Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli-Venezia Giulia
Sentenza 14 febbraio 2024, n. 66
Presidente: Modica de Mohac - Estensore: Busico
1. Con ricorso notificato il 29 dicembre 2023-4 gennaio 2024 e depositato il successivo giorno 23 gennaio 2024 la ricorrente, nella sua qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore, ha impugnato il provvedimento in epigrafe col quale la Prefettura di Udine ha respinto la sua istanza del 12 gennaio 2022 per il cambiamento del cognome della figlia con assunzione del solo cognome materno in sostituzione di quello paterno.
Il diniego è stato espresso sul rilievo dell'opposizione del padre e stante "l'assenza di provvedimenti e/o pronunce attraverso i quali sia stata disposta in capo al medesimo la perdita della potestà genitoriale [...] tenuto conto del disaccordo tra la richiedente e il proprio ex coniuge e del fatto che in tale circostanza trovano applicazione le disposizioni di cui all'art. 320 c.c.".
La ricorrente ha dedotto le seguenti censure: 1) violazione dell'art. 91 del d.P.R. n. 396/2000 e dell'art. 3 della l. n. 241/1990, eccesso di potere per carenza di motivazione; 2) violazione degli artt. 2, 2-bis e 10-bis della l. n. 241/1990, eccesso di potere per violazione dei termini procedimentali; 3) violazione degli artt. 2 e 2-bis della l. n. 241/1990, eccesso di potere per difetto/contraddittorietà della motivazione, violazione dell'art. 320 c.c. in relazione all'art. 337-quater, terzo comma, c.c.
2. L'Amministrazione si è costituita in giudizio in resistenza al ricorso.
3. Alla camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2024 la causa è passata in decisione, previo avviso alle parti ai sensi dell'art. 60 c.p.a.
4. Il ricorso è infondato.
Il presente giudizio riguarda un'istanza di mutamento del cognome proposta ai sensi dell'art. 89 del d.P.R. n. 396/2000, secondo cui "chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l'origine naturale o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al prefetto".
5. La prima censura, con la quale si rileva la tardività dell'opposizione del padre è infondata in fatto, come peraltro poi riconosciuto dalla stessa ricorrente, perché l'Amministrazione ha dimostrato che - diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente e per mero errore materiale riportato nella nota prefettizia del 18 luglio 2022 - l'opposizione è stata notificata alla Prefettura il primo giugno 2022, vale a dire entro il termine di trenta giorni "dalla data dell'ultima notificazione alle persone interessate", come previsto dal citato art. 91 del d.P.R. n. 396/2000.
Dell'opposizione paterna, pertanto, la Prefettura ha correttamente tenuto conto nel valutare l'istanza della madre.
6. Quanto alle censure relative al merito della decisione prefettizia si osserva che la richiesta di cambio del cognome della minore, con perdita di quello paterno a favore di quello materno, è stata correttamente respinta sul giusto e determinante rilievo dell'insufficienza della volontà di un solo genitore: l'istanza doveva conseguire ad una richiesta congiunta dei coniugi o, comunque, con l'assenso di entrambi, non potendo il Prefetto autorizzare il cambio del cognome in presenza della opposizione del padre del minore provvisto di responsabilità genitoriale (in tal senso, T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, n. 115/2022).
6.1. Il Prefetto ha fatto quindi corretto governo dei principi regolanti il procedimento e già affermati da questo T.A.R. nella pronuncia n. 105/2019: "... il Prefetto non ha il potere di modificare il cognome del minore, sull'istanza di uno dei due genitori, in assenza di accordo ed, anzi, in presenza del dissenso dell'altro genitore. Nella specie, la tutela della madre che intendeva ottenere dal Prefetto la modifica del cognome, con l'aggiunta del proprio, non può che realizzarsi - stante il dissenso del padre - attraverso lo strumento dell'art. 316 c.c. in base al quale, in caso di contrasto su questioni di particolare importanza relative al figlio (com'è questa sul cognome), occorre ottenere una risoluzione del relativo conflitto da parte del giudice. Tale risoluzione del conflitto è stata invece effettuata dallo stesso Prefetto, che non ne aveva il potere. [...] Qualsiasi diversa interpretazione della normativa, applicata dal Prefetto sul cambiamento del cognome del figlio minore (art. 89 d.P.R. n. 396/2000, come modificato dal d.P.R. 54/2012), intrecciandosi con il delicato tema della responsabilità genitoriale ex art. 316 c.c., non appare sostenibile. Si pensi, in particolare, alla conseguenza che, essendo risolto il conflitto dal Prefetto stesso, un successivo vittorioso ricorso al giudice ex art. 316 da parte del genitore dissenziente comporterebbe, per il Prefetto, dover esercitare l'autotutela, con diseconomia evidente del relativo procedimento".
6.2. L'orientamento assunto da questo Tribunale è pure conforme ad altre pronunce del Giudice Amministrativo sull'argomento, fra cui va ricordata, per l'attinenza al presente caso, la sentenza del T.A.R. Lazio, n. 11410/2018 secondo cui «La richiesta di modifica del cognome del figlio minore, integrando un "atto civile", può essere presentata, allora, dai genitori solo nell'esercizio della rappresentanza legale che trova la sua fonte e disciplina nell'art. 320 c.c., di guisa che deve ritenersi a tal fine imprescindibile il consenso di entrambi i genitori, fatto salvo solo il caso - che qui non ricorre - in cui uno di essi sia stato privato della potestà genitoriale. In caso di disaccordo, stabilisce, in ultima analisi, l'art. 320, comma 2, c.c., si applicano allora le disposizioni dell'art. 316 c.c., che per il caso di contrasto su questioni di particolare importanza prevede la possibilità, per ciascuno dei genitori, di ricorrere senza formalità al giudice civile».
6.3. Le conclusioni appena richiamate vanno senz'altro confermate nella presente fattispecie in quanto rispondenti ad una esigenza di consenso ancor più pregnante; ciò perché, mentre nei precedenti appena citati era avvenuto che il cognome materno era stato aggiunto a quello paterno (ossia casi che costituiscono un minus rispetto a quanto richiesto dalla ricorrente nella propria istanza del 12 gennaio 2022), nel presente caso, l'istanza è volta altresì ad eliminare il cognome paterno e a sostituirlo con quello materno.
7. Sembra pure rilevante puntualizzare che non è condivisibile la tesi della ricorrente che afferma la rilevanza, nel presente caso, dell'affido super-esclusivo della minore, disposto dal Tribunale di Udine col provvedimento del 9 gennaio 2020.
Ciò per l'incapacità dell'istituto dell'affidamento a determinare l'ablazione o la sospensione integrali della responsabilità genitoriale, in un contesto, come il presente, in cui solo la titolarità della responsabilità genitoriale è l'elemento rilevante perché, con tutta evidenza, il richiesto cambio del cognome costituisce una decisione nient'affatto secondaria circa lo status della minore e incide direttamente su un suo aspetto delicatissimo (l'identificazione stessa dello status filiationis).
L'affidamento (ai sensi dell'art. 337-quater c.c.), condiviso, esclusivo o super esclusivo che sia, costituisce infatti una modalità di regolamentazione del quomodo dell'esercizio della responsabilità genitoriale. L'istituto può comportare soltanto una limitazione della responsabilità genitoriale perdurando pacificamente lo status filiationis: l'affido esclusivo non significa estromissione del genitore non affidatario dalla vita del figlio (come peraltro confermato nello stesso provvedimento del Tribunale di Udine).
Su tutt'altro piano si collocano i provvedimenti relativi all'an della responsabilità genitoriale, limitativi o ablativi della stessa (artt. 330 e 333 c.c. e art. 34 c.p.) che pacificamente non risultano pronunciati nei confronti del padre della minore.
È allora corretta la ragione addotta dal Prefetto a sostegno del diniego impugnato: la titolarità della responsabilità genitoriale del padre non risulta scalfita nell'an dalla richiamata decisione del Tribunale di Udine di modifica delle condizioni di divorzio; provvedimento che si è invero limitato a disciplinare, sul piano della gestione della responsabilità genitoriale e non già della sua titolarità, l'affidamento della minore.
Rimanendo, quindi, entram[b]i i genitori titolari della responsabilità genitoriale (pur diversamente disciplinata nella concreta gestione attraverso l'istituto dell'affidamento super-esclusivo alla madre) la richiesta del cambio di cognome - scelta, si ripete, fondamentale e assai delicata per l'interesse della minore - per essere accordata, necessitava della concorde volontà dei genitori o, in caso di contrasto insanabile, l'ineludibile e preliminare passaggio del ricorso al giudice civile ai sensi dell'art. 316, comma 2, c.c.
Il provvedimento impugnato, avendo fatto corretta applicazione delle coordinate normative e giurisprudenziali appena richiamate, resiste quindi alle censure della ricorrente.
8. È infondato anche il motivo col quale la ricorrente ha dedotto la violazione dei termini procedimentali. Per la loro natura meramente ordinatoria il ritardo non ha carattere viziante. In linea generale, infatti, l'art. 2-bis della l. n. 241/1990 correla all'inosservanza del termine finale conseguenze sul piano della responsabilità dell'amministrazione, ma non include, tra le conseguenze giuridiche del ritardo, profili afferenti la stessa legittimità dell'atto tardivamente adottato (cfr. T.A.R. F.V.G., n. 256/2022).
In assenza di una specifica disposizione che espressamente preveda il termine procedimentale come perentorio, comminando la perdita della possibilità di azione da parte dell'amministrazione al suo spirare o la specifica sanzione della decadenza, il termine va inteso come meramente sollecitatorio o ordinatorio, sicché il suo superamento non determina l'illegittimità dell'atto (cfr. C.d.S., n. 3875/2022).
9. Neppure è fondata la censura con la quale si rileva la contraddittorietà dell'azione amministrativa nell'aver prima autorizzato la ricorrente ad affiggere l'avviso contenente il sunto della domanda ai sensi dell'art. 90 del d.P.R. n. 396/2000, salvo poi respingere la sua istanza.
A seguito dell'autorizzazione ex art. 90 cit., infatti, il Prefetto mantiene intatti i poteri di verifica e controllo di tutti i presupposti legittimanti la richiesta, oltre a conservare i poteri discrezionali riservatigli nel vagliare le opposizioni e, dunque, l'accoglibilità dell'istanza. Con l'autorizzazione all'affissione infatti l'Amministrazione attesta unicamente di aver "assunto informazioni sulla domanda" e di ritenerla "meritevole di essere presa in considerazione", ovvero che la stessa non risulti prima facie inammissibile o manifestamente infondata così da non rendere inutili i successivi passaggi procedimentali.
10. In conclusione, il ricorso è respinto.
Le spese di lite, per la novità di alcune delle questioni esaminate, possono essere compensante.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli-Venezia Giulia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Vista la richiesta dell'interessato e ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte interessata.