma 2 ss., d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, t.u. dell'intermediazione finanziaria), avendo il fine pratico, sia pure mediante il meccanismo dell'opzione di rivendita o di riacquisto a prezzo fisso, di assecondare iniziative imprenditoriali specifiche, tutelate quali espressioni dell'autonomia negoziale privata ex artt. 41 Cost. e 1322 c.c., con il sorgere di reciproci diritti ed obblighi delle parti: al cui adempimento un contraente non può strumentalmente sottrarsi invocando ex post e secundum eventum un preteso insussistente contrasto con norme imperative.

In definitiva, se è pur vero che l'allegata ragione di nullità per difetto di causa è rilevabile anche in grado di appello, l'assunto difetta, tuttavia, della premessa minore posta a suo fondamento, in quanto non manca la causa in concreto della opzione put e call, conclusa tra le parti.

3. Il secondo motivo è inammissibile ai sensi dell'art. 360-bis c.p.c.

La questione della nullità dell'accordo, asseritamente privo di causa o per la violazione del divieto di patto leonino ex art. 2265 c.c., è stata già risolta da questa Corte, la quale ha enunciato il principio di diritto, da cui il Collegio non intende discostarsi, secondo il quale: «È lecito e meritevole di tutela l'accordo negoziale concluso tra i soci di una società azionaria, con il quale l'uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l'altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l'attribuzione del diritto di vendita (c.d. put) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell'acquisto, pur con l'aggiunta di interessi sull'importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società» (Cass. 4 luglio 2018, n. 17498).

La decisione, riprendendo il precedente in materia, il quale discorreva di una necessaria esclusione dalle perdite o dagli utili quale «situazione assoluta e costante» (Cass. 29 ottobre 1994, n. 8927), ha precisato come tale esclusione «deve finire per alterare la causa societaria nei rapporti con l'ente-società, che trasla, quanto al socio interessato da quell'esonero dalla condivisione dell'esito dell'impresa collettiva, da rapporto associativo a rapporto di scambio con l'ente stesso».

La duplice aggettivazione - usata dal precedente di legittimità menzionato ed intesa ad interpretare la condizione che i soci siano esclusi da «ogni partecipazione», ossia integralmente, dagli utili o dalle perdite ex art. 2265 c.c. - col suo riferirsi alla quantità e alla durata nel tempo dell'esonero serve, dunque, solo ad indicare la necessaria mutazione causale, offrendo al giudice una linea-guida per l'accertamento.

In sostanza, il punto è se «la causa societatis del rapporto partecipativo del socio in questione permanga invariata nei confronti dell'ente collettivo, o se, invece, venga irrimediabilmente deviata dalla clausola che lo esonera» da qualsiasi perdita o lo esclude dalla divisione degli utili, o da entrambi, perché solo in tal caso può dirsi che l'art. 2265 c.c. sia stato violato.

La ratio del divieto va, pertanto, ricondotta ad una necessaria suddivisione dei risultati dell'impresa economica, tuttavia quale tipicamente propria dell'intera compagine sociale e con rilievo reale verso l'ente collettivo; mentre nessun significato in tal senso potrà assumere il trasferimento del rischio puramente interno fra un socio e un altro socio o un terzo, allorché non alteri la struttura e la funzione del contratto sociale, né modifichi la posizione del socio in società, e dunque non abbia nessun effetto verso la società stessa.

Nulla, dunque, di ciò nella specie, come accertato dal giudice del merito, essendo ogni elemento dell'accordo tra i soci determinato e rispettati ampiamente i requisiti di validità elaborati dalla giurisprudenza.

Né tale principio è suscettibile di essere sovvertito dalle peculiarità della vicenda, che la ricorrente ha inteso sottolineare nella sua memoria, consistenti nella partecipazione maggioritaria della socia c.d. finanziatrice (evenienza che, semmai, rafforza la funzione svolta dal patto), la natura di societas unius negotii della società partecipata (palesante la meritevolezza del fine di concorrere a quella condivisa operazione economica) ed il collegamento con il valore del bene immobile in proprietà della società partecipata (che non muta la funzione del patto stesso).

La incontestata sinallagmaticità del patto, il quale permetteva all'una parte di rientrare del finanziamento ed all'altra di lucrare i maggiori profitti dell'investimento, e la natura temporanea del diritto di opzione confermano tali conclusioni, attesa la funzione pratica, svolta dal patto, di rendere possibile l'affare economico auspicato e regolare efficacemente gli interessi rispettivi dei soci.

In definitiva, la sentenza impugnata va confermata, pur modificata come precede la motivazione, ai sensi dell'art. 384, comma 4, c.p.c.

4. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 8.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie al 15% sui compensi ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/2002, come modificato dalla l. 228/2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.