Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 20 ottobre 2023, n. 9115

Presidente: De Felice - Estensore: Maggio

FATTO E DIRITTO

La Zennaro Corrado s.a.s. di Zennaro Ubaldo Dilvo e Gimmi & C. (d'ora in poi solo Zennaro Corrado), ha ottenuto, nell'ambito del Patto Territoriale per l'Agricoltura e la Pesca "Area Centro-Sud della Provincia di Venezia", un finanziamento per l'acquisto di due nuove imbarcazioni da pesca, subordinato alla dismissione di natanti di stazza superiore, così da assicurare il conseguimento degli obiettivi di globale riduzione della capacità di pesca, ai sensi degli artt. 9 del regolamento (CE) del Consiglio 17 dicembre 1999, n. 2792 e 13 del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 2002, n. 2371.

Successivamente, visto il verbale della Guardia di finanza prot. 367055/13 in data 10 ottobre 2013 col quale era stato constatato che le nuove imbarcazioni avevano una stazza lorda pari a 208 GT (Gross Tonnage) ciascuna e che quelle ritirate avevano una stazza inferiore, il Ministero dello sviluppo economico (MISE) ha adottato il decreto 6 aprile 2018, n. 1036, col quale ha revocato la concessione del contributo.

Ritenendo il provvedimento di ritiro illegittimo, la Zennaro lo ha impugnato con ricorso al T.A.R. Veneto, il quale, con sentenza 1° aprile 2019, n. 403, lo ha accolto.

Avverso la sentenza ha proposto appello il MISE.

Per resistere al ricorso si è costituita in giudizio la Zennaro Corrado (nelle more del giudizio divenuta Zennaro Corrado s.r.l.), che ha anche riproposto il secondo motivo del ricorso di primo grado, non esaminato dal Tribunale.

Con apposita memoria, la società appellata ha, poi, meglio sviluppato le proprie argomentazioni difensive.

Con ordinanza 19 ottobre 2020, n. 6301, la Sezione ha disposto una verificazione intesa «ad accertare, ove ancora possibile, la stazza in GT ("Gross Tonnage") delle imbarcazioni dismesse dalla parte appellata al fine di ottenere l'agevolazione finanziaria per cui è causa (Edoardo Pilati CI-2736; Padre Manzella PT-1348 e Attilio 1RA-860)».

All'esito del disposto incombente le parti hanno depositato nuovi scritti difensivi con cui hanno ulteriormente illustrato le rispettive tesi.

Alla pubblica udienza del 12 ottobre 2023 la causa è passata in decisione.

Col primo motivo si denuncia l'errore commesso dal Tribunale nel ritenere che il provvedimento impugnato configurasse un annullamento in autotutela, da ciò facendone conseguire la necessità del rispetto dei termini di cui all'art. 21-nonies della l. 7 agosto 1990, n. 241, ai fini della sua adozione.

In realtà il detto provvedimento sarebbe ricollegabile alla categoria delle c.d. "decadenze accertative", la quale, costituita da atti di natura vincolata correlati unicamente alla ricorrenza dei presupposti normativamente richiesti per il venir meno del beneficio assentito, esulerebbe dal campo di applicazione della norma di cui all'art. 21-nonies della l. n. 241/1990.

La doglianza è fondata.

Con recente sentenza, che il Collegio condivide, la Sezione si è pronunciata su controversia del tutto analoga a quella per cui è causa affermando che: «il recupero di erogazioni in generale (e maxime se si tratta di agevolazioni di diritto UE), erroneamente erogate o in assenza del presupposto, non costituisce d'una funzione d'autotutela ex artt. 21-quinquies o 21-nonies della l. 241/1990. Si tratta piuttosto del doveroso esercizio di un potere vincolato, senza che ciò determini la violazione dei principi di tipicità e nominatività della funzione amministrativa (e del provvedimento che ne è la forma giuridica), di revoca sanzionatoria o, il che è lo stesso, di decadenza sanzionatoria, correlato unicamente alla ricorrenza dei presupposti normativi richiesti per elidere ex tunc il beneficio assentito sine titulo. In tal caso, la "revoca" (recte, l'obbligo tutt'altro che discrezionale di ripetizione dell'indebito) si fonda sul dato oggettivo della violazione della normativa di regolazione del settore senza che ne rilevi lo stato soggettivo del beneficiario. Emerge quindi preminente l'esigenza per la P.A. di ripetere erogazioni indebite di pubblico denaro senza che vi occorra una motivazione specifica sulle eventuali ragioni d'interesse pubblico concreto e attuale o di comparazione con quello del debitore, anche quando questi sia in buona fede, dato, questo, che assume rilievo al più nel quomodo del recupero, non certo nell'an.

Si ricade all'interno di una potestà pubblicistica di tipo sanzionatorio/ripristinatorio, riconosciuta alla P.A., in applicazione espressa dell'art. 12, comma 3, lett. f), del d.m. 31 luglio 2000, n. 320, al fine di salvaguardare il medesimo interesse pubblico di settore (art. 13, § 1, del regol. n. 2002/2371/UE) protetto con la concessione dell'agevolazione. Sicché, nella specie, è stato compiuto non un riesame discrezionale dell'atto, alla stregua della sua legittimità od opportunità, quanto invece l'obbligo di ripetizione d'un indebito pagamento, non importa, tranne nella fase esecutiva o ad altri fini, a causa di un errore a priori nel pagamento, d'un originario comportamento fraudolento del percettore o del di lui inadempimento degli obblighi connessi al beneficio dalla normativa di settore. È fermo altresì il principio (cfr., ex multis, C.d.S., V, 19 gennaio 2020; II, 18 maggio 2020, n. 3159; V, 8 febbraio 2021, n. 1126) per cui il recupero d'un illegittimo esborso di denaro pubblico, anche della stessa UE, non richiede una particolare motivazione neppure con riguardo al decorso del tempo, per contro rilevante, qual fattispecie estintiva tipica, nell'autotutela discrezionale» (così C.d.S., Sez. VI, 17 agosto 2921, n. 5908; in termini, fra le tante, C.d.S., Sez. VI, 30 maggio 2017, n. 2614; 23 novembre 2018, n. 6659; Sez. III, 25 marzo 2019, n. 1932).

In definitiva, gli atti attraverso cui l'amministrazione dispone la decadenza sanzionatoria da un'agevolazione finanziaria precedentemente concessa non sono soggetti alla disciplina dettata dall'art. 21-nonies della l. n. 241/1990.

Nel caso che occupa il provvedimento impugnato ha, per l'appunto, la suddetta natura decadenziale, atteso che con esso il MISE si è limitato a riscontrare la mancanza di una condizione prescritta per la legittima erogazione del contributo, ovvero la dismissione di imbarcazioni di stazza pari almeno a quella dei nuovi natanti.

Occorre ora procedere all'esame del secondo motivo di primo grado, qui riproposto dalla società appellata, non affrontato dal Tribunale.

Con esso si censura l'assunto su cui si basa il decreto di revoca, attraverso il richiamo del menzionato verbale di constatazione della Guardia di finanza, ovvero che le imbarcazioni ritirate avessero una stazza pari a 110 GT uguale a quella espressa in TLS.

E invero, la sottointesa operazione di conversione dei due sistemi di misura della stazza non avrebbe alcun fondamento tecnico-scentifico, atteso che non sarebbe possibile definire la stazza in GT partendo dal valore della stessa espresso in TLS.

Ma anche se tale conversione fosse stata consentita, ciò sarebbe, ai fini di causa, irrilevante, dato che, per valutare l'identità della stazzatura, si sarebbe dovuto prendere in considerazione unicamente il valore espresso in TLS, nel nulla osta del 24 marzo 2003, prescritto ai fini del rilascio della licenza di pesca.

Ciò si ricaverebbe, chiaramente, dalla circolare adottata dal MIPAF il 28 novembre 2003, allo scopo di dare attuazione al regolamento CE n. 3259/1994, che ha individuato il 31 dicembre 2003, come termine ultimo per iniziare a calcolare la stazza delle imbarcazioni da pesca in GT.

La detta circolare stabilisce, infatti, che: "per i nulla osta rilasciati con valore di stazza in T.S.L., la cui chiglia (come nella fattispecie) è già stata impostata alla data della presente circolare" resta "fermo (...) il valore indicato [in TSL] nel relativo nulla osta".

La prima delle due censure in cui il motivo si articola merita accoglimento.

Come emerge dalle argomentate e convincenti considerazioni svolte dal verificatore, è «praticamente impossibile procedere al computo dei volumi di stazza di una nave senza avere fisicamente a disposizione la nave, o quanto meno il piano di costruzione, i piani generali e i disegni strutturali della stessa. Purtroppo i tre pescherecci all'epoca dismessi oggi non esistono più, né tantomeno è disponibile adeguata documentazione tecnica. Di essi si conosce soltanto il valore della stazza lorda espressa in "tonnellate di stazza", calcolata con le regole di stazzatura "nazionale". Sulla base del solo valore della stazza lorda nazionale, in assenza di altre informazioni circa la loro configurazione costruttiva, risulta impossibile risalire alla stazza lorda internazionale (Gross Tonnage, GT)... Non esiste alcuna via empirica che possa dare una risposta affidabile, a causa delle regole di stazzatura (nazionale/internazionale) profondamente diverse fra loro, sia per quanto concerne gli spazi da inglobare nel computo del volume di stazza, sia per il modo di misurare detti spazi (entro/fuori ossatura), sia infine per le formule finali che danno il valore della stazza lorda...».

In definitiva, dunque, «... i valori numerici della stazza lorda nazionale (espressa in tsl) e della stazza lorda internazionale (in termini di GT) non possono essere messi in alcun rapporto fra loro, pur essendo entrambi espressivi (ma a loro modo, con regole diverse) della capacità volumetrica della nave».

Da quanto sopra risulta errato il procedimento di conversione della stazza in TLS delle imbarcazioni dismesse, e ormai demolite, con un valore espresso in GT.

Obietta parte appellante che il confronto fra nuove e vecchie imbarcazioni sarebbe stato fatto facendo riferimento ai volumi espressi in GT, ma ciò che ai fini di causa rileva è che, come è emerso dagli esiti della verificazione, la stazza in GT del naviglio dismesso è stata ricavata attraverso un procedimento non corretto dal punto di vista tecnico-scientifico, ovvero da documentazione allo scopo inidonea (licenze di pesca ed estratto dal Fleet Register).

Come condivisibilmente affermato dal verificatore per poter determinare la stazzatura in GT dei natanti ritirati, sarebbe stato necessario «esibire i "Certificati di stazza" internazionale dei tre pescherecci offerti in ritiro», ma tali «certificati... non si trovano né in Atti né presso il RINA».

In considerazione dell'accoglimento del secondo motivo del ricorso di primo grado, sopra esaminato, l'appello va respinto.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Le spese di verificazione vanno poste a carico della parte appellante che ha dato causa alla controversia.

Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Le spese di verificazione liquidato in euro 12.987,86 (dodicimilanovecentottantasette/86), come da richiesta, vanno poste a carico della parte appellante.

Condanna il Ministero dello sviluppo economico e la Cassa depositi e prestiti al pagamento delle spese processuali in favore della società appellata, liquidandole, forfettariamente, in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.