Corte dei conti
Sezione giurisdizionale per il Molise
Sentenza 17 maggio 2023, n. 23

Presidente: Stanco - Estensore: Di Cecilia

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto di citazione in giudizio, ritualmente notificato, la Procura regionale conveniva in giudizio i predetti convenuti, nell'indicata qualità, per sentirli condannare, impregiudicati i poteri del Collegio giudicante circa la determinazione della quota di danno rispettivamente imputabile ed ogni diversa valutazione, in favore del Comune di San Pietro Avellana (IS), al pagamento della somma di euro 3.392,95, oltre a rivalutazione monetaria, interessi legali e spese del giudizio, queste ultime a favore dello Stato, erogata a titolo di rimborso delle spese legali, in realtà non dovute, con mandato n. 251 del 25 maggio 2020 (originariamente recante l'importo di euro 4.071,54).

La notitia damni rinveniva la propria fonte nella nota datata 14 maggio 2020 "nella quale si rappresentava e documentava, tra l'altro, che nell'ambito del Comune di San Pietro Avellana (IS), con determinazione n. 12 del 9 maggio 2020 a firma della Segretaria Comunale, responsabile del procedimento, la dott.ssa Maria Teresa M., erano state pagate a favore del Sindaco Francesco L. e dei consiglieri di maggioranza Alberto R., Marilena S., Alberto C., Domenico Q., Mariella Co. e Giuseppe Se. le spese di giudizio ed onorari per il procedimento penale n. 369.2018 RGNR e n. 747.18. R.G.".

Tale nota, inoltre, evidenziava che ad instaurare la procedura di lite erano "stati proprio il sindaco e i consiglieri di maggioranza; questi ultimi si sono dichiarati nella delibera come coloro che si sono dovuti difendere contrariamente a quanto realmente accaduto essendo stati loro a fare la denuncia ed il procedimento è stato archiviato".

Dall'attività istruttoria espletata dalla Procura (decreto 18 giugno 2020), riscontrata dal Comune di San Pietro Avellana con nota prot. n. 941/2020 a firma della Segretaria comunale, sarebbe emerso come la condotta causativa del danno riposi sul citato rimborso, richiesto ed ottenuto dal sindaco e dai consiglieri di maggioranza, per spese legali sostenute per la loro difesa nell'indicato procedimento penale iscritto presso il Tribunale di Isernia e definito con ordinanza di archiviazione emessa dal G.I.P. in data 29 gennaio 2019, da loro stessi avviato nei confronti dei consiglieri di minoranza da cui detti amministratori reputavano di essere stati diffamati in occasione dell'esercizio delle pubbliche funzioni assolte, nonché sulla concorrente condotta del Segretario comunale che tale determinazione aveva illegittimamente adottato.

Riferiva la Procura che, con la stessa nota, la Segretaria comunale specificava che "non si provvedeva ad effettuare il rimborso in favore del Vice Sindaco, R. Alberto, avendo lo stesso situazioni debitorie nei confronti dell'Ente, eventualmente da compensare".

Sempre la Procura precisava di aver acquisito dal Tribunale penale di Isernia la querela presentata dal sig. L. ed altri nonché la richiesta di archiviazione del P.M. penale e l'ordinanza di archiviazione (nota prot. 604 del 23 marzo 2021 riscontrata con nota iscritta al prot. n. 718 del 9 aprile 2021).

Riferiva, ancora, che la Segretaria comunale, investita dell'adempimento informativo circa l'indicata compensazione del rimborso delle spese legali avvenuta tra l'amministrazione e il vicesindaco R. nonché dell'invio della documentazione con ulteriore decreto istruttorio (nota prot. n. 603 del 21 marzo 2021), forniva risposta (v. nota n. 1488 del 3 aprile 2021; doc. 7) chiarendo, a rettifica di quanto rappresentato nella precedente nota, che in favore del vicesindaco R. non era stato emesso alcun mandato di pagamento, né era stata effettuata alcuna compensazione. Dagli atti risulta che il consigliere comunale C. non aveva formalmente richiesto alcun rimborso né prodotto alcuna fattura. Di conseguenza, con determinazione n. 25 del 25 luglio 2020 (doc. 3 - all. 6) l'amministrazione comunale aveva provveduto a revocare, in autotutela, la precedente determinazione n. 12/2020, nella parte in cui si disponeva il rimborso delle spese legali anche nei confronti del consigliere C.

Dall'istruttoria emergeva, inoltre, che a seguito della medesima ordinanza di archiviazione anche i consiglieri di minoranza a suo tempo indagati, sigg. Claudio D.L., Simona D.C. e Franco T. chiedevano e ottenevano (v. doc. 3 - all. 7, 8, 9, 10, 11 alla citazione), il rimborso delle spese legali come da fatture quietanzate n. 119, 120 e 121 del 14 ottobre 2019 (doc. 3 - all. 12), cui seguiva la determinazione n. 19 del 31 dicembre 2019 (doc. 3 - all. 13) e mandati di pagamento n. 84, 85, e 87 del 5 marzo 2020 (doc. 3 - all. 14).

Alla luce delle risultanze istruttorie esperite, la Procura contabile ha notificato, nelle forme di rito, l'invito a fornire deduzioni agli odierni convenuti individuando, a carico dei medesimi, l'antigiuridicità della condotta, il requisito soggettivo, il nesso causale e il danno patrimoniale quantificato in euro 3.392,95.

In riscontro al notificato invito, contrariamente alla dott.ssa. M. che non ha fatto pervenire controdeduzioni né richiesto audizione o accesso al fascicolo, i sigg. L., S., Q., Co. e Se., tutti rappresentati e difesi, per delega, dall'avv. Michelangelo Fiorentino del Foro di Cassino, hanno fatto pervenire controdeduzioni in data 8 giugno 2021, sinteticamente riferite nell'atto di citazione, alla cui lettura si rinvia per economia processuale.

Controdeduzioni che, tuttavia, non sono state ritenute persuasive dalla Procura la quale ha ravvisato l'inalterato permanere dei presupposti per l'esercizio, nei confronti di tutti gli invitati, dell'azione di responsabilità amministrativo-contabile.

La Procura ha ricostruito il quadro normativo ritenuto applicabile che estende il rimborso delle spese legali sostenute anche da amministratori di un ente locale coinvolti in un giudizio, civile o penale, nel caso di conclusione del procedimento con sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione, in presenza dei seguenti requisiti o presupposti sostanziali:

a) assenza di conflitto di interessi con l'ente amministrato;

b) presenza di nesso causale tra funzioni esercitate e fatti giuridicamente rilevanti;

c) assenza di dolo o colpa grave;

Il tutto, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nel limite massimo dei parametri stabiliti dal decreto di cui all'art. 13, comma 6, della l. 31 dicembre 2012, n. 247 (ex art. 86, comma 5, del t.u.e.l., come modificato dall'art. 7-bis l. 6 agosto 2015, n. 125).

Nel precisare la fonte tralatizia della citata disposizione (art. 67 del d.P.R. 13 maggio 1987, n. 268), la Procura ha evidenziato come prima di tale avvento normativo non vi era alcuna disposizione legislativa che prevedeva il rimborso delle spese legali sostenute dagli amministratori coinvolti in un procedimento penale o in un giudizio civile, come ribadito dalla prevalente giurisprudenza, che riportava, ritenendo infondata qualsivoglia pretesa restitutoria avanzata dagli amministratori locali.

La Procura ha rilevato, in particolare, che nella determinazione n. 12/2020 non si fa riferimento né all'art. 86, comma 5, del t.u.e.l., né all'art. 67 del d.P.R. 13 maggio 1987, n. 268, bensì ad una norma abrogata da circa otto anni (art. 16 del d.P.R. n. 191 del 1° giugno 1979) a decorrere dal 6 giugno 2012, per effetto dell'art. 62, comma 1, e dalla tabella A allegata al d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla l. 4 aprile 2012, n. 35.

Indipendentemente dall'erroneo richiamo normativo e nell'esplicitare la ratio della norma sottesa all'esigenza che il soggetto appartenente ad un'organizzazione pubblica, chiamato ingiustamente a rispondere per attività compiute nell'espletamento dei propri compiti istituzionali, non debba sopportare il peso economico del processo (art. 28 Cost.), la Procura ha evidenziato che, contrariamente, nella fattispecie, il sindaco L. e i consiglieri di maggioranza, S., Q., Co. e Se. non sono stati "chiamati" ingiustamente a rispondere, in sede penale, per le proprie attività espletate quali compiti istituzionali per cui, nei loro confronti non è stata pronunciata alcuna favorevole "sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione"; né hanno mai assunto la veste di indagati o imputati dal momento che esso risulta "attivato" su iniziativa dei convenuti stessi, sindaco e consiglieri comunali di maggioranza, querelanti, non essendo procedibile d'ufficio, né in esso necessario il patrocinio e l'assistenza di un legale.

Di talché si esorbita dall'ipotesi astratta contemplata testualmente dalla normativa in questione, applicabile in via interpretativa anche agli amministratori (Sez. contr. Lombardia, n. 452/2011, Sez. giur. Molise, n. 35/2019), come emergerebbe perspicuamente dalla lettura dello scritto assertivamente lesivo del 18 ottobre 2017, trasmesso con nota n. 1488/2021 dalla segretaria comunale, in cui non compaiono neanche i nomi degli amministratori convenuti e dalle ragioni contenute nell'ordinanza di archiviazione della notizia di reato di diffamazione, ossia una condotta criminosa d'opinione e di critica politica (doc. 3 - all. 2 e doc. 5), ritenendo che "deve tenersi conto che gli indagati, consiglieri comunali di minoranza del comune di S. Pietro Avellana, avevano inteso esercitare il loro diritto di critica politica avverso l'operato degli amministratori comunali accusati di una cattiva gestione del museo delle Civiltà e del Costume d'Epoca" e che - secondo quel giudice - "non esorbiti dall'agone politico e dal diritto di critica politica legittimamente spettante ai consiglieri comunali di minoranza, l'avere gli indagati richiamato l'attenzione delle autorità preposte alla tutela dei beni culturali e della collettività locale sulle scelte della politica locale sulla gestione del museo, in particolare sulla organizzazione, catalogazione, esibizione delle collezioni di beni in esso custodite, non sfociando tali affermazioni in attacchi gratuiti alle persone degli amministratori locali (che non vengono neanche nominati), né in espressioni offensive per i valori morali degli stessi. Nondimeno dal tenore delle espressioni utilizzate, non pare doversi ascrivere un rilievo denigratorio alla reputazione e alla persona dei querelanti opponenti, che trascende i limiti consentiti di esercizio e tutela del proprio diritto-dovere di critica delle scelte di politica culturale della maggioranza consiliare e della giunta facente capo al sindaco (cfr. Cass., sent. n. 11663 del 16 dicembre 1997)".

A conforto della tesi accusatoria sostenuta, la Procura regionale ha evidenziato come sia la querela che l'opposizione alla richiesta di archiviazione della Procura della Repubblica di Isernia non siano stati accolti dall'Autorità giudiziaria penale, in buona sostanza disattendendo e respingendo le ragioni formulate dai convenuti nel ricorso ex art. 410 c.p.p. e, quindi, equiparati a soccombenti nel procedimento giurisdizionale, a differenza dei consiglieri di minoranza indagati per i quali vi è stato l'esito favorevole di detto procedimento di assoluzione.

Infine, la Procura ha ritenuto assente il presupposto dell'esigenza della "tutela dei propri diritti ed interessi" che possa giustificare il rimborso delle spese legali dell'Amministrazione coinvolta.

Conclusivamente, la Procura ha dedotto la sussistenza, nei confronti di tutti indistintamente gli odierni convenuti, degli elementi costitutivi della responsabilità amministrativo-contabile: sia di natura oggettiva (antigiuridicità ed illiceità della condotta, nesso di causalità ed evento dannoso), sia psicologica o soggettiva (condotta connotata, quanto meno, da colpa grave determinata da grossolana violazione dei principi che regolano gli obblighi di servizio e da macroscopica trascuratezza, prevedibile ed evitabile) essendo il rimborso avvenuto al di fuori dei limiti consenti dall'ordinamento giuridico che costituiscono principi e criteri generali, di piana e diffusa applicazione secondo l'id quod plerumque accidit.

Rimessa alla decisione del Collegio la ripartizione delle quote di danno dei responsabili in considerazione dei singoli apporti (Sez. III centr. app., n. 519/2015; Sez. giur. Veneto, n. 17, n. 86 e n. 91 del 2018), la Procura ha rivolto istanza di rito monitorio atteso l'ammontare del danno contestato ex art. 131 c.g.c. All'esito di essa, il Presidente della Sezione, previo parere favorevole richiesto ed espresso dal Procuratore regionale, in data 29 settembre 2021 ha determinato in euro 400,00 (quattrocento/00) la somma, comprensiva di rivalutazione monetaria ed interessi legali, che ciascun convenuto avrebbe potuto pagare, oltre alle spese del presente giudizio, per il contestato danno, assegnando il termine di giorni centodieci - decorrente dalla data di legale conoscenza - [per] l'accettazione della determinazione.

In caso contrario ovvero nelle ipotesi contemplate dal comma 4 del citato art. 132 c.g.c., il Presidente fissava l'odierna udienza per la discussione della causa, assegnando termine fino a venti giorni prima per la costituzione dei convenuti e per il deposito di memorie e documenti.

La posizione dei convenuti costituiti.

Nel costituirsi in giudizio, la difesa dei convenuti ha, in via pregiudiziale di rito, ribadito l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata in fase pre-procedimentale in quanto le somme percette dai convenuti sono state corrisposte all'esito di un procedimento amministrativo concluso con provvedimento, atto valido ed efficace ex art. 7 d.lgs. n. 104/2010, il cui sindacato spetta al giudice amministrativo come sancito dall'art. 29 del citato decreto. Peraltro, tale accertamento rientrerebbe nella sfera di discrezionalità amministrativa o c.d. riserva di amministrazione - come tale sottratto al potere giurisdizionale del giudice contabile - come indicato nell'art. 103, comma 2, in riferimento all'art. 97 Cost. - non attenendo certo all'adeguatezza o meno dei mezzi in relazione ai fini perseguiti.

Nel merito, dopo aver dedotto la ricostruzione parziale da cui la Procura fa discendere l'azione per cui è causa e, soprattutto, partendo dal principio di innocenza "oltre ogni ragionevole dubbio e fino a prova contraria", anziché di colpevolezza, la difesa ha sostenuto l'infondatezza delle accuse mosse e, principalmente, l'insussistenza dell'illiceità della condotta e dell'elemento soggettivo.

In particolare, nessun addebito di sprezzante trascuratezza dei propri doveri potrebbe loro imputarsi per aver reagito, quali amministratori pubblici accusati ingiustamente - pur sapendoli innocenti - di furto, appropriazione indebita ed altro e nonostante l'accertamento negativo eseguito a seguito di ispezione dal Ministero dei beni culturali, all'archiviazione dell'esposto - della cui conoscenza nemmeno venivano inizialmente investiti - mediante querela per diffamazione, successivamente archiviata dal G.I.P. del Tribunale di Isernia nonostante l'opposizione formulata, peraltro non esistendo agli atti del fascicolo processuale alcuna richiesta di rimborso come, contrariamente, dedotto dal P.M.

In buona sostanza, attraverso la proposizione della querela i convenuti avrebbero soltanto cercato di tutelare la loro onorabilità professionale e la correttezza dell'incarico amministrativo ricoperto, con profondo senso del dovere ed impegno civico.

La difesa ha richiamato, in proposito, gli arresti giurisprudenziali di questa Corte, anche di natura nomofilattica delle Sezioni riunite, nonché i consolidati approdi dottrinali in tema di gravità della colpa, invocando il decreto semplificazioni 2021 "che sul piano strutturale ha di fatto modificato l'articolo 1 della l. 20/1994 statuendo il nuovo regime di responsabilità amministrativa che non prevede più il requisito della colpa grave se non per danni causati da omissione o inerzia mentre per i fatti commissivi attivi, è prevista in via strutturale come elemento psicologico necessario solo il dolo, ma quello in chiave penalistico, cosa ovviamente assai difficile da provare per l'attore".

La difesa ha, quindi, conclusivamente affermato che nessuna responsabilità potesse ritenersi integrata a carico dei convenuti rappresentati con riferimento alla condotta antigiuridica, al danno ed al nesso causale, chiedendo il conseguente rigetto della domanda attorea non sussistendone i presupposti di legge, con ogni conseguenza di legge.

All'udienza pubblica di discussione le parti hanno ulteriormente e diffusamente argomentato in ordine alle contrapposte posizioni processuali, nei termini riportati nel processo verbale cui si rinvia, concludendo in conformità alle rispettive scritture preparatorie del giudizio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale il Collegio, accogliendo la richiesta della Procura, dichiara la contumacia di Maria Teresa M., ai sensi degli artt. 91, comma 3, e 93, comma 5, del d.lgs. n. 174/2016, verificata la ritualità della notifica dell'atto di citazione nei suoi confronti, come emerge dalla prova documentale offerta dalla relata di notifica eseguita dall'Ufficiale giudiziario presso il Tribunale di Isernia in data 26 novembre 2021 a mani dell'addetta alla casa B. Florinda presso il domicilio di Via [omissis], "capace e in sua precaria assenza ed in assenza di familiari", ai sensi dell'art. 139, comma 2, c.p.c.

2. Sempre in via pregiudiziale e seguendo un ordine logico-giuridico di trattazione delle questioni processuali (art. 101, comma 2, c.g.c.), destituita di fondamento si rivela l'eccezione di difetto di giurisdizione, in favore del giudice amministrativo, sollevata dai convenuti, rispetto alle somme percepite dai convenuti in quanto corrisposte all'esito di un provvedimento amministrativo conclusivo del relativo procedimento amministrativo (artt. 7 e 29 d.lgs. n. 104/2010).

Rileva il Collegio che il fulcro dell'indagine riservata alla cognizione del giudice contabile - come nella fattispecie concreta - sia costituito non tanto, e non solo, dall'accertamento e conseguente valutazione della mera legittimità/opportunità degli atti amministrativi adottati (annullamento o revoca), alla stregua di un sindacato diffuso di legittimità tradizionalmente devoluto al giudice amm[i]nistrativo e che può comportare l'annullamento dell'atto amministrativo ex artt. 7 e 29 citati (legittimità che pur può costituire un presupposto o elemento che compone ed è sintomatico dell'illecito amministrativo-contabile) quanto piuttosto la condotta complessiva osservata dall'autore sotto il precipuo piano della responsabilità amministrativo-contabile, la quale deve ritenersi integrata - nel concorso degli altri elementi costitutivi rappresentati dal rapporto di servizio e dal nesso di causalità - in presenza di una condotta, dolosa o gravemente colposa psicologicamente riconducibile al soggetto ed illecita in quanto causativa di un danno, patrimoniale o non, come tale contra ius o antigiuridica (Sez. Campania, n. 14/2013, e Sez. Veneto, n. 132/2018).

Pertanto, il mancato rispetto dei presupposti legali previsti dalla normativa per il rimborso delle spese legali sostenute dagli amministratori coinvolti in un procedimento penale - o in un giudizio di responsabilità civile o amministrativa - non rileva, ai fini del presente giudizio, quale mera illegittimità del procedimento amministrativo e del conseguente provvedimento amministrativo finale adottato, ma unicamente in quanto fatto sintomatico di una condotta o azione amministrativa priva di adeguata giustificazione della spesa occorsa e, di conseguenza, presuntiva della sussistenza di danno erariale (Sez. III centr. app., n. 486/2016).

Oggetto di valutazione è, quindi, la condotta tenuta da dipendenti ed amministratori comunali anziché la legittimità del provvedimento amministrativo (determinazione n. 12/2020) di rimborso delle spese legali sostenute disposto in loro favore.

3. Infondata è anche l'ulteriore eccezione sollevata dalla difesa dei convenuti costituiti in ordine al presunto difetto di giurisdizione per insindacabilità della condotta dei convenuti che rientrerebbe nella sfera di discrezionalità amministrativa o c.d. riserva di amministrazione sottratta al potere giurisdizionale del giudice contabile non attenendo all'adeguatezza o meno dei mezzi in relazione ai fini perseguiti.

Diversamente da quanto prospettato, il Collegio ritiene che la cognizione di cui è stato investito concerna la condotta dei convenuti che avrebbero - a dire della Procura - contribuito a realizzare un danno economico-finanziario patito dal patrimonio del Comune di appartenenza attraverso l'indebito rimborso delle spese legali disposto al di fuori dei casi consentiti.

Detto potere di accertamento giurisdizionale rientra nella sfera di valutazione volta alla formulazione di un giudizio di responsabilità erariale nei confronti dei convenuti, nella rispettiva qualità di segretario comunale e di amministratori in carica all'epoca dei fatti relativi alla contestazione, in conseguenza della scelta operata che non deve rivelarsi illogica o irragionevole alla luce dei tradizionali criteri o parametri di legittimità e di buon andamento dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.), vale a dire di efficacia, di efficienza e di economicità di cui all'art. 1 l. n. 241 del 1990 e s.m. e i., collocati all'interno della giurisdizione contabile (cfr., tra le tante, Cass., Sez. un., n. 6820/2017 e n. 9680/2019; Sez. I centr. app., n. 95/2018).

Pertanto, ribaditi i principi recentemente affermati anche dal giudice nomofilattico, secondo cui l'insindacabilità "nel merito" delle scelte discrezionali compiute da soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti non comporta che esse siano sottratte ad ogni possibilità di controllo, e segnatamente a quello della conformità alla legge che regola l'attività amministrativa (Cass., Sez. un., n. 40549/2021; Cass., n. 15979/2022), deve riconoscersi che rientra nei poteri-doveri di questa Corte verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell'ente, che devono essere ispirati ai richiamati criteri di economicità ed efficacia, rilevanti sul piano non della mera opportunità bensì della legittimità dell'azione amministrativa.

Nel caso in esame, tale valutazione concerne una condotta tenuta nello svolgimento, rispettivamente, del rapporto d'impiego, intrattenuto dal Segretario generale dell'ente locale, e del rapporto di servizio, quanto meno in regime di "occasionalità necessaria", dagli amministratori comunali citati a giudizio rientrante nella sfera costituzionale di attribuzione riconosciuta al giudice contabile (art. 103, comma 2, Cost.).

4. Nel merito, la domanda giudiziale proposta va parzialmente accolta poiché fondata nei termini di seguito precisati.

4.1. Ricostruzione del quadro normativo di riferimento vigente.

In tema di rimborsabilità delle spese legali sostenute per l'assistenza difensiva in processi penali o civili si è già, diffusamente, intrattenuta questa Sezione con precedenti quanto recenti pronunce (sentenze n. 39/2019 e n. 49/2022) al cui contenuto si rinvia non essendovi motivo alcuno per discostarsene.

Tuttavia, nel presente giudizio i fatti principali contestati riguardano un arco temporale successivo rispetto a quello oggetto dei precedenti giudizi, tutti risalenti al periodo anteriore al 2015 in cui, in tema di rimborso delle spese legali sostenute dai dipendenti dello Stato (art. 18 d.l. n. 67/1887, conv. in l. 135/199) e degli enti locali (art. 28 del c.c.n.l. 2000 per il personale del Comparto delle Regioni e delle Autonomie Locali e art. 12 del c.c.n.l. 2002) vi era incertezza sul diritto alla rifusione delle spese legali avanzata nei riguardi di Comuni e Province da amministratori locali risultati assolti in sede penale (v. indirizzo giurisprudenziale in Cass. sent. n. 12645/2010; n. 2569/2011; n. 4536/2012; C.d.S., parere 16 marzo 2004, n. 792; Corte conti, sez. giur. Veneto, sent. n. 647/2011).

E tanto, avendo la Suprema Corte ripetutamente confutato l'applicazione analogica (analogia legis) della disposizione contrattuale (art. 28 del c.c.n.l. cit.), ovvero ancora trovare applicazione la disposizione privatistica in tema di mandato ex art. 1720 c.c., che legittima il mandatario ad essere sollevato dalle spese sostenute nei giudizi di responsabilità civile, penale o amministrativa a loro carico per fatti commessi nell'espletamento dell'incarico per fatti connessi all'espletamento del servizio o all'assolvimento di obblighi istituzionali (Cass., sent. n. 12645/2010; Cass., Sez. lav., n. 5264/2015).

Occorre individuare, infatti, la fonte normativa sopravvenuta nell'art. 7-bis, comma 1, del d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito con l. 6 agosto 2015, n. 125 che ha espressamente riconosciuto ammissibile il rimborso delle spese legali agli amministratori degli enti locali prosciolti in sede penale inserendo il comma 5 all'art. 86 del t.u.e.l. (approvato con d.lgs. n. 267/2000) che dispone, al secondo periodo: "Gli enti locali di cui all'articolo 2 del presente testo unico, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, possono assicurare i propri amministratori contro i rischi conseguenti all'espletamento del loro mandato. Il rimborso delle spese legali per gli amministratori locali è ammissibile, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nel limite massimo dei parametri stabiliti dal decreto di cui all'articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, nel caso di conclusione del procedimento con sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione, in presenza dei seguenti requisiti: a) assenza di conflitto di interessi con l'ente amministrato; b) presenza di nesso causale tra funzioni esercitate e fatti giuridicamente rilevanti; c) assenza di dolo o colpa grave".

Norma ritenuta applicabile, ratione temporis, a condizione che l'assoluzione sia intervenuta successivamente alla sua entrata in vigore il 15 agosto 2015 (cfr. Corte conti, Sez. III centr. app., 2 novembre 2020, n. 181), attesane la natura sostanziale, e che subordina il rimborso ai requisiti e presupposti rigorosamente richiesti dalla legge.

Come, in parte, evidenziato dalla Procura, tale disciplina risponde all'esigenza di sollevare il soggetto appartenente ad un'organizzazione pubblica, chiamato ingiustamente a rispondere per attività compiute nell'espletamento dei propri compiti istituzionali - consentendone uno svolgimento più sereno - ed imputabili direttamente all'amministrazione di appartenenza, dal timore di dover sopportare il peso di eventuali conseguenze economiche derivanti dal processo, rinvenendo il proprio fondamento nel principio di immedesimazione organica scolpito nell'art. 28 Cost. (in termini, anche C.d.S., Sez. III, parere 25 novembre 2003, n. 332).

4.2. Orbene, nel caso di specie i presupposti a cui la norma surriportata subordina il sorgere del diritto al rimborso delle spese legali difettano del tutto.

Depone per tale convincimento, innanzitutto, la circostanza che il sindaco L. e i consiglieri di maggioranza, S., Q., Co. e Se. non sono stati "chiamati" ingiustamente a rispondere, in sede penale, per le proprie attività espletate connesse a compiti istituzionali, non avendo mai assunto la veste di indagati o di imputati per cui, nei loro confronti, non è stata pronunciata alcuna favorevole "sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione". Invero, il procedimento penale per l'accertamento del reato di diffamazione (art. 595 c.p.), derivante dalla diffusione di frasi asseritamente offensive pronunciate nei loro confronti, è stato "instaurato" proprio su iniziativa dei medesimi convenuti, sindaco e consiglieri comunali di maggioranza, in qualità di querelanti, non essendo, detta tipologia, procedibile d'ufficio ma a querela di parte (artt. 597 c.p. e 336 c.p.p.), a margine della considerazione che in esso è nemmeno indispensabile il patrocinio e l'assistenza di un legale.

Dirimente rilievo, inoltre, assume non solo l'assenza di una sentenza di tipo assolutorio e divenuta irrevocabile (Cass. civ., Sez. I, 3 gennaio 2001, n. 54) emessa nei confronti degli amministratori convenuti e querelanti ma, vieppiù, che tra i destinatari dell'ordinanza di archiviazione emessa dal G.I.P. in data 29 gennaio 2019 non figurano affatto i nominativi dei medesimi, bensì i querelati consiglieri di minoranza.

È condivisibile, invero, quanto dedotto dalla Procura sia con riferimento al perspicuo esame dello scritto assertivamente lesivo del 18 ottobre 2017, trasmesso con nota n. 1488/2021 dalla Segretaria comunale (doc. 7), in cui non compaiono neanche i nomi degli amministratori, odierni convenuti, sia alle motivazioni sottese alla richiamata ordinanza circa "una condotta criminosa d'opinione e di critica politica (doc. 3 - all. 2 e doc. 5)", ritenendo che "deve tenersi conto che gli indagati, consiglieri comunali di minoranza del comune di S. Pietro Avellana, avevano inteso esercitare il loro diritto di critica politica avverso l'operato degli amministratori comunali accusati di una cattiva gestione del museo delle Civiltà e del Costume d'Epoca" e che "non esorbiti dall'agone politico e dal diritto di critica politica legittimamente spettante ai consiglieri comunali di minoranza, l'avere gli indagati richiamato l'attenzione delle autorità preposte alla tutela dei beni culturali e della collettività locale sulle scelte della politica locale sulla gestione del museo, in particolare sulla organizzazione, catalogazione, esibizione delle collezioni di beni in esso custodite, non sfociando tali affermazioni in attacchi gratuiti alle persone degli amministratori locali (che non vengono neanche nominati), né in espressioni offensive per i valori morali degli stessi. Nondimeno dal tenore delle espressioni utilizzate, non pare doversi ascrivere un rilievo denigratorio alla reputazione e alla persona dei querelanti opponenti, che trascende i limiti consentiti di esercizio e tutela del proprio diritto-dovere di critica delle scelte di politica culturale della maggioranza consiliare e della giunta facente capo al sindaco (cfr. Cass., sent. n. 11663 del 16 dicembre 1997)".

Infine, a corroborare tale conclusione concorre la valutazione che sia la querela proposta che l'opposizione alla richiesta di archiviazione della Procura della Repubblica di Isernia non siano stati accolti dalla autorità giudiziaria penale (GIP), sostanzialmente disattendendo e respingendo le ragioni formulate dai convenuti stessi nel ricorso proposto ex art. 410 c.p.p. e traducendosi, in definitiva, in un esito di detto procedimento penale favorevole ai querelati, anziché ai querelanti che, pertanto, non possono considerarsi persone offese dal reato la cui notizia si è rivelata infondata.

Conclusivamente, alla luce di quanto esposto reputa il Collegio che siano insussistenti i requisiti sostanziali richiesti dalla legge capaci di generare il diritto al rimborso delle spese legali sostenute dagli amministratori comunali convenuti.

Accertata concretamente la sussistenza dell'elemento dell'antigiuridicità e di quello materiale del danno ingiusto prodotto in conseguenza del rimborso disposto quali componenti dell'illecito amministrativo-contabile, nella costruzione offerta dalla P.R., occorre ora procedere all'individuazione della sua imputabilità ai convenuti in giudizio.

4.3. In proposito, la domanda formulata nei confronti degli amministratori convenuti risulta non meritevole di accoglimento.

La contestazione attorea mossa a costoro consiste infatti, sostanzialmente, nell'avere sollecitato il rimborso delle proprie spese legali alla dott.ssa M., responsabile del procedimento, che le ha poi liquidate.

Tale condotta, come prospettata dal requirente, non pare possa raggiungere la soglia dell'illecito contabile, né sotto il profilo oggettivo né soggettivo, occorrendo rilevare il ruolo decisamente marginale svolto nella vicenda dagli amministratori locali i quali, seppur destinatari finali del disposto rimborso, si sono limitati, tutt'al più, alla presentazione di una mera richiesta, dovendosi escludere che la loro condotta possa ritenersi integrare un intervento reiterato, assillante, cogente o anche modestamente intimidatoria capace di configurare un'indebita interferenza o incidenza nella procedura di liquidazione o da indurre il segretario comunale all'adozione del provvedimento "incriminato".

Né tale da poter ipotizzare, invece, che in assenza di tale concausale condotta l'amministrazione comunale non avrebbe proceduto all'adempimento richiesto (cfr. Corte conti, Sez. giur. Emilia-Romagna, n. 213/2019 e n. 38/2020).

Sul punto va, peraltro, condivisa la linea difensiva sostenuta dall'avv. Fiorentino, ribadita in udienza, secondo cui i propri assistititi non avrebbero nemmeno presentato una specifica o apposita domanda volta ad ottenere detto rimborso.

Né confutata da sicuri elementi documentali di segno opposto emergenti dal fascicolo d'ufficio in grado di assurgere ad adeguato sostegno probatorio delle contrarie affermazioni riportate nella parte dispositiva della determinazione adottata dal segretario generale del 9 maggio 2020, n. 12 (cfr. "DETERMINA", pag. 2) "di prendere atto della richiesta di rimborso...".

Per gli illustrati motivi, a carico degli amministratori convenuti non si ravvisa la responsabilità amministrativa contestata per cui vanno assolti, col favore del rimborso delle spese legali (ex d.m. n. 55/2014 e art. 31, comma 2, c.g.c.) complessivamente liquidate per compenso professionale in euro 1.400,00, oltre al rimborso delle spese generali forfettarie (15% del compenso), IVA e CPA, ponendole a carico del Comune di San Pietro Avellana.

4.4. Responsabilità che, contrariamente, va riconosciuta in via esclusiva a carico della dott.ssa Maria Teresa M., Segretario generale, che tale determina ha adottato, munita di propedeutico parere di regolarità tecnica e di legittimità rilasciato sempre dal medesimo segretario unitamente alla sottoscrizione del provvedimento emesso (cfr. pag. 2 della determina) ai fini del controllo preventivo di cui all'art. 147-bis, comma 1, t.u.e.l., nonché del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria, reso ex art. 153, comma 5, t.u.e.l. dal responsabile del servizio finanziario.

Riscontrata la sussistenza dell'elemento strutturale materiale o oggettivo dell'illecito per il danno derivato dell'intenso nesso di causalità diretta intercorrente tra l'evento costituito dall'illecito rimborso e la condotta contra ius realizzata dalla convenuta sostanziatasi nell'adottata determinazione del 9 maggio 2020, n. 12 alla stregua dei consolidati parametri di "regolarità causale" (artt. 40 e 41 c.p.; Cass., n. 6474/2012), il Collegio ritiene integrato anche l'elemento soggettivo della responsabilità amministrativa contestata.

Dall'esame del materiale istruttorio risulta di palmare evidenza che la dott.ssa M. non possa ritenersi esente da responsabilità in presenza di una condotta gravemente colposa che ha determinato il danno derivato al Comune di S. Pietro Avellana, invece evitabile ove, contrariamente e correttamente, improntata a diligenza e al principio di buon andamento e di legalità dell'azione amministrativa.

Infatti, la dott.ssa M. ha adottato la delibera surrichiamata nonostante l'evidente carenza dei requisiti di legge dinanzi precisati e ritenuti indispensabili ai fini del rimborso delle spese legali in favore degli amministratori.

A deporre per la gravità della colpa in cui è incorsa la Segretaria comunale concorre, ovviamente, anche la valorizzazione della "continenza" del preliminare parere favorevole di regolarità-legittimità espresso dalla medesima con la sottoscrizione della determinazione.

In disparte da quanto rilevato dalla Procura circa l'improprio riferimento normativo effettuato nel corpo della determinazione n. 12/2020 all'art. 16 del d.P.R. n. 191 del 1° giugno 1979 - norma abrogata a decorrere sin dal 6 giugno 2012 per effetto dell'art. 62, comma 1, e dalla tabella A allegata al d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla l. 4 aprile 2012, n. 35 - anziché all'art. 86, comma 5, del t.u.e.l. o all'art. 67 del d.P.R. 13 maggio 1987, n. 268, risultano ormai "datati" anche i riferimenti giurisprudenziali, sia di natura costituzionale e di legittimità che amministrativi e contabili (tutti risalenti al periodo 1991-2004) richiamati nel preambolo giustificativo della determinazione (v. "CONSIDERATO", pag. 2); sintomo che denota uno scarso approfondimento della materia in esame, come evolutasi nei modi dianzi precisati.

La condotta osservata dalla convenuta assume particolare gravità soprattutto in considerazione [della] richiesta competenza riconducibile al delicato ruolo di segretario generale ricoperto all'interno del plesso amministrativo locale. Invero, sarebbe stata sicuramente esigibile una condotta alternativa corretta concretatasi in un'effettiva e concreta, quanto diligente ed accorta, verifica della sussistenza degli stringenti requisiti legittimanti il rimborso delle spese legali disposto in favore degli amministratori comunali per tutelare i loro interessi (egoistici) dinanzi al giudice penale. Requisiti - che nella fattispecie difettavano perspicuamente - individuati dalla normativa vigente ratione temporis, di interpretazione agevole e tale da non richiedere il possesso di particolari cognizioni tecnico-giuridiche ed economiche diverse e ulteriori rispetto a quelle di comune diligenza, peraltro confermata da copiosa giurisprudenza intervenuta in materia.

La dott.ssa M. è, quindi, venuta meno ai suoi fondamentali doveri di diligenza caratterizzandosi, l'illecito commesso, per una marcata trasgressione degli obblighi di servizio cui era tenuta nell'attuale assetto ordinamentale, nel quale al Segretario comunale sono affidati compiti di collaborazione e funzioni di assistenza tecnico-giuridica degli organi politici dell'ente locale, in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti (cfr. art. 97, comma 4, del d.lgs. n. 267/2000, approvativo del t.u.e.l.; in giurisprudenza, Sez. giur. Veneto, n. 132/2018; C.d.S., Sez. IV, n. 4858/2006; T.A.R. Campania, n. 1068/2018).

Per le suesposte ragioni, la domanda giudiziale va accolta relativamente alla condanna della convenuta, dott.ssa M.T. M., al risarcimento dell'intero danno arrecato al Comune di San Pietro Avellana pari alla somma di euro 3.392,95 illegittimamente corrisposta a titolo di rimborso delle spese legali - erogata con mandato n. 251 del 25 maggio 2020 - sostenute dagli amministratori convenuti nel procedimento penale definito con ordinanza di archiviazione del 29 gennaio 2019.

L'importo liquidato a titolo di danno andrà incrementato della rivalutazione monetaria a decorrere dalla predetta data del 25 maggio 2020 fino alla data di pubblicazione della sentenza che definisce il presente giudizio nonché degli interessi al tasso legale decorrenti da quest'ultima data e sino all'integrale soddisfo.

Il regime delle spese di giustizia segue il principio della soccombenza; esse vengono liquidate dalla segreteria con nota a margine della presente decisione (art. 31, comma 5, c.g.c.).

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per il Molise, definit[iv]amente pronunciando:

dichiara la contumacia del convenuto Maria Teresa M.;

respinge l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dai convenuti costituiti;

rigetta la domanda attorea nei confronti dei convenuti Francesco L., Marilena S., Domenico Q., Mariella C. e Giuseppe Se., col favore del rimborso, da porre a carico del Comune di San Pietro Avellana, delle spese legali (ex d.m. n. 55/2014 e art. 31, comma 2, c.g.c.) complessivamente liquidate per compenso professionale in euro 1.400,00, oltre al rimborso delle spese generali forfettarie (15% del compenso), IVA e CPA;

condanna la convenuta Maria Teresa M. al risarcimento, in favore del Comune di San Pietro Avellana (IS), del danno liquidato in euro 3.392,95, oltre rivalutazione monetaria da computarsi dalla data del 25 maggio 2020 e interessi legali a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza, e al pagamento delle spese di giustizia, in favore dello Stato, liquidate con nota a margine della sentenza.