Corte dei conti
Sezione giurisdizionale per la Lombardia
Sentenza 19 febbraio 2024, n. 31
Presidente: Tenore - Estensore: Pezzilli
SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO
Con atto di citazione depositato in data 21 giugno 2023 la Procura regionale citava in giudizio gli odierni convenuti, per sentire condannare B. Giuseppe al pagamento di euro 200.000, in favore del Comune di Foppolo, a titolo di danno all'immagine conseguente alle condotte illecite accertate con sentenza di patteggiamento irrevocabile, e al pagamento, in solido con l'altro convenuto C. Santo ed in favore della società in house Brembo Super Ski, della somma di euro 462.645,48 illecitamente distratta alla predetta società in qualità di amministratore di fatto il B. e amministratore di diritto il C.
Il Procuratore esponeva che l'odierno procedimento - stralciato dal fascicolo V2017/00824, riunito ai fascicoli V2018/00296 e V2018/00297 - era originato dalla denuncia in data 21 settembre 2016, con la quale il Commissario straordinario del Comune di Carona (BG) aveva segnalato alla Procura regionale una forte esposizione finanziaria dell'ente locale, derivante da un contratto di fideiussione con l'istituto Credito Valtellinese a garanzia di obbligazioni assunte dalla società partecipata Brembo Super Ski s.r.l., invero non risultante agli atti del Comune. Il Commissario, infatti, riferiva che - acquisiti dall'istituto di credito il contratto e le relative delibere autorizzative - era emerso che il primo non era riferibile al Sindaco di Carona e che le copie delle delibere riportavano soggetti diversi rispetto a quelli indicati negli atti deliberativi detenuti dall'ente.
Le indagini penali che erano seguite venivano, poi, trasmesse alla Procura regionale con una annotazione di Polizia erariale in data 25 febbraio 2020, nella quale veniva dato conto degli esiti investigativi delle indagini delegate dalla Procura della Repubblica nel procedimento penale n. 6625/18 R.G.N.R. a carico di B. Giuseppe, C. Santo e P. Enrico.
L'organo requirente riferiva, quindi, che nell'ambito di questa più ampia indagine si erano definite le posizioni oggetto dell'odierna contestazione. In particolare, con sentenza n. 191/2021 del 9 febbraio 2021, emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p., il Tribunale di Bergamo aveva applicato a B. Giuseppe la pena di anni due e mesi quattro di reclusione, in relazione ai reati di corruzione di cui al capo di imputazione a) e bancarotta fraudolenta e false comunicazioni sociali, di cui ai capi di imputazione c) e d), in danno della Brembo Super Ski, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Bergamo del 24 febbraio 2017.
Pertanto, espletati autonomi approfondimenti istruttori, la Procura regionale - valutati sussistenti gli elementi costitutivi di plurime ipotesi di responsabilità amministrativa - previa emissione del prescritto invito a fornire deduzioni, ha convenuto in giudizio B. Giuseppe e C. Santo, contestando al primo il danno all'immagine, per un importo pari ad euro 200.000,00, patito dal Comune di Foppolo in conseguenza delle condotte corruttive perpetrate dal medesimo, ed ad entrambi i convenuti, in solido, il danno patrimoniale diretto, pari ad euro 462.645,48 cagionato, mediante condotte distrattive, alla società in house Brembo Super Ski s.r.l.
All'odierna udienza - data per letta la relazione con il consenso delle parti - il Pubblico Ministero si è riportato alle contestazioni in atti, precisando - su richiesta del Presidente - che il convenuto B., al momento della notifica dell'invito a dedurre e della successiva citazione, non si trovava in stato di interdizione legale. Nessuno è comparso per i convenuti, non costituiti in giudizio.
La causa è stata, quindi, trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare, il Collegio, accertata la regolarità della notifica dell'atto di citazione ad entrambi i convenuti, e preso atto della dichiarazione della Procura che il convenuto B., al momento della notifica dell'invito a dedurre e della successiva citazione, non si trovava in stato di interdizione legale, quale condizione conseguente alla pena accessoria disposta nel caso di condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni e per aver commesso un delitto non colposo, ne dichiara la contumacia ai sensi dell'art. 93 c.g.c.
2. Con l'atto di citazione in epigrafe, sono state contestate due fattispecie di responsabilità amministrativa: la prima avente ad oggetto il danno all'immagine causato al Comune di Foppolo, ascritto al convenuto B. Giuseppe, in conseguenza delle condotte corruttive perpetrate dal medesimo in qualità di sindaco pro tempore ed accertate con sentenza di patteggiamento irrevocabile; la seconda, ascritta ad entrambi i convenuti, in solido, per il danno patrimoniale diretto, causato alla società in house Brembo Super Ski s.r.l. in conseguenza delle condotte distrattive poste in essere da B. e C., nella qualità, rispettivamente, di amministratore di fatto e di diritto della partecipata.
Le domande formulate dalla Procura possono trovare parziale accoglimento nei termini di seguito spiegati.
3. Partendo dalla prima posta di danno, il Collegio - in via preliminare - ritiene sussistenti i presupposti di proponibilità dell'azione.
3.1. Con riferimento al profilo dell'azionabilità del danno all'immagine si pone, infatti, la questione della equiparabilità della sentenza di patteggiamento ad una pronuncia di condanna, alla luce della nuova formulazione dell'art. 445, comma 1-bis, c.p.p. recata dall'art. 25, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 150 del 2022 (c.d. riforma Cartabia). Tale questione, rilevabile d'ufficio, va, quindi, esaminata dal Collegio funditus pur in assenza di eccezioni di parte.
Com'è noto, tale profilo è stato risolto positivamente per giurisprudenza contabile consolidata ed uniforme di primo e di secondo grado (ex multis, C. conti, Sez. giur. Lombardia, n. 31/2012, secondo cui "La presenza di un accertamento incontrovertibile in sede penale è condizione soddisfatta anche se trattasi di sentenza emessa in applicazione dell'art. 444 c.p.p., come si verifica nel caso di specie"; C. conti, Sez. II, 9 maggio 2011, n. 206; Sez. I centr. app., n. 325/2020; Sez. II centr. app., n. 124/2020; Sez. giur. Lombardia, n. 316/2021).
Tuttavia, successivamente alle modifiche apportate all'art. 445 c.p.p. dalla c.d. riforma Cartabia, sono emersi nuovi quesiti interpretativi in ordine alla permanenza o meno dell'equiparazione della sentenza di patteggiamento a pronuncia di condanna, ai fini dell'integrazione del presupposto di ammissibilità dell'azione di risarcimento del danno all'immagine.
3.1.1. Su questo tema si registrano, ad oggi, due diverse soluzioni giurisprudenziali.
Secondo un primo orientamento, il testo dell'art. 445 c.p.p., comma 1-bis, come riformulato dalla novella legislativa, inciderebbe sulla equiparabilità della sentenza di patteggiamento "ad una vera e propria sentenza di condanna ad altri fini", negandola, qualora non siano applicate pene accessorie (in terminis, Sez. giur. Puglia, sent. n. 270/2023; Sez. giur. Campania, sent. n. 409/2023). In tal senso militerebbe il secondo periodo del comma 1-bis dell'art. 445 c.p.p. che prevede, infatti, che leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall'art. 444, comma 2, alla sentenza di condanna non producono effetti se non siano state applicate pene accessorie.
Pertanto, secondo la giurisprudenza citata, "poiché la disposizione che in via residuale equipara la sentenza di patteggiamento a quella di condanna è contenuta proprio nell'ultimo periodo dello stesso comma 1-bis dell'art. 445 c.p.p. e considerato che tale disposizione codicistica costituisce norma di legge diversa da quella penale (dovendosi ritenere per legge penale solo le norme incriminatrici contenute nel codice penale o in leggi speciali), ne consegue che l'equiparazione tra sentenza di patteggiamento e sentenza di condanna ai fini della configurabilità della condizione di proponibilità dell'azione di danno all'immagine della pubblica amministrazione si integra soltanto nel caso in cui vengono anche applicate pene accessorie". Tale approdo esegetico sarebbe anche sostenuto "dalla considerazione che la novella normativa riguardante l'applicazione delle pene accessorie si configura come un meccanismo che da un lato rafforza i termini di premialità dell'istituto del cosiddetto patteggiamento della pena in sede penale anche nei casi di pena principale superiore ai due anni e dall'altro esclude il previgente automatismo di esclusione delle pene accessorie nei casi di pena principale al di sotto del suddetto limite, ancorando l'applicazione delle stesse alla gravità della condotta posta in essere dall'imputato a prescindere dal regime sanzionatorio principale" (Sez. Puglia, sent. n. 270/2023 cit.).
Diversamente, un secondo orientamento, allo stato maggioritario, ha ritenuto inapplicabile alla fattispecie in esame di danno all'immagine il secondo periodo del comma 1-bis dell'art. 445 c.p.p. In questi termini si è espressa la Sezione giurisdizionale Toscana, secondo la quale «la novella dell'art. 445 del c.p.p. non può essere letta in contrasto con il chiaro dato letterale, che, al secondo capoverso del comma 1-bis, dètta la regolazione dell'efficacia di "disposizioni di leggi extra-penali" equiparative della sentenza di patteggiamento a quella di condanna, escludendola nel caso di sentenza di patteggiamento che non irroghi pene accessorie e ammettendola nell'opposto caso di loro irrogazione. Orbene, non è dato rinvenire nell'ordinamento alcuna disposizione di legge extrapenale che equipari la sentenza di patteggiamento della pena alla sentenza penale di condanna in tema di danno all'immagine della P.A.
Come accennato, il danno all'immagine è frutto dell'elaborazione giurisprudenziale dei giudici contabili e trova il proprio riferimento normativo nel quadro della disciplina della responsabilità per danno ingiusto all'erario e nella tutela dei beni della vita della reputazione e della credibilità della Pubblica Amministrazione, intesa come persona giuridica, lesi dalla condotta criminosa dei propri dipendenti» (Sez. giur. Toscana, sent. n. 307/2023).
Nello stesso senso, si sono espresse, anche, la Sez. giur. Sicilia con la sentenza n. 137/2023, la Sez. giur. Veneto con la sentenza n. 142/2023, la Sez. app. Sicilia con la recente sentenza n. 2/2024, la Sez. giur. Umbria con le sentenze nn. 38/2023 e 53/2023, la Sez. giur. Marche con la sent. n. 19/2023 e la Sez. giur. Bolzano con la sent. n. 4/2023.
3.1.2. Anche questa Sezione si è già pronunciata su tale specifica questione, ritenendo che le conclusioni cui era giunta la giurisprudenza contabile - all'indomani delle previsioni introdotte con il c.d. "lodo Bernardo", d.l. 78/2009 art. 17, comma 30-ter, conv. in l. 102/2009 (ex multis, C. conti, Sez. I app., n. 325/2020; C. conti, Sez. II app., n. 124/2020) - siano da confermare anche a seguito della nuova formulazione dell'art. 445, comma 1-bis, c.p.p., recata dall'art. 25 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in quanto il tenore letterale dell'eccezione introdotta al secondo periodo attiene espressamente alle equiparazioni stabilite da "disposizioni di leggi diverse da quelle penali", mentre la fattispecie in esame si fonda sull'equiparazione della sentenza di patteggiamento a una pronuncia di condanna frutto di interpretazione giurisprudenziale, confermata proprio dal terzo periodo del comma 1-bis dell'art. 445 c.p.p. (cfr. Sez. giur. Lombardia, sent. n. 69/2023, ord. n. 28/2023, sent. n. 1/2024).
Il Collegio ritiene, quindi, di dare continuità a tale solco interpretativo che, allo stato, appare confortato da un orientamento maggioritario della giurisprudenza di primo grado, pronunciatasi in merito.
La soluzione adottata, invero, appare maggiormente aderente al dato normativo vigente sotto diversi profili.
In primo luogo, emerge il dato letterale della disposizione.
Se si considera, infatti, che gli interventi legislativi in materia di danno all'immagine, ossia l'art. 17, comma 30-ter, d.l. n. 78/2009 e l'art. 51, commi 6 e 7, c.g.c. (norme diverse da quelle penali) non prevedono alcuna equiparazione tra sentenza di patteggiamento e sentenza di condanna, ai fini dell'esercizio della nominata azione per danno all'immagine, appare evidente che le stesse non soggiacciono all'inefficacia prevista dall'art. 445, comma 1-bis, secondo periodo, c.p.p. e, quindi, non rientrano tra le eccezioni "aggiunte" dalla "riforma Cartabia" al terzo periodo del comma 1-bis ("Salvo quanto previsto dal primo e dal secondo periodo..."). Conseguentemente il regime giuridico "generale" recato dal terzo periodo del comma 1-bis rimane sostanzialmente immutato rispetto alla previgente formulazione, per quanto riguarda la fattispecie in discorso ("Salvo quanto previsto [dal primo o dal secondo comma] o da diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna" versione vigente; "Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna" versione previgente).
La peculiare tecnica con cui è stato riformulato il comma 1-bis avvalora una tale esegesi, secondo il primario criterio letterale, posto che la norma conferma - salvo le eccezioni indicate - il principio generale dell'equiparazione della sentenza di patteggiamento a una pronuncia di condanna.
Ciò considerato, non appaiono esserci "nuovi" motivi per discostarsi dal precedente solco interpretativo secondo il quale il comma 1-bis dell'art. 445 c.p.p. «nega, invero, unicamente l'efficacia vincolante extrapenale della decisione di patteggiamento, senza investire il diverso e distinto profilo qui all'esame [relativo all'equiparazione della sentenza di patteggiamento a sentenza di condanna ai fini dell'integrazione del presupposto di ammissibilità dell'azione di risarcimento del danno all'immagine]. La medesima disposizione, in definitiva, si limita a precludere la possibilità di estendere alle decisioni di patteggiamento gli effetti previsti dall'art. 651 c.p.p. per le sentenze di condanna (ovvero, l'idoneità a fare "stato" nei giudizi civili ed amministrativi per il risarcimento [ai fini dell'accertamento del fatto, della sua illiceità penale e della sua commissione da parte dell'imputato, con effetti sulla prova dei fatti]), ma non esclude l'equiparabilità ai fini della perseguibilità del danno all'immagine» (cfr. C. conti, Sez. II app., n. 14/2022 e nello stesso senso, ex plurimis, Sez. III app., nn. 423/2021 e 124/2020; Sez. I app., nn. 423/2021, 78/2021, 63/2019, 674/2018, 353/2018 e 809/2012)" (riportato, unitamente ai precedenti giurisprudenziali, da Sez. Toscana, sent. n. 307/2023, cit.).
In secondo luogo, anche il dato logico-finalistico, ritraibile dal criterio di delega e dalla relazione illustrativa al decreto legislativo delegato, conforta questo indirizzo ermeneutico.
Al fine di incentivare il ricorso all'applicazione della pena su richiesta delle parti, il legislatore delegante ha, infatti, individuato un primo criterio in materia di confisca e pene accessorie (art. 1, comma 10, lett. a), n. 1) ed un secondo criterio, recato dall'art. 1, comma 10, lett. a), n. 2, della legge-delega, volto a «ridurre gli effetti extra-penali della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, prevedendo anche che questa non abbia efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare e in altri casi».
Detto criterio «contiene una indicazione precisa (prevedere che la sentenza di patteggiamento "non abbia efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare") ed una dai contorni più sfumati (prevedere che la sentenza di patteggiamento "non abbia efficacia di giudicato... in altri casi"). La prima direttiva è assolta mediante la proposta abrogazione dell'inciso "salvo quanto previsto dall'articolo 653" in apertura dell'art. 445, comma 1-bis c.p.p., senza che vi sia necessità di intervenire sull'art. 653 c.p.p., che continua a riferirsi alle sole sentenze di assoluzione e di condanna. Per la realizzazione del secondo obiettivo si propone una formulazione normativa articolata su due livelli. A un primo livello (art. 445, comma 1-bis, primo periodo, c.p.p.), si intende sancire l'irrilevanza probatoria della sentenza di patteggiamento in ogni procedimento giurisdizionale diverso da quello penale e, quindi, innanzi al giudice civile, a quello amministrativo, a quello tributario e a quello della responsabilità erariale, quando il fatto storico oggetto della sentenza di patteggiamento possa avere una qualche rilevanza in quelle sedi. A un secondo livello (art. 445, comma 1-bis, secondo periodo, c.p.p.), ricordando la formulazione dell'art. 20 c.p. ("le pene principali sono inflitte dal giudice con sentenza di condanna; quelle accessorie conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa"), si propone di stabilire che, ogni qual volta, per effetto della sentenza di patteggiamento, non si applichino le pene accessorie (ciò già avviene ex lege sino ai due anni ed avverrà in base ad eventuale accordo di parte sopra i due anni, per effetto del nuovo art. 444, comma 1, c.p.p.), vengono meno anche tutti gli altri effetti penali. Per effetti penali si intendono dunque tutti quegli automatismi discendenti ope legis da una sentenza irrevocabile di condanna o di patteggiamento secondo una miriade di ipotesi previste dalle leggi speciali. La formulazione proposta ha il vantaggio per cui non vi è necessità di intervenire su tali leggi speciali, che restano in vigore e continuano ad applicarsi ogni volta che alla sentenza di patteggiamento verranno ricollegate pene accessorie» (relazione cit., p. 130).
Orbene, ai fini che qui interessano, risulta particolarmente significativo il passaggio della prefata relazione in cui si specifica che «il presente criterio contiene una indicazione precisa (prevedere che la sentenza di patteggiamento "non abbia efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare") ed una dai contorni più sfumati (prevedere che la sentenza di patteggiamento "non abbia efficacia di giudicato... in altri casi"). Questo secondo obiettivo, volto a "ridurre" gli altri effetti vincolanti che la sentenza penale irrevocabile di patteggiamento è in grado di esplicare "in altri casi", non definisce con precisione le situazioni da regolamentare, lasciando così al legislatore delegato la possibilità di valutare in che modo realizzare questo secondo obiettivo».
Su questo fronte, la relazione dà conto della scelta operata, spiegando di aver voluto agire con una formulazione normativa articolata su due livelli:
- il primo, che sancisce espressamente l'irrilevanza probatoria della sentenza di patteggiamento in ogni procedimento giurisdizionale diverso da quello penale (comma 1-bis, primo periodo);
- il secondo, che stabilisce il venir meno anche di tutti gli altri effetti penali, ogni qual volta, per effetto della sentenza di patteggiamento, non si applichino le pene accessorie (comma 1-bis, secondo periodo).
A questo proposito la relazione specifica ulteriormente che per effetti penali si intendono - richiamando la formulazione dell'art. 20 c.p. - "tutti quegli automatismi discendenti ope legis da una sentenza irrevocabile di condanna o di patteggiamento secondo una miriade di ipotesi previste dalle leggi speciali", così da non rendere necessario l'intervento su "tali leggi speciali, che restano in vigore e continuano ad applicarsi ogni volta che alla sentenza di patteggiamento verranno ricollegate pene accessorie".
Così chiarite dallo stesso legislatore delegato le determinazioni adottate nell'ambito del criterio direttivo di cui all'art. 1, comma 10, lett. a), n. 2, non sembra - neppure sul fronte di una esegesi logico-sistematica - che tra gli automatismi discendenti ope legis da una sentenza irrevocabile di condanna o di patteggiamento si sia inteso ricomprendere il requisito di proponibilità dell'azione per il risarcimento del danno all'immagine previsto:
a) dall'art. 17, comma 30-ter, primo periodo del d.l. n.79/2009 e succ. modd., secondo cui "Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97";
b) dall'art. 1, comma 1-sexies, della l. 20/1994 (comma inserito dall'art. 1, comma 62, l. 6 novembre 2012, n. 190), secondo il quale "Nel giudizio di responsabilità, l'entità del danno all'immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente";
c) dall'art. 51, comma 7, c.g.c., che prevede la comunicazione, alla Procura contabile, della "sentenza irrevocabile di condanna" pronunziata nei confronti di dipendenti di pubbliche amministrazioni per i delitti commessi a danno delle stesse (riprendendo il previgente testo dell'art. 7 l. n. 97/2001, contestualmente abrogato dall'art. 4, lett. g), delle norme transitorie e abrogazioni, allegato 3 al c.g.c.).
Pertanto, come già rilevato, non solo in questi casi l'equiparazione della sentenza di patteggiamento a una pronuncia di condanna è frutto di interpretazione giurisprudenziale e non di normativa extrapenale, ma neppure può ritenersi che l'individuazione della sentenza di condanna quale presupposto di proponibilità dell'azione giudiziaria configuri uno di quegli automatismi ex lege a cui la riforma Cartabia ha inteso riferirsi.
Inoltre, ad avviso del Collegio, l'espresso riferimento alla voluntas legis di ridurre gli effetti penali discendenti automaticamente da una sentenza di condanna o di patteggiamento secondo "una miriade di ipotesi previste dalle leggi speciali", porta a ritenere - da un punto di vista sistematico - che il riferimento contenuto nel secondo periodo del comma 1-bis alle "disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall'articolo 444 comma 2, alla sentenza di condanna" possa - in definitiva - intendersi secondo un'accezione ampia di "ordinamento penale", comprensivo sia delle disposizioni penali sostanziali che processuali, tra cui specificamente il terzo periodo del comma 1-bis dell'art. 445 c.p.p.
Venendo, dunque, al caso in esame, alla luce di quanto sin qui considerato ed argomentato, questo Collegio conclude per l'ammissibilità del presente giudizio di responsabilità per danno all'immagine della P.A., stante l'intervenuto perfezionamento del presupposto dell'azione richiesto dall'art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009, costituito dalla sentenza di patteggiamento, ormai irrevocabile, n. 191/2021 del 9 febbraio 2021, emessa dal Tribunale di Bergamo a carico dell'odierno convenuto B., equiparata, per tali effetti, a sentenza penale di condanna, dall'art. 445, comma 1-bis, terzo cpv., del c.p.p.
3.1.3. Analogamente, l'azione va ritenuta procedibile anche con riferimento alla tipologia dei reati per i quali, nel caso di specie, vi è stata la sentenza irrevocabile nei confronti di B. Giuseppe.
Sul punto - premesso che la domanda della Procura risulta circoscritta al reato di corruzione, di cui al capo a) della sentenza in discorso, il Collegio può esimersi dall'affrontare espressamente la dibattuta tematica della proponibilità dell'azione in caso di sentenza di condanna per reati che non rientrano tra i delitti propri commessi contro la P.A., di cui al capo I, titolo II del libro secondo del codice penale, sicché a questo punto può essere affrontata nel merito la domanda proposta dalla Procura.
3.1.4. L'organo requirente fonda la richiesta risarcitoria in esame, sulla base delle risultanze del processo penale versate in atti. In particolare, rappresenta come le dichiarazioni spontanee autoaccusatorie rese dal vicesindaco del Comune di Carona, Mauro A., in merito alla vicenda corruttiva per agevolare l'approvazione da parte della Provincia di Bergamo del Piano di governo del territorio del Comune di Foppolo, siano state confermate - in sede di interrogatorio - dallo stesso B. Giuseppe (doc. 2, file 23431, pagg. 4-7, file 23437 pagg. 67-70 e da 785 a 791, file 23455, pagg. da 14 a 20).
Il convenuto avrebbe, infatti, riferito che al fine di agevolare ed accelerare l'iter di approvazione del P.G.T., e quindi, "sbloccare la situazione", si era rivolto a due consulenti bergamaschi, i fratelli Bo. Fulvio e Maria Cristina, i quali si erano presentati quali "risolutori" delle problematiche legate all'approvazione dello strumento urbanistico dei Comuni di Foppolo e Valleve, offrendo un "servizio" di intermediazione con l'Assessore all'urbanistica della Provincia di Bergamo.
Questo interessamento si era reso necessario in quanto i PP.GG.TT., che prevedevano importanti trasformazioni edilizie dell'assetto urbano, soprattutto con riguardo al Comune di Foppolo, riconoscendo rilevanti volumetrie per l'implementazione dell'offerta ricettiva turistico-alberghiera, presentavano profonde criticità e risultavano non conformi con il Piano territoriale di coordinamento provinciale di Bergamo.
Per la risoluzione di tale problematica, i Bo. avevano richiesto al B. il pagamento di una tangente, pari complessivamente a circa 1 milione di euro, della quale una quota, pari a circa 200.000,00 euro, avrebbe dovuto essere "retrocessa" allo stesso sindaco pro tempore del Comune di Foppolo. Conseguentemente, in adesione a tale richiesta il sindaco B. aveva coinvolto differenti operatori economici orobici interessati al progetto speculativo, capeggiati da V. Battista, imprenditore edile, al fine di reperire la dazione illecita, di cui in parte avrebbe egli stesso beneficiato.
I fatti sarebbero poi stati riscontrati anche dalle dichiarazioni dei co-indagati Bo. Maria Cristina e Bo. Fulvio in data 30 luglio 2018 (doc. 2, file 23437, pagg. da 594 a 607, fasc. di Procura).
La Procura, quindi, ritenuta provata la condotta lesiva dell'immagine e del prestigio del Comune di Foppolo nonché l'elemento soggettivo del dolo, alla stregua degli elementi probatori forniti e dell'accertamento operato al capo a) della sentenza n. 191/2022, chiede la condanna di B. al risarcimento del danno, quantificato equitativamente in euro 200.000, corrispondente alla tangente promessa, non potendo applicarsi il comma 1-sexies della l. 20/1994 in considerazione dell'effetto "moltiplicatore" della lesività sul bene protetto, attribuito al rilevante strepitus fori di cui sarebbe prova anche lo studio redatto da un dottorando dell'Università degli Studi di Milano - Dipartimento di studi internazionali, giuridici e storico politici - in occasione del "Corso di Dottorato in Studi sulla criminalità organizzata XXXII ciclo" a.a. 2018/2019 intitolato: "Criminalità e comunità. Il caso delle valli bergamasche" (doc. 8, fasc. di Procura).
3.2. La domanda può trovare parziale accoglimento per le seguenti ragioni.
Le allegazioni contenute nel fascicolo processuale consentono di ritenere comprovati tutti gli elementi costitutivi della domanda risarcitoria.
A tale proposito va ritenuta la mera valenza indiziaria della sentenza di patteggiamento quale fatto storico e la necessità che tali risultanze siano avvalorate con ulteriori elementi probatori utili, anche a fronte dell'espressa inutilizzabilità di siffatta pronuncia giudiziale "ai fini di prova" anche nel giudizio contabile, sancita dall'art. 445, comma 1-bis, c.p.p. modificato dal d.lgs. 150/2022.
Nel caso in esame, la Procura pone a corredo della propria domanda una serie di elementi di prova, tratti dalle risultanze delle indagini svolte in sede penale, che possono essere prudentemente apprezzati in questa sede ai fini dell'accertamento della responsabilità.
Sicché la decisione risulta sorretta non solo dagli indizi ritratti dalla sentenza di patteggiamento ma, soprattutto, da plurimi elementi di prova idonei a dimostrare i presupposti di fondatezza della domanda.
In particolare, sotto il profilo della sussistenza della condotta illecita contestata, appaiono significative le dichiarazioni rese dallo stesso B. Giuseppe in sede di interrogatorio di garanzia dinnanzi alla Gip dott.ssa Sanesi in data 27 giugno 2018 (doc. 2, file 23437, pag. 258 e ss., fasc. di Procura), il cui contenuto, auto ed etero accusatorio, si sostanzia in una piena ammissione dei fatti contestati nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti. B., in tale sede, ha reso ampia confessione relativamente a plurimi episodi corruttivi, tra cui anche quello oggetto dell'odierna contestazione, spiegando come i fratelli Cristina e Fulvio Bo. si fossero proposti come intermediari dell'assessore provinciale dell'epoca per sbloccare l'approvazione dello strumento urbanistico di Foppolo e Valleve, richiedendo una dazione illecita di un milione di euro.
In sede di interrogatorio, B. ha anche confermato la sua funzione di collettore della predetta somma tangentizia, precisando che solo una parte della somma richiesta - raccolta in due tranche tramite imprenditori di zona interessati alle modifiche del piano regolatore - fosse stata effettivamente pagata.
B. ha ammesso, inoltre, che una parte di queste somme gli sarebbe stata promessa dai fratelli Bo., i quali - nei rispettivi interrogatori (trascritti nell'annotazione di PG n. 491100/18, pag. 23 e 24, doc. 3, all. cd rom, pp. 6625, fasc. di Procura) - hanno confermato la circostanza.
Pertanto, salvo quanto si specificherà in punto quantum, l'illecita condotta ascritta al sindaco B. e il comportamento tenuto in consapevole violazione dei doveri d'ufficio, risultano da un lato sufficientemente comprovati da plurimi elementi investigativi in atti e dall'altro idonei - sotto il profilo causale - a determinare un grave nocumento all'immagine e alla reputazione dell'amministrazione comunale di cui B. rappresentava, all'epoca dei fatti, la più alta carica.
Il danno all'immagine, infatti, pur essendo un danno evento diverso dalla condotta lesiva che lo ha generato, è tuttavia pur sempre riconnesso dall'ordinamento a quelle condotte penalmente illecite cui consegue la lesione del bene giuridico del buon andamento della Pubblica Amministrazione e il discredito, alla credibilità ed affidabilità degli organi e degli uffici pubblici che ne deriva nell'opinione pubblica, proprio in virtù della immedesimazione organica del soggetto agente con l'ente di appartenenza.
Gli effetti sulla percezione della correttezza dell'azione della Amministrazione, presso cui il dipendente infedele opera e cui appartiene, sono immediati e diretti e prospettano l'immagine di una burocrazia corrotta, inefficiente, non improntata al perseguimento dell'interesse pubblico ma piegata all'ottenimento di interessi privati.
La quantificazione di tale posta di danno, per giurisprudenza consolidata, prescinde dal reale investimento di risorse finanziarie, umane e strumentali che lo Stato apparato appresta per implementare la fiducia della collettività nelle istituzioni e nella puntuale gestione dei servizi pubblici e va effettuata, in via equitativa, applicando il criterio presuntivo del duplum dell'utilità o dei vantaggi illeciti percepiti (art. 1, comma 1-sexies, l. 20/1994), salvo elementi che giustifichino il superamento di detta presunzione in aumento o diminuzione.
Differentemente, in assenza della prova di un effettivo arricchimento patrimonialmente valutabile, o qualora i vantaggi non siano oggettivamente determinabili, la quantificazione va effettuata sempre in via equitativa, ma ai sensi dell'art. 1226 c.c., sulla base degli indicatori di natura oggettiva (natura del fatto, modalità di consumazione dell'illecito, entità del danno patrimoniale arrecato etc.), soggettiva (ruolo rivestito nell'organizzazione e nel procedimento dal soggetto agente, etc.) e sociale (diffusione all'interno ed all'esterno dell'Amministrazione della notizia, etc.) ampiamente elaborati in sede giurisprudenziale contabile.
In sostanza, quindi, allorquando non possa trovare applicazione, l'art. 1, comma 1-sexies, della l. 14 gennaio 1994, n. 20, introdotto dall'art. 1, comma 62, dalla l. 6 novembre 2012, n. 190 - non essendo provata l'illecita percezione di somme di denaro o di altre utilità da parte del convenuto - il danno all'immagine può essere liquidato in via equitativa ex art. 1226 c.c., tenendo conto degli indicatori di natura oggettiva, soggettiva e sociale, individuati dalla giurisprudenza contabile e, in particolare, nelle sentenze delle SS.RR. della Corte dei conti nn. 10/2003/QM e 1/2011/QM (cfr. Sez. II centr. app., n. 647 del 26 settembre 2017, n. 68 del 4 marzo 2019 e n. 247/2021).
La Procura, nel caso di specie, ritenendo non applicabile "la previsione di cui al comma 1-sexies, dell'articolo 1 della legge n. 20 del 1994 in considerazione del ruolo rivestito dal B. nella vicenda corruttiva, ampiamente esposto nella parte in fatto", ha effettuato "una quantificazione in via equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c., utilizzando i criteri elaborati dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti nella sentenza n. 10/QM/2003".
Pertanto, in considerazione della gravità del reato di corruzione, della qualità di sindaco rivestita dal B., del clamor fori, recato dai plurimi articoli di stampa oltre che da uno studio di dottorato del 2018-2019, intitolato "Criminalità e comunità. Il caso delle valli bergamasche", "con conseguente effetto moltiplicatore della lesività sul bene protetto", la Procura ritiene congruo quantificare il danno all'immagine nell'importo di euro 200.000, "corrispondente, altresì, alla somma che lo stesso B. avrebbe dovuto ricevere dall'operazione".
Tuttavia, alla stregua degli elementi allegati in atti, può ritenersi sufficientemente provata l'entità dell'importo illecito di euro 30.000, versato dai fratelli Bo. a B. per il suo ruolo di collettore delle tangenti.
In questo senso convergono le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio da Cristina e Fulvio Bo. nonché dall'imprenditore L., il quale era stato incaricato proprio da B. di versare la seconda tranche della tangente su di un conto svizzero pari ad euro 300.000, di cui l'importo poi consegnato a B. costituisce una parte pari al 10 per cento (doc. 3, all. cd rom, annot. PG 558073/19 pg. 18, fasc. di Procura).
Ciò premesso, sulla scorta delle direttrici ermeneutiche, sopra ricordate, che il Collegio condivide, la quantificazione del danno all'immagine va effettuata applicando il criterio previsto dal comma 1-sexies in discorso, in quanto - alla stregua degli elementi allegati in atti - risulta comprovato l'importo illecito percepito da B.
Alla luce delle allegazioni ritraibili dall'atto di citazione, il criterio presuntivo del duplum tangentizio appare congruo rispetto alla gravità delle conseguenze dannose riferibili all'episodio illecito in contestazione.
A tale proposito, il Collegio non può non rilevare che tra le notizie stampa depositate in atti (doc. 7, fasc. di Procura) molte riguardano in particolare la posizione dell'allora assessore all'urbanistica della Provincia di Bergamo (e poi senatore) nonché la più ampia vicenda processuale nella quale è inserito l'episodio illecito di cui B. è chiamato a rispondere in questa sede sotto il profilo del danno all'immagine. Anche "l'effetto moltiplicatore" della lesione, attribuito dalla Procura (doc. 8, fasc. di Procura) alla tesi di dottorato sulla criminalità delle valli bergamasche, va valutato tenendo presente che la complessiva ricostruzione del fenomeno ivi descritta, nella parte dedicata al caso di studio "Foppolo, La Monopolizzazione Amministrativa" (cap. 4, da pag. 163 a 240), analizza la situazione in una prospettiva temporale particolarmente lunga, nella quale l'episodio corruttivo di cui è causa costituisce solo uno dei tanti aspetti dell'intera vicenda ivi considerata.
Pertanto, il Collegio ritiene che il danno all'immagine imputabile all'odierno convenuto, calcolato secondo il criterio presuntivo recato dall'art. 1, comma 1-sexies, della l. 20/1994, vada quantificato in euro 60.000,00 pari al doppio dell'utilità illecita percepita da B. Giuseppe per l'episodio corruttivo di cui al capo a) della sentenza di patteggiamento n. 191/2021, divenuta irrevocabile in data 4 aprile 2021.
4. Il Collegio passa, quindi, ad esaminare la seconda fattispecie di responsabilità contestata, in solido ad entrambi i convenuti B. Giuseppe e C. Santo, per il danno patrimoniale diretto, causato alla società in house Brembo Super Ski s.r.l. in conseguenza delle condotte distrattive poste in essere nella rispettiva qualità, di amministratore di fatto e di diritto della menzionata società partecipata.
L'organo requirente - dopo aver preliminarmente sostenuto la natura in house della società Brembo Super Ski s.r.l., argomentata sulla base delle disposizioni statutarie espressamente comprovanti i necessari requisiti previsti dalla consolidata giurisprudenza in materia (doc. 6, fasc. di Procura) - contesta ai convenuti di aver illecitamente distratto (tra il 2014 e il 2015) dalla Brembo Super Ski s.r.l. la complessiva somma di euro 462.645,48. A sostengo della domanda, la Procura rileva che, durante le indagini afferenti alla seconda tranche della tangente di euro 300.000, erano emersi artifici contabili perpetrati dagli amministratori pro tempore della Brembo Super Ski, integranti i reati di bancarotta fraudolenta e false comunicazioni sociali, di cui ai capi c) e d) della sentenza di patteggiamento n. 191/2021. Secondo la prospettazione accusatoria, le risultanze investigative avrebbero comprovato:
- la qualità di amministratore di fatto di B. Giuseppe nel periodo 2014-2017, quando C. Santo gli era succeduto nella carica di presidente del c.d.a. della Brembo Super Ski, da B. rivestita dal 3 luglio 2006 al 23 aprile 2014;
- la distrazione di euro 350.000, pagati senza causa dalla Brembo Super Ski alla società Gesim s.r.l. di L. Santo, così individuate
[omissis]
- la distrazione di ulteriori risorse della Brembo Super Ski s.r.l., destinate a favore di soggetti terzi rispetto al soggetto indicato nella contabilità della società quale beneficiario dei pagamenti (Gesim s.r.l.), per un ammontare complessivo di euro 112.645,48 così individuate
[omissis]
Secondo quanto prospettato nell'atto di citazione, «alcune rappresentazioni dei fatti aziendali registrate nel mastrino "fornitori c/ anticipi per acconti" ovvero nel mastrino "Gesim" (esercizio commerciale 1.10.2015-30.09.2016) discordavano con le risultanze degli accertamenti bancari condotti sui rapporti di conto corrente intestati alla partecipata pubblica. Gli stessi beneficiari delle somme individuati dagli accertamenti bancari, escussi a sommarie informazioni, hanno confermato l'assenza di rapporti, sia professionali sia economici, con la partecipata Brembo Super Ski s.r.l., nonché con la GESIM s.r.l.» (pg. 13 e 14 dell'atto di citazione).
Conseguentemente, l'ammanco è stato imputato agli odierni convenuti che - nella loro qualità di amministratore di fatto e di diritto - avevano distratto le predette somme, avendone la disponibilità per ragioni di ufficio o di servizio.
4.1. In via preliminare, il Collegio - in adesione alla prospettazione dell'organo requirente - ritiene sussistere, nel caso di specie, i presupposti per il radicamento della giurisdizione contabile.
L'azione di responsabilità intentata dalla Procura attiene, infatti, ad un'ipotesi di danno erariale, sub specie di danno al patrimonio della società in house providing Brembo Super Ski s.r.l., partecipata, tra gli altri, dal Comune di Foppolo.
Alla stregua della documentazione in atti, puntualmente descritta nell'atto di citazione, al cui contenuto si rinvia ai sensi dell'art. 17 delle norme di attuazione al c.g.c., emerge con chiarezza la configurabilità della società danneggiata quale società in house providing degli enti pubblici soci (cfr. pg. 20 e ss. atto di citazione, nonché doc. 6, fasc. di Procura), sicché - in questo caso - sussiste la giurisdizione contabile per le azioni di responsabilità nei confronti degli organi [di] amministrazione, gestione e controllo che, agendo illecitamente, abbiano causato un danno al patrimonio sociale (ex pluribus: Cass. civ., Sez. un., 8 luglio 2020, n. 14236, 20 febbraio 2020, n. 4316, 13 settembre 2018, n. 22409, e 10 marzo 2014, n. 5491; C. conti, Sez. II app., n. 302/2022; Sez. III app., n. 602/20221 e n. 354/2018).
4.2. Sussiste, altresì, il rapporto di servizio tra i convenuti e la società in house danneggiata.
Come risulta dagli atti, all'epoca delle distrazioni (novembre 2014-novembre 2015) C. Salvo ricopriva la carica di presidente del c.d.a., cui sono immanenti poteri gestori e di rappresentanza della persona giuridica, con conseguente radicamento di quella relazione funzionale che, stando alla base del rapporto di servizio, implica l'assoggettamento alla giurisdizione contabile.
4.2.1. Ad analoga conclusione può giungersi anche con riferimento alla posizione del convenuto B. Giuseppe, il quale ha pacificamente rivestito la qualità di amministratore di fatto della società in house Brembo Super Ski s.r.l. all'epoca in cui sono stati disposti i pagamenti indebiti contestati dalla Procura.
Tale circostanza fattuale non solo emerge dalle dichiarazioni rese, in sede di interrogatorio, da Laura C. (doc. 2, sub 2, fald. 4, file pg. 808-812, fasc. di Procura) e dalle s.i.t. di Z. e R. (doc. 3, sub 3, annotazione G.d.f. n. 558073, all. 98 e 99, del fasc. di Procura), ma è lo stesso B. che, nell'interrogatorio del 7 febbraio 2017, risponde positivamente alla specifica domanda se fosse amministratore di fatto della Brembo Super Ski (doc. 3, sub 3, annotazione G.d.f. n. 558073, all. 101, del fasc. di Procura).
In sostanza, quindi, la predetta qualità - comportante il radicamento del rapporto di servizio con la società in house danneggiata e l'assoggettamento alla giurisdizione di questa Corte - appare suffragata da plurime e circostanziate risultanze istruttorie.
4.3. Nel merito la domanda risarcitoria è parzialmente fondata.
In proposito, il Collegio - rinviando alle considerazioni giuridiche sopra svolte al capo 3.2, in ordine alla mera valenza indiziaria della sentenza di patteggiamento quale fatto storico, anche a fronte dell'espressa inutilizzabilità di siffatta pronuncia giudiziale "ai fini di prova" anche nel giudizio contabile, sancita dall'art. 445, comma 1-bis, c.p.p. modificato dal d.lgs. 150/2022 - ribadisce che l'onere di allegazione dei fatti e di prova degli stessi non può limitarsi al rinvio all'accertamento operato nella sentenza di patteggiamento.
Ciò premesso, sulla base dell'esame delle disposizioni di pagamento allegate alla relazione della G.d.f. (doc. 3, sub 3, annotazione G.d.f. n. 558073), il Collegio rileva che il versamento di euro 70.000 in data 17 novembre 2014 (contestato dalla Procura quale quota della distrazione di euro 350.000 a pg. 13 dell'atto di citazione) è avvenuto con bonifico in pari data del Comune di Foppolo direttamente a favore della Gesim s.r.l., con la causale "anticipazione somme per conto di Brembo Super Ski Gesim s.r.l." (doc. 3, sub 3, annotazione G.d.f. n. 558073, all. 71, del fasc. di Procura).
Pertanto, in mancanza di ogni altro elemento che consenta di ricondurre contabilmente l'effettivo esborso di questa somma alla Brembo Super Ski, non è possibile ascrivere il predetto pagamento di euro 70.000 tra le somme indebitamente distratte dagli odierni convenuti alla citata società in house, sicché il relativo importo va escluso dalla condanna.
Sussistono, invece, i presupposti per affermare la responsabilità dei convenuti B. Giuseppe e C. Salvo per la distrazione delle restanti somme, come indicate nei due prospetti a pag. 13 e 14 dell'atto di citazione, pari ad euro 392.645,48.
Sulla base della documentazione in atti (doc. 3, sub 3, annotazione G.d.f. n. 558073, all. 72 e ss., del fasc. di Procura), le restanti disposizioni di pagamento contestate risultano tutte riferibili contabilmente alla Brembo Super Ski, che ne ha disposto indebitamente a favore di soggetti privi di legittimazione.
Le predette condotte distrattive sono ascrivibili ad entrambi i convenuti ai quali, per effetto dei loro poteri gestori di diritto e di fatto e della delega ad operare sui conti correnti della società, sono imputabili i contestati pagamenti per finalità del tutto estranee a quelle che la società pubblica in discorso avrebbe dovuto perseguire.
La responsabilità va ascritta a titolo di dolo, considerato che le distrazioni in danno della Brembo Super Ski, sia per la collocazione temporale in cui sono avvenute che per quanto dichiarato da B. sulle modalità adottate per il reperimento della provvista corruttiva da corrispondere ai fratelli Bo. (interrogatorio in data 27 giugno 2018, doc. 2, file 23437, pag. 258 e ss.) erano finalizzate ad integrare il prezzo delle corruzione, per cui se ne può inferire una volizione cosciente e consapevole sia dell'illiceità della condotta che delle conseguenze dannose a carico della società in house.
5. In conclusione, in parziale accoglimento delle domande attoree, i convenuti vanno ritenuti responsabili dei danni contestati e condannati come segue:
- B. Giuseppe al risarcimento del danno all'immagine all'amministrazione di appartenenza, quantificato in euro 60.000, oltre rivalutazione dal 4 aprile 2021 (data di irrevocabilità della sentenza n. 191/2021) ed interessi, da corrispondere al Comune di Foppolo;
- B. Giuseppe e C. Salvo, in solido, al risarcimento del danno patrimoniale diretto alla società in house Brembo Super Ski s.r.l., quantificato in euro 392.645,48 oltre rivalutazione dal 4 aprile 2021 (data di irrevocabilità della sentenza n. 191/2021) ed interessi sulla somma rivalutata, da corrispondere alla Brembo Super Ski s.r.l. in fallimento.
6. Le spese del giudizio vengono liquidate come da dispositivo e poste, in solido, a carico dei convenuti soccombenti.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia, definitivamente pronunciando, in parziale accoglimento delle domande proposte dal Procuratore regionale, condanna:
- B. Giuseppe [omissis] al risarcimento del danno all'immagine all'amministrazione di appartenenza, quantificato in euro 60.000, da corrispondere al Comune di Foppolo, oltre rivalutazione dal 4 aprile 2021 (data di irrevocabilità della sentenza n. 191/2021) ed interessi legali sulla somma così rivalutata dalla data di pubblicazione della sentenza e fino all'effettivo soddisfo;
- B. Giuseppe [omissis] e C. Santo [omissis], in solido, al risarcimento del danno patrimoniale diretto alla società in house Brembo Super Ski s.r.l., quantificato in euro 392.645,48 oltre rivalutazione dal 4 aprile 2021 (data di irrevocabilità della sentenza n. 191/2021) ed interessi legali sulla somma così rivalutata dalla data di pubblicazione della sentenza e fino all'effettivo soddisfo, da corrispondere alla Brembo Super Ski s.r.l. in fallimento.
Condanna i convenuti, in solido, al pagamento delle spese di giudizio, che si liquidano in complessivi euro 216,32 (duecentosedici/32).
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di rito.