Consiglio di Stato
Sezione VII
Sentenza 27 marzo 2023, n. 3119

Presidente: Contessa - Estensore: Zeuli

FATTO

1. La sentenza impugnata, accogliendo parzialmente il ricorso degli originari ricorrenti, tutti all'epoca suoi dipendenti, ha condannato l'Amministrazione al risarcimento dei danni cagionatigli dal ritardo con cui è stato concluso il concorso per titoli, riservato, per 219 posti corrispondenti al profilo professionale di funzionario tributario - ottava qualifica funzionale, bandito con il d.m. del 15 gennaio del 1993.

A sostegno del gravame il Ministero deduce le seguenti circostanze:

- la graduatoria del concorso era stata approvata con il decreto direttoriale n. 152266 del 27 febbraio 2001, dopo alcune modifiche, era stata pubblicata, nel febbraio del 2002, sul supplemento straordinario al bollettino ufficiale;

- i vincitori del concorso erano stati inquadrati nella VIII qualifica funzionale, a decorrere dal 21 maggio 1992 agli effetti giuridici e, dalla data di effettiva immissione nelle corrispondenti funzioni, agli effetti economici;

- la notevole durata della procedura era dipesa, oltre che dal notevole numero di partecipanti, circa 12.000, anche dal contenzioso instaurato, sin dal 10 marzo del 1993, da alcune organizzazioni sindacali, conclusosi con la sentenza n. 224 del 7 marzo del 1997 del Consiglio di Stato, in esecuzione della quale si era provveduto alla rivisitazione dei criteri di valutazione dei titoli, formalizzata con d.d. 8 agosto del 1997;

- con più ricorsi riuniti gli appellati adivano, in una prima fase, il Tribunale ordinario di Roma che dichiarava inammissibili i ricorsi per difetto di giurisdizione, pronuncia successivamente ribadita con la sentenza n. 9043 del 16 maggio del 2012.

Dopo questa seconda decisione gli odierni appellati hanno riassunto il giudizio innanzi al T.A.R. del Lazio che ha parzialmente accolto il ricorso, quantificando il danno lamentato dai ricorrenti nella misura del 30% delle differenze retributive loro spettanti a far data dal giorno successivo al decorso di sei mesi dalla prima riunione della commissione di concorso, nominata con d.m. 22 febbraio 1994, n. 159299 ed integrata con d.d. 20 maggio 1997, n. 155533, sino alla data di collocamento a riposo di ciascuno di essi.

2. Tanto premesso l'appellante deduce i seguenti motivi di gravame: 1) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 30, commi 3 e 4, del c.p.a.; 2) Omessa dichiarazione di difetto di legittimazione ad agire in capo alla sig.ra Anna Maria B.; 3) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2-bis l. 241/1990.

3. Solo alcuni degli appellati si sono costituiti in giudizio, contestando l'avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame.

DIRITTO

4. Il primo motivo di appello contesta alla sentenza gravata di non aver dichiarato la decadenza degli allora ricorrenti dall'azione risarcitoria, ai sensi dei commi 3 e 4 dell'art. 30 del c.p.a. La censura sostiene che, poiché il danno da ritardo si è concretizzato nel febbraio del 2002, costoro avevano solo centoventi giorni dall'entrata in vigore del codice del processo amministrativo, ossia dal 16 settembre del 2010, per esercitare la pretesa vantata; dunque la relativa azione non sarebbe stata tempestivamente esercitata.

In subordine, il medesimo motivo contesta alla sentenza di non aver considerato che, per il primo segmento temporale di danno che pure è stato riconosciuto, collocabile tra l'1 gennaio del 1992 (o del 1993) ed il 30 giugno del 1998, la domanda avrebbe dovuto essere proposta, a pena di inammissibilità, ai sensi dell'art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, entro il termine del 15 settembre del 2000.

4.1. Il motivo, anche nella sua sub-articolazione, è infondato.

4.1.1. Quanto alla prima censura, il fatto illecito che viene in evidenza nel presente contenzioso - danno consistente nel ritardo con cui gli aspiranti, tutti vincitori della procedura, hanno conseguito il bene della vita - si è perfezionato il 6 febbraio del 2002, con l'approvazione della graduatoria definitiva del concorso, perché è solo da questo momento che hanno avuto precisa contezza della spettanza della promozione e, dunque, della sussistenza e consistenza del danno subìto.

Ciò significa che il fatto illecito reclamato è anteriore all'entrata in vigore del codice e che pertanto, come statuito dall'Adunanza plenaria n. 6 del 2015, ad esso non è applicabile la menzionata disciplina decadenziale. La soluzione corrisponde peraltro ad una corretta operatività delle normative che si sono succedute nel tempo, dal momento che in questo caso la legge successiva, innovando rispetto al previgente regime in tema di prescrizione, fondato sull'art. 2947 c.c., ha imposto un termine più ristretto, di decadenza (maggiormente penalizzante per i presunti danneggiati), per adire il giudice.

4.1.2. Sulla base dello stesso presupposto di fatto - l'essersi perfezionato, il fatto illecito in danno degli originari ricorrenti, solo nel febbraio del 2002 - va affermata l'infondatezza anche del sub-motivo contenuto nello stesso mezzo.

Infatti, alla data del 15 settembre del 2000, le parti non avrebbero potuto reclamare alcun danno risarcibile collegato ad un qualsivoglia bene della vita, per la semplice, ma auto-evidente, ragione che, in quel momento, non erano affatto certi che avrebbero vinto il concorso, che era ancora in itinere.

5. Il secondo motivo di appello contesta alla sentenza impugnata di non aver dichiarato il difetto di legittimazione ad agire in capo alla signora Anna Maria B. Secondo quanto prospettato, il predetto nominativo non sarebbe presente, né nell'elenco dei vincitori, né nella graduatoria di merito e tanto meno nella graduatoria dei candidati esclusi dalla procedura per cessazione dal servizio o per passaggio ad altra amministrazione, di tal che, rappresenta l'appellante, questa dipendente non aveva né avrebbe alcun interesse ad agire nel presente giudizio.

5.1. Neppure questo motivo trova riscontro in atti, infatti all'art. 3 del decreto con cui, il 6 febbraio del 2002, il capo del dipartimento ha approvato la graduatoria del concorso di cui al contenzioso, disponendo l'assunzione con riserva dei candidati risultati vincitori (decreto agli atti del fascicolo di I grado), il nominativo B. (e non B.) Annamaria, nata il 13 maggio del 1949, risulta indicata al n. 43 della sezione 1/C (Agenzia delle entrate) tra i candidati dichiarati vincitori per titoli del concorso a 219 posti nel profilo professionale di funzionario tributario VIII qualifica funzionale.

La circostanza va dunque disattesa in fatto, con rigetto del relativo motivo.

6. Il terzo motivo di appello, articolato in più deduzioni, contesta alla sentenza gravata di aver liquidato il danno adottando un improprio criterio di corrispettività, avendo il giudice di primo grado utilizzato, quale parametro per la quantificazione, la retribuzione percipienda corrispondente alle mansioni superiori, malgrado gli appellati, per il periodo in considerazione, non abbiano effettivamente prestato la relativa attività, aggiungendo inoltre che nel caso di specie comunque mancava la prova di un danno risarcibile, asseritamente individuato dalla decisione gravata nel danno di mero ritardo, del quale l'appellante esclude oltretutto l'addebitabilità all'amministrazione procedente.

6.1. Il motivo, in tutte le sub-articolazioni, è complessivamente infondato e, in parte, fraintende la ricostruzione della fattispecie, per come è stata operata dal giudice di prime cure.

Ai fini della sua delibazione va ancora premesso che la responsabilità di cui si discute - contrariamente a quanto prospettato dall'appellante - ha natura extra-contrattuale, come peraltro recentemente ribadito dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 7 del 23 aprile del 2021, secondo cui "La responsabilità della Pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità provvedimentale sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale; è pertanto necessario accertare che vi sia stata la lesione di un bene della vita, mentre per la quantificazione delle conseguenze risarcibili si applicano, in virtù dell'art. 2056 c.c. - da ritenere espressione di un principio generale dell'ordinamento - i criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta e dell'evitabilità con l'ordinaria diligenza del danneggiato, di cui agli artt. 1223 e 1227 c.c., e non anche il criterio della prevedibilità del danno previsto dall'art. 1225 c.c.", e che ciò evidentemente rileva sotto il profilo dei danni risarcibili e, più in generale, della disciplina applicabile.

6.1.1. Venendo specificamente alle censure, il giudice di prime cure ha condivisibilmente interpretato la disposizione di cui all'art. 11, comma 5, del d.P.R. n. 487 del 1994 - che individua la durata massima delle procedure concorsuali nel termine di sei mesi, decorrente dalle prove scritte, nel caso di concorsi per esami, e dalla prima riunione della commissione, nel caso di concorsi per titoli - quale principio generale, in virtù del quale, nel caso di concorsi che oltrepassino detta durata, si configura un preciso onere a carico dell'organo procedente tenuto a dare adeguata contezza, tramite un'apposita relazione, dei motivi del suo superamento.

Ed è bene aggiungere che i suddetti motivi, nel caso di specie, sono stati indicati dall'amministrazione appellante, malgrado l'esorbitante durata della procedura concorsuale, solo nel corso del presente giudizio e che, per di più, questi ultimi non sono idonei a giustificare il ritardo con cui si è conclusa.

Ciò detto, la sentenza impugnata è corretta nella parte in cui, in coerenza coi principi espressi dalla ricordata Adunanza plenaria n. 7 del 2021, ha ritenuto che il mancato rispetto di quel termine, raccordato a quanto previsto dall'art. 2-bis della l. 241 del 1990, rappresentino elementi compositivi del danno da ritardo allorquando da quest'ultimo scaturisca una lesione effettiva nel patrimonio del privato.

Nel caso di cui alla controversia ciò si è senz'altro verificato, dal momento che gli appellati, risultati vittoriosi solo nel febbraio del 2002, a causa del ritardo, non hanno percepito le spettanze retributive, così come quelle contributive, connesse alle mansioni superiori al cui svolgimento avevano diritto, se non in un momento di molto successivo a quello nel quale le avrebbero ottenute, se il concorso avesse rispettato la durata prevista dalla legge. E poiché il termine legalmente ragionevole di mesi sei decorreva, come visto, dal giorno della prima riunione della commissione di concorso, il giudice di prime cure ha correttamente individuato in quest'ultimo il dies a quo sulla cui base calcolare il danno.

Contrariamente a quanto dedotto dall'appellante, la sentenza non ha disposto il risarcimento di un mero danno da ritardo, ma ha circoscritto precisamente la portata di un danno effettivo, rinvenendolo nel predetto differenziale economico cagionato dall'illegittima protrazione della procedura concorsuale, temporalmente inquadrata nei due momenti dello sforamento del termine legale (inizio) e della definitiva approvazione della graduatoria (fine del fatto illecito).

Tanto meno è vero che, nel liquidarlo, il giudice non abbia tenuto conto del profilo di effettività della prestazione - che, nel caso di specie, indiscutibilmente, mancava - infatti, ricorrendo a criteri equitativi, a cui, in questo caso, ha fatto ricorso in senso sfavorevole ai danneggiati, proprio perché costoro sono rimasti nelle mansioni di origine, ha ridotto il suddetto differenziale al 30% del suo valore, così ridimensionando sensibilmente il quantum che gli sarebbe astrattamente spettato.

7. Come detto, con ulteriore motivo di censura, l'appellante contesta che il ritardo sia colpevolmente addebitabile al suo operato, allegando quali cause, asseritamente incolpevoli, il contenzioso giudiziario avviato prima dai sindacati, nel 1993, e poi da alcuni concorrenti, in epoca successiva e, in seconda battuta, rappresentando che l'amplissima platea di candidati che parteciparono al concorso rallentò inevitabilmente la procedura.

7.1. Neppure questo motivo è fondato. In disparte il citato art. 11, comma 5, del d.P.R. n. 487/1994, dal quale è in ogni caso evincibile una presunzione di colpa a carico della Pubblica Amministrazione in caso di mancato rispetto del termine di durata dei concorsi, si osserva che nessuno dei due elementi possiede un'autonoma efficacia esonerativa della colpa dell'amministrazione.

Non il primo perché i processi - oltre alla considerazione che la loro essenza risiede nel legittimo esercizio del diritto di difesa e che quindi giammai potrebbero rappresentare un evento imprevedibile o comunque anomalo - nel caso di specie si sono conclusi in senso sfavorevole alla Pubblica Amministrazione, così dimostrando che era incorsa in errori nella procedura, a loro volta causa di illegittimità che le sono certamente imputabili.

Neppure il secondo evento - consistente nel numero di candidati e nell'addotta complessità gestionale che ne è derivata - è idoneo ad escludere la colpa d'organizzazione della P.A. Detta complessità e le difficoltà che prospettava avrebbero dovuto essere fronteggiate dalle ordinarie competenze amministrative dell'autorità procedente, intesa sotto il profilo funzionale ed organizzativo, ed il fatto che sia stata, al contrario, causa di rallentamento dell'attività, lungi dal configurarsi come esclusione di addebito, depone semmai nel senso di un'amministrazione condotta con negligenza ed imperizia.

Indiscutibile infine - anche in tali sensi vanno disattese le censure dell'appellante - che sussista un rapporto di derivazione causale diretto ed immediato tra ritardo e mancato conseguimento del bene della vita (e mancata percezione delle differenze retributive) in capo agli appellati.

8. Questi motivi inducono, conclusivamente, a respingere il gravame. Le ragioni della controversia, ed il contesto concreto nel quale si è svolta, giustificano ciò nondimeno la compensazione integrale delle spese di questo grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, rigetta l'appello.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.