Corte dei conti
Sezione I centrale d'appello
Sentenza 29 gennaio 2024, n. 22

Presidente: Lasalvia - Estensore: Laino

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Sezione territoriale ha condannato l'ing. C. al pagamento, in favore [del] Comune di Marsico Nuovo (PZ), dell'importo di euro 545.247,66, oltre accessori, a titolo di responsabilità erariale derivante dalla (giuridica) inutilizzabilità di imponenti opere pubbliche infrastrutturali realizzate in assenza delle necessarie autorizzazioni.

In particolare, all'esito degli accertamenti istruttori effettuati dall'inquirente, è risultato che:

- l'amministrazione comunale aveva avviato due progetti, da attuarsi nel contesto di un unitario intervento di sistemazione del territorio, il primo, a monte, riguardante l'edificazione di un sistema di ascensori destinati a collegare il rione Civita e il viale Regina Margherita, e il secondo, a valle, destinato alla riqualificazione di un auditorium con annessa ludoteca e altre opere, pure caratterizzato dalla realizzazione di un sistema di ascensori;

- l'odierno appellante, in qualità di r.u.p., aveva validato il progetto esecutivo afferente al secondo intervento, approvato con delibera di G.m. n. 37/2010, attestandolo conforme alla normativa vigente e certificando l'acquisizione di tutte le approvazioni e autorizzazioni di legge necessarie ad assicurare la cantierabilità del medesimo;

- tale attestazione era inveritiera, mancando la prescritta autorizzazione paesaggistica, ex art. 146 d.lgs. n. 42/2004 (recante il codice dei beni culturali), in quanto l'area oggetto d'intervento era sottoposta a vincolo e situata in un parco nazionale;

- per porre rimedio all'evidente irregolarità, l'ing. C. aveva richiesto, ma solo nell'ottobre del 2018, l'autorizzazione in sanatoria ex art. 167, comma 4, del predetto codice, istanza accolta dal competente ufficio regionale, con determina n. 23 del 6 novembre 2019, unicamente con riferimento all'impianto elevatore, ordinandosi la rimessione in pristino dei restanti luoghi.

La conseguente azione pubblicistica risarcitoria, fondata sulla inutilità dell'esborso sostenuto dal Comune per finanziare le opere de quibus, è stata parzialmente accolta dai primi giudici, i quali hanno circoscritto il danno erariale al solo costo di quelle rimaste insanabili ed escluso il concorso degli amministratori locali nella concausazione del danno, ritenendolo da imputarsi oggettivamente al solo tecnico qui appellante.

Costui, rimasto contumace in prime cure, si duole, ora, della decisione, lamentando:

a) il mancato scrutinio dell'eccezione di prescrizione sollevata dagli altri convenuti nel precedente grado di giudizio, venendo costoro prosciolti per difetto di colpa grave, quale ragione più liquida della decisione, con assorbimento delle ulteriori questioni, anche preliminari di merito;

b) l'insussistenza di un danno erariale ingiusto, conseguente a una condotta antigiuridica, essendovi presupposti, contrariamente a quanto opinato dall'amministrazione preposta alla tutela paesaggistica, per riconoscere la sanabilità anche delle altre opere, come peraltro ritenuto anche dalla stessa amministrazione comunale danneggiata che ha impugnato, con ricorso straordinario al Capo dello Stato, il predetto provvedimento di diniego;

c) la mancata valutazione dell'utilitas ritratta dalla comunità locale per effetto della riqualificazione dell'area in parola, dapprima degradata, come testimoniato dall'utilizzo dell'auditorium e della ludoteca in varie occasioni, in grado di escludere, anche per tale via, ogni astratto nocumento alle finanze comunali.

L'appellante chiede, pertanto, riformarsi la sentenza impugnata e rigettarsi la domanda risarcitoria.

Ha concluso per iscritto il P.M., replicando puntualmente ai motivi di gravame e chiedendo che quest'ultimo sia rigettato, siccome infondato.

Nelle more della trattazione del giudizio, è stata depositata, in risposta a richiesta della Procura generale, nota ministeriale, recante prot. n. 36916 del 9 novembre 2023, attestante la mancata coltivazione, da parte del Comune, del ricorso al Capo dello Stato.

All'udienza di discussione della causa, le parti hanno fornito ulteriori delucidazioni in merito alla sorte del predetto giudizio, insistendo nelle rispettive richieste.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Sebbene non sollevata da alcuna delle parti, quale questione rilevabile d'ufficio va pregiudizialmente precisato, in rito, che il presente giudizio non necessita di essere sospeso, ex art. 106 c.g.c., poiché la causa pregiudicante - il ricorso al Capo dello Stato avverso il provvedimento di diniego di sanatoria delle opere da ricondursi in pristino stato - risulta per tabulas, nonché a seguito dei chiarimenti forniti in udienza dall'appellante, essere stata sostanzialmente rinunciata dal Comune.

Mette conto, solo per completezza, evidenziare che la natura formalmente amministrativa del rimedio in parola, stante la sua sostanziale valenza giustiziale, non ne escluderebbe l'astratta riconducibilità alle "controversie amministrative" di cui alla cennata norma processuale (in tema, Cass., ord. n. 6698/2022), mentre la pregiudizialità logico-giuridica del rimedio straordinario rispetto all'odierna controversia risulta palese, poiché in grado di statuire, con effetti di giudicato esterno, sull'effettiva insanabilità delle opere, che rappresenta la causa petendi dell'azione risarcitoria qui giudicata.

Nulla ostando, dunque, sotto il profilo processuale, allo scrutinio della controversia nel merito, può procedersi alla disamina dei motivi di gravame. Essi sono, peraltro, infondati, alla stregua delle considerazioni che seguono.

Quanto alla prima doglianza - ricordato che il sig. C. non partecipò, per propria (legittima) scelta difensiva, al giudizio tenutosi innanzi alla Sezione territoriale - va osservato che l'eccezione di prescrizione non è proponibile in appello dal convenuto contumace in primo grado, trattandosi di eccezione c.d. "in senso proprio e stretto", come tale sottoposta al rigido sistema preclusivo di cui all'art. 90 c.g.c., come rettamente evidenziato dalla Procura generale.

L'unica deroga a tale regime processuale, invero, concerne unicamente l'eccezionale ipotesi - che qui non viene in rilievo - in cui la mancata estensione degli effetti dell'eccezione sollevata dalle altre parti comporti un vulnus al condebitore eccipiente (amplius, Cass. n. 7987/2021), posto che, come più sopra ricordato, gli altri convenuti in primo grado sono stati tutti assolti.

In ordine alla seconda doglianza - imperniata sostanzialmente sulla ritenuta sanabilità, ex art. 167 d.lgs. n. 42/2004, dell'abuso commesso nella realizzazione delle opere di riqualificazione urbanistica che ne occupa - è a dirsi come tale pretesa appare condivisibilmente esclusa sulla scorta della corretta interpretazione degli artt. 146 e 167 del codice dei beni culturali, siccome interpretati da univoca giurisprudenza amministrativa, richiamata anche nelle difese ministeriali in sede di ricorso straordinario.

In particolare, l'art. 167 cit., al comma 4, non consente la regolarizzazione postuma di opere che abbiano creato o aumentato volumi e superfici utili (amplius et ex plurimis C.d.S., Sez. VI, n. 6300/2020 e T.A.R. Campania, Napoli, n. 837/2020).

Nella specie, come si rileva dalla relazione prot. n. 2333 del 27 gennaio 2022, rilasciata dalla Regione Basilicata - Ufficio pianificazione territoriale e paesaggio al MIC, l'intervento in contestazione ha comportato «(...) la trasformazione dell'area sottostante il parco giochi (in Viale Regina Margherita) in auditorium e ludoteca, comprensivi di servizi igienici e locali tecnici, la quale è stata per buona parte eseguita nella sagoma del vecchio manufatto (...) con lievi incrementi volumetrici costituiti da un volume vetrato in aderenza al citato impalcato (...)» (cfr. relaz. cit., pag. 2).

Del resto, la rinuncia del Comune, pure interessato ad ottenere la conformità paesaggistica delle opere suddette, all'impugnativa amministrativa del diniego fondato su tale accertamento tecnico appare sintomo evidente della inverosimiglianza della tesi inizialmente sostenuta e ribadita dall'appellante.

Accertata l'illegittimità in parte qua dei lavori in questione, la consequenziale illiceità della condotta serbata dal prevenuto - in parte commissiva e in parte omissiva, avendo costui, da una parte, attestato la regolarità autorizzatoria dei lavori da appaltarsi e, dall'altra, mancato di verificare siffatta compatibilità, chiedendo le eventuali autorizzazioni del caso alle autorità preposte alla tutela del vincolo paesaggistico - appare manifesta sulla scorta della normativa ratione temporis vigente (art. 112 d.lgs. n. 163/2006; artt. 47-48 d.P.R. n. 554/1999), riguardante funzioni e correlate responsabilità amministrative del r.u.p., ampiamente richiamate in sentenza e a cui breviter si rimanda (cfr. pagg. 61-65).

Sintomatica, in particolare, risulta la circostanza, emergente dagli atti di causa, che solo nel 2018, dopo le prime denunce e indagini, il r.u.p. si determinò per "correggere il tiro", chiedendo l'accertamento postumo dello stato legittimo dell'opera, in tal modo evidenziando la consapevolezza di aver mancato di adempiere illo tempore ai propri doveri d'ufficio, a sua volta integrante il dolo c.d. "civile contrattuale", sufficiente ai fini dell'imputazione soggettiva dell'illecito a costui, trattandosi di condotta verificatasi antecedentemente all'entrata in vigore dell'art. 21 d.l. n. 76/2020.

Infine, quanto al motivo d'appello riguardante l'omessa valutazione dell'utilitas - in disparte la constatazione che viene documentato solo un iniziale utilizzo - non è revocabile in dubbio come siffatto apprezzamento, a tacer d'altro, risulti ontologicamente incompatibile con l'obbligo di riduzione in pristino dello stato dei luoghi, che rende in nuce del tutto inutile la spesa effettuata.

Alla stregua delle superiori osservazioni, la sentenza impugnata andrà, quindi, confermata, ad ogni effetto e conseguenza di legge.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza. Nulla per quelle di difesa stante, per un verso, il rigetto delle ragioni dell'appellante e, per altro, la natura di parte in senso solo formale del requirente appellato vittorioso.

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione prima giurisdizionale centrale d'appello, definitivamente pronunciando sull'appello iscritto al n. 59905 del ruolo generale, disattesa ogni contraria istanza, eccezione o deduzione, lo rigetta ad ogni effetto e conseguenza di legge, condannando l'appellante alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate in euro 96,00 (novantasei/00).

Nulla per le spese di difesa.

Manda alla Segreteria per gli ulteriori adempimenti.