Corte dei conti
Sezione II centrale d'appello
Sentenza 27 agosto 2024, n. 209
Presidente: Acanfora - Estensore: Razzano
FATTO
Con la sentenza impugnata, la Sezione territoriale ha dichiarato il difetto di giurisdizione sulla domanda proposta dal Procuratore regionale volta al risarcimento del danno pari a complessivi euro 1.983.327,10, nei confronti della società Tierre Game s.r.l. e dei suoi tre amministratori unici, avvicendatisi negli anni 2014-2019, Z. Angelo, T. Christian e S. Amedeo. La vicenda trae origine dal mancato versamento degli importi dovuti in forza della concessione n. 4513 che consentiva alla società Tierre di operare per la raccolta di: a) scommesse a quota fissa su eventi sportivi diversi dalle corse dei cavalli ed eventi non sportivi d.m. 111/2006; b) scommesse ippiche a totalizzatore/a quota fissa; c) altre scommesse diverse dalle ippiche e dalle sportive e da altri concorsi pronostici (scommesse virtuali). L'Agenzia delle dogane e dei monopoli ha accertato l'inadempimento per l'importo complessivo sopra indicato, dal 2014 fino al 2019, allorquando è stato adottato il provvedimento di decadenza della concessione.
Il Giudice di prime cure ha accolto la tesi difensiva, alla cui stregua, a decorrere dal 1° gennaio 2016, data di entrata in vigore dell'art. 1, comma 945, della l. 28 dicembre 2015, n. 208, la modifica della base imponibile dell'imposta unica non riversata avrebbe determinato il sopravvenuto difetto di giurisdizione che, in ogni caso, scaturirebbe dalla "qualifica di soggetto passivo dell'imposta unica" in capo al gestore, dall'assunzione "del rischio d'impresa in capo al concessionario" e dalla "modalità di calcolo dell'imposta unica", escludendosi che i concessionari fossero qualificabili come agenti contabili, in quanto "il denaro oggetto delle scommesse entra a far parte immediata del patrimonio del soggetto che gestisce il gioco, con l'obbligo di adempiere al pagamento dell'imposta unica, in qualità non di agente contabile pubblico, sebbene di contribuente".
Con atto depositato in data 19 luglio 2023, ha interposto appello il Procuratore regionale lamentando l'erroneità della sentenza sotto plurimi profili di diritto:
1) "erronea valutazione della natura compartecipativa delle imposte sui giochi".
La Sezione territoriale non avrebbe tenuto conto del fatto che le attività di organizzazione ed esercizio dei giochi e delle scommesse sono riservate, per legge, allo Stato (d.lgs. 14 aprile 1948, n. 496, art. 1). La riserva statale sull'organizzazione dei giochi troverebbe il suo fondamento nell'esigenza di tutelare l'ordine e la sicurezza pubblica, di contrastare il crimine organizzato, di proteggere la pubblica fede contro il rischio di frodi e di salvaguardare i minori di età e i soggetti più deboli da una diffusione del gioco incontrollata, indiscriminata e senza regole. Una volta ammessa la gestione del servizio a mezzo dei concessionari, l'imposta unica di cui al d.lgs. n. 504/1998, come tutte le imposte sui giochi (es. Preu, imposta unica, imposta sui giochi on line) mirerebbe a realizzare una compartecipazione dello Stato agli extraprofitti del gestore, allo scopo di compensare la rinuncia alla gestione diretta del gioco ovvero l'incasso diretto degli introiti delle scommesse.
Tale potestà impositiva dello Stato troverebbe spiegazione nel vantaggio che poter esercitare un'attività economica, quale quella di giochi o scommesse, in un regime di concorrenza ristretta (perché l'attività è riservata solo a soggetti dotati di provvedimenti autorizzativi o concessori) e con modalità predefinite obbligatorie, consentendo di esplicare potenzialità economiche superiori a quelle consentite da un mercato concorrenziale.
La compartecipazione alle entrate dei giochi retti in regime di monopolio amministrativo (come l'imposta unica) renderebbe tali tributi sul fenomeno ludico molto diversi da altre imposizioni come l'Irpef o l'Ires, per le quali lo Stato tasserebbe gli utili secondo le regole generali del reddito di impresa, come rimarcato anche dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. un., 23 aprile 2009, n. 9672). L'imposta unica (come il Preu) non avrebbe natura di imposta personale ma colpirebbe l'attività esercitata intesa in senso oggettivo per la quale lo Stato conserverebbe il controllo totale delle giocate tramite collegamenti telematici e garantirebbe il calcolo automatico della quota parte spettante dell'erario.
Nell'ordinamento tributario italiano, al fine di privilegiare la posizione dell'erario, la riscossione avverrebbe "a monte" o tramite la decurtazione ab origine del montepremi del profitto del monopolista (es. per il Lotto e le lotterie) o mediante la tassazione in capo al concessionario-organizzatore del gioco (Preu-imposta unica) di parte delle giocate, e non sul giocatore, tant'è che il concessionario svolgerebbe, di fatto, per conto dell'erario, un ruolo impositivo sostitutivo sul giocatore. Tale automatismo nel calcolo delle somme di spettanza dell'erario genererebbe obblighi di riversamento in tempi ravvicinati in campo ai concessionari del fenomeno ludico.
2) "la giurisdizione contabile nel caso di omesso riversamento del Preu".
Erroneamente i primi giudici avrebbero escluso la rilevanza della corposa giurisprudenza di legittimità in materia di Prelievo erariale unico (Preu) e dei principi espressi dal giudice regolatore che per tale tipo di imposta avrebbe affermato la sussistenza della giurisdizione contabile. In realtà, i due tributi avrebbero palesemente elementi di similitudine:
a) il soggetto passivo dell'imposta sarebbe sempre il concessionario-gestore;
b) la base imponibile sarebbe costituita dall'importo giocato, in tutto o in parte;
c) il collegamento telematico tra i terminali-macchine alle quali si effettua la giocata, e l'Agenzia delle dogane dei monopoli (ADM).
In particolare, la sentenza giustifica la declinatoria della giurisdizione contabile in favore di quella tributaria, sulla base del mutamento normativo avvenuto per effetto dell'entrata in vigore dell'art. 1, comma 945, della l. 28 dicembre 2015, n. 208.
Non si sarebbe tenuto conto del fatto che la domanda risarcitoria avrebbe investito quote di imposta unica non riversata in periodi antecedenti al 1° gennaio 2016 (a partire dal 2014), allorquando la base imponibile era parametrata sull'importo giocato, in maniera del tutto similare al Preu, in disparte l'osservazione che la base imponibile non risulterebbe essere un valido criterio per il riparto di giurisdizione. La nuova base imponibile - che pone a base del calcolo percentuale non più l'intero importo giocato ma soltanto una parte della giocata, e cioè la differenza tra il giocato e il vinto - si limiterebbe a comportare uno spostamento temporale del momento in cui si concretizza l'attribuzione della quota della giocata allo Stato, lasciando invariato ogni ulteriore elemento del prelievo in esame, compresa la sua "automaticità", che varierà percentualmente in caso di vincita o meno, ma sempre secondo un importo predeterminato al momento della giocata.
Prima del 2016, dunque, le somme percentuali sono calcolate (automaticamente dal totalizzatore) al momento dell'incasso della giocata; dopo il 1° gennaio 2016 le nuove somme percentuali di spettanza dell'erario sono calcolate (sempre automaticamente dal totalizzatore che rilascia la ricevuta al singolo giocatore con tutti i dati) nel momento della giocata, ma si concretizzano solo dopo la vincita, a seguito della quale eventualmente una parte della giocata viene espunta dalla base imponibile.
I giudici territoriali avrebbero, peraltro, fondato la pronuncia declinatoria anche in considerazione del "rischio di impresa" posto a carico dell'imprenditore, laddove lo Stato non prenderebbe affatto in considerazione i costi di gestione del concessionario, ma riparametra la base imponibile dall'intera giocata a una parte di essa (giocata meno vinto, come visto sopra), con l'effetto di prendere in carico, con la modifica del 2016, non il "rischio di impresa" ma il "rischio di gioco".
Infine, il concessionario avrebbe l'obbligo di riversare in tempi molto brevi la quota parte delle giocate spettante all'erario, secondo scadenze ravvicinate, in maniera similare al Preu e al gioco del Lotto ex art. 7 della convenzione che rinvia, sul punto, alle "modalità" e ai "tempi di previsti dal D.P.R. 8 marzo 2002, n. 66".
3) "la natura pubblica delle somme da riversare e la natura di agente contabile del concessionario".
I primi giudici avrebbero omesso di valutare che, anche dopo il 1° gennaio 2016, al concessionario si sarebbe imposto il previo rilascio, per ogni giocata, di uno scontrino del totalizzatore collegato con la ADM, con accertamento contestuale della percentuale spettante all'erario sulla vincita, senza alcuna possibilità che la gestione dell'impresa concessionaria possa influenzare in alcun modo le pretese dell'erario. Anzi, la disciplina dell'imposta unica contenuta all'art. 24 del d.l. n. 98 del 6 luglio 2011, conv. nella l. 15 luglio 2011, n. 111 conterrebbe chiari indizi sulla spettanza all'erario delle giocate, che viene preservata per il tramite sia di un controllo della tempestività e della rispondenza rispetto ai versamenti effettuati dai concessionari abilitati alla raccolta dei giochi, in fase di liquidazione dell'imposta, o anche prima della liquidazione qualora si palesi il pericolo di riscossione, sia di una iscrizione diretta nei ruoli, in caso di omesso riversamento.
Sotto altro aspetto, la sentenza erroneamente esclude la qualifica di agente contabile in capo alla società concessionaria, senza tener conto degli obblighi imposti al concessionario dalla convenzione firmata tra ADM e Tierre Game s.r.l., in data 13 febbraio 2014, il cui articolo 5 prevede a carico della concessionaria l'onere di presentare il conto giudiziale "relativamente ai flussi finanziari inerenti agli importi a qualunque titolo derivanti dalla raccolta di gioco e riconosciuti a terzi e al compenso del concessionario, ai sensi della Legge di contabilità generale e del relativo regolamento, secondo il modello comunicato da ADM". Non si potrebbe, pertanto, dubitare della natura di agente contabile della società concessionaria.
4) "il rapporto di servizio e la responsabilità amministrativa".
Anche a voler ammettere (e non lo si ammette) che l'imposta unica non determini in automatico una quota di spettanza dello Stato, il concessionario sarebbe ugualmente sottoposto alla giurisdizione contabile per gli obblighi che scaturiscono dalla convenzione siglata con l'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Sul punto, si rileva che la posizione di un soggetto passivo di imposta come Tierre Game s.r.l. in quanto concessionario, sarebbe diversa da quella di altri soggetti passivi che devono versare l'imposta unica, che è dovuta anche da chi gestisce abusivamente giochi e scommesse. La Tierre Game s.r.l., infatti, avrebbe assunto obblighi che si inserirebbero nel programma di raggiungimento delle finalità pubbliche della P.A., in quanto, trattandosi di una "concessione di servizi", la concessionaria avrebbe dovuto svolgere un servizio pubblico sia nella costituzione di una rete di negozi che gestiscono giochi e scommesse secondo le modalità previste, sia nella fase del riversamento della quota parte delle giocate di spettanza erariale.
Conclude per l'accoglimento del gravame e la conseguente condanna a pagare in favore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, la Tierre Game s.r.l., la somma complessiva di euro 1.983.327,10, e, in solido con la società, Z. Angelo la somma complessiva di euro 18.370,96, T. Christian la somma complessiva di euro 177.815,87, S. Amedeo la somma complessiva di euro 1.787.140,27, ovvero le diverse somme che la Sezione riterrà di giustizia, oltre accessori di legge e condanna alle spese del doppio grado.
Con un unico atto depositato in data 26 aprile 2024, patrocinati dall'avv. Enrico Mormino come in atti, si sono costituiti in giudizio gli appellati che hanno impugnato l'avverso dedotto e reiterato le deduzioni difensive del primo grado.
In primo luogo, correttamente la Sezione territoriale avrebbe dichiarato il difetto di giurisdizione richiamando le considerazioni svolte dalle Sezioni unite della Cassazione, alla luce del delibato della Corte costituzionale. Le censure mosse in sede di appello trarrebbero fondamento dall'errata considerazione, peraltro già avanzata in primo grado, circa l'identità delle diverse forme di imposizione fiscale vertenti sui concessionari del gioco pubblico. Nella diversificazione dell'offerta di gioco vi sarebbero tipologie che risentono, data la natura e la finalità, dell'ormai vetusto concetto di "monopolio fiscale", e altre che invece presenterebbero una tassazione secondo una visione più moderna del rapporto impositivo pubblico, in quanto la riserva di legge trae fondamento dalla tutela dell'ordine pubblico e non da ragioni di mero interesse erariale.
A fronte di una permanenza dell'imposizione attuata in forma monopolistica nell'ambito del gioco del lotto, delle lotterie nazionali, del superenalotto, e dell'ippica - giochi dove non si può registrare raccolta illegale - negli ultimi anni il legislatore ha progressivamente introdotto, sia pure al di fuori di un disegno complessivo di disciplina fiscale di settore, forme di tassazione strutturate in modo diverso, che, in maniera più o meno accentuata, si allontanerebbero dal modello di monopolio fiscale, inteso come riserva dell'esercizio di una determinata attività in favore dello Stato o di altri enti pubblici al fine di garantire un'entrata finanziaria.
Nonostante il superamento del modello di monopolio fiscale, non è venuto meno il tradizionale connotato monopolistico dell'esercizio dell'attività sotto il profilo amministrativo. Il sistema si è evoluto ricorrendo a moduli concessori; affidando a terzi la gestione dello svolgimento dell'attività di gioco, le autorità statali avrebbero comunque tenuto fermo uno stretto controllo sul settore, non, come lascerebbe intendere la Procura appellante, per il suo ruolo nevralgico in ambito economico, ma esclusivamente al dichiarato fine di contrastare ogni forma di gioco illegale e di perseguire finalità di carattere sociale. Il legislatore per il settore delle scommesse continuerebbe a ricorrere al monopolio, non per le pur rilevanti esigenze di finanziamento delle entrate pubbliche, ma per le esclusive finalità di carattere generale e di ordine pubblico.
La non corretta delineazione della evoluzione del settore e il netto distacco da un modello esclusivamente compartecipativo sui profitti finisce per falsare i presupposti in forza dei quali si muove l'appello, in quanto vi sarebbe stato un superamento del monopolio legale verso quello amministrativo con il contestuale mutamento dell'imposizione, facendo retrocedere l'aspetto compartecipativo agli extraprofitti rispetto alla tutela del mercato e dei concessionari, ultimo baluardo verso la deriva criminale del settore.
Il prelievo con struttura monopolistica (secondo la ricostruzione tradizionale della dottrina tributaria), fondato sulla riserva allo Stato dell'attività di gioco, avrebbe come base imponibile l'ammontare complessivo della raccolta: si tratterebbe, in particolare, delle forme di tassazione adottate per il Bingo, per gli apparecchi da intrattenimento che consentirebbero una vincita in denaro in cui l'imposizione, a carico del concessionario-organizzatore, si realizzerebbe mediante il pagamento di una prestazione patrimoniale commisurata al volume delle giocate, e determinata in base ad una percentuale prefissata. In queste tipologie di gioco, non vi sarebbe dubbio che tutto sarebbe commisurato al volume delle giocate, non lasciando alcun potere di influenza al soggetto concessionario, sul quale non ricadrebbero neanche le eventuali conseguenze economiche derivanti dalle vincite. Nel caso dell'imposta unica, invece, il prelievo sarebbe commisurato al margine lordo del concessionario, ovverosia dell'organizzatore del gioco, corrispondente all'importo della raccolta decurtato dell'ammontare delle vincite. In altri termini, l'imposta colpirebbe il margine del "prodotto" che viene messo a disposizione del soggetto consumatore e che è offerto, tramite l'organizzazione posta in essere dal concessionario, sotto forma di servizio.
In questa prospettiva, i prelievi tributari in discorso colpirebbero non già il mero contributo dei fattori produttivi - ivi inclusa l'opera del titolare - alla produzione di un determinato reddito, bensì la sintesi di tali attività, alla quale soltanto è raccordabile il valore aggiunto nella sua organicità. Non si può sottacere che dalle modalità sia di calcolo che di riscossione, l'imposta unica sarebbe del tutto identica alle altre imposte che colpiscono l'attività imprenditoriale (come l'Irap), e come tale soggiace al principio di capacità contributiva - inteso come principio che richiede che i prelievi tributari colpiscano manifestazioni di ricchezza effettive ed attuali dei soggetti passivi d'imposta. In antitesi a quelle forme di tassazione basate sul sistema monopolistico puro, detta imposta presenterebbe un collegamento chiaro con la ricchezza effettiva ed attuale del soggetto passivo d'imposta - vale a dire il concessionario - che è invece del tutto assente nei tributi modellati secondo il sistema monopolistico.
Questo aspetto porrebbe una netta differenza con il Preu - prelievo che grava sulla raccolta delle macchinette autorizzate - che, per giurisprudenza costante, identificherebbe nel giocatore il contribuente di fatto e tale difformità fondamentale giustificherebbe il difetto di giurisdizione, come da sentenza.
Sarebbe altresì dirimente l'assenza di qualsiasi forma di alea nei giochi che identificano il concessionario come agente contabile: l'esempio è il più volte citato Preu non generando alcuna alea o rischio imprenditoriale in capo al concessionario. L'elaborazione del meccanismo di vincita è predeterminata a ciclo costante, con la consegna immediata del premio al giocatore non appena si sia raggiunto quel numero di puntate pre-impostate. In altri termini il dispositivo è tarato per dare sempre una resa positiva al gestore della rete; il numero delle giocate influisce esclusivamente sull'ammontare del guadagno ma non potrà mai produrre una perdita.
Parimenti l'assenza di alea sarebbe rinvenibile nel Lotto, Superenalotto, "Win for live", "Diecielotto" e in tutti i giochi a totalizzatore dove l'ammontare complessivo delle giocate raccolte sarebbe ripartito tra i vincitori una volta sottratto l'importo del prelievo, e tutte le scommesse raccolte confluirebbero nel totalizzatore il cui importo totale costituirebbe il montante delle scommesse, detto anche "movimento". A questa cifra sarebbe sottratto il prelievo lordo - costituito dalle parti spettanti all'erario e alla remunerazione degli altri attori della filiera - ottenendo così il "disponibile" per le vincite. Per ottenere la quota al totalizzatore basterebbe dividere il "disponibile" per le vincite e per il numero di unità vincenti. Allo scommettitore vincente sarebbe quindi pagata una somma pari alla puntata effettuata moltiplicata per l'ultima quota disponibile prima della chiusura delle scommesse. Sarebbe possibile quindi che, nonostante al momento della puntata la quota avesse un certo valore, si riceva poi una vincita di ammontare differente e questo si verificherebbe qualora, in seguito alla giocata in questione, si dovesse manifestare un flusso di scommesse squilibrato su uno dei possibili esiti. Invece le scommesse che soggiacciono all'imposta unica sarebbero quelle "a quota fissa", la cui caratteristica principale sarebbe invece quella di poter conoscere anticipatamente e con precisione la somma da riscuotere in caso di vincita in base alla quotazione anticipata di ogni singolo evento.
La somma pagata sarà, quindi, pari all'importo della giocata moltiplicato per la quota stabilita al momento esatto della puntata dello scommettitore, anche se questo non significa che la quota resti costante e non possa subire modificazioni da parte del bookmaker. L'elemento di staticità della quota riguarderebbe, infatti, la certezza del pagamento in caso di vincita anche qualora, successivamente alla puntata, gli allibratori decidessero di abbassare o alzare le quote in risposta a flussi di scommesse squilibrati rispetto alle quote iniziali.
Da questo discenderebbe che il "Preu" sarebbe una chiara imposta sul consumo, mentre l'imposta unica, indipendentemente dalla base di calcolo, è una tassazione che colpisce l'attività imprenditoriale. Nel caso di specie l'appellata società Tierre - dopo aver determinato il proprio ricavo di impresa - non avrebbe potuto onorare l'obbligazione per carenza di denaro di esclusiva proprietà di quest'ultima, non sussistendo nelle somme incassate alcuna quota parte di spettanza pubblica: si tratterebbe di un classico caso di omesso versamento di un tributo, liquidato e non onorato per carenza di risorse economiche.
A conferma della insussistenza del danno erariale denunciato si richiama un recentissimo arresto dei giudici di legittimità che, al fine della configurazione del reato di peculato, statuisce che occorre rilevare la proprietà delle somme, introdotte dai giocatori, oggetto di omesso versamento. (Cass. pen., Sez. un., n. 6087/2021).
Correttamente i giudici di prime cure avrebbero rilevato che si sarebbe al cospetto di una tassazione sul profitto, il cui ammontare dipende dal concessionario; disponendo di tutti i margini di manovra in riferimento al payout del gioco, sarebbe quest'ultimo a decidere in forza di ragioni prettamente commerciali se generare o meno imposta. Non vi sarebbe alcuna automaticità nella determinazione dell'imposta unica, come continuerebbe a sostenere l'appellante parte pubblica ritenendo che un semplice spostamento temporale non andrebbe a mutare i caratteri dell'entrata impositiva. Nel lotto, tipico esempio del regime di monopoli fiscale (Cass., Sez. un., 16 marzo 2006, n. 7996), si tasserebbe la vincita, indipendentemente dal risultato complessivo della raccolta o del numero delle vincite che si sono registrate in una determinata estrazione. Nelle scommesse, innanzitutto, si tasserebbe esclusivamente la perdita del giocatore, in quanto fonte di profitto per il concessionario; inoltre, l'ammontare del tributo risente dell'andamento complessivo nell'intero mese di raccolta. Le ingenti perdite afferenti a diverse settimane non determinerebbero il versamento di imposta alla fine del mese se allo scadere dovessero sopravvenire vincite ingenti e cospicue in grado di azzerare ogni margine e conseguentemente ogni pretesa impositiva statale. Quindi non sussisterebbe alcun criterio automatico in grado di indentificare, per ogni singola giocata, l'ammontare dell'imposta prodotta senza gli elementi variabili determinati dall'andamento delle perdite e delle vincite complessive registrate.
Concludono per il rigetto del gravame principale, con conferma della sentenza e liquidazione delle spese del grado.
All'udienza odierna il P.M. Martina si è riportato integralmente al contenuto dell'atto di appello, richiamando la portata esegetica della l. n. 208/2015. Ai sensi dell'art. 199, comma 1, lett. a), c.g.c., ha chiesto la remissione del presente giudizio al giudice di primo grado. Ha concluso, per ogni altro aspetto, come in atti.
L'avv. Mormino ha chiesto la conferma della sentenza impugnata. Si è soffermato sulla specificità delle scommesse a quota fissa rispetto alle altre tipologie richiamate dal Procuratore. Ha eccepito l'avvenuta prescrizione dell'azione erariale in relazione all'annualità del 2015. Infine, ha chiesto di depositare delle brevi note di udienza; il P.M. si è opposto al deposito. Il difensore conseguentemente ha rinunciato e concluso come in atti.
Chiusa la discussione, la causa è passata in decisione.
DIRITTO
1. L'appello è fondato e merita accoglimento per quanto di ragione.
2. Il danno per cui è causa trae origine dall'accertamento dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, per mancati riversamenti per importi molto rilevanti sin dal 2014 e fino al 2019.
Per tutti i periodi d'imposta indicati in citazione, le mancate entrate sono generate dall'omesso riversamento dell'imposta unica su tre macrocategorie così sintetizzabili: a) scommesse a quota fissa su eventi sportivi diversi dalle corse dei cavalli ed eventi non sportivi; b) scommesse ippiche a totalizzatore a quota fissa; c) scommesse diverse dalle ippiche e dalle sportive e da altri concorsi pronostici (scommesse virtuali). Dopo avere inutilmente sollecitato il pagamento degli importi, l'Ufficio dei monopoli promuoveva l'iscrizione a ruolo delle partite debitorie e trasmetteva gli atti all'Agenzia delle entrate - Riscossione che provvedeva a notificare le cartelle di pagamento alla Tierre Game s.r.l. In taluni casi risultano pendenti o risolti i giudizi instaurati dall'intimata società dinanzi alle commissioni tributarie, ma le somme non sono state introitate.
3. La vicenda ha avuto anche risvolti penali, in quanto risulta dagli atti che, con provvedimento del 3 giugno 2020, emesso nell'ambito dei procedimenti penali n. 21669/16 R.G.N.R. D.D.A. e n. 4371/17 R.G. GIP, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo ha disposto il sequestro preventivo dell'intero capitale sociale e del relativo complesso dei beni aziendali della società. Sarebbe, infatti, emerso che alcuni amministratori della Tierre Game s.r.l., con altre persone dell'associazione mafiosa denominata "Cosa Nostra", avrebbero gestito gli aspetti economici e finanziari relativi ad operazioni societarie proprie della Tierre Game; in particolare, risulterebbe una rilevante compenetrazione di interessi con la citata associazione criminale relativamente al trasferimento fraudolento di valori, tra cui il trasferimento, dall'11 luglio 2013 al 21 ottobre 2013, di euro 523.417,50, per far fronte al versamento di euro 819.690 alla Tesoreria dello Stato, necessario per l'acquisizione della concessione n. 4513 per l'esercizio di giochi e scommesse; titolare della concessione sarebbe poi diventata la Tierre Game s.r.l.
4. Il breve excursus sopra esposto dimostra, con evidenza, che il danno erariale complessivamente dedotto dipende dal mancato riversamento di importi dovuti a titolo di imposta unica per segmenti temporali anche antecedenti all'entrata in vigore dell'art. 1, comma 945, della l. n. 208/2015 che, stando alla prospettazione accolta dai giudici territoriali, costituirebbe il confine, temporalmente definito, al fine di ritenere radicata la giurisdizione contabile. Ne scaturirebbe che, proprio sulla scorta dell'impianto motivazionale esposto nella pronuncia impugnata, una parte del credito erariale maturato fino alla data di entrata in vigore della legge citata dovrebbe essere valutato alla luce della normativa previgente, con relativa valutazione circa la sussistenza della giurisdizione di questo plesso magistratuale. A ciò si aggiunga che per le sommesse ippiche a quota fissa soltanto con l. n. 205/2017 è stata modificata (v. infra) la base imponibile, sicché anche in questo caso una parte del credito erariale derivante dall'omesso riversamento dell'imposta fino al 2017, dovrebbe ricadere nel perimetro giurisdizionale contabile che lo stesso giudice di prime cure ha delineato.
E, tuttavia, si ritiene che lo jus superveniens non abbia inciso sulla struttura del tributo in esame, neppure al fine di ritenere cessata la potestas judicandi del giudice contabile in materia.
5. L'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse ha sostituito la tassa prevista dall'art. 6 del d.lgs. 14 aprile 1948, n. 496, alla cui stregua il Comitato olimpico nazionale italiano e l'Unione nazionale incremento razze equine erano tenuti, per le attività di organizzazione delle manifestazioni sportive, a corrispondere allo Stato una tassa di lotteria pari al 16 per cento di tutti gli introiti lordi. Il provento della tassa doveva affluire al capitolo d'entrata del Ministero delle finanze indicato nell'art. 3. La l. 22 dicembre 1951, n. 1379 ne aveva disposto il mutamento di denominazione in "imposta unica sui giuochi di abilità e sui concorsi pronostici", elevandone l'aliquota al 23 per cento. Con il d.lgs. 23 dicembre 1998, n. 50, l'imposta viene ad applicarsi ai concorsi pronostici e alle scommesse di qualunque tipo (sportive e non sportive) e relativi a qualunque evento, anche se svolto all'estero, anche diversi da quelli ippici e sportivi, prima sottoposti all'imposta sugli spettacoli. La base imponibile per i concorsi pronostici è costituita dall'intero ammontare della somma corrisposta dal concorrente per il gioco al netto di diritti fissi e compensi ai ricevitori, mentre quella per le scommesse è costituita dall'ammontare della somma giocata per ciascuna scommessa (art. 2). Con la l. 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) è stato previsto che, a decorrere dal 1° gennaio 2016, per i giochi di abilità a distanza con vincita in denaro l'imposta unica di cui al d.lgs. 23 dicembre 1998, n. 504 è stabilita nella misura del 20 per cento delle somme che, in base al regolamento di gioco, non risultano restituite al giocatore (art. 1, comma 944); inoltre, che, con la medesima decorrenza, alle scommesse a quota fissa, escluse le scommesse ippiche, "l'imposta unica di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, si applica sulla differenza tra le somme giocate e le vincite corrisposte, nelle misure del 18 per cento, se la raccolta avviene su rete fisica, e del 22 per cento, se la raccolta avviene a distanza". Nella disposizione si estende l'applicabilità dell'imposta unica anche al gioco del Bingo a distanza (nella misura del 20 per cento delle somme che, in base al regolamento di gioco, non risultano restituite al giocatore). A decorrere dal 1° gennaio 2018, ai sensi di quanto disposto dall'art. 1, comma 1051, della l. 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio 2018), "il prelievo sulle scommesse ippiche a quota fissa è applicato sulla differenza tra le somme giocate e le vincite corrisposte nella misura del 43% per la raccolta in rete fisica".
6. Orbene, nell'ampio e indifferenziato coacervo di importi mai riversati all'erario dalla società appellata compaiono imposte dovute sia per scommesse ippiche, sia per eventi sportivi diversi sia per eventi non sportivi, e comunque rientranti nella duplice categoria delle scommesse a totalizzatore e a quota fissa (le scommesse "virtuali" altro non sono se non scommesse a quota fissa effettuate su eventi simulati al computer il cui esito è visualizzato tramite una grafica animata o per mezzo di un evento reale precedentemente registrato).
Appare opportuno premettere che nel caso di "scommesse a totalizzatore", le poste dei singoli giocatori confluiscono nel totalizzatore, ossia in un fondo indistinto, per essere successivamente distribuite ai vincitori; invece le "scommesse a quota fissa" sono caratterizzate dalla previa determinazione o determinabilità della vincita. La distinzione è sovrapponibile a quella tra contratto plurilaterale e bilaterale, che rappresenta la bipartizione fondamentale dei giochi di massa in quanto: a) nei contratti plurilaterali, la posta versata dai partecipanti concorre alla formazione del montepremi che sarà successivamente versato ai vincitori a titolo di premio, la cui consistenza ultima sarà influenzata dal numero dei vincitori e dall'importo delle poste; b) nei contratti bilaterali, al contrario, la posta versata dai singoli giocatori non avrà alcuna influenza su quella degli altri, e l'entità della vincita non dipenderà dalle quote dei partecipanti, ma sarà preventivamente determinata.
L'archetipo della delineata bipartizione si rinviene nel d.P.R. 8 aprile 1998, n. 169, il quale - nel ribadire la riserva di esclusiva ministeriale sull'esercizio delle scommesse sulle corse di cavalli (art. 1, comma 2) - ha poi dettato la disciplina "quadro" volta a regolare l'attribuzione da parte dei Ministeri delle finanze (e delle politiche agricole), mediante "gara da espletare secondo la normativa comunitaria", delle concessioni, di durata di sei anni (rinnovabili una sola volta), "per l'esercizio delle scommesse sulle corse dei cavalli, a totalizzatore e a quota fissa (...) a persone fisiche e società con idonei e comprovati requisiti anche in ordine alla solidità finanziaria" (art. 2).
Il testo normativo rinvia (art. 4) alle scommesse "al totalizzatore nazionale" (ossia "le scommesse il cui ammontare complessivo, detratto l'importo del prelievo, è ripartito tra gli scommettitori vincenti") o "a quota fissa" (cioè quelle "per le quali la somma da riscuotere, in caso di vincita, è previamente concordata tra lo scommettitore e il gestore delle scommesse").
7. La differente struttura del contratto di scommessa rappresenta un insostituibile ausilio nell'analisi del tributo in esame e della capacità contributiva che ne costituisce il presupposto.
8. Nel caso, infatti, di contratto bilaterale (scommessa a quota fissa), si conosce esattamente quale sarà il premio spettante al giocatore in caso di vincita, e ciò tanto se lo stesso è costituito da una somma specifica (come nelle lotterie), quanto se deve essere calcolato come multiplo della posta di gioco (è il caso delle scommesse sportive a quota fissa o del lotto). In questo caso effettivamente l'organizzatore o il gestore si accolla il rischio dell'operazione ma si tratta di un rischio calcolabile. La realizzazione dei giochi e delle scommesse bilaterali risponde, infatti, a logiche matematiche e probabilistiche che consentono, con un certo grado di approssimazione, di calcolare la remunerazione dei diversi soggetti che a vario titolo partecipano all'attività. Il fatto che il gestore sia sottoposto al rischio di dover pagare l'imposta anche nell'ipotesi in cui la vincita dello scommettitore non abbia lasciato margini di guadagno sarà solo la conseguenza di una errata previsione del concessionario, che abbia concordato una vincita eccessiva. In questi casi, il legislatore tende ad applicare un modello impositivo strutturato sulla base del classico monopolio fiscale, in quanto lo Stato (e per esso il concessionario) pratica prezzi ben superiori rispetto a quelli che si formerebbero in regime di concorrenza perfetta. Il prezzo contiene sia una componente corrispettiva, connessa al servizio gioco ceduto in regime di monopolio, sia una componente aggiuntiva, il cui effetto è quello di determinare una decurtazione del patrimonio del privato, che lo Stato si riserva il diritto di acquisire e che è qualificabile come prestazione patrimoniale imposta. Nel modello in esame, quindi, se è vero che con l'imposizione fiscale viene colpita un'entità reale che si identifica con la potenzialità economica e produttiva espressa dall'organizzazione e gestione del gioco esercitati in un contesto di monopolio pubblico, fuori da un mercato concorrenziale, è anche vero che il soggetto inciso è - sia pure in parte - il consumatore.
L'organizzazione del gioco e la solo potenzialità di profitto che essa è in grado di esprimere - proprio perché calata in un contesto monopolistico - può essere assunta a indice di capacità contributiva, distinto da tutte le altre manifestazioni che sono poste a fondamento dei tributi vigenti nell'attuale sistema, ossia dal reddito e dal consumo, pur essendo ad essi molto vicini. A differenza del reddito e del consumo, che hanno riguardo ai risultati di attività economiche, qui si colpisce l'esercizio dei giochi e delle scommesse che si pongono logicamente a monte dei suoi risultati e, dunque, a prescindere dalla valutazione degli stessi. Ciò appare sufficiente a smentire l'assunto difensivo che equipara la base imponibile del tributo in esame a un vero e proprio "reddito" del gestore.
L'imposta tende, tuttavia, a gravare anche sul consumatore finale - alla stregua di un'imposta sui consumi - non solo perché il relativo peso economico può agevolmente essere traslato dal concessionario al giocatore (stante la facile calcolabilità del rischio e del profitto), ma anche perché l'arricchimento del vincitore non viene colpito dall'imposta sui redditi. L'art. 30 del d.P.R. n. 600/1973 prevede, infatti, che "gli altri premi comunque diversi da quelli su titoli e le vincite derivanti dalla sorte, da giuochi di abilità, quelli derivanti da concorsi a premio, da pronostici e da scommesse, corrisposti dallo Stato, da persone giuridiche pubbliche o private e dai soggetti indicati nel primo comma dell'articolo 23, sono soggetti a una ritenuta alla fonte a titolo di imposta, con facoltà di rivalsa, con esclusione dei casi in cui altre disposizioni già prevedano l'applicazione di ritenute alla fonte". In buona sostanza, una parte dell'imposta sulle scommesse rappresenta una quota della contribuzione facente carico a ciascun singolo vincitore, pur ponendo l'onere economico a carico del gestore.
La giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. un., 23 aprile 2009, n. 9672) ha riconosciuto che "L'imposta unica per la sua specialità non può essere assimilata ad una imposta sul reddito", e al tempo stesso ne ha escluso l'assimilabilità all'imposta sul valore aggiunto (Cass. civ., Sez. V, ordinanza 25 settembre 2023, n. 27260 che rimarca le plurime ragioni di detta distinzione: l'imposta unica riguarda unicamente operazioni relative all'esercizio delle scommesse, irrilevanti a fini IVA; non tiene conto del valore aggiunto di ciascuna, difettando nel sistema il meccanismo della detrazione IVA e applicandosi il tributo all'importo scommesso; è calcolata senza alcun riconoscimento di deduzione degli acquisti di beni e servizi inerenti effettuati nel periodo in cui sono poste in essere le operazioni di scommessa). La stessa disciplina IVA, all'art. 10, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, dispone che siano esenti dal tributo armonizzato le operazioni in parola, con ciò evitando il concorrere di due imposte sul medesimo volume d'affari, in conformità ai principi enunciati dal Giudice unionale (C.G.U.E., 24 ottobre 2013, in causa n. C-440/2012).
Si tratta, pertanto, di un tributo avente carattere di preminente "specialità" soprattutto qualora il gestore delle scommesse si trovi a stipulare un fascio di contratti bilaterali per i quali si pone nella condizione di "soggetto passivo" dell'imposta e, al tempo stesso, di concessionario di un servizio pubblico, al quale lo Stato affida la gestione di denaro di pertinenza "pubblica" sin dal momento della sua riscossione, sia perché contiene in sé - per le scommesse a quota fissa - una parte del prelievo destinata a gravare sul vincitore, sia perché l'imposta rappresenta, comunque, una forma di compartecipazione agli extraprofitti dei quali il concessionario di un'attività "riservata" viene a lucrare proprio perché agisce in un mercato monopolistico. Se ne ha conferma nella relazione ministeriale al disegno di legge istitutivo dell'imposta unica (l. n. 1379/1951) ove si riscontra che «il tributo dovrebbe mirare a ripartire proporzionalmente fra lo Stato e gli enti predetti il ricavato di una attività monopolistica», rivelando l'obiettivo di "tassare" l'introito lordo dei specifici giochi (o al massimo al netto dei soli compensi dei rivenditori o, come vedremo, al netto delle vincite), nell'intento di "compensare" la pubblica amministrazione della rinuncia ad una gestione diretta del gioco ovvero all'incasso diretto dei corrispettivi delle scommesse, inglobando nel tributo complessivo anche quella parte di prelievo sul reddito aggiuntivo di cui viene a beneficiare il vincitore. In sostanza, il privato scommettitore genera un introito che solo in parte entra nella sfera giuridico-patrimoniale del gestore - allo scopo di remunerare i fattori della produzione e costituire la riserva per le vincite da restituire - ma che, nella parte residua, è ab origine di pertinenza dello Stato che deve incassare una quota degli extraprofitti, oltre che quanto dovuto per il prelievo di natura strettamente fiscale sul vincitore.
Il circuito di denaro, come sopra ricostruito, consente di ravvisare la permanenza dello schema "trilaterale" che caratterizza il rapporto tra Stato monopolista-gestore/concessionario-cittadino scommettitore, idoneo a radicare la giurisdizione contabile, posto che il soggetto preposto all'organizzazione del gioco, oltre a fornire il "servizio" di natura pubblica finalizzato all'erogazione delle attività ludiche, diventa in concreto un riscossore di imposte che gravano, in parte, anche sul privato.
9. I tratti distintivi di specialità si attenuano - giustificando a fortiori la giurisdizione contabile - nell'ipotesi dei contratti plurilaterali o a totalizzatore. In questo caso, gli scommettitori concludono fra loro la scommessa, e ciascuno dei partecipanti si impegna reciprocamente nei confronti dell'altro ad eseguire prestazioni pecuniarie destinate a confluire in un fondo comune che verrà poi ripartito tra i vincitori, con lo scopo comune che è la formazione del montepremi. Qui l'organizzatore non diviene parte del contratto di gioco e scommessa ma assume la veste di intermediario promotore della scommessa, a cui è demandato il compito di organizzare ed esercitare, per conto dello Stato, il gioco.
Il ruolo assunto dal gestore è, dunque, quello proprio di promotore ed organizzatore delle scommesse fra i vari partecipanti, che non assume su di sé l'alea del contratto, in quanto si limita a raccogliere le adesioni e le corrispondenti giocate attraverso l'invito dell'organizzatore al pubblico cui fa riscontro l'offerta irrevocabile dell'aderente (l'irrevocabilità dell'offerta viene desunta dalla disciplina pubblicistica delle scommesse, la quale in più occasioni ha previsto la cancellazione della scommessa solo in determinate e specifiche circostanze); custodire il montepremi; individuare i vincitori; distribuire le vincite agli aventi diritto detratte le quote spettanti a terzi (fisco e filiera distributiva) e la propria remunerazione. Il fatto che il gestore non sia parte del contratto di gioco e scommessa fa sì che le somme ad esso versate dai partecipanti non vengano affatto acquisite al proprio patrimonio, essendo esse dirette alla formazione del montepremi.
Nei contratti a totalizzatore non è rinvenibile una potenzialità economica e produttiva espressa dal gestore del gioco - il quale percepisce una quota normativamente predeterminata a titolo di corrispettivo dell'attività espletata sulla quale non influisce alcuna autonoma autodeterminazione negoziale - bensì esclusivamente l'arricchimento dei vincitori che diventa indice della capacità contributiva. È chiaro che, in tal modo, si crea una dissociazione tra il presupposto giuridico del tributo (rappresentato dall'organizzazione e dall'esercizio dell'attività riservata) ed il presupposto economico sostanziale (riscontrabile nell'arricchimento dei vincitori). Tale disallineamento, tuttavia, appare ispirato a una logica di semplificazione: un conto è l'assoggettamento ad imposizione di un limitato numero di soggetti (i gestori), altro conto è l'imposizione di un numero potenzialmente alto di soggetti con tutti gli aspetti negativi che ne conseguirebbero in termini di controllo e riscossione (si pensi al caso del Totocalcio con migliaia di probabili vincitori).
In tale ottica, la circostanza che il legislatore continui a indicare nel gestore il soggetto passivo dell'imposta, non appare sintomatica della volontà di trasferirne il peso economico su tale soggetto, né di trasformare il tributo in esame in un prelievo sul "reddito" del concessionario/gestore che, fungendo da mero intermediario, non acquisisce nel proprio patrimonio le somme versate dagli scommettitori, anche nel caso in cui non vi sia alcun vincitore, essendo in tali casi previsto che il montepremi possa andare ad accrescere l'importo delle scommesse successive.
Di conseguenza il tributo non produce nei confronti dei gestori alcun effetto di depauperamento neanche a titolo anticipatorio. I vincitori assumono la veste di contribuenti di fatto, e in tale qualità, pur se toccati dai risvolti economici del fenomeno impositivo, restano totalmente estranei alla imputazione degli effetti della fattispecie imponibile e quindi al rapporto obbligatorio d'imposta.
Anche in tal caso, a fortiori, può essere agevolmente enucleato lo schema "trilaterale" che caratterizza il rapporto tra Stato monopolista-gestore/concessionario-cittadino scommettitore, come sopra descritto.
Ad avviso di questo Collegio sono sufficienti le caratteristiche sopra delineate al fine di ritenere sussistente la giurisdizione contabile anche in relazione a quella parte di entrate, di natura tributaria, che sono derivate dalle scommesse a totalizzatore e che sono state indebitamente trattenute dalla società concessionaria, in quanto mai riversate. In questi casi, infatti, il concessionario si comporta esclusivamente come un soggetto delegato alla riscossione, sicché, nel momento in cui incassa gli introiti delle scommesse, viene a trovarsi nella condizione di gestire - con obbligo di riversamento - somme che sono già acquisite al patrimonio dello Stato.
10. Prima di valutare, a questo punto, i temi posti dal Procuratore regionale appellante in relazione alla posizione di agente contabile assunta dal gestore/concessionario e dall'equiparazione dell'imposta al Preu, occorre comparare le sopra estese argomentazioni con gli sviluppi normativi, allo scopo di misurarne l'impatto sulla struttura del tributo in esame e, quindi, sulla giurisdizione. I difensori degli odierni appellati, infatti, sostengono che, a partire dal 2016, la natura dell'obbligazione tributaria in esame sia completamente mutata, fino al punto da escludere che il concessionario gestisca "denaro pubblico" all'atto della raccolta delle vincite.
Orbene, nel caso di scommesse al totalizzatore, la decurtazione patrimoniale viene effettuata sul fondo costituito dalle poste versate da ogni singolo partecipante al gioco, che di fatto non entra nel patrimonio del gestore ma che, al netto del prelievo e dei costi di gestione, va a formare il c.d. "montepremi" da suddividere tra tutti i vincitori. In pratica il prelievo viene eseguito su una massa monetaria non appartenente al gestore il quale non fa altro che raccogliere le poste di gioco dei partecipanti per poi ripartirle fra i diversi soggetti interessati: la filiera produttiva, il fisco e i vincitori. Se ne ha conferma proprio nel già citato art. 30 del d.P.R. n. 600/1972, a mente del quale la ritenuta (a titolo d'imposta) sulle vincite dei giuochi di abilità e dei concorsi pronostici esercitati dal Comitato olimpico nazionale italiano e dall'Unione nazionale incremento razze equine è compresa nell'imposta unica prevista dalle leggi vigenti. Pur rivestendo il concessionario/gestore la qualifica formale di soggetto passivo - o per dirla economicamente di soggetto percosso - quella che si realizza è un'ipotesi di "interposizione soggettiva tributaria", in cui un soggetto terzo - rispetto all'indice espressivo della capacità contributiva - ha il diritto-dovere di prelevare anticipatamente l'imposta dall'ammontare della ricchezza che solo successivamente sarà versata a colui che di fatto subisce il sacrificio patrimoniale - in termini economici il soggetto inciso. Non è un caso che la riforma del 2016 non ha preso in considerazione le scommesse al totalizzatore bensì esclusivamente i giochi di abilità "a distanza" (art. 1, comma 944, della l. 28 dicembre 2015, n. 208) e, per quanto qui rileva, le scommesse a quota fissa, escluse quelle ippiche (art. 1 comma 945). E, tuttavia, anche per le scommesse a quota fissa, la finalità perseguita dal legislatore appare di tutt'altro segno rispetto a quanto sostenuto dagli odierni appellati.
La scelta di sostituire al "sistema della raccolta" (in cui il prelievo fiscale viene realizzato attraverso il pagamento di una prestazione patrimoniale commisurata alla raccolta lorda e determinata in base ad una percentuale prefissata) con il "sistema del margine lordo" del concessionario (ossia con un modello impositivo basato sulla tassazione dell'importo della raccolta decurtato dell'ammontare delle vincite) è stato ispirato a ragioni di maggiore equità del tributo e di un equilibrato riparto del rischio, anche nell'ottica di conservare un meccanismo unitario di prelievo applicabile all'intera categoria, evitando fughe dei giocatori verso forme di gioco "illegali" o "clandestine".
Il margine lordo, in primo luogo, non identifica il "reddito del concessionario" e anzi contiene in sé ogni altra componente spuria che consente di continuare a distinguere tale base imponibile da quella che incide sul c.d. "margine erariale residuo" (in cui si tiene conto della differenza tra la raccolta lorda/valore complessivo delle giocate, da un lato, e il montepremi, le vincite, gli aggi per i ricevitori e i compensi per i concessionari, dall'altro: in questo caso è predeterminata normativamente la remunerazione di tutti gli attori della filiera).
A ben vedere la differenza tra l'ammontare della "raccolta" (detto turnover, che indica la spesa complessiva dei giocatori, ossia l'insieme delle puntate effettuate) e quello delle "vincite" (o payout che indica, in termini percentuali, quanto ritorna ai giocatori sotto forma di vincita) esprime una grandezza economica che va sotto il nome di "spesa lorda" (o Gross Gaming Revenue, GGR) , ossia la spesa degli scommettitori al netto delle vincite, che va ripartita tra l'importo destinato all'erario (TAX) - ossia il prelievo fiscale fissato per legge, che viene applicato ad ogni singolo gioco - e l'importo destinato agli operatori del settore (o Net Gaming Revenue, NGR), quali concessionari, rete distributiva (fisica e online) e fornitori di servizi aggiuntivi, i quali, come si comprende agevolmente, non sono i reali soggetti incisi dall'imposta, come sopra evidenziato.
Se riguardata dal punto di vista di chi alimenta l'intero circuito (ossia lo scommettitore che immette denaro al momento della scommessa), la "nettizzazione" della base imponibile operata nel 2016 non ha affatto escluso che sulla somma residua il gestore finisca col trattenere presso di sé "denaro" di spettanza dello Stato, almeno nella parte corrispondente all'imposta che avrebbe dovuto gravare direttamente sul privato scommettitore. Anzi, dalla lettura dei lavori preparatori alla l. n. 208/2015 emerge con chiarezza che non v'è alcuna intenzione del legislatore di modificare la struttura del tributo, ma soltanto quello di evitare che, mediante il cospicuo aumento delle aliquote (passate da una media del 5 per cento a una media del 20 per cento), i giocatori refluissero verso forme di gioco "illegali" (di qui il riferimento al contrasto all'illegalità), restringendo, da un lato, la base imponibile mediante la decurtazione delle vincite, e garantendo, dall'altro, allo Stato monopolista un considerevole aumento di introiti. Si legge nella relazione illustrativa che "Ipotizzando un payout del 80%, a fronte di una raccolta 2016 pari a quella prevista per il 2015 (5.000 mln di euro), si avrebbe un margine (prudenziale) pari a 1.000 milioni di euro (5.000 x 20%). Applicando a tale importo l'aliquota di imposta del 20% (media tra il 18% applicabile alla rete fisica e il 22% applicabile alle scommesse on line), si avrebbe un gettito erariale teorico di 200 mln di euro, con un incremento di gettito potenziale di 15 mln di euro rispetto a quello previsto per il 2015".
11. In tale ottica, risulta ampiamente convalidata la tesi dell'appellante parte pubblica, di dover continuare a considerare il concessionario come "agente contabile", anche al fine di supportare il radicamento della giurisdizione contabile. Non v'è dubbio che la consolidata giurisprudenza di legittimità reputa elementi essenziali e sufficienti perché un soggetto rivesta la qualifica di agente contabile, ai fini della sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità contabile, sia il carattere pubblico dell'ente per il quale tale soggetto agisce, sia la natura parimenti pubblica del denaro o del bene oggetto della sua gestione, rimanendo del tutto irrilevante la natura privatistica del soggetto affidatario del servizio, così come il titolo giuridico in forza del quale la gestione è svolta, che può consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio, in una concessione amministrativa, in un contratto e perfino mancare del tutto, potendo il relativo rapporto modellarsi indifferentemente secondo gli schemi generali, previsti e disciplinati dalla legge, ovvero discostarsene in tutto od in parte (in termini Cass. civ., Sez. un., ordinanze n. 22810/2020 e n. 14234/2020, sentenza n. 10579/2020, sentenza n. 7561/2020).
La società concessionaria di un'attività riservata - quale il gioco e la scommessa - si comporta, infatti, alla stregua di una qualunque società di riscossione di imposte, in quanto incaricata, in virtù di una concessione-contratto, di riscuotere denaro di spettanza dello Stato o di enti pubblici, del quale la stessa ha il maneggio nel periodo compreso tra la riscossione ed il versamento, rivestendo, quindi, la qualifica di agente contabile (Cass. civ., Sez. un., n. 760/2022, ex pluribus).
A riprova dell'assunto, correttamente l'appellante ha richiamato la disciplina contenuta nell'art. 24 del d.l. n. 98/2011, conv. dalla l. n. 111/2011, che riserva allo Stato (Amministrazione autonoma dei monopoli) il controllo continuo sulle giocate, anche allo scopo di verificarne la tempestiva e concreta "rispondenza rispetto ai versamenti effettuati dai concessionari abilitati alla raccolta dei giochi", con iscrizione diretta nei ruoli in caso di omesso riversamento (comma 1). Se vi è pericolo per la riscossione, infatti, l'Ufficio provvede, anche prima della liquidazione prevista dal comma 1, al controllo della tempestiva effettuazione dei versamenti dell'imposta unica di cui al citato d.lgs. n. 504 del 1998 (comma 3), e "le somme che, a seguito dei controlli automatizzati effettuati ai sensi del comma 1 risultano dovute a titolo d'imposta unica, nonché di interessi e di sanzioni per ritardato od omesso versamento, sono iscritte direttamente nei ruoli resi esecutivi a titolo definitivo" (comma 4).
Ove ciò non bastasse, nella convezione firmata tra ADM e Tierre Game s.r.l., in data 13 febbraio 2014, all'art. 5 si stabilisce che il concessionario è tenuto, tra gli altri compiti, a "presentare il conto giudiziale relativamente ai flussi finanziari inerenti agli importi a qualunque titolo derivanti dalla raccolta di gioco e riconosciuti a terzi e al compenso del concessionario, ai sensi della Legge di contabilità generale e del relativo regolamento, secondo il modello comunicato da ADM". Ed è chiaro che un obbligo di resa del conto non solo non sarebbe ipotizzabile in capo a un soggetto che non sia qualificabile, in forza dell'investitura, come "agente contabile", ma soprattutto è indice sintomatico della natura "pubblica" delle somme riscosse per conto dello Stato. Non solo il concessionario dell'attività di gioco instaura con l'amministrazione un rapporto di servizio - improntato a una forte conformazione alle prescrizioni di carattere pubblicistico trasfuse nella convenzione versata in atti (in particolare, tutti gli obblighi descritti nell'art. 4 e gli adempimenti contabili di cui al successivo art. 5) - tale da non far dubitare che questi partecipi alla realizzazione di un programma di stampo pubblicistico mirante alla canalizzazione delle attività "in circuiti controllabili al fine di prevenirne la possibile degenerazione criminale" (Cass., Sez. un., 18 maggio 2004, n. 23272), ma soprattutto che gestisca un vero e proprio servizio di riscossione, come meglio evidenzia la previsione convenzionale contenuta nell'art. 3.
La clausola pattizia riserva, infatti, all'ADM - per evitare "eventuali e dannose soluzioni di continuità nel servizio e nella riscossione delle entrate erariali" - di prorogare la convenzione alle condizioni ivi descritte. L'uso della congiunzione coordinante ("e") appare significativa proprio a rimarcare la natura ancipite dell'attività oggetto di concessione, che oltre ad essere destinata a consentire - entro rigorosi limiti e paletti - l'organizzazione del gioco e delle scommesse, è destinata anche alla "riscossione" di "entrate erariali", alla quale è precipuamente connessa l'esigenza di assicurare l'assenza di soluzioni di continuità.
12. Tali conclusioni sono perfettamente in linea con i criteri discretivi individuati dalla giurisprudenza di legittimità (in particolare Cass. civ., Sez. un., n. 14697/2019) in materia di Preu. Nel confermare la sussistenza della giurisdizione contabile nei confronti del concessionario di rete, il Giudice regolatore ha nuovamente affermato la natura pubblica di tutte le somme raccolte mediante l'esercizio del gioco lecito, oltre che in ragione del "sistema di collegamento diretto" fra Amministrazione centrale e singoli apparecchi da gioco, al fine di consentirne la continua controllabilità, anche in forza della qualifica di "agente contabile" riconosciuta al concessionario. Tali canoni ermeneutici sono estensibili (come evidenziato nell'atto d'appello) anche all'imposta unica in esame, in quanto anche in questo caso le giocate possono essere fatte solo tramite apparecchi in collegamento telematico e automatizzato con ADM, e il concessionario riveste a ogni effetto la qualifica di agente contabile, obbligato al conto.
13. Conclusivamente l'appello del Procuratore regionale deve essere accolto e, per l'effetto, ai sensi dell'art. 199 c.g.c., il giudizio deve essere rimesso in primo grado per l'esame delle ulteriori questioni pregiudiziali e preliminari nonché per le valutazioni di merito, anche ai fini della liquidazione delle spese di questo grado.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione seconda centrale d'appello, così definitivamente pronunciando, accoglie l'appello, per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado, rimette gli atti al primo giudice per la prosecuzione del giudizio sul merito e la pronuncia anche sulle spese di questo grado.