Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 6 luglio 2023, n. 19137
Presidente: Spirito - Estensore: Cirillo
FATTI DI CAUSA
1. Il Consiglio distrettuale di disciplina della Liguria sottopose a procedimento disciplinare l'avv. Lucrezia N., ipotizzando a suo carico la violazione dei doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza per avere la stessa interloquito con un giudice di pace, nel frattempo venuto a mancare, senza la presenza del collega avversario, allo scopo di ottenere da quel magistrato la firma di due provvedimenti di sospensione dell'efficacia esecutiva di titoli (a favore di un cliente dell'incolpata) già predisposti e materialmente redatti dall'avv. N. Ottenuti i provvedimenti, quest'ultima aveva anche omesso di notificarli o comunicarli al collega avversario.
Per tale incolpazione - che ricalcava quella del procedimento penale apertosi a carico della professionista presso gli Uffici giudiziari di Torino per il reato di cui all'art. 323 c.p. - il C.D.D. della Liguria irrogò la sanzione dell'avvertimento.
2. La decisione del C.D.D. è stata impugnata sia dal C.O.A. di Savona che dall'avv. N. e il Consiglio nazionale forense, con sentenza del 25 novembre 2022, ha accolto il ricorso della professionista e ha rigettato quello del Consiglio dell'Ordine.
Ha affermato il C.N.F. che, essendosi concluso il processo penale a carico della professionista con pronuncia di assoluzione perché il fatto non sussiste - pronuncia ormai divenuta irrevocabile - la formula assolutoria del giudice penale aveva un effetto vincolante in sede disciplinare, ai sensi dell'art. 653 c.p.p., come da costante orientamento del medesimo C.N.F. confermato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione.
3. Contro la sentenza del C.N.F. propone ricorso l'avv. Lucrezia N. con atto affidato ad un solo motivo.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l'unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3) e n. 4), c.p.c., violazione degli artt. 91 e 112 c.p.c. per omessa decisione in ordine alla ripartizione delle spese di lite e liquidazione delle stesse.
Osserva la professionista ricorrente che la liquidazione delle spese di giudizio deve essere compiuta dal giudice d'ufficio, cioè a prescindere da una richiesta di parte, salvo che la stessa vi abbia rinunciato; cosa che, nella specie, non si è verificata. Avverso tale omissione non sarebbe esperibile la procedura di correzione dell'errore materiale, perché quello strumento è utilizzabile solo nel caso in cui manchi nel dispositivo la liquidazione delle spese, la cui regolamentazione sia però contenuta nella motivazione del provvedimento. Nel caso in esame, invece, la sentenza del C.N.F. nulla ha disposto in argomento. L'esito del giudizio, poi, totalmente favorevole alla ricorrente, eliminerebbe ogni dubbio circa il diritto della stessa alla liquidazione delle spese in suo favore.
1.1. Le Sezioni unite osservano, innanzitutto, che lo strumento del ricorso per cassazione è stato correttamente individuato nel caso di specie, posto che è incontrovertibile che il C.N.F., nell'accogliere il ricorso dell'avv. N. e nel rigettare quello del C.O.A. di Savona, non ha liquidato le spese processuali e non ha indicato eventuali ragioni per le quali abbia ritenuto di non dover provvedere alla liquidazione. Discende da tale circostanza che, sussistendo una completa omissione non solo nel dispositivo ma anche nel corpo della motivazione, tale vizio non sarebbe emendabile ricorrendo alla procedura di correzione degli errori materiali, potendo essere corretto soltanto tramite l'impugnazione ordinaria (in tal senso v., tra le altre, le sentt. 19 agosto 2003, n. 12104, 19 febbraio 2013, n. 4012, Sez. un., sent. 21 giugno 2018, n. 16415, nonché l'ord. 25 marzo 2022, n. 9785).
Altro dato pacifico della vicenda in esame è che l'odierna ricorrente è da ritenere completamente vincitrice nel giudizio conclusosi davanti al C.N.F., posto che la sua impugnazione è stata accolta e quella del C.O.A. di Savona è stata rigettata, con conseguente eliminazione della sanzione disciplinare irrogata a suo carico dal C.D.D. della Liguria.
1.2. Ciò premesso, la questione in diritto sulla quale le Sezioni unite sono chiamate a pronunciarsi (a quanto consta, per la prima volta) consiste nello stabilire se l'avvocato sottoposto a procedimento disciplinare che si concluda con l'assoluzione abbia o meno diritto a vedersi liquidate le spese processuali o, almeno, ad ottenere una decisione che esamini il problema in modo esplicito.
La risposta non può che essere positiva.
Pur essendo indubbio, infatti, che il procedimento disciplinare, per sua stessa natura, appare assimilabile maggiormente al processo penale che a quello civile, tale constatazione esige un approfondimento in relazione allo specifico problema in esame.
Nel procedimento disciplinare a carico dei magistrati, ad esempio, è la legge a disporre che la discussione davanti alla Sezione disciplinare sia regolata dalle norme del codice di procedura penale relative al dibattimento, in quanto compatibili (art. 18, comma 4, del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109); e il successivo art. 24, nel prevedere che le impugnazioni proposte avverso le sentenze disciplinari del C.S.M. abbiano luogo nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale, aggiunge poi che il ricorso per cassazione sia deciso dalle Sezioni unite civili della Corte. La giurisprudenza di queste Sezioni unite, infatti, muovendo da tale presupposto, ha in più occasioni affermato che il sistema di cui all'art. 24 del d.lgs. n. 109 del 2006 è caratterizzato dall'applicazione delle norme processuali penali per la fase introduttiva e di quelle civili per la fase del giudizio (sentt. 18 aprile 2019, n. 10935, e 22 novembre 2022, n. 34380); per cui non sarebbe ipotizzabile l'insorgenza del diritto alla liquidazione delle spese, in caso di assoluzione dell'incolpato da parte della Sezione disciplinare del C.S.M., in relazione al giudizio svoltosi davanti a quest'ultima.
In relazione al procedimento disciplinare a carico degli avvocati, invece, non c'è alcun rimando specifico alle norme del processo penale, come risulta, a contrario, dall'art. 36 della l. 31 dicembre 2012, n. 247, il quale rinvia - per l'esercizio delle funzioni giurisdizionali da parte del C.N.F. - agli artt. da 59 a 65 del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37; e fra questi ultimi, soltanto l'art. 63 contiene un rinvio all'art. 473 c.p.p. (previgente), che regolava la possibilità di procedere alla discussione a porte chiuse.
Deve quindi affermarsi che, mancando disposizioni specifiche in senso contrario, risorge l'obbligo generale del giudice civile di provvedere alla liquidazione delle spese ai sensi dell'art. 91 c.p.c., da ritenere di natura inderogabile (così l'ordinanza 11 gennaio 2022, n. 651). Né potrebbe pervenirsi a diversa soluzione per il fatto che l'avvocato ha la possibilità di difendersi personalmente, posto che le spese di lite gravano anche sul professionista che opti per tale strumento.
In questo senso, del resto, è, a quanto risulta, anche la giurisprudenza dello stesso C.N.F., che ha ritenuto applicabile l'art. 91 c.p.c. al procedimento dinanzi a sé (sent. 16 luglio 2015, n. 97, in linea con le sentt. 5 giugno 2014, n. 76, e 18 marzo 2014, n. 24).
Sussiste, pertanto, la lamentata omissione di pronuncia e la conseguente violazione dell'art. 112 c.p.c., così come prospettata dalla ricorrente.
2. Il ricorso, pertanto, è accolto e la sentenza impugnata è cassata in relazione.
Il giudizio è rinviato al C.N.F., in diversa composizione personale, affinché provveda a colmare l'omissione di pronuncia in punto di spese di lite.
Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia al C.N.F., in diversa composizione personale, anche per le spese del giudizio di cassazione.