Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 2 febbraio 2024, n. 1087
Presidente: De Nictolis - Estensore: Rotondano
FATTO
1. È appellata la sentenza del Tribunale amministrativo per la Campania, di estremi indicati in epigrafe, con cui è stato respinto il ricorso proposto dalla società Europarking s.a.s. di Pelella Gelsomina & C. (di seguito "la società Europarking" o "la società") per la condanna del Comune di Arzano al risarcimento dei danni derivanti dai provvedimenti comunali di diniego della s.c.i.a. produttiva presentata dalla detta società l'11 luglio 2013 per l'avvio dell'attività complementare di autolavaggio (sull'area dove già insisteva un parcheggio), dichiarati illegittimi e annullati dal T.A.R. Campania con sentenza n. 1709 del 27 marzo 2019, passata in giudicato.
2. La società appellante espone:
- di essere subentrata, nell'anno 2011, nella gestione di un'attività di parcheggio autoveicoli in un'area ubicata in Arzano alla Via Angelo Volpicelli n. 6, esistente fin dagli anni novanta e precedentemente condotta dal suo dante causa;
- con sentenza n. 2641 del 16 maggio 2011 il Tribunale amministrativo per la Campania accoglieva il ricorso del precedente gestore, annullando il provvedimento del capo Settore attività produttive prot. n. 26879 dell'8 novembre 2005 con cui - a seguito del procedimento penale per reati di natura edilizia (nell'ambito del quale l'intera area, nell'anno 2004, fu sottoposta a sequestro preventivo con provvedimento del Gip del Tribunale di Napoli) - il Comune di Arzano aveva disposto la cessazione dell'attività di parcheggio, ritenendola incompatibile con la disciplina urbanistica vigente nella zona d'intervento;
- in forza di tale pronuncia che dichiarava illegittimi i provvedimenti inibitori fondati sulla ritenuta incompatibilità dell'attività esercitata con le prescrizioni del Piano di fabbricazione, l'attività di parcheggio veniva proseguita fino alla cessione a favore della società appellante, la quale: a) inoltrava all'UTC del Comune di Arzano denuncia di inizio attività prot. n. 2597 del 7 febbraio 2013 per la realizzazione di vasche biologiche interrate per l'attività di autolavaggio, che a seguito di rituale comunicazione di inizio lavori venivano difatti realizzate; b) presentava al SUAP la s.c.i.a. prot. n. 12970 dell'11 luglio 2013 per l'avvio dell'attività complementare di autolavaggio sull'area già destinata a parcheggio;
- l'ente, comunicato il preavviso di rigetto dell'istanza (con nota prot. n. 15232 del 9 settembre 2013) e acquisite le osservazioni della società Europarking, con nota prot. n. 3380 del 21 febbraio 2014 comunicava il diniego della s.c.i.a. produttiva prot. n. 12970 dell'11 luglio 2013;
- tale determinazione poggiava sul rilievo per cui l'attività di autolavaggio non era compatibile con la destinazione urbanistica dell'area di insistenza dell'impianto, in quanto tale area sarebbe ricaduta all'interno della zona V.A.I., zona delle aree di attrezzature integrate, in relazione alla quale il vigente Piano di fabbricazione prevedeva la localizzazione di attrezzature di esclusivo uso pubblico, definendo in ordine di priorità come impieghi ammissibili quelli relativi all'istruzione (scuole dell'obbligo e superiori), in secondo grado le attrezzature culturali e l'istruzione superiore all'obbligo, e in terzo grado i parcheggi relativi all'art. 3, lett. d), del d.m. 2 aprile 1968;
- avverso tale provvedimento e gli atti presupposti la società Europarking proponeva ricorso al T.A.R. Campania, il quale, disposta l'acquisizione di una relazione esplicativa del competente servizio del Comune di Arzano sullo stato complessivo della vicenda contenziosa, con sentenza n. 1709 del 27 marzo 2019, passata in giudicato, accoglieva il gravame "nei limiti precisati in motivazione" e annullava l'impugnata nota dirigenziale prot. n. 3380 del 21 febbraio 2014, ravvisandone l'illegittimità per "violazione dell'art. 19 della legge n. 241/1990 e per eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di istruttoria, ... fatti salvi comunque, gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione".
3. Tutto ciò premesso, con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado la società odierna appellante, lamentando di aver subito notevoli danni patrimoniali per non aver potuto implementare l'attività di parcheggio già esercitata con il servizio di autolavaggio, per effetto degli illegittimi provvedimenti amministrativi del Comune di Arzano, annullati dalla citata sentenza del T.A.R. Campania n. 1709/2019, e deducendo di essere titolare di un interesse legittimo pretensivo a che l'Amministrazione valutasse la propria richiesta secondo i parametri imposti dalla legge essendo la società in possesso di tutti i requisiti per l'esercizio dell'attività, a fronte dell'insussistenza della "paventata incompatibilità tra l'attività di autolavaggio e le prescrizioni relative alla zona di intervento", ha domandato la condanna del Comune al risarcimento dei pregiudizi economici patiti che ha quantificato, sulla base dei calcoli contenuti in apposita perizia estimativa, nella cifra complessiva di euro 739.200,00, oltre interessi legali e rivalutazione, precisando che tale importo è pari al fatturato ipotetico che sarebbe stato realizzato nel periodo intercorrente tra il 1° agosto 2013 (data di entrata a regime dell'attività di autolavaggio a seguito della presentazione della SCIA) e tutto il 2019.
4. Il giudizio di primo grado è stato definito con la sentenza n. 2501 del 20 aprile 2021, pronunciata nella resistenza dell'amministrazione comunale, con cui l'adito T.A.R. ha respinto il ricorso in quanto infondato, condannando la società appellante alla rifusione delle spese di lite.
5. Di tale sentenza la società Europarking domanda la riforma, deducendone l'erroneità e l'ingiustizia con il presente appello affidato al seguente articolato motivo di doglianza: "error in judicando - error in procedendo - errata applicazione delle norme e dei principi generali in tema di responsabilità per colpa della pubblica amministrazione - errata applicazione dei principi generali in tema di determinazione e liquidazione del danno, sia con riferimento al danno emergente sia con riferimento al lucro cessante".
5.1. Si è costituita in resistenza l'amministrazione comunale, argomentando l'infondatezza della pretesa risarcitoria e chiedendo il rigetto dell'appello.
5.2. In vista dell'udienza di discussione entrambe le parti hanno depositato memorie e repliche, insistendo nelle rispettive conclusioni.
5.3. All'udienza pubblica del 13 luglio 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
6. La società appellante contesta il rigetto del ricorso proposto ad opera della sentenza di primo grado, censurandone le statuizioni che hanno ritenuto l'infondatezza della domanda risarcitoria sia per "l'insussistenza dell'elemento soggettivo dell'illecito" che per "l'inattendibilità dell'ammontare dei danni di cui si pretende il ristoro" sì come quantificati dalla ricorrente.
6.1. In particolare, l'appellante è tornata a dolersi della "gravissima perdita economica" subita in conseguenza del mancato avvio dell'attività di autolavaggio lamentando che il Comune, anziché valutare la richiesta nel rispetto dei parametri di legge, ha adottato un provvedimento inibitorio della s.c.i.a. la cui illegittimità è stata accertata con sentenza passata in giudicato che, nel solco delle statuizioni di altra precedente pronuncia del T.A.R. Campania resa tra le stesse parti, ha escluso la prospettata incompatibilità tra l'attività di autolavaggio e le prescrizioni relative alla zona d'intervento.
6.2. Sulla scorta di tali deduzioni, l'appellante sostiene l'erroneità della sentenza per aver ritenuto insussistente "l'elemento della colpevolezza in capo al Comune di Arzano", che, a suo avviso, invece si desumerebbe "dal tenore unanime dei precedenti pronunciamenti resi inter partes" che hanno accertato le legittime ragioni della società ricorrente, la quale possedeva tutti i requisiti per l'esercizio dell'attività, avendo già finanche eseguito le opere edilizie necessarie al suo avvio.
6.3. Tali statuizioni si porrebbero in contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza secondo cui il privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo può limitarsi ad invocare l'illegittimità dell'atto quale indice presuntivo della colpa, restando a carico dell'Amministrazione provare la propria incolpevolezza.
6.4. Nel caso in esame, invece, in assenza di un errore scusabile, sussisterebbero tutti i presupposti della responsabilità civile della Pubblica amministrazione per i danni derivanti da statuizioni provvedimentali illegittime che hanno determinato, quale diretta conseguenza, il mancato avvio dell'attività economica e i conseguenti pregiudizi patrimoniali. Non potrebbe perciò neppure revocarsi in dubbio, alla luce del quadro normativo di riferimento e della situazione di fatto, la sussistenza dell'elemento soggettivo, quanto meno a titolo di colpa, in capo al Comune di Arzano.
6.5. L'appello censura poi anche l'ulteriore motivazione posta dalla sentenza a fondamento del rigetto del ricorso secondo cui non risulterebbe nemmeno raggiunta la prova del quantum dei danni asseritamente patiti.
6.6. Al riguardo l'appellante evidenzia che la clausola di salvaguardia della liquidazione del danno nel "maggiore o minore importo da quantificarsi in corso di causa, anche a mezzo di espletamento di C.T.U., o in via equitativa" inserita nella formulazione della domanda risarcitoria ben avrebbe potuto consentire al giudicante di superare eventuali incertezze sull'ammontare del danno da liquidarsi.
6.7. In ogni caso la sentenza avrebbe errato a considerare "largamente inattendibile" il conteggio riportato in gravame, in quanto se, per un verso, la stima del lucro cessante non poteva che essere presuntiva e ipotetica, per altro verso non potrebbe dubitarsi che la valutazione compiuta nella perizia estimativa dei danni dal consulente della società appellante è saldamente ancorata a dati reali (i.e. i prezzi medi praticati dagli autolavaggi nel bacino d'utenza di riferimento, il dies a quo della verificazione del danno a partire dalla data presunta in cui l'attività sarebbe entrata a regime, l'orario di apertura di un autolavaggio e la maggiore affluenza in determinati periodi e giorni dell'anno).
7. L'appello è infondato.
8. Le statuizioni della sentenza di prime cure sono corrette e meritano conferma.
8.1. Giova richiamare le pacifiche coordinate ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza in materia di responsabilità della pubblica amministrazione per i danni da provvedimento illegittimo alla luce delle quali va riguardata la presente fattispecie.
8.2. Com'è noto, la lesione dell'interesse legittimo è condizione necessaria - anche se non sufficiente - per accedere alla tutela risarcitoria, occorrendo anche verificare che risulti leso, per effetto dell'attività illegittima e colpevole dell'amministrazione, l'interesse materiale al quale il soggetto aspira: il risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa non può prescindere dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest'ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante dal provvedimento illegittimo (cfr. C.d.S., Sez. V, 21 aprile 2023, n. 4050).
Ne consegue che ai fini della sussistenza di una responsabilità dell'amministrazione per danni da provvedimento illegittimo, la valutazione non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo dell'illegittimità dell'azione amministrativa, dovendo, al contrario, il giudice svolgere una più penetrante indagine, estesa anche alla valutazione dell'elemento soggettivo (non del funzionario agente ma) dell'amministrazione intesa come apparato. In particolare, deve essere fornita la dimostrazione che la pubblica amministrazione abbia agito quanto meno con colpa, in contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, di cui all'art. 97 Cost.
La responsabilità della pubblica amministrazione può, dunque, ritenersi accertata quando, tenuto conto del comportamento complessivo degli organi intervenuti nel procedimento (C.d.S., Sez. III, 14 maggio 2015, n. 2464), la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tale da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato (C.d.S., sez. III, 11 marzo 2015, n. 1272).
In definitiva, come, anche di recente, statuito dalla giurisprudenza, "ai fini dell'accertamento della responsabilità, perché si configuri la colpa dell'amministrazione, occorre avere riguardo al carattere ed al contenuto della regola di azione violata: se la stessa è chiara, univoca, cogente, in caso di sua violazione, si dovrà riconoscere la sussistenza dell'elemento psicologico. Al contrario, se il canone della condotta amministrativa è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all'autorità pubblica un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà sussistere solo nelle ipotesi in cui il potere è stato esercitato in palese spregio delle menzionate regole di imparzialità, correttezza e buona fede, proporzionalità e ragionevolezza, con la conseguenza che ogni altra violazione del diritto oggettivo resta assorbita nel perimetro dell'errore scusabile, ai sensi dell'art. 5 c.p." (cfr. C.d.S., n. 4050/2023 già citata e giurisprudenza ivi richiamata).
8.3. Di tali principi ha fatto corretta applicazione la sentenza impugnata.
Infatti, se è vero che, come rammenta l'appellante, sulla base dell'orientamento prevalente, in sede di giudizio per il risarcimento del danno derivante da provvedimento amministrativo illegittimo, il privato danneggiato può limitarsi ad invocare l'illegittimità dell'atto quale indice presuntivo della colpa, restando a carico dell'Amministrazione l'onere di dimostrare di essere incorsa in un errore scusabile (cfr. C.d.S., Sez. VI, 19 marzo 2019, n. 1815), è pure vero che la presunzione di colpa dell'amministrazione può essere riconosciuta solo nelle ipotesi di violazioni commesse in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento, giuridico e fattuale, tale da palesarne la negligenza e l'imperizia, cioè l'aver agito intenzionalmente o in spregio alle regole di correttezza, imparzialità e buona fede nell'assunzione del provvedimento viziato.
Pertanto la responsabilità deve essere negata quando l'indagine conduce al riconoscimento di un errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per la incertezza del quadro normativo di riferimento, per la complessità della situazione di fatto.
8.4. Tale è il caso oggetto del presente giudizio.
8.5. Correttamente il giudice di prime cure ha infatti ritenuto non prospettabile l'elemento della colpevolezza in capo al Comune di Arzano in ragione della complessità della sottesa situazione fattuale, sulla base dei seguenti elementi: a) da un lato, il precedente intricato contenzioso, relativo all'attività di parcheggio, definito con la menzionata sentenza del T.A.R. Campania, Napoli, n. 2641/2011; b) dall'altro, l'intensa attività edilizia posta in essere sull'area interessata dalla ricorrente nel corso del 2013, non sempre ritenuta conforme ai corrispondenti titoli edilizi dall'autorità comunale, attività che comunque complicava il quadro di riferimento su cui si sarebbe innestata la s.c.i.a. produttiva oggetto del provvedimento di diniego del 2014, poi annullato dalla sentenza n. 1709/2019.
8.5.1. In considerazione del complicato e non lineare contesto, nel quale si era inserita la s.c.i.a. presentata dall'appellante, oggetto del provvedimento di diniego poi annullato, la sentenza impugnata ha quindi correttamente ritenuto che, sebbene il provvedimento inibitorio adottato dall'ente nel 2014 fosse stato annullato dal giudice amministrativo, non era però "immediatamente percepibile la compatibilità urbanistico-edilizia dell'attività di autolavaggio con la destinazione di zona, anche ragionando nell'ottica corretta della zona bianca come sancito nella sentenza n. 1709/2019, alla luce del dato normativo di riferimento (art. 9 del d.P.R. n. 380/2001) e dell'evoluzione giurisprudenziale in materia, il che contribuisce ad aggravare la complessità del sostrato fattuale oggetto di attività valutativa da parte dell'amministrazione comunale".
8.5.2. Tenuto conto del contesto di circostanze di fatto e del quadro normativo e giuridico di riferimento, si deve quindi escludere la sussistenza, nella fattispecie, della colpevolezza del Comune appellato.
Invero, il risarcimento del danno non si configura come una conseguenza automatica dell'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, in quanto richiede la positiva verifica, oltre che della lesione del bene della vita sotteso all'interesse legittimo concretamente inciso, anche del nesso causale tra l'illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpevolezza dell'amministrazione; quanto all'elemento soggettivo, da ultimo citato, l'illegittimità del provvedimento amministrativo, ove acclarata, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della situazione amministrativa, l'ambito più o meno ampio della discrezionalità dell'amministrazione, sicché la responsabilità deve essere negata quando l'indagine conduce al riconoscimento dell'errore scusabile per l'esistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto, come appunto verificatosi nella specie (cfr. ex multis C.d.S., Sez. III, 18 giugno 2020, n. 3903; Sez. IV, 5 maggio 2020, n. 2848).
8.6. Va poi anche evidenziato che la sentenza del Tribunale amministrativo della Campania n. 1709 del 27 marzo 2019 posta a fondamento della domanda risarcitoria dell'appellante non ha affermato che nell'area in questione potesse essere legittimamente avviata un'attività di autolavaggio, ma ha annullato il provvedimento di diniego, limitandosi a ravvisarne l'illegittimità alla stregua delle seguenti considerazioni:
a) l'intervento inibitorio dell'amministrazione comunale era stato posto in essere tardivamente, dopo più di sette mesi dalla formazione del titolo abilitativo, ben oltre i sessanta giorni dalla data di presentazione della SCIA previsti dall'art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990 e senza far ricorso all'esercizio del potere di autotutela, in violazione della norma citata;
b) il diniego di SCIA si poneva in contraddizione con la DIA edilizia presentata dalla società ricorrente il 7 febbraio 2013 per la realizzazione delle vasche biologiche finalizzate all'attività di autolavaggio, mai rimossa in via ordinaria o in sede di autotutela;
c) il provvedimento di diniego era viziato per difetto di istruttoria, non avendo tenuto conto che sull'area in questione era decaduto il vincolo espropriativo impresso dallo strumento urbanistico a fini di edilizia scolastica, come già accertato dalla sentenza del T.A.R. Campania n. 2641 del 16 maggio 2011 (emessa con riguardo all'attività di parcheggio esercitata sul medesimo suolo dal precedente gestore), con la conseguenza che l'attività di autolavaggio avrebbe potuto acquistare una sua compatibilità urbanistica alla luce del nuovo regime urbanistico assunto dal suolo.
8.6.1. Su queste basi la menzionata sentenza n. 1709/2019 censurava l'operato dell'ente comunale il quale: se, da un lato, considerato il notevole lasso di tempo intercorso dalla SCIA, per rimuovere gli effetti della medesima, anziché inibire in via ordinaria l'attività, avrebbe dovuto "in maniera più appropriata", verificata la sussistenza delle relative condizioni, fare ricorso al potere di autotutela previsto dall'art. 19, comma 4, l. 241/1990, esplicitando nel provvedimento di secondo grado l'interesse pubblico concreto ed attuale all'annullamento e comparando tale interesse con l'interesse privato sacrificato; dall'altro lato, appurata la decadenza del vincolo espropriativo imposto sull'area interessata dall'attività di autolavaggio, prima adibita a parcheggio, "ai fini di una corretta e compiuta istruttoria, avrebbe dovuto valorizzare tale aspetto e verificare la compatibilità dell'attività in questione con una zona ormai divenuta bianca (cioè priva di disciplina urbanistica e soggetta ai limiti edificatori di cui all'art. 9 del d.P.R. n. 380/2001), anziché soffermarsi sulla non più attuale classificazione urbanistica (zona V.A.I.) prevista in generale dal Piano di fabbricazione".
8.6.2. Il Tribunale amministrativo, pertanto, con la decisione sopra indicata, annullava il provvedimento inibitorio gravato per violazione dell'art. 19 della l. n. 241/1990 ed eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di istruttoria, "fatti salvi, comunque, gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione".
8.7. Orbene, alla luce delle riportate statuizioni, deve quindi rilevarsi che non è si è affatto dimostrato che, in mancanza dell'illegittimo provvedimento di diniego, l'appellante avrebbe avuto titolo ad avviare l'attività produttiva.
8.7.1. Sono rimaste, infatti, sostanzialmente incontestate le puntuali deduzioni dell'amministrazione secondo cui:
- la conformità urbanistico-edilizia degli impianti destinati all'attività di autolavaggio in tesi offerta dal titolo abilitativo del febbraio 2013 risulta smentita dalla documentazione prodotta in atti, e precisamente: a) dalle due relazioni di sopralluogo redatte dal tecnico comunale (prot. n. 14247 del 2 agosto 2013 e 18504 del 30 ottobre 2013), dalle quali emerge l'esecuzione di lavori difformi dal titolo abilitativo; b) dai due conseguenti verbali elevati dagli agenti della Polizia locale (4323 del 2 agosto 2013 e 4331 del 7 novembre 2013); c) dall'ordinanza di sospensione lavori prot. n. 14616 del 16 agosto 2013, con la quale il dirigente dell'Area pianificazione e gestione del territorio disponeva la sospensione dei lavori di cui alla DIA prot. n. 2597 del 7 febbraio 2013 ed alla SCIA prot. n. 2595 del 7 febbraio 2013, i quali, anche se, di fatto, ultimati, non erano in ogni caso conformi ai titoli abilitativi; d) dalla relazione prot. n. 30935 del 24 settembre 2020, a firma del dirigente dell'Area tecnica dell'ente, dalla quale si evince che, in relazione alla DIA prot. n. 2597 del 7 febbraio 2013 e alla SCIA prot. n. 2595 del 7 febbraio 2013, non risulta presentata istanza di agibilità e non risulta l'assolvimento dell'obbligo di cui agli artt. 93 e 94 del d.P.R. n. 380/2001 (progetti di costruzioni ed autorizzazione inizio lavori in zone sismiche);
- anche a voler ritenere che l'attività di autolavaggio sia compatibile con la destinazione urbanistico-edilizia del suolo in questione, la suddetta compatibilità non esaurisce il novero dei numerosi presupposti che devono sussistere per il legittimo avvio dell'attività medesima, la quale avrebbe richiesto in virtù della disciplina ratione temporis applicabile alla fattispecie in esame (in particolare ai sensi dell'art. 3, comma 1, d.P.R. 13 marzo 2013, n. 59 - Regolamento recante la disciplina dell'autorizzazione unica ambientale e la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle piccole e medie imprese e sugli impianti non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale, a norma dell'articolo 23 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35) che la società appellante si dotasse già al tempo della presentazione della s.c.i.a. produttiva di un'autorizzazione unica ambientale;
- l'appellante non era invece provvista di tale titolo autorizzatorio necessario per esercitare l'attività di autolavaggio, come si desumerebbe dal fatto che, una volta annullato, con la più volte richiamata sentenza n. 1709/2019 del T.A.R. Campania Napoli, il provvedimento inibitorio adottato dall'ente, la società Europarking non abbia immediatamente avviato la suddetta attività (il che non consentirebbe neanche di rinvenire, pur dopo l'annullamento del diniego ad opera della sentenza del T.A.R. n. 1709/2019, dati oggettivi ai quali ancorare la quantificazione dell'eventuale danno subito);
- la zona in questione, a seguito della decadenza del vincolo espropriativo, acclarata con la sentenza n. 2641/2011, passata in giudicato, è ormai divenuta zona bianca, ed è pertanto soggetta ai limiti edificatori di cui all'art. 9 del d.P.R. n. 380/2001 e, in particolare, come ritenuto dalla relazione del dirigente dell'Area tecnica prot. n. 30935 del 24 settembre 2020, trattandosi di "zona bianca" rientrante nel perimetro del centro urbano esistente, gli interventi a destinazione produttiva previsti dall'art. 9, comma 1, lett. b), non potevano essere realizzati, per cui l'attività di autolavaggio non sarebbe, allo stato, assentibile;
- come evidenziato nella sopra indicata relazione, non solo la struttura "removibile" (da intendersi "temporanea e fino al 31.12.2013" secondo quanto dichiarato nella nota prot. n. 14243 del 2 agosto 2013 dal legale rappresentante della società) è ancora presente, ma sono stati anche realizzati interventi in difformità alla SCIA prot. n. 2595 del 7 febbraio 2013, come emerge dalla planimetria catastale allegata.
8.7.2. In sostanza, il complesso di tali rilievi non consente neanche di ritenere raggiunta la prova circa l'esistenza del nesso di causalità tra il provvedimento di diniego annullato e gli asseriti danni di cui si domanda il ristoro, non potendo la relativa prova ridursi alla mera valutazione della conformità urbanistico-edilizia dell'area su cui l'attività doveva essere insediata, in assenza di un'adeguata dimostrazione del possesso effettivo di tutti i requisiti per avviare l'attività produttiva in capo alla società appellante, ivi compreso, soprattutto, l'effettivo conseguimento dei necessari titoli autorizzatori.
8.8. Infine, vanno confermate anche le statuizioni di prime cure che hanno ritenuto non raggiunta la prova del quantum dei danni risarcibili, non già sulla base di apodittiche asserzioni (come sostiene parte appellante), ma indicando compiutamente le ragioni per cui la quantificazione del danno operata dalla ricorrente si presenta largamente inattendibile.
8.8.1. In particolare, tali motivi sono stati così correttamente individuati dalla sentenza impugnata:
a) la stima del fatturato perduto è meramente ipotetica e non è ancorata a dati reali, mentre avrebbe dovuto riferirsi a ricavi effettivamente conseguiti (se la società fosse stata effettivamente in grado, dopo l'annullamento intervenuto con la sentenza n. 1709/2019, di riprendere l'attività di autolavaggio perché in possesso di tutti i necessari requisiti);
b) è erronea e fuorviante la stessa parametrazione dell'ammontare dei danni sui dati di fatturato, mentre, più correttamente, tale ammontare andrebbe determinato con riferimento al mancato utile, cioè alla differenza tra fatturato e costi di gestione, i quali in caso di forzata inattività non vengono affatto sostenuti.
8.9. Alla luce delle considerazioni che precedono sono dunque condivisibili le conclusioni cui è pervenuta la sentenza appellata nel ritenere infondata la spiegata domanda risarcitoria.
9. In conclusione l'appello va respinto.
10. Sussistono giusti motivi, in considerazione delle peculiarità della complessiva vicenda controversa, per disporre tra le parti la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Dispone compensarsi tra le parti le spese del grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Note
La presente decisione ha per oggetto TAR Campania, sez. II, sent. n. 2501/2021.