Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 19 agosto 2024, n. 22914

Presidente: Cristiano - Estensore: Crolla

FATTI DI CAUSA

1. Eu Corporate Advisory s.r.l., cessionaria del credito vantato da UBI Banca s.p.a. nei confronti di Anna Maria V. in forza di un contratto di mutuo fondiario, ha promosso dinanzi al Tribunale di Brescia una procedura esecutiva immobiliare in danno della debitrice.

Successivamente V. è stata ammessa alla procedura di liquidazione controllata da sovraindebitamento ex artt. 268 e segg. del d.lgs. n. 14/2019 (di seguito, per brevità, c.c.i.i. - codice della crisi di impresa e dell'insolvenza) ed ha chiesto al g.e. di dichiarare improcedibile l'esecuzione.

L'istanza è stata implicitamente respinta dal giudice, che, su impulso del creditore fondiario, ritenendo operante l'art. 41, comma 2, d.lgs. n. 385/1993 (di seguito, per brevità, t.u.b.), ha disposto la prosecuzione della procedura esecutiva.

La debitrice ha quindi proposto opposizione ex art. 617 c.p.c. al provvedimento del g.e.

Nell'ambito di detto giudizio, il Tribunale di Brescia in composizione monocratica, con ordinanza del 3 ottobre 2023, ha rimesso gli atti a questa Corte, ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c., per la risoluzione della seguente questione di diritto: «se il privilegio processuale di cui all'art. 41, comma 2, d.lgs. n. 385/1993 sia opponibile a fronte dell'apertura di una delle procedure concorsuali di cui al c.c.i.i. a carico del debitore esecutato ed in particolare della liquidazione controllata di cui agli artt. 269 ss. c.c.i.i.».

1.1. L'ordinanza ha superato il vaglio preliminare previsto dall'art. 363-bis, comma 3, c.p.c. e la Prima Presidente, con decreto del 25 ottobre 2023, ha assegnato la questione, non ancora affrontata dalla Corte di cassazione, alla Prima Sezione Civile, ritenendola «esclusivamente di diritto» e «di particolare importanza per le conseguenze che proietta sull'accertamento dei crediti, il riparto endoconcorsuale del ricavato fra i loro titolari, la disciplina delle interferenze fra procedure esecutive individuali e concorsuali».

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

All'udienza pubblica del 17 maggio 2024 il Collegio si è riservato la decisione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Viene posta all'attenzione di questa Corte la questione dell'interferenza del privilegio processuale fondiario di cui all'art. 41, comma 2, t.u.b. con le nuove norme del codice della crisi.

2.1. Va preliminarmente precisato che, poiché i diversi indirizzi interpretativi in merito all'applicabilità del privilegio fondiario sono segnalati dalla stessa ordinanza di rimessione con esclusivo riferimento alle procedure di liquidazione giudiziale e di liquidazione controllata, esula dal perimetro di indagine del presente giudizio ogni accertamento avente ad oggetto la compatibilità tra il privilegio fondiario e le procedure concorsuali non liquidatorie.

3. Precisato l'ambito della decisione, va in primo luogo risolta, a monte, la questione se il privilegio processuale fondiario sia o meno «sopravvissuto» all'entrata in vigore del c.c.i.i., dal momento che solo se a tale quesito si dà risposta positiva, nel senso di ritenere il privilegio non abrogato e dunque opponibile alla liquidazione giudiziale, sarà possibile interrogarsi sulla sua opponibilità anche alla procedura di liquidazione controllata.

3.1. Nella disciplina previgente il fondamento normativo dell'operatività del privilegio processuale si rinveniva nel coordinamento fra l'art. 51 l. fall. e l'art. 41, comma 2, t.u.b.: il primo stabiliva il divieto di azioni esecutive e cautelari individuali, «salvo diversa disposizione della legge»; il secondo integrava, per l'appunto, una clausola di salvezza, disponendo che «L'azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore».

3.2. L'art. 150 del c.c.i.i. riproduce il contenuto lessicale dell'art. 51 l. fall., sostituita alla parola «fallimento» la locuzione «liquidazione giudiziale» confermando così il generale divieto di azioni esecutive individuali dopo l'apertura della procedura concorsuale maggiore, salvo eccezioni.

3.3. L'art. 41, comma 2, t.u.b., invece, non è stato attinto da alcuna modifica e, continuando a prevedere la possibilità per il creditore fondiario di iniziare o proseguire l'azione esecutiva dopo «il fallimento» del debitore, ha suscitato dubbi circa la sua effettiva portata applicativa.

3.4. Un orientamento dottrinale e giurisprudenziale, a quanto consta minoritario, ritiene infatti che il privilegio processuale fondiario sia applicabile esclusivamente al fallimento e non alla liquidazione giudiziale.

Secondo questa tesi, un indice altamente significativo della volontà del legislatore di escludere l'opponibilità del privilegio fondiario alla liquidazione giudiziale, conservandolo esclusivamente per le procedure di fallimento pendenti, e sino al loro esaurimento, dovrebbe trarsi in primo luogo dal fatto che l'art. 369 c.c.i.i. (norma di coordinamento che ha apportato modifiche lessicali ad una serie di articoli del t.u.b., per armonizzarli con la nuova disciplina) non ha preso in considerazione l'art. 41 cit.

In favore dell'assunto militerebbe poi l'ulteriore elemento costituito dal criterio direttivo ricavabile dall'art. 7, comma 4, della legge-delega n. 155/2017, a tenore del quale «La procedura di liquidazione giudiziale è potenziata mediante l'adozione di misure dirette a: a) escludere l'operatività di esecuzioni speciali e di privilegi processuali, anche fondiari; prevedere, in ogni caso, che il privilegio fondiario continui ad operare sino alla scadenza del secondo anno successivo a quello di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell'ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui all'articolo 1», che imporrebbe, in base all'unica interpretazione costituzionalmente conforme del disposto dell'art. 41, comma 2, cit., di ritenere applicabile il privilegio fondiario alle sole procedure di fallimento in corso, con esclusione delle procedure di liquidazione giudiziale.

Sarebbe, infine, venuta meno la ratio sottesa all'art. 41 t.u.b. (la pronta realizzazione del credito fondiario in caso di fallimento del debitore) in quanto già prima dell'entrata in vigore del codice della crisi il sistema delle procedure concorsuali ha conosciuto interventi legislativi diretti a potenziare l'attività di liquidazione dei beni dell'attivo, rendendola più celere, trasparente ed efficace, al tempo stesso incentivando la distribuzione dell'attivo ai creditori nel corso della procedura: le nuove tempistiche liquidatorie dettate dal c.c.i.i. renderebbero la liquidazione concorsuale estremamente vantaggiosa rispetto a quella individuale e quindi del tutto anacronistico il permanere del privilegio processuale fondiario, come delle altre esecuzioni speciali, in quanto incompatibili con il nuovo sistema accentrato delle vendite.

3.5. Le predette argomentazioni, tuttavia, possono essere agevolmente confutate, secondo quanto già rimarcato da dottrina e giurisprudenza di merito prevalenti.

Intanto l'omesso richiamo nell'art. 369 c.c.i.i. all'art. 41, comma 2, t.u.b. non prova affatto, in mancanza dell'abrogazione o di modifiche sostanziali di tale norma, che il privilegio processuale non possa più essere fatto valere dal creditore fondiario se il debitore è sottoposto a liquidazione giudiziale: molte altre disposizioni di legge, infatti, non sono state modificate dopo l'entrata in vigore del codice ma, pur conservando l'originario termine «il fallimento» trovano indiscutibile applicazione anche nell'ambito della nuova disciplina (ad es. artt. 191, 2471, comma 4, 2447-novies, comma 4, c.c.).

La conferma della non decisività della mancata modifica semantica (da «fallimento» a «liquidazione giudiziale») di singole disposizioni normative, al fine di verificarne l'applicabilità nel sistema del codice della crisi, si ricava, del resto, dall'art. 349 c.c.i.i., rubricato «sostituzione dei termini fallimento e fallito», a tenore del quale «nelle disposizioni normative vigenti i termini "fallimento", "procedura fallimentare", "fallito" nonché le espressioni dagli stessi termini derivate devono intendersi sostituite, rispettivamente, con le espressioni "liquidazione giudiziale", "procedura di liquidazione giudiziale", "debitore assoggettato a liquidazione giudiziale" e loro derivati, con salvezza della continuità delle fattispecie»: non vi sono ragioni che autorizzino a ritenere che l'art. 41 t.u.b. sfugga all'applicazione di tale regola.

Infine, il legislatore delegato ha mantenuto nell'art. 150 c.c.i.i. la locuzione «salva diversa disposizione di legge»: stante la reiterazione di tale clausola, deve concludersi che il criterio direttivo dettato dall'art. 7, comma 4, lett. a), l. 19 ottobre 2017, n. 155 non è stato recepito dalla legge delegata e al mancato o parziale esercizio della delega non può certo sopperirsi in via interpretativa.

In futuro, scaduti i termini di cui all'art. 7 cit., potrà essere chiarito se la scelta del legislatore delegato di tenere in vita il privilegio processuale fondiario concretizzi una mera, mancata attuazione della delega ovvero un contrasto della normativa delegata con i principi e criteri direttivi fissati dalla l. n. 155/2017, trovando spazio, in questa seconda ipotesi, una questione di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 76 Cost.

3.6. Per concludere sul punto, l'interpretazione che ammette l'operatività del privilegio fondiario anche nella liquidazione giudiziale va preferita perché conforme all'espressa previsione normativa.

4. Più complessa ed articolata è la soluzione della questione che costituisce il fulcro del presente giudizio, concernente l'applicabilità o meno del privilegio fondiario alla liquidazione controllata.

4.1. Anche su questa questione si registrano opinioni dissonanti in dottrina e nella giurisprudenza di merito.

4.2. I fautori della linea interpretativa che estende il privilegio fondiario anche alla liquidazione controllata muovono ancora una volta dallo stretto dato normativo concernente l'istituto; istituto che, prima della entrata in vigore del codice della crisi, trovava il suo omologo nella procedura di liquidazione del patrimonio regolata dagli artt. 14-ter e segg. della l. n. 3/2012.

4.3. L'art. 14-quinquies, comma 2, lett. b), l. n. 3/2012 sanciva il divieto assoluto di esercizio di azioni esecutive individuali dopo l'apertura della liquidazione del patrimonio del debitore sovraindebitato, senza lasciare spazio ad alcuna eccezione: di conseguenza, si poteva ragionevolmente ritenere che il privilegio di cui all'art. 41, comma 2, t.u.b. non trovasse applicazione nell'ambito della procedura.

4.4. Il codice della crisi non contiene un'analoga disposizione e anzi, all'art. 270, comma 5, contempla una clausola di riserva secondo cui alla liquidazione controllata «si applicano l'art. 143 in quanto compatibile e gli artt. 150 e 151 [...]».

4.5. Dunque, secondo la tesi in esame, ci si trova in presenza di un rinvio inequivocabilmente «secco» (a differenza di quello, elastico, nei limiti della compatibilità, all'art. 143) a tutto il microsistema (regola ed eccezione) dell'art. 150 c.c.i.i., per effetto del quale l'apertura della liquidazione controllata, al pari della «procedura maggiore», determina «il divieto di intraprendere o proseguire azioni esecutive individuali salvo diversa disposizione della legge»: in definitiva, la clausola in questione costituirebbe un'indubbia novità rispetto al pregresso regime, in quanto, anziché recepire la previsione del divieto assoluto di azioni esecutive individuali nella liquidazione controllata, nel rinviare, senza alcun limite di compatibilità, alla disciplina della liquidazione giudiziale, comporterebbe la conseguenza che anche nella liquidazione controllata, ai sensi dell'art. 150 c.c.i.i., il divieto si applica «salve diverse disposizioni di legge».

4.6. Secondo il contrapposto indirizzo giurisprudenziale (di merito) e dottrinale l'art. 270, comma 5, c.c.i.i. andrebbe invece interpretato in senso restrittivo, ovvero ritenendo che esso non rinvii all'intero microsistema normativo di cui all'art. 150 c.c.i.i. formato dalla regola («dal giorno della dichiarazione di apertura della liquidazione [controllata] nessuna azione individuale esecutiva o cautelare (...) può essere iniziata o proseguita») e dall'eccezione («salvo diversa disposizione di legge»), bensì unicamente alla regola. Per effetto del rinvio si realizzerebbe pertanto una scissione del contenuto dell'art. 150 c.c.i.i., che risulterebbe in parte applicabile e in parte no.

4.7. L'art. 150 c.c.i.i., inoltre, rappresenterebbe una «norma in bianco», in quanto le deroghe al divieto sono contenute - non già nel testo dell'articolo, bensì - in singole disposizioni di carattere eccezionale disseminate in vari testi normativi.

4.8. Secondo tale tesi, dunque, per derogare alla regola dell'improcedibilità delle esecuzioni individuali occorrerebbe che «una diversa disposizione di legge» fosse dettata espressamente per la liquidazione controllata, mentre invece l'art. 41, comma 2, t.u.b. si riferisce esplicitamente al solo «fallimento» (ovvero, nel nuovo regime, alla sola liquidazione giudiziale): a voler diversamente opinare, si finirebbe per applicare analogicamente a una diversa fattispecie una norma eccezionale, quale è l'art. 41, comma 2, cit., in violazione dell'art. 14 preleggi.

4.9. La conclusione, peraltro, sarebbe l'unica coerente con l'inequivoco principio direttivo di abolizione dei privilegi processuali scolpito nell'art. 7, comma 4, della legge-delega e, come sottolineato dal Sostituto Procuratore generale nella propria requisitoria scritta, poiché i principi posti dal legislatore delegante costituiscono non solo la base e il limite delle norme delegate, ma strumenti per l'interpretazione della loro portata, risulterebbe incongruo privilegiare un'interpretazione che avrebbe l'effetto contrario, estendendo l'ambito di applicazione del privilegio fondiario ad una diversa ed ulteriore procedura rispetto a quella originariamente prevista.

5. Questa Corte ritiene che vada preferita la ricostruzione esegetica secondo cui il privilegio fondiario di cui all'art. 41, comma 2, t.u.b. trova applicazione anche nella liquidazione controllata.

5.1. Non vi è dubbio che l'art. 270, comma 5, c.c.i.i., nel prevedere che alla liquidazione controllata «si applicano l'art. 143 in quanto compatibile e gli artt. 150 e 151», operi un rinvio materiale e recettizio ad altra norma: si è in presenza, quindi, di una tecnica di produzione legislativa che consiste nell'individuare o nel disciplinare una determinata fattispecie richiamando le disposizioni di un altro atto normativo per esigenze di sintesi.

5.2. L'atto rinviante rinuncia a dettare direttamente la disciplina della fattispecie, indicando in quale altra disposizione tale disciplina deve essere ricercata, così appropriandosi del contenuto prescrittivo della disposizione di rinvio.

E, dunque, nel caso di specie l'art. 270, comma 5, c.c.i.i. va letto come se vi fosse trascritto l'art. 150 c.c.i.i. oggetto del rinvio.

5.3. La tesi contraria, che perimetra il rinvio dell'art. 270, comma 5, c.c.i.i. alla sola disciplina regolativa dettata dall'art. 150 c.c.i.i., non estendendolo alla componente derogatoria (i.e., la clausola di riserva), non appare condivisibile.

5.4. Come emerge in modo cristallino dalla lettura della norma, il rimando all'art. 150 c.c.i.i. risulta privo di una clausola di compatibilità, esonerando dunque l'interprete dalla necessità di valutare se la disciplina oggetto del rinvio sia coerente strutturalmente e funzionalmente con l'istituto che sarà da essa regolato.

5.5. Né può ritenersi che la mancanza di un espresso rinvio selettivo sia frutto di una mera dimenticanza del legislatore, atteso che il tenore testuale dell'art. 270, comma 5, c.c.i.i., secondo il quale «si applicano l'art. 143 in quanto compatibile e gli artt. 150 e 151; per i casi non regolati dal presente capo si applicano altresì, in quanto compatibili, le disposizioni sul procedimento unitario di cui al titolo III», è inequivocabile nel circoscrivere il giudizio di compatibilità: è davvero inimmaginabile che il legislatore, nell'ambito del medesimo comma, per una mera svista, abbia disposto due rinvii sottoposti espressamente al vaglio di compatibilità (i.e., quelli all'art. 143 e quello al procedimento unitario in generale) e due rinvii puri e semplici (i.e., quelli agli artt. 150 e 151).

5.6. Se, quindi, è fuor di dubbio che il richiamo all'art. 150 c.c.i.i. debba intendersi riferito anche alla clausola di riserva contenuta in tale disposizione («salva diversa disposizione della legge»), non può seriamente contestarsi che le specifiche deroghe normative al principio generale del divieto di iniziare o proseguire le azioni esecutive disseminate in norme speciali, tra le quali l'art. 41, comma 2, t.u.b., pur se facenti riferimento alla sola liquidazione giudiziale, debbano ritenersi applicabili anche alla liquidazione controllata in virtù del combinato meccanismo dell'integrale e secco richiamo normativo contenuto nell'art. 250, comma 5, c.c.i.i. all'art. 150 e del rinvio previsto da tale disposizione alle singole norme derogatrici.

5.7. L'ulteriore argomento utilizzato dai fautori della tesi restrittiva, secondo cui, se il privilegio processuale fondiario si ritenesse opponibile anche alla liquidazione controllata, si violerebbe il divieto di applicazione analogica di norme eccezionali sancito dall'art. 14 prel., è fallace.

5.8. Nessuno dubita del fatto che l'art. 41 t.u.b. rappresenti una norma eccezionale, insuscettibile di applicazione analogica: tuttavia la sua applicazione alla liquidazione controllata non consegue a un procedimento di integrazione analogica, ma è frutto della composita operazione di rinvio normativo sopra descritta.

Rinvio e analogia sono fra loro incompatibili: il primo è un espresso richiamo di altre disposizioni, voluto dal legislatore; la seconda è un'operazione dell'interprete diretta a colmare un vuoto legislativo. Pertanto, dove opera il rinvio - come nel caso oggetto di decisione - non trova spazio l'analogia.

5.9. Questo approdo interpretativo risulta corroborato dalla indubbia portata innovativa del c.c.i.i., in quanto l'unica differenza esistente tra il vecchio art. 14-quinquies, comma 2, lett. b), l. 3/2012 e il nuovo art. 270, comma 5, c.c.i.i. è costituita proprio dalla clausola di salvezza. Pertanto, escludere il rinvio alle deroghe al divieto di esecuzioni individuali significa obliterare l'unica novità risultante dal raffronto tra le due fattispecie, avvalorando così un'interpretatio abrogans dell'intervento riformatore.

5.10. Conforta la conclusione raggiunta l'unico precedente di legittimità (Cass. 3847/1988) emesso in fattispecie assimilabile a quella in esame, in cui si discuteva dell'applicabilità del privilegio fondiario, allora previsto dall'art. 42 t.u. 646/1905, alla liquidazione coatta amministrativa, per effetto del rinvio disposto dall'art. 201 l. fall.

Con la predetta sentenza questa Corte ha affermato che «L'art. 51 della legge fallimentare, il quale, nell'escludere l'esperibilità dell'esecuzione individuale, fa salva diversa disposizione di legge, inclusa quella dettata dall'art. 42, comma 2, del r.d. n. 646 del 1905 sul credito fondiario, trova integrale applicazione nella liquidazione coatta amministrativa, anche con riguardo a tale eccezione, in forza del richiamo di cui al successivo art. 201 della medesima legge, e, pertanto, pure sugli immobili acquisiti a detta liquidazione, deve ritenersi consentito agli istituti di credito fondiario di promuovere e proseguire l'espropriazione individuale, in base all'ipoteca iscritta a garanzia di mutuo».

5.11. Anche quella pronuncia ha confutato obiezioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle oggi sollevate dai fautori della tesi restrittiva, osservando che: «invero, in considerazione della ricordata genericità ed ampiezza del richiamo dell'art. 51 della legge fallimentare da parte del successivo art. 201, una sua delimitazione, nel senso del recepimento della sola regola dell'improponibilità ed improseguibilità dell'esecuzione individuale, non anche delle deroghe alla medesima, potrebbe essere consentita solo a fronte di ragioni d'incompatibilità di tali deroghe con la disciplina della liquidazione. Tale incompatibilità è da escludere. Come per il fallimento, anche per la liquidazione coatta amministrativa il divieto dell'azione esecutiva individuale riposa su una valutazione di maggiore attitudine dell'espropriazione concorsuale ad assicurare la realizzazione dell'attivo nel rispetto della par condicio creditorum. Se siffatta valutazione cede il passo, nel caso del fallimento, in relazione a crediti di particolare natura, quali quelli degli istituti di credito fondiario, per effetto della priorità dell'esigenza di garantire agli istituti stessi l'immediata aggressione dell'immobile ipotecato a garanzia, non si vede alcun motivo che osti alla tutela di tale esigenza pure nella liquidazione amministrativa, atteso che le diverse connotazioni di quest'ultima non attengono ai rapporti fra il debitore ed i suoi creditori, ovvero fra i creditori. Peraltro, ove residuasse un dubbio, circa l'interpretazione dell'art. 201 della legge fallimentare nei termini indicati, dovrebbe trovare applicazione il criterio ermeneutico sussidiario della prevalenza dell'esegesi atta a sottrarre la norma a sospetti d'incostituzionalità; sospetti che sicuramente si presenterebbero, in ipotesi di difforme regolamentazione, rispetto al fallimento, del coordinamento fra procedura individuale e procedura concorsuale, trattandosi di diversità non supportata da obiettive differenziazioni delle posizioni soggettive coinvolte, e quindi potenzialmente idonea a confliggere con il precetto dell'art. 3 della Costituzione».

5.12. Infine, non convince l'argomento che assegna alla legge-delega una decisiva funzione di parametro interpretativo.

5.13. Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale riportata dal Sostituto Procuratore generale nella propria requisitoria, i principi posti dal legislatore delegante costituiscono sì non solo la base e il limite delle norme delegate, ma strumenti per l'interpretazione della loro portata, ma sempre che tale operazione di raccordo con criteri direttivi della legge delegata sia possibile e praticabile.

5.14. Orbene, sulla scorta delle considerazioni sopra svolte, è evidente che l'intenzione palesata dal legislatore delegato del 2019 è, in chiara contrapposizione con il criterio direttivo di cui all'art. 7, comma 4, della l. 155/2017, non solo quella di conservare il privilegio processuale nella liquidazione giudiziale, ma anche di estenderlo alla liquidazione controllata, così da trattare in modo analogo la liquidazione controllata e la liquidazione giudiziale, ormai avvinte da una comunanza di disciplina, in relazione alle procedure esecutive promosse dai creditori fondiari.

5.15. Anche in questo caso occorrerà stabilire se la regolamentazione dettata in concreto dal legislatore delegato concretizzi una mancata attuazione della delega ovvero un contrasto della normativa delegata con i principi e i criteri fissati dalla l. 155/2017; ciò che va rimarcato è che l'esegeta non può strumentalmente e surrettiziamente sopperire al mancato esercizio della delega con una interpretazione conforme al principio direttivo di una normativa che è ispirata ad opposte scelte e valutazioni.

6. In conclusione, la questione sollevata dall'ordinanza di rimessione va risolta attraverso l'enunciazione del principio di diritto dettagliatamente riportato nel dispositivo, che prevede l'opponibilità del privilegio processuale ex art. 41, comma 2, t.u.b. sia alla liquidazione giudiziale che a quella controllata.

7. Sul regolamento delle spese processuali relative alla presente fase provvederà il giudice di merito.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sul rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Brescia con ordinanza del 28 ottobre 2023, ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c., enuncia il seguente principio di diritto: «il creditore fondiario può avvalersi del "privilegio processuale" di cui all'art. 41, comma 2, d.lgs. n. 385 del 1993 sia nel caso di sottoposizione del debitore esecutato alla procedura concorsuale di liquidazione giudiziale di cui agli artt. 121 e segg. del d.lgs. n. 14 del 2019, sia nel caso di sottoposizione del debitore esecutato alla procedura concorsuale della liquidazione controllata di cui agli artt. 268 e segg. del medesimo d.lgs.».

Dispone la restituzione degli atti al Tribunale di Brescia che dovrà provvedere anche sulle spese del presente giudizio.