Corte dei conti
Sezione giurisdizionale per la Toscana
Sentenza 23 ottobre 2023, n. 341
Presidente ed Estensore: Bax
FATTO
Con atto di citazione, ritualmente notificato, è stato contestato alla dott.ssa Maria Teresa D.L., nella qualità, all'epoca dei fatti, di direttore generale dell'Azienda USL 1 di Massa Carrara (ora Azienda Usl Toscana Nord Ovest) un presunto danno erariale di euro 34.727,56, pari al 70% dell'importo, mentre al dott. Lorenzo P., nella qualità di direttore amministrativo all'epoca dei fatti, è stato contestato un presunto danno erariale di euro 9.922,16, nella misura pari al 20% dell'importo contestato.
La posizione del dott. D.M. Maurizio, inizialmente evocato in giudizio nella qualità di direttore sanitario all'epoca dei fatti, e ritenuto responsabile nella misura del 10% per un importo pari ad euro 4.961,008, è stata definita con rito abbreviato ai sensi dell'art. 130 c.g.c. (sent. n. 210/2023).
Il danno contestato deriva dall'esborso sostenuto per il pagamento dell'incarico di patrocinio legale, conferito, secondo la impostazione attorea, in assenza dei presupposti previsti dalla legge.
Nella specie la Regione Toscana con l'avvocatura interna, e la ASL 1 di Massa Carrara, a mezzo dell'incarico conferito al prof. avv. Carlo Malinconico, all'avv. Sergio Fidanzia ed all'avv. Angelo Gigliola, proponevano azione risarcitoria contro la società "Deloitte & Touche s.p.a." a fronte di un non corretto assolvimento dell'incarico di certificazione del bilancio di esercizio 2008 della ASL 1 di Massa Carrara per il quale non era stata rilevata alcuna anomalia nella gestione patrimoniale e nel disavanzo esistente.
La società "Deloitte & Touche s.p.a." aveva accertato l'esistenza di crediti dell'Azienda nei confronti della Regione Toscana per oltre euro 60.000.000,00 sulla base di documentazione irrituale ed atipica, documentazione poi disconosciuta, e la Regione aveva in seguito deciso di non approvare il bilancio 2009 della ASL 1 di Massa Carrara, con effetti sui vertici dell'Azienda che si erano dimessi.
Dalla redazione dei documenti contabili della ASL risultavano, inoltre, crediti vantati nei confronti di privati e della Regione nella misura pari ad euro 80.000.000,00, crediti rilevatisi poi inesistenti che, unitamente ad un occultamento dei costi di esercizio dell'Azienda nel corso degli anni di gestione, aveva determinato un dissesto finanziario di oltre euro 240.000.000,00, con effetti successivi sui servizi all'utenza.
Pertanto dalla Regione Toscana e dalla suddetta USL veniva richiesto alla società Deloitte e Touche s.p.a. un risarcimento pari ad euro 31.000.000,00 per il danno economico arrecato ed euro 50.000.000,00 per danno all'immagine, oltre alla ripetizione del compenso pari ad euro 66.180,00 corrisposto dall'Azienda sanitaria alla società di revisione.
L'incarico legale veniva assunto con delib. n. 220 del 28 giugno 2011 a firma del direttore generale della USL, con il parere favorevole del direttore amministrativo e del direttore sanitario, e con delib. n. 83 del 20 febbraio 2012 sempre a firma del direttore generale, con il parere favorevole del direttore amministrativo e del direttore sanitario, con cui si confermava l'incarico per la rappresentanza in giudizio e veniva quantificato il compenso spettante per l'assolvimento del mandato professionale non indicato nella precedente delibera, in conseguenza delle osservazioni e rilievi formulati dal collegio dei revisori dei conti sul precedente atto deliberato dal direttore generale.
Nella delibera, inoltre, venivano specificate le modalità di affidamento dell'incarico fiduciario, a seguito dell'avvenuta comparazione con altri studi legali (nel numero di quattro) oltre a quello dello studio Malinconico, inizialmente individuato con la prima delibera (n. 220/2011), e con parziale sanatoria di quest'ultima.
Osservava la parte attorea che dall'esame della documentazione istruttoria si poteva verificare che l'Azienda USL 1 di Massa Carrara aveva al suo interno un ufficio legale con una unità (avv. Vincenza Liguori), e che la responsabile della stessa, notiziata dal direttore generale della questione, aveva dato la disponibilità ad assumere l'incarico di patrocinio legale della controversia (corrispondenza del 19 aprile 2011 e 21 aprile 2011) e tuttavia le veniva comunicato il 28 giugno 2011 che l'ente aveva affidato l'incarico ad un legale esterno.
L'esito della controversia era sfavorevole all'ente ed i legali, a fronte dell'importo concordato pari ad euro 113.256,00, si rendevano disponibili ad accettare un compenso pari ad euro 34.200,00, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali del 15%.
Con mandato n. 5588 del 3 novembre 2015 veniva corrisposto ai legali incaricati la somma di euro 49.610,08 a titolo di parcella.
Successivamente agli inviti a dedurre, le parti convenute depositavano le proprie controdeduzioni e la procura depositava l'atto di citazione con cui rilevava la sussistenza del[l]'antigiuridicità della condotta.
Dopo aver affermato che l'incarico di patrocinio legale non rientrava tra i servizi legali per cui era operativa la normativa prevista dagli artt. 20 e 27 del d.lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti pubblici), ma tra le prestazioni d'opera intellettuale, la parte attorea osservava la necessità di selezionare la migliore offerta possibile con l'esigenza di un equo bilanciamento tra il carattere intuitus personae dell'incarico e l'esigenza di garanzia di trasparenza e valorizzazione dell'interesse pubblico.
Rimarcava il Pubblico ministero dell'Erario che la forte connotazione fiduciaria doveva contemperarsi con il principio generale secondo cui l'attività della P.A. deve essere svolta dai propri organi e uffici, riservando la possibilità di far ricorso a professionalità esterne solo nei casi previsti dalla legge o in relazione ad eventi e situazioni straordinarie non fronteggiabili con le disponibilità tecnico-burocratiche esistenti.
La violazione dei richiamati principi, siccome previsto anche dall'art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001, e dalla giurisprudenza contabile formatasi in merito, configurava una condotta antigiuridica, e parimenti sussisteva il nesso causale e l'elemento soggettivo della colpa grave, con conseguente configurazione della responsabilità amministrativa, in ragione dell'intero esborso sostenuto, per effetto di condotte violative di norme imperative in contrasto con il modello legale della corretta gestione amministrativa.
Né le due deliberazioni di conferimento dell'incarico motivavano in ordine alle gravi esigenze derogatorie della disciplina vigente, esternando le ragioni, di converso, con una generica necessità di avvalersi di soggetti con competenze in materia di interpretazioni di clausole contrattuali.
Prive di fondamento erano, secondo la Procura, le tesi difensive a cui dire era inapplicabile al caso di specie l'art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001 in quanto il contratto d'opera intellettuale - cui era ascrivibile l'incarico - vi rientrava.
Sussistevano inoltre sia l'elemento soggettivo, vista la macroscopica devianza dalle norme imperative che disciplinano gli incarichi di patrocinio legale, ed il nesso causale ritenuto che l'indebito esborso era una conseguenza illegittima del conferimento illegittimo dell'incarico.
Né valutazioni sulla inidoneità dell'avvocato interno erano state oggetto ex ante nella motivazione dell'atto ed analoghe osservazioni si formulavano sulla eccepita gravosità del lavoro.
Nella ripartizione del danno la maggior parte dell'esborso, secondo la procura contabile, andava imputato al direttore generale (nella misura del 70%), dott.ssa D.L. Maria Teresa, cui erano riservati i poteri di gestione complessiva dell'azienda, mentre un importo pari al 20% era da imputare al direttore amministrativo dott. P. Lorenzo, avendo concorso alla formazione delle decisioni della direzione generale (stralciata, in quanto definita con sent. n. 210/2023, era la posizione del dott. D.M., direttore sanitario).
Con memoria di costituzione la dott.ssa D.L. eccepiva la non operatività degli artt. 20 e 27 del codice dei contratti pubblici sul singolo incarico di patrocinio determinato da puntuali esigenze di difesa, siccome si poteva evincere da alcuni orientamenti della giurisprudenza amministrativa, dell'Autorità nazionale anticorruzione, della giurisprudenza contabile e della C.G.C.E.
Sulla pretesa violazione dell'art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001, pur condividendo la necessità di essere in linea con i principi di trasparenza ed economicità, la parte convenuta osservava che la estrema rilevanza del danno (euro 81.000.000,00), l'eccessiva mole di lavoro dell'avv. Vincenza Liguori (delib. n. 94 del 12 aprile 2011, n. 114 del 3 maggio 2011, n. 93 del 12 aprile 2011), confermata dalla necessità di ricorrere spesso ad incarichi esterni, e le materie di cui prevalentemente si occupava l'avvocato interno (diritto di lavoro e diritto sanitario) giustificavano l'"esternalizzazione" nell'affidamento dell'incarico oggetto del presente giudizio che concerneva una materia del tutto estranea (certificazione bilanci di un'azienda sanitaria pubblica, principi di revisione contabile, contabilità pubblica applicata alle aziende sanitarie locali).
La parte convenuta richiamava, inoltre, l'assenza di danno erariale, in quanto i compensi attribuiti erano stati inferiori ai tariffari minimi, e l'insussistenza dell'elemento soggettivo, visti gli orientamenti esistenti in ordine all'incarico legale per cui era esclusa la necessità di ricorrere ad una procedura ad evidenza pubblica.
Concludeva, la parte convenuta, per il rigetto della domanda e la vittoria di spese ed onorari.
Il legale difensore del dott. P. evidenziava l'insussistenza causale del direttore amministrativo nella determinazione del danno, essendo entrambe le determinazioni ascrivibili al direttore generale che era struttura organizzativa e responsabile del procedimento (organo competente in merito, dirigente proponente, organo che ha gestito l'istruttoria nella qualità di responsabile del procedimento e che ha assunto la deliberazione, unico soggetto che ha avuto rapporti con i legali esterni incaricati, l'ufficio legale interno e l'Estav Nord Ovest), né esisteva alcun parere richiesto al direttore amministrativo sulla vicenda.
Occorreva, inoltre, considerare l'apporto causale sull'asseverazione della legittimità resa nel provvedimento del collegio dei revisori, ai sensi dell'art. 42 l.r. n. 40/2005.
In ordine alla condotta antigiuridica non era applicabile l'art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001 sui contratti pubblici (servizi legali di cui all. B del d.lgs. n. 163/2006) all'incarico di patrocinio legale, siccome statuito dalla giurisprudenza amministrativa. Richiamava, inoltre, il direttore amministrativo, alcune argomentazioni difensive del direttore generale (incompetenza per la specifica questione dell'avv. Liguori e ripetuto ricorso a legali esterni per giudizi di malpractice sanitaria).
Difettava, secondo il P., anche l'elemento soggettivo non essendovi un rilevante scostamento tra la condotta effettivamente tenuta e quella richiesta dalla norma, avuto riguardo anche alle circostanze del caso concreto.
Concludeva per l'infondatezza della domanda e, in via meramente subordinata, per la riduzione del danno in applicazione del potere riduttivo, oltre alle spese del giudizio.
Nella odierna udienza di discussione le parti illustravano le tesi difensive; quindi la causa veniva introitata per la decisione.
DIRITTO
1.1. Osserva il collegio che, non essendo state poste questioni pregiudiziali e preliminari al merito, possono scrutinarsi direttamente gli elementi della responsabilità amministrativa.
La Procura contabile contesta l'antigiuridicità della condotta e rileva, in merito, che i servizi legali, pur inseriti tra quelli esclusi dall'applicazione del codice, sono soggetti al rispetto dei principi di economicità, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, con la necessità di far precedere il loro affidamento dall'invito di almeno cinque concorrenti.
Osserva inoltre la parte pubblica che la connotazione fiduciaria connotante la scelta del professionista legale cui affidare la rappresentanza processuale deve essere volta ad un equo bilanciamento fra il carattere intuitu personae e l'esigenza di garanzia di trasparenza e valorizzazione dell'interesse pubblico, in specie con il principio generale secondo cui l'attività deve contemperarsi anche con il principio generale secondo cui l'attività delle Pubbliche Amministrazioni deve essere svolta dai propri organi ed uffici, riservando la possibilità di far ricorso a professionalità esterne solo nei o in relazione ad eventi e situazioni straordinarie non fronteggiabili con le disponibilità burocratiche esistenti: cfr. art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2011.
Ne consegue, secondo la parte attorea, che, nella specie, pur sussistendo l'ufficio dell'avvocatura interna non solo non è stata formulata adeguata e congrua motivazione giustificativa alla regola generale disposta dall'art. 7, comma 6, della richiamata normativa, ma non è stata ancorata alle esigenze di trasparenza la scelta dell'incarico di patrocinio legale ad un professionista esterno.
L'assegnazione dell'incarico di patrocinio legale in difformità dal quadro normativo richiamato (e dalla giurisprudenza richiamata nell'atto introduttivo del giudizio), osserva la Procura contabile, determina sia l'illegittimità dell'atto che un danno erariale, in quanto condotta violativa di norme imperative.
Le parti convenute hanno contestato l'applicabilità all'odierna fattispecie dell'art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, asserendo che la citata norma fa riferimento alle attività di studio, ricerca e consulenza in generale; hanno dedotto inoltre sia l'asserita incompetenza dell'avvocato interno (avv. Liguori), a fronte delle questioni solitamente trattate, sia la gravosità del carico di lavoro che non avrebbero consentito un adeguato studio e trattazione della causa.
1.2. Osserva il Collegio che la norma fondamentale che detta i limiti entro i quali l'ente pubblico può ricorrere agli incarichi esterni ed alle consulenze è costituito dall'art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001 il quale ha previsto che "per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità: a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; b) l'amministrazione deve aver preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno; c) la prestazione deve essere di natura temporanea ed altamente qualificata; d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione".
L'affidamento di incarichi rappresentano, pertanto, una via percorribile a condizione che ricorrano specifiche situazioni quali: la carenza organica che impedisca, o renda oggettivamente difficoltoso, l'esercizio di una determinata funzione, accertando una reale ricognizione operata sulle professionalità in servizio; la complessità dei problemi da risolvere che necessitano conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale interno; la indicazione specifica dei criteri e contenuti per lo svolgimento dell'incarico; l'indicazione della sua durata; la proporzione tra il compenso corrisposto al soggetto incaricato e l'utilità conseguita dall'Amministrazione.
Le dette condizioni, le quali costituiscono presupposti di legittimità, devono coesistere e devono essere logicamente esplicitati nel provvedimento amministrativo di conferimento. Pur rimarcando il Collegio che un profilo di illegittimità formale non possa costituire ex se fonte di danno erariale, la mancanza di uno dei presupposti di legittimità del provvedimento non è in sintonia con il modello legale della corretta gestione amministrativa (cfr. Sez. III centr., n. 347/2018).
L'art. 7 del d.lgs. n. 165/2001 costituisce norma che, oltre a far riferimento agli incarichi per attività di studio e consulenza, non esclude gli incarichi a professionisti del libero foro per la difesa in giudizio della pubblica amministrazione (Sez. II centr., n. 405/2019), sicché nella specie, nell'atto di conferimento del singolo incarico legale, il menzionato articolo costituisce base normativa operativa.
In riferimento alla riconduzione o meno dell'atto di conferimento del singolo incarico legale, unitamente all'attività di assistenza e consulenza giuridica di carattere continuativo nella categoria dei "servizi legali" di cui allegato II B, n. 21, del codice dei contratti pubblici, la giurisprudenza amministrativa ha rimarcato la differenza (ontologica) tra le due categorie e la non operatività per il singolo e puntuale incarico legale della normativa in tema di contratti pubblici (cfr. C.d.S., V, 11 maggio 2012, n. 2730), atteso che il patrocinio legale per essere oggetto di appalto richiede qualcosa in più, "un quid pluris per prestazione o modalità organizzativa": in termini Sez. regionale di controllo Regione Basilicata, n. 19/2009/Par.
L'art. 20 primo comma, del d.lgs. n. 163/2006 (previgente codice dei contratti pubblici) aveva escluso l'affidamento dei servizi legali con procedure ad evidenza pubblica, mentre l'art. 27 "principi relativi ai contratti esclusi" prevedeva che l'affidamento dei servizi esclusi avvenisse comunque nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento e proporzionalità, previo invito, da parte della stazione appaltante, di almeno cinque concorrenti, "se compatibile con l'oggetto del contratto".
La evoluzione successiva e l'assimilazione del conferimento di singolo incarico al contratto di opera intellettuale si cristallizzava con il nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016), il cui art. 17, comma 1, lett. d), ha confermato la totale esclusione dei servizi legali, tra i quali la "rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato ai sensi dell'art. 1 della legge 9 febbraio 1982, n. 31 e successive modificazioni" dalla disciplina codicistica, eliminando anche il confronto tra i cinque professionisti.
Tra i contratti del tutto esclusi, già ai tempi della normativa applicabile ratione temporis, vi rientra il contratto di lavoro autonomo avente ad oggetto il patrocinio legale stipulato con l'Amministrazione aggiudicatrice.
1.3. Tuttavia, osserva il Collegio, l'attività di selezione del professionista da individuare per la difesa e rappresentanza dell'ente, pur non rientrando nell'attività amministrativa regolata dal codice dei contratti pubblici con una procedura comparativa di stampo concorsuale, è soggetta ai principi generali dell'azione amministrativa in materia di imparzialità, trasparenza ed adeguata motivazione, al fine di rendere possibile la interpretazione della congruità della scelta fiduciaria posta in atto al fine di realizzare il bisogno di difesa (cfr. C.d.S., V, 2730/2012), anche in virtù della portata immediatamente precettiva dell'art. 97 della Costituzione (cfr. Sez. II centr., n. 426/2021), del buon andamento e della "autosufficienza organizzativa".
Nella questione oggetto del presente giudizio i convenuti hanno fatto riferimento alla nomina di un legale esterno, ritenendo di attribuire l'incarico allo stesso professionista "essendo necessario avvalersi di una specifica competenza in materia, circa l'interpretazione delle clausole contrattuali" (delib. del direttore generale n. 220 del 28 giugno 2011), mentre successivamente su osservazioni rese dal collegio dei revisori nella seduta del 18 luglio 2011 ed aventi ad oggetto la mancata determinazione, anche in via presuntiva, del compenso da corrispondere a titolo di spese legali, "a parziale sanatoria" dell'incarico concesso, il direttore generale con delib. n. 83 del 20 febbraio 2012, dopo aver preso visione di curricula di altri studi legali (4 studi) presenti nell'albo Estav (ora Estar), esaminati comparativamente, ha confermato che lo studio (Malinconico) già precedentemente scelto "si fa preferire per la posizione professionale acquisita, per le precedenti attività professionali svolte e per il numero e tipologia di pubblicazioni".
Appare evidente che l'Amministrazione non ha provveduto ad una motivazione del provvedimento congrua ed esauriente in ordine ai motivi legittimanti la scelta dell'affidatario dell'incarico legale (se non parzialmente a posteriori ed in sanatoria).
1.4. A quanto detto deve aggiungersi la pregnante considerazione che l'ente era dotato di un proprio ufficio legale, per cui sussisteva un onere di motivazione rafforzata da esternare sia in ordine al deficit di natura quantitativa sia in ordine ai deficit di natura qualitativa nei su richiamati provvedimenti di affidamento dell'incarico: cfr. Corte conti, 15 febbraio 2005, n. 6/CONTR/05 e delib. n. 6/2005 della Sezione regionale di controllo per la Toscana.
I provvedimenti (in specie il primo, delib. del direttore generale n. 220 del 28 giugno 2011, essendo il secondo sopravvenuto a sanatoria) avrebbero dovuto precisare l'alta ed eccezionale professionalità richiesta nel caso di specie ed evidenziare i reali carichi di lavoro del personale con professionalità analoghe a quelle richieste. I convenuti, disattendendo i su richiamati precetti normativi e consolidati orientamenti giurisprudenziali, hanno determinato, come correttamente affermato dalla Procura contabile, la violazione delle norme regolatrici la materia, determinando un grave vulnus ai principi di imparzialità e buon andamento, integrando, in base ai canoni di sana gestione finanziaria, un danno all'ente conferente in ragione dell'intero esborso sostenuto per effetto di condotte violative di norme imperative (cfr. Corte conti, Sez. II centr., 462/2021).
In altre parole, pur precisando che l'oggetto del giudizio non attiene alla legittimità dell'atto amministrativo, è evidente l'inconsistenza delle motivazioni dei provvedimenti, strumento indispensabile per scrutinare l'osservanza dei rigorosi requisiti imposti per il ricorso a professionalità esterne all'Amministrazione e la cui decifrazione è indispensabile per valutare la coerenza delle iniziative del vertice aziendale rispetto allo specifico modello legale di corretta gestione. Questa Sezione, in merito, aderisce ad un orientamento più che consolidato (cfr. Sez. III centr., n. 347/2018) secondo cui i profili di illegittimità degli atti costituiscono un sintomo di dannosità per l'erario delle condotte che all'adozione di quegli atti abbiano concorso, per cui la non conformità dell'azione amministrativa alle prescrizioni che ne regolano lo svolgimento, pur non determinando ex se una responsabilità amministrativa per l'agente, non può non assumere rilevanza ove quegli atti integrino una condotta almeno gravemente colposa, foriera di un nocumento economico per l'Amministrazione dell'azione. Nella specie le lacune derivanti dalla mancata osservanza degli oneri motivazionali e delle limitazioni di carattere modale non costituiscono meri vizi dell'azione amministrativa, ma si riverberano anche sugli effetti economici del provvedimento rendendo dannosa per l'erario la spesa in conseguenza di soluzioni gestorie onerose (ricorso a professionalità esterne) alternative al modello di gestione ordinario (svolgimento delle funzioni istituzionali con avvalimento dell'opera dei propri dipendenti): in termini Sez. II centr., 625/2018.
2. Ribadita la condotta palesemente antigiuridica ed a fronte della chiarezza normativa che non consente alcun ragionevole spazio di opinabilità interpretativa ed applicativa, osserva tuttavia il Collegio che la "straordinaria natura del giudizio trattato" (cfr. Sez. II centr., n. 405/2019) e la rilevante complessità delle questioni controverse con elevatissimo importo del giudizio (80 milioni di euro) afferente a certificazione dei bilanci di un'azienda sanitaria pubblica, con principi di revisione contabile, e contabilità pubblica applicata alle aziende sanitarie locali, costituiscono condizioni che, pur non idonee a "scriminare" l'illecito contabile oggetto di causa, non appaiono determinare una condotta gravemente colposa, espressiva di disprezzo delle comuni regole di prudenza e diligenza (cfr. Sez. I, [n.] 200/2023; Sez. II centr., n. 119/2023; Sez. app. Regione Siciliana, n. 20/A/2023).
Secondo i consolidati orientamenti giurisprudenziali, infatti, il giudice per accertare l'eventuale sussistenza della colpa grave deve effettuare una doppia valutazione, individuando, da un lato, il fondamento della regola a contenuto cautelare, che esprime - in termini di prevedibilità, prevenibilità ed evitabilità - la misura della condotta sulla quale il legislatore ha riposto l'affidamento per prevenire ed evitare il rischio del danno e, dall'altro, in concreto, il grado di esigibilità della condotta normativamente prevista in ragione delle condizioni concrete nelle quali è stato posto in essere il comportamento (cfr. Sez. II centr., n. 637/2015).
Sulla base di tale doppia valutazione devono, pertanto, essere ritenute connotate da colpa grave quelle evidenti e marcate trasgressioni degli obblighi di servizio o di regole di condotta, che siano ex ante ravvisabili e riconoscibili per dovere professionale d'ufficio, e che, in assenza di oggettive ed eccezionali difficoltà, si materializzano nell'inosservanza del minimo di diligenza richiesto nel caso concreto ovvero in una marchiana imperizia o in un'irrazionale imprudenza (Corte conti, Sez. riun., n. 56/1997).
La giurisprudenza peraltro, in modo unitario, è prevenuta ad una rimeditazione della tradizionale concezione psicologica della colpa, quale nesso psichico tra agente e fatto materiale, per approdare (Cass. n. 16237/2013; C.d.S., n. 1320/2013; Corte conti, Sez. II centr., n. 643/2014) ad una ricostruzione di natura normativa che si traduce in un giudizio di rimproverabilità per una condotta antidoverosa, che era possibile non assumere rispettando le norme cautelari, anche non scritte, regolanti la fattispecie concreta.
Sicché per la sussistenza della colpa grave, ai fini della responsabilità amministrativo-contabile, occorre verificare, secondo un giudizio prognostico, condotto ex ante ed in concreto, la misura dello scostamento tra la condotta effettivamente tenuta e quella richiesta dalla norma cautelare, cui il soggetto si sarebbe dovuto attenere (profilo oggettivo della colpa), avuto anche riguardo alle circostanze del caso concreto, oltre che al parametro dell'agente modello (profilo soggettivo della colpa).
Nel caso di specie, al fine di escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo della responsabilità amministrativa, rileva la "straordinaria natura del giudizio trattato" (cfr. Sez. II centr., n. 405/2019) anche in ordine al modello di gestione ordinario esistente - ridotta consistenza dell'avvocatura interna - e la rilevante complessità delle questioni controverse con importo molto elevato del giudizio (80 milioni di euro).
Va, pertanto, rigettata la domanda della Procura per assenza dell'elemento soggettivo.
Spese compensate.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando, rigetta la domanda attorea nei sensi di cui in motivazione nei confronti dei dottori D.L. Maria Teresa e P. Lorenzo.
Spese compensate.