Corte dei conti
Sezione giurisdizionale per l'Umbria
Sentenza 18 marzo 2024, n. 12

Presidente: Floreani - Estensore: Di Giulio

FATTO

1. Con atto di citazione depositato in data 11 agosto 2022, la Procura regionale ha esposto che il Comune di Preci ha subito un danno, per complessivi euro 38.836,66, cagionato dall'avere il convenuto, nella qualità di responsabile dell'ufficio tecnico del Comune di Preci, malamente gestito la procedura acquisitiva di un terreno di mq 1.608, ubicato in località Montaglioni e censito al catasto del Comune di Preci, al foglio 47, particella 36 (oggi particelle 502 e 503).

2. L'istruttoria è stata aperta a seguito della trasmissione alla Procura regionale, da parte del Comune di Preci, della deliberazione del Consiglio comunale 25 giugno 2021, n. 17, con la quale era stato riconosciuto, con riserva di azione di rivalsa, un debito fuori bilancio per euro 33.408,17, per ottemperare alla sentenza del Tribunale di Spoleto 3 novembre 2020, n. 622, che aveva condannato l'ente locale a causa dell'illegittimità dell'iter amministrativo ablatorio causata dall'inerzia dell'ufficio diretto dallo S.

L'organo requirente ha evidenziato che il terreno più sopra indicato era stato occupato per la prima volta nel lontano 1979 (col provvedimento del Sindaco di Preci n. 372 del 20 ottobre 1979) e che, decorsi nelle more del decreto di espropriazione trentasette anni di occupazione sine titulo e senza indennizzo, il diritto dominicale dei proprietari O. era risultato gravemente compresso, tanto da indurli ad instaurare un contenzioso risarcitorio nei confronti del Comune. Inizialmente, l'occupazione per la durata di tre anni era stata motivata dalla necessità di installare fabbricati per il ricovero delle persone che avevano perso la casa in seguito al sisma del 19 settembre 1979.

Nel 1982, dopo la scadenza del termine triennale di legittima occupazione, nonostante l'avvenuta irreversibile trasformazione del bene per le urbanizzazioni effettuate, il Comune di Preci non aveva ancora adottato i provvedimenti necessari alla definitiva acquisizione, né era stata disposta la retrocessione del terreno ai proprietari.

Il convenuto geom. Michele S. aveva informato i proprietari dell'avvio delle procedure di esproprio per l'installazione di prefabbricati per scopi di protezione civile soltanto dopo molti anni di illegittima occupazione (con nota del 24 marzo 1999). Nel 2000, il T.A.R. per l'Umbria (con sentenza n. 233 del 2000) aveva annullato le progettazioni (progetto preliminare approvato con d.C.c. n. 6 del 9 febbraio 1999 e progetto definitivo approvato con d.G.c. n. 179 dell'8 giugno 1999) a causa della mancata indicazione dei termini iniziali e finali dell'espropriazione e, a seguito di tale annullamento, il convenuto aveva comunicato ai privati che si sarebbe proceduto alla riapprovazione del progetto esecutivo (nota del 31 maggio 2001).

La Giunta comunale, su parere di regolarità tecnica del geom. S., aveva poi riapprovato il progetto esecutivo, dando atto che "le opere di che trattasi sono state già in parte eseguite", e fissando il termine finale delle procedure ablatorie "alla data del 29.07.2004" (delibera n. 110 del 4 giugno 2002). Con delibera n. 272 del 24 dicembre 2002, la Giunta, sempre su parere tecnico favorevole del geom. S., aveva certificato la regolarità dei lavori e liquidato gli importi dovuti alla ditta esecutrice (euro 318.485,283), ma, quantunque figurasse tra le somme liquidate la voce "oneri connessi agli espropri-frazionamenti" per euro 30.515,397, questi importi in realtà non erano mai stati corrisposti ai privati.

La Procura regionale ha evidenziato, pertanto, che la regolare esecuzione dei lavori era stata dichiarata in assenza del completamento delle procedure ablatorie e che il Comune di Preci aveva realizzato l'opera pubblica su terreni ancora nella titolarità di proprietari privati e senza aver erogato loro alcun indennizzo. Sino al 2019, il competente ufficio comunale diretto dal convenuto era rimasto del tutto inerte, di talché l'occupazione sine titulo si era protratta per ulteriori diciassette anni, finché - il 6 agosto 2014 - il Comune di Preci, in persona del Sindaco, aveva preso atto della disponibilità dei privati proprietari a cedere bonariamente i terreni. Il fallimento della soluzione bonaria, tuttavia, aveva poi determinato un secondo ricorso al T.A.R. da parte dei proprietari ed il Comune di Preci si era costituito nel processo, previa d.G.c. n. 96 del 3 ottobre 2018, adottata su parere favorevole del geom. S.

Con atto di citazione notificato il 4 luglio 2018, la proprietà aveva chiesto al Tribunale di Spoleto la condanna all'adozione di un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001, oltre al risarcimento dei danni ed anche tale contenzioso era stato foriero di ulteriori spese legali per il Comune, che si era costituto con determinazione del responsabile dell'ufficio tecnico geom. S. Tale processo si era poi concluso con declaratoria di improcedibilità dell'azione (con sentenza n. 662/2020) poiché, nelle more, il Comune aveva provveduto ad adottare il provvedimento di acquisizione in sanatoria del terreno (con deliberazione n. 16 del 18 marzo 2019), approvata dal Consiglio comunale su parere di regolarità tecnica del geom. S.

Il Tribunale di Spoleto aveva condannato l'ente ad erogare ai proprietari espropriati l'importo di euro 24.239,12 a titolo di rivalutazione ed interessi sull'indennità già corrisposta, oltre alle spese di lite per euro 4.158,49.

3. La Procura ha depositato e ritualmente notificato l'atto di citazione, in cui ha concluso chiedendo la condanna di Michele S. al pagamento, a titolo di colpa grave, di euro 38.836,66 [pari all'importo del debito fuori bilancio approvato per euro 33.408,17, oltre le spese legali sostenute dal Comune per euro 4.158,49 (cfr. determinazione dirigenziale n. 306/556 del 17 dicembre 2020)], oltre le spese di euro 1.270,00 per i costi di registrazione dell'ordinanza di acquisizione presso l'Agenzia delle entrate e la relativa trascrizione, ovvero alle diverse somme ritenute di giustizia, in favore del Comune di Preci, oltre alla rivalutazione secondo gli indici ISTAT, agli interessi legali dal deposito della sentenza sino all'effettivo soddisfo ed alle spese di giudizio.

4. Con rituale memoria si è costituito Michele S., in quiescenza dal 1° settembre 2021, il quale, eccepita la prescrizione, si è difeso controdeducendo:

- di essere stato nominato responsabile dell'ufficio tecnico dal 1996 e responsabile dell'ufficio espropri soltanto dal novembre 2003, mentre la vicenda contestata risaliva al lontano 1979 e, da tale data al 2019, si erano succeduti vari responsabili, per cui il danno si era perfezionato in epoca anteriore alla sua nomina e gli addebiti andrebbero quanto meno ripartiti tra coloro che nel corso degli anni hanno posto in essere eventuali condotte illecite (ai sensi dell'art. 1 della l. n. 20 del 1994); in particolare, all'epoca della originaria requisizione, il responsabile dell'ufficio tecnico del Comune, tenuto ad adottare i relativi atti di acquisizione, era Massimo M., ossia proprio l'attuale Sindaco di Preci che lo aveva denunciato alla magistratura contabile e che, inoltre, aveva discrezionalmente deciso di non appellare - con scelta del tutto opinabile e dannosa per l'ente, considerato che era controversa in giurisprudenza la rivalutabilità dell'indennizzo - la sentenza del Tribunale di Spoleto n. 622 del 2020, le cui conseguenze dannose sono state dalla Procura regionale a lui imputate quale danno indiretto;

- di non aver effettuato la scelta, foriera di spese legali, di costituirsi e resistere nel contenzioso instaurato dai privati, spettando questo potere soltanto all'amministrazione e di non poter essere pregiudicato dalla relativa sentenza civile, a lui inopponibile essendo rimasto estraneo al processo.

Ha altresì evidenziato:

- che, dal terremoto del 1979, il Comune di Preci aveva effettuato varie occupazioni urgenti di aree private, per collocarvi i moduli abitativi dei terremotati, occupazioni non regolarizzate e poi riutilizzate per scopi di protezione civile in tutti i successivi terremoti del 1997 e del 2016, per cui egli si era trovato a dovere gestire una serie di situazioni anomale, che erano state in gran parte definite bonariamente;

- che la composizione bonaria era stata soluzione adottata in molte altre situazioni analoghe (a tal fine ha prodotto nota del 24 luglio 2019, prot. n. 6410, con elencazione di una serie di cessioni bonarie relative ad altre aree);

- che, pertanto, aveva tentato, secondo le indicazioni degli amministratori (di cui alla d.G.m. n. 181 del 12 settembre 2002 e alla d.G.m. n. 79 del 13 agosto 2018), una composizione bonaria della vicenda la quale, a differenza di altre analoghe situazioni di occupazioni sine titulo, non aveva sortito esito positivo, in ragione delle eccessive pretese economiche avanzate dai proprietari, i quali avevano richiesto un importo di gran lunga superiore a quello dovuto ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001;

- che non aveva il potere di avviare procedure espropriative di sua iniziativa, senza la espressa approvazione dell'organo politico, tanto che, con d.C.c. 18 marzo 2019, n. 16, il Comune aveva infine deliberato di acquisire, ai sensi dell'art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001, l'area di proprietà dei signori O. ed aveva versato l'indennizzo che era stato calcolato secondo i parametri di legge di euro 6.174,72 e ritenuto congruo dal Tribunale di Spoleto, nella sentenza 622 del 2020, nonostante fosse di importo ben inferiore a quello richiesto in fase stragiudiziale per euro 17.000,00 (importo questo sì che, se accettato, avrebbe comportato un danno erariale per l'ente);

- che agli O. era stato comunque corrisposto un indennizzo per l'occupazione sino al 31 dicembre 1987 (come emerge dalla d.G.c. 7 ottobre 1992 n. 490), per cui l'affermazione della Procura regionale secondo la quale il progetto era stato "contabilizzato e rendicontato a fine 2002, in difetto del previo (necessario) esproprio dell'area, ancora in titolarità privata", è smentita dal fatto che era stato disposto, dalla Regione Umbria, il differimento dei termini di rendicontazione dell'intero progetto al marzo 2022. Ha pertanto concluso chiedendo il rigetto della domanda, con vittoria di spese.

5. All'udienza del 18 gennaio 2023, la Procura regionale ha insistito per l'accoglimento delle rassegnate conclusioni e per la condanna del convenuto al risarcimento del danno per l'importo indicato in citazione, oltre alla rivalutazione secondo gli indici ISTAT, agli interessi legali dal deposito della sentenza sino all'effettivo soddisfo ed alle spese di giudizio.

Il difensore del convenuto si è riportato alle conclusioni di cui alla memoria, chiedendo il rigetto della domanda, con vittoria delle spese.

DIRITTO

1. La Procura regionale formula un'ipotesi di illecito erariale che trae origine da una condanna civile per la mancata adozione, nei termini prescritti dalla legge, di un decreto di espropriazione da parte del convenuto, in violazione dei suoi doveri professionali di responsabile dell'ufficio tecnico del Comune di Preci.

È bene, preliminarmente, ribadire la sussistenza della giurisdizione di questa Corte, richiamando il costante orientamento della Cassazione secondo cui la Corte dei conti non viola i limiti esterni della propria giurisdizione qualora censuri non già il merito di una scelta amministrativa, bensì le modalità della sua attuazione, dovendo l'agire amministrativo comunque essere costantemente ispirato a criteri di economicità e di efficacia (Cass., Sez. un., 6 marzo 2020, n. 6462, che riprende Cass., Sez. un., 5 aprile 2019, n. 9680).

2. In via preliminare di merito, l'eccezione di prescrizione dell'azione erariale è infondata e va rigettata, giacché la pretesa è stata tempestivamente azionata ben prima della scadenza del termine quinquennale decorrente dalla verificazione del danno [nella specie coincidente non con le condotte, ma con l'effettivo esborso del danaro pubblico (avvenuto con la liquidazione effettuata in esecuzione della deliberazione del Consiglio comunale del 25 giugno 2021, n. 17)].

Risulta, quindi, tempestiva la notificazione dell'invito a dedurre risalente al 10 marzo 2022, rispetto ai mandati di pagamento (n. 661 del 26 luglio 2021 e n. 663 del 26 luglio 2021 in favore di Armando O.; nonché n. 662 del 26 luglio 2021 e n. 664 del 26 luglio 2021, in favore di Rosanna O., per complessivi euro 33.408,17), cui vanno aggiunti i successivi atti liquidativi delle spese giudiziali e delle spese per i costi di registrazione dell'ordinanza di acquisizione presso l'Agenzia delle entrate e la relativa trascrizione.

3. Nel merito, la domanda è fondata.

Per ricostruire in sintesi e qualificare giuridicamente la vicenda in esame, giova rammentare che l'occupazione sine titulo ed oltre i termini di un terreno privato, come da consolidata giurisprudenza anche contabile, è fonte di pretese risarcitorie, per cui l'inerzia protratta nel tempo, riguardo ad uno stato di nota e perdurante illegittimità, acquisisce senz'altro rilevanza, in questa sede, in quanto generatrice di danno erariale.

Inizialmente, ove la vicenda in esame fosse stata definita entro la fine del 2005, si sarebbe potuto applicare l'istituto dell'accessione invertita, per addivenire ad una sorta di espropriazione indiretta, non richiedente l'espressa emanazione di un decreto di espropriazione, ma si sarebbe verificato l'acquisto a titolo originario della proprietà del bene da parte della pubblica amministrazione nel caso in cui la stessa avesse occupato sine titulo, e radicalmente trasformato, in modo irreversibile, il suolo privato mediante l'insediamento definitivo dell'opera pubblica, laddove sarebbe residuato in capo al proprietario soltanto il diritto ad ottenere un mero risarcimento del danno dal giudice ordinario.

Dal 2006, tuttavia, la Corte costituzionale (con sentenza 11 maggio 2006, n. 191), ha effettuato la nota distinzione fra la c.d. "occupazione acquisitiva" (che si verifica quando il fondo è stato occupato a seguito di dichiarazione di pubblica utilità, e pertanto nell'ambito di una procedura di espropriazione, ed ha subito una irreversibile trasformazione in esecuzione dell'opera di pubblica utilità senza che, tuttavia, sia intervenuto il decreto di esproprio o altro atto idoneo a produrre l'effetto traslativo della proprietà) e c.d. "occupazione usurpativa" (caratterizzata dall'apprensione del fondo altrui in carenza di titolo: carenza universalmente ravvisata nell'ipotesi di assenza ab initio della dichiarazione di pubblica utilità, e da taluni anche nell'ipotesi di annullamento, con efficacia ex tunc, della dichiarazione inizialmente esistente ovvero di sua inefficacia per inutile decorso dei termini previsti per l'esecuzione dell'opera pubblica).

Successivamente, con il primo comma dell'art. 34 del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, è stato introdotto nel d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, l'art. 42-bis applicato al caso in esame, in luogo dell'art. 43 del medesimo decreto, dichiarato costituzionalmente illegittimo, per eccesso di delega, dalla Corte costituzionale (cfr. sent. 7 luglio 2010, n. 293); per cui - a decorrere da tale epoca - si rendeva necessaria l'adozione di un decreto espropriativo in sanatoria (c.d. "acquisizione sanante"), che non poteva tuttavia esplicare effetto retroattivo, ma soltanto operare ex nunc, ossia dal momento della sua emanazione: è proprio quanto è avvenuto in relazione al caso in esame, definito con deliberazione del Consiglio comunale 18 marzo 2019, n. 16, su parere di regolarità tecnica del geom. S.

Ai fini del decidere occorre anche considerare la modifica normativa apportata all'art. 45, comma 1, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, dall'art. 72 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, secondo cui la competenza gestionale attribuita da normative previgenti ad organi politici è stata trasferita ai dirigenti, ivi compresa quella inerente al decreto di occupazione, atto puramente attuativo rispetto al provvedimento dichiarativo della pubblica utilità.

In tal senso si sono poi orientate anche le note decisioni della Corte costituzionale, che hanno nettamente distinto l'attività di indirizzo politico-amministrativo spettante agli organi di vertice da quella gestoria demandata ai dirigenti (tra cui Corte cost., 3 maggio 2013, n. 81).

Il principio è stato ulteriormente rafforzato dall'attuazione della riforma Madia (l. 7 agosto 2015, n. 124 e, in particolare, il criterio di delega indicato dall'art. 17, comma 1, lett. t).

Sebbene sia da considerare che, in piccoli Comuni inferiori ai cinquemila abitanti (quale il Comune di Preci, che dal 1991 si è costantemente mantenuto sotto i mille abitanti), il principio della separazione delle funzioni può essere derogato, essendo consentito (art. 53, comma 23, l. 23 dicembre 2000, n. 388, modificato dal comma 4 dell'art. 29 l. 28 dicembre 2001, n. 448), nel caso di carenza di personale qualificato, affidare ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità di taluni uffici e servizi amministrativi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnico-gestionale, ciò non è avvenuto nella specie e, dunque, il principio che si considera non può essere invocato come esimente dal convenuto.

Al responsabile dell'ufficio tecnico Michele S. è stato, pertanto, demandato il compito di curare tutti gli aspetti tecnico-amministrativi relativi alle procedure espropriative e di occuparsi anche di redigere lo stato di consistenza, i decreti, le occupazioni definitive e le retrocessioni, i frazionamenti e gli accatastamenti. In altri termini, l'espletamento di tutta l'attività strumentale e propedeutica all'adozione, da parte dell'organo politico, del provvedimento finale d'espropriazione; al riguardo, occorre evidenziare che la giurisprudenza contabile è uniforme nell'affermare la responsabilità amministrativa anche del tecnico comunale - a fianco dell'organo politico - che ometta di svolgere tutta l'attività propedeutica e funzionale all'emissione del decreto d'esproprio.

Ragione per cui, è inconsistente l'assunto del convenuto, nella parte in cui questi sostiene che l'applicazione dell'art. 42-bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 presupponeva non meri atti di gestione del responsabile del servizio, ma un'apposita deliberazione della Giunta comunale (come avvenuto con la delibera n. 16 del 18 marzo 2019), contenente anche un apposito stanziamento di fondi per l'indennizzo. Non giova, infatti, allo S. affermare di essere stato vincolato dalle indicazioni che gli organi comunali gli avevano dato nell'esercizio dei loro poteri discrezionali di indirizzo politico e di spesa, poiché, nella sua qualità di responsabile dell'ufficio tecnico dal 1996 e dell'ufficio espropri dal novembre 2003, avrebbe potuto e dovuto, invece, adottare tutti gli atti di sua competenza per stimolare la definizione dell'iter ablatorio, nell'esercizio dei suoi poteri di gestione, per poi sottoporli, con parere tecnico, all'approvazione degli organi di indirizzo politico dell'ente.

Prima della istituzione dell'ufficio espropri (con d.G.c. n. 203 del 6 novembre 2003), ai sensi dell'art. 6, comma 2, d.P.R. n. 327/2001, per l'adozione dei provvedimenti in materia espropriativa era competente il responsabile dell'ufficio tecnico - settore ll.pp., per cui tali adempimenti spettavano a lui anche prima del 2003. Invece, nonostante vi fosse, sin dal 2002 ed ancor prima, una diffusa consapevolezza riguardo alla mancata rituale conclusione delle procedure acquisitive, l'iter è stato definito, su impulso del convenuto, soltanto nel 2019 e il medesimo non ha, peraltro, neppure prodotto provvedimenti del Comune di Preci, o quanto meno note interne dell'ufficio da lui diretto, atti a dimostrare che avesse sollecitato in modo efficace, negli anni precedenti, una pronta soluzione conciliativa della problematica in questione.

I tentativi conciliativi esperiti dal Sindaco, per mezzo delle lettere di convocazione della proprietà, sono successivi al 2014, mentre tra il 2002 e il 2014 non risulta alcun atto comunale, pur a fronte di una cristallizzata situazione illecita.

4. Dall'esame degli atti emerge, dunque, chiaramente la condotta antidoverosa del convenuto, in quanto egli ha fornito parere favorevole ai provvedimenti di approvazione dei progetti del 1999, annullati dal T.A.R. per l'Umbria (con sentenza n. 233 del 2000), per illegittimità dovuta alla mancata indicazione dei termini di espropriazione ed alla attestazione di regolare esecuzione dell'opera pubblica (di cui alla delibera n. 272 del 24 dicembre 2002), nonostante fosse stata realizzata su terreni ancora dei privati. Risulta inoltre che, dal 2002, epoca di approvazione del progetto, sino al 2019, epoca in cui è avvenuta l'acquisizione sanante dell'area da parte del Comune, egli ha omesso di assumere gli atti necessari per completare le procedure espropriative e l'ente si è limitato a reiterare la convocazione di riunioni informali con i proprietari per una risoluzione bonaria della vicenda, mai avvenuta.

5. L'esito infausto della trattativa è dipeso dal carattere eccessivo delle richieste avanzate dai proprietari, da ultimo con nota del 6 marzo 2017, prot. n. 2614 (cessione bonaria dell'area per un importo di euro 17.000,00 quale indennità di occupazione, subordinata alla condizione della costituzione di una servitù di passaggio della larghezza di cinque metri lungo la particella 502 e 503 confinante con la particella 168, per accedere ad un'altra loro proprietà), poiché il Comune ha correttamente ritenuto la richiesta incongrua, in quanto di molto superiore all'indennità di occupazione calcolata ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 e pari ad euro 6.174,72).

6. Effettuando il giudizio controfattuale di prognosi postuma, ove il convenuto avesse adeguatamente istruito e sottoposto la situazione dell'immobile al Consiglio comunale per l'adozione del decreto di esproprio entro il 29 luglio 2004, termine finale fissato per completare l'iter espropriativo nella delibera n. 110 del 4 giugno 2002, effettivamente il danno da occupazione illegittima da tale data e fino al 2019 (data della acquisizione in sanatoria) non si sarebbe verificato. Tuttavia, ciò non sarebbe bastato ad elidere il danno anteriore al 2002 e decorrente dal 1982, che non risulta imputabile allo S., in quanto nominato a decorrere dal 1996 (quale responsabile dell'ufficio tecnico del Comune di Preci e dal novembre 2003 assegnato a dirigere l'ufficio espropri del medesimo ente).

Ne deriva che la condotta dello S., che non ha posto in essere sollecitamente tutte le operazioni e le attività istruttorie e preparatorie di natura tecnica, necessarie per la predisposizione degli atti conclusivi del procedimento ablativo, di competenza dell'ufficio da lui diretto, ha senz'altro concorso, in termini di inerzia serbata e protratta, gravemente colposa, alla produzione del danno erariale subito dall'ente a seguito del protrarsi dell'intervenuta occupazione illegittima.

7. In tema di danno indiretto arrecato al Comune in conseguenza della mancata adozione, nei termini prescritti dalla legge, del decreto di esproprio, al fini della valutazione del grado della colpa che connota la condotta omissiva del convenuto, occorre considerare che, nella vicenda in esame, l'operato del Comune di Preci è stato già censurato in sede contenziosa, sia amministrativa (T.A.R. per l'Umbria, sent. n. 233 del 2000), sia ordinaria civile (Tribunale di Spoleto, sent. n. 622 del 2020).

Né ha fondamento l'eccepita inopponibilità al convenuto degli esiti della sentenza civile in quanto emanata in un giudizio in cui egli non è stato parte, atteso che, da un lato la sentenza rileva quale presupposto del danno indiretto, dall'altro che la mancata partecipazione dell'interessato in quella sede di giudizio non preclude il diritto di difesa e di contraddittorio pieni nel processo dinanzi alla Corte dei conti, poiché nel giudizio di responsabilità amministrativa è possibile introdurre qualunque elemento probatorio utile alla confutazione degli addebiti.

8. La quantificazione dei danni subiti dal Comune di Preci è stata correttamente effettuata dalla Procura regionale con riferimento alle somme pagate in esecuzione della sentenza del Tribunale di Spoleto ai proprietari per interessi e rivalutazione (mandati di pagamento n. 661 del 26 luglio 2021 per euro 13.616,72 e n. 663 del 26 luglio 2021 per euro 3.087,36 a favore di Armando O., e n. 662 del 26 luglio 2021 per euro 13.616,73 e n. 664 del 26 luglio 2021 per euro 3.087,36 a favore di Rosanna O., per complessivi euro 33.408,17), sulle indennità già riconosciute, in pendenza del processo, in sede amministrativa, cui sono stati sommati euro 1.270,00 per i costi di registrazione dell'ordinanza di acquisizione sanante presso l'Agenzia delle entrate e la relativa trascrizione, nonché euro 4.158,49 per le spese legali sostenute dall'ente (determinazione dirigenziale 17 dicembre 2020, n. 306/556). Il danno in questa sede azionato ammonta, pertanto, a complessivi euro 38.836,66.

9. Rileva, ai fini della quantificazione in senso riduttivo dell'addebito, la circostanza che Michele S. ha acquisito la titolarità dell'ufficio solamente nel 1996, mentre la situazione illecita risaliva a far tempo dal 1982, epoca in cui era venuto inutilmente a scadenza il termine triennale dell'occupazione d'urgenza senza che fosse ancora stato emanato il decreto di espropriazione. Il convenuto, pertanto, deve essere soltanto parzialmente chiamato a rispondere del danno erariale conseguente alla mancata conclusione nei termini del procedimento, stante il contributo causale fornito non solo dalla sua colposa omissione, unitamente agli organi politici, ma anche, nel caso di specie, dai precedenti responsabili dell'ufficio tecnico che si sono avvicendati dal 1982, data di scadenza della legittimità della occupazione d'urgenza, al 1996. La giurisprudenza contabile ha, infatti, affermato che "in casi del genere la responsabilità non può ricadere solo sull'amministratore o il funzionario in carica alla scadenza del periodo, in quanto il danno indiretto subito dall'ente locale" scaturisce, in applicazione del principio generale dell'equivalenza delle cause di cui all'art. 41 c.p., "dall'inerzia tenuta da ciascuno, quella dei soggetti cessati costituendo l'antecedente causale di quella dei subentranti" (cfr. Sez. III, sent. n. 106 del 2016). Poiché tuttavia detti soggetti non sono stati convenuti, il collegio considera equa la riduzione di un terzo dell'importo contestato allo S.

10. La domanda va pertanto accolta e Michele S. deve essere condannato al pagamento in favore del Comune di Preci dell'importo richiesto dalla Procura regionale con riduzione di un terzo, in ragione dell'apporto causale dato per l'epoca precedente alla sua nomina da altri soggetti in questa sede non convenuti e, dunque, dell'importo di euro 25.891,11, comprensivo di rivalutazione monetaria, oltre agli interessi legali da calcolarsi dalla pubblicazione della sentenza all'effettivo pagamento.

11. Le spese giudiziali, nell'importo liquidato in dispositivo, seguono la soccombenza (art. 31, comma 4, c.g.c.).

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per l'Umbria, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, definitivamente pronunciando sul giudizio di responsabilità iscritto al n. 13525 del registro di segreteria, accoglie la domanda e, per l'effetto, condanna Michele S. al pagamento di euro 25.891,11, in favore del Comune di Preci, oltre agli interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo.

Condanna il convenuto al pagamento alle spese del giudizio, liquidate nell'importo complessivo di euro 192,00 (diconsi euro centonovantadue).