Corte dei conti
Sezione giurisdizionale per la Sardegna
Sentenza 10 settembre 2024, n. 145
Presidente: Cabras - Estensore: Mistretta
FATTO
Con atto di citazione depositato il 18 settembre 2023, la Procura erariale ha citato in giudizio il sig. R. per sentirlo condannare al pagamento, in favore dell'Erario e segnatamente della Città metropolitana di Cagliari, della somma di euro 3.162,10, oltre alla rivalutazione monetaria, agli interessi legali e alle spese di giustizia.
La Procura regionale ha avviato il procedimento a seguito di una segnalazione del 26 giugno 2020 della Guardia di finanza - Nucleo di polizia economico-finanziaria di Cagliari - Gruppo tutela spesa pubblica, per un possibile danno erariale derivante da violazioni sull'effettiva presenza sul posto di lavoro di diversi dipendenti della Città metropolitana di Cagliari, in servizio presso le sedi ubicate in Cagliari, nella Via Giudice Guglielmo e nel Viale Francesco Ciusa.
Dalle indagini delegate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari alla Guardia di finanza, nell'ambito del procedimento penale n. 3964/16 - 9954/19 R.N.R. - 8085/19 G.I.P.G2 (richiesta di rinvio a giudizio del 18 febbraio 2022), sarebbe emersa una situazione di diffusa illegalità che, ai fini del danno all'Erario, rileverebbe per truffa conseguente a ipotesi di falsa attestazione della presenza in servizio ex art. 640, commi 1 e 2, c.p. e 55-quinquies, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001, nonché per il danno all'immagine arrecato alla Pubblica Amministrazione di appartenenza.
Il procedimento penale a carico del sig. R. è ancora pendente e nei confronti del predetto la Città metropolitana di Cagliari ha avviato un procedimento disciplinare, attualmente sospeso in attesa della definizione di quello penale.
Al sig. Giuseppe R., dipendente della Città metropolitana di Cagliari, inquadrato all'interno del Settore affari generali e istituzionali, con la mansione di collaboratore tipografo, è contestato di avere attestato falsamente la propria presenza in servizio con artifici e raggiri, consistiti nel timbrare il c.d. "cartellino marcatempo" all'inizio e alla conclusione del servizio, salvo allontanarsi dal luogo di lavoro nel corso della giornata lavorativa senza timbrare le uscite, essendo queste ultime finalizzate all'espletamento, non già di attività esterne giustificate da ragioni di servizio, bensì di attività esclusivamente di natura personale, in ogni caso non oggetto di permessi autorizzati.
In tal modo, il prevenuto avrebbe indotto in errore l'ente di appartenenza circa la sua presenza sul luogo di lavoro, procurandosi l'ingiusto profitto pari alle retribuzioni indebitamente percepite.
I militari operanti hanno proceduto a quantificare i periodi di assenza ingiustificata, in termini di ore e minuti, utilizzando gli esiti dei servizi di videoregistrazione e di o.c.p., confrontati con i tabulati degli orari di servizio delle presenze mensili (ottobre 2018-marzo 2019), acquisiti presso la Città metropolitana di Cagliari.
Nel periodo oggetto d'indagine, il sig. R. si sarebbe assentato ingiustificatamente dal luogo di lavoro per un totale di 20 ore e 25 minuti, che corrisponderebbero a un danno per la Città metropolitana di Cagliari pari a euro 162,10, calcolato prendendo a riferimento la retribuzione mensile base, oltre che un danno all'immagine all'Amministrazione di appartenenza.
Ritenendo che a carico di Giuseppe R. ricorressero tutti i presupposti per promuovere l'azione di responsabilità per avere arrecato all'Amministrazione di appartenenza, attraverso le descritte condotte dolose, un danno pari all'importo complessivo di euro 3.162,10, di cui euro 3.000,00 a titolo di danno all'immagine, il P.M. ha provveduto a notificargli l'invito a dedurre previsto dall'art. 67 del codice di giustizia contabile, ma l'invitato non ha depositato alcuna memoria difensiva né ha chiesto di essere sentito personalmente, pertanto, è stato emesso l'atto di citazione.
La Procura attrice ha osservato che dagli accertamenti condotti dalla Guardia di finanza sarebbe emerso che il convenuto si sarebbe ripetutamente allontanato dal posto di lavoro, per un totale di 20 ore e 25 minuti, senza fare risultare la propria assenza dal servizio, conseguendo indebitamente l'intera retribuzione.
Il rispetto dell'orario di servizio costituisce un elemento fondamentale del sinallagma insito nel rapporto di pubblico impiego e ne definisce la prestazione a cui è commisurato il compenso.
Il comportamento tenuto dal convenuto confliggerebbe, quindi, con i doveri generali di correttezza e di buona fede che disciplinano il rapporto di servizio nonché con gli specifici obblighi di fedeltà (art. 2105 c.c.) e di diligenza (art. 2104 c.c.), caratterizzandosi, altresì, per l'indubbia volontarietà, a fronte dell'evidenza delle violazioni perpetrate.
Nell'ipotesi di falsa attestazione della presenza in servizio da parte del lavoratore, lo stesso - ai sensi dell'art. 55-quinquies, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 - è obbligato a risarcire il danno patrimoniale pari all'importo percepito a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, ossia euro 162,10.
Il convenuto è chiamato a rispondere anche per un danno all'immagine all'Amministrazione di appartenenza, ai sensi degli artt. 55-quater e 55-quinquies del d.lgs. n. 165/2001.
Secondo l'Ufficio requirente, per quel che concerne la quantificazione di tale componente di danno, secondo la costante giurisprudenza contabile (da ultimo la sentenza della Corte dei conti, Sez. II centr. app., n. 229/2023), occorre procedere in via equitativa utilizzando, oltre al criterio di cui all'art. 1, comma 1-sexies, della l. n. 20/1994 (in base al quale l'entità del danno all'immagine si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita), quali ulteriori parametri: il clamore che la vicenda ha avuto, la gravità del discredito che dalle condotte in esame è derivato all'Amministrazione di appartenenza, l'intensità del dolo e l'assoluta indifferenza al rispetto dei doveri del proprio ufficio, la ripetizione delle condotte illecite.
In base a tali criteri, la Procura ha quantificato il danno all'immagine in euro 3.000,00, salvo un'eventuale differente determinazione in sede di giudizio.
In conclusione, quindi, Giuseppe R. è chiamato a rispondere del danno dolosamente causato alla Città metropolitana di Cagliari nella misura complessiva di euro 3.162,10, di cui euro 162,10 per il danno patrimoniale ed euro 3.000,00 per il danno all'immagine.
Il sig. Giuseppe R. si è costituito in giudizio a ministero dell'avv. Marco Porcu con memoria depositata il 27 giugno 2024, nella quale ha eccepito l'inammissibilità dell'azione promossa dalla Procura regionale, per carenza di un requisito indefettibile della stessa, ossia la condanna irrevocabile dell'odierno incolpato per i reati contestati; infatti, il procedimento penale che ha originato la citazione in esame risulta tuttora in corso nanti il Tribunale di Cagliari, mentre la Corte d'appello di Cagliari ha reso diverse sentenze di assoluzione perché il fatto non sussiste nei confronti di quegli imputati che avevano optato in primo grado per un rito alternativo. Nella memoria si sottolinea che la giurisprudenza ritiene pacificamente che la sentenza irrevocabile di condanna, che accerta la colpevolezza dell'imputato, costituisce un presupposto processuale necessario dell'azione contabile, tanto più se riferibile al danno d'immagine: sentenza che è del tutto assente nella fattispecie, trovandosi il processo penale ancora in una fase dibattimentale.
Nell'ipotesi che l'azione dovesse essere ritenuta ammissibile, la difesa ha chiesto che il presente processo venga sospeso in attesa della definizione di quello penale, in quanto, come sopra rappresentato, per fatti identici a quelli contestati al sig. R., alcuni imputati, originariamente parti del medesimo procedimento, le cui posizioni sono state stralciate a seguito della scelta di un rito alternativo, sono stati assolti dalla Corte d'appello di Cagliari con formula ampia.
Inoltre, l'indagine in esame ha visto anche l'archiviazione della posizione di due originari indagati, per effetto di un errore nell'individuazione dei soggetti compiuto dalla Polizia giudiziaria.
Pertanto, pur nella consapevolezza dell'autonomia del giudizio contabile rispetto a quello penale, il difensore ha sostenuto che, allo stato, sussistano gravi ed evidenti margini d'incertezza in ordine, sia ai soggetti effettivamente interessati, che ai fatti contestati: elementi, questi ultimi, che costituiscono necessario presupposto per la condanna anche in sede contabile, tali da richiedere, ove i requisiti di ammissibilità dell'azione fossero ritenuti sussistenti, la sospensione del presente giudizio.
Nel merito, il patrocinatore ha rappresentato che dalla documentazione prodotta in questa sede non sussiste univoca evidenza in ordine alla riconducibilità dei fotogrammi ai giorni e alle ore oggetto di contestazione; né è possibile riconoscere nei medesimi fotogrammi il sig. R., tantomeno con la convinzione richiesta per addivenire a una sentenza di condanna.
In ogni caso, la Procura avrebbe omesso qualsiasi valutazione in ordine al fatto che il convenuto nelle stesse giornate contestate, e comunque nel periodo in esame: ha ripetutamente fatto ingresso sul luogo di lavoro ben prima dell'orario contrattualmente individuato, accumulando nel medesimo periodo oggetto del procedimento una significativa eccedenza di ore; sia affetto da una grave patologia, suscettibile di far insorgere seri effetti collaterali per l'apposita terapia farmacologica; abbia riportato, anche per il periodo considerato, valutazioni lavorative nella misura massima.
Secondo la difesa, quindi, anche volendo ritenere sussistente l'elemento oggettivo, non sussisterebbe l'ulteriore e necessario elemento soggettivo, considerato che, per un verso, il sig. R., nel medesimo periodo considerato, è risultato presente sul luogo di lavoro per un numero di ore superiore a quelle contrattualmente previste, assolutamente sufficiente a coprire, in denegata ipotesi, l'asserito ammanco contestato in questa sede, a fronte di una prestazione lavorativa suscettibile di essere valutata in misura massima; per un altro verso, la patologia dalla quale è affetto appare incidere in modo significativo anche sulla memoria e sulla sua lucidità.
In conclusione, nella memoria si chiede:
- in via preliminare e pregiudiziale: di accertare l'assenza dei presupposti per l'avvio dell'azione contabile e, per l'effetto, dichiarare inammissibili l'atto di citazione e le domande proposte con il medesimo atto nei confronti dell'odierno incolpato;
- in via preliminare e pregiudiziale subordinata: di accertare che nella fattispecie sussiste il presupposto di pregiudizialità in relazione agli accertamenti tuttora in corso in sede penale e, per l'effetto, disporre la sospensione del presente procedimento;
- nel merito: di accertare l'insussistenza dell'elemento oggettivo e/o di quello soggettivo e, per l'effetto, respingere ogni avversa richiesta del Procuratore regionale, contenuta nell'atto di citazione, mandando assolto il sig. R., stante l'assenza di qualsiasi responsabilità contabile da porre a suo carico;
- in via subordinata, nella denegata ipotesi in cui dovesse essere riconosciuta la sussistenza di una qualunque responsabilità a carico dell'odierno incolpato, fare uso del potere riduttivo nella misura massima possibile, tenendo conto delle ore in eccedenza nonché del puntuale adempimento dei propri obblighi lavorativi, come ravvisabile dalle valutazioni rese dall'Amministrazione. In ogni caso, con il favore delle spese.
All'udienza del 18 luglio 2024, il P.M. ha contestato l'eccezione di inammissibilità proposta dal convenuto in quanto la vicenda in esame attiene a fatti c.d. di assenteismo concretizzatisi nella falsa attestazione della presenza in servizio mediante la mancata timbratura delle uscite attraverso l'utilizzo del badge.
La Procura ha sottolineato che si tratta di un'ipotesi disciplinata autonomamente dall'art. 55-quinquies del d.lgs. n. 165/2001, che ha espressamente previsto la possibilità di promuovere l'azione di responsabilità, sia per il danno patrimoniale, che per il danno all'immagine, e ha richiamato la giurisprudenza della Corte dei conti secondo la quale, nella fattispecie quali quella in esame, non è necessario attendere il passaggio in giudicato della sentenza penale. Sotto questo profilo il Requirente ha sostenuto che l'azione è ammissibile, non ricorrendo, al contempo, i presupposti ex art. 106 c.g.c. per sospendere il presente giudizio in attesa della definizione di quello penale.
Nel merito, il P.M. ha sottolineato che, a seguito della ricezione di esposti anonimi che segnalavano uscite indebite dalle sedi di servizio dei dipendenti della Città metropolitana, la Guardia di finanza ha disposto in un primo momento dei servizi di osservazione che hanno dato esito positivo, a seguito dei quali l'autorità giudiziaria ordinaria ha ritenuto necessario avviare delle attività di videosorveglianza con l'installazione di videocamere collocate in corrispondenza dell'orologio marcatempo e all'uscita della sede di servizio. Tali riprese, in talune giornate, sono state affiancate da servizi di osservazione e pedinamento.
Gli esiti delle verifiche hanno confermato che taluni dipendenti della Città metropolitana si recavano sovente al di fuori della sede di servizio per motivi personali e non attinenti al lavoro.
Una volta compiuti gli accertamenti sono state acquisite, in data 17 aprile 2019, quindi successivamente all'effettuazione delle riprese, le fotografie dei dipendenti da confrontare con le registrazioni. Il P.M. ha evidenziato che le riprese sono state dettagliatamente e analiticamente vagliate dalla Guardia di finanza e supportate da ulteriori servizi di osservazione e pedinamento compiuti alla fine del 2019 in seguito all'individuazione fotografica dei dipendenti.
Sotto il profilo materiale non sussistono dubbi, ad avviso della Procura, in ordine alla realizzazione effettiva delle condotte, nonché alla riferibilità di tali condotte all'odierno convenuto.
Il P.M. ha, quindi, precisato che, a dimostrazione della correttezza del lavoro svolto in fase di indagine, alcune posizioni sono state stralciate in virtù della mancata certezza sull'identificazione.
La Procura ha, poi, sostenuto che l'eccezione della difesa in ordine all'eccedenza di orario in capo al convenuto non può essere accolta poiché le ore in eccesso non si possono compensare con orari in meno indebitamente fruiti e non autorizzati.
In conclusione, il P.M. ha richiamato l'atto di citazione e ha chiesto la condanna del convenuto.
L'avv. Marco Porcu ha ribadito che la Corte d'appello di Cagliari ha assolto con formula piena perché il fatto non sussiste tre soggetti imputati per i medesimi fatti e ha insistito per la sospensione del presente giudizio in attesa della conclusione del processo penale.
Il difensore ha dichiarato di non concordare con la ravvisata inapplicabilità da parte della Procura della previsione dell'art. 51, comma 7, c.g.c. perché è la sentenza irrevocabile di condanna che fa stato rispetto a eventuali decisioni; altrimenti si verificherebbe un sovvertimento della presunzione di innocenza.
L'avv. Porcu ha, inoltre, evidenziato che, né la Procura penale, né la Procura contabile hanno depositato i video dai quali le fotografie sarebbero state estrapolate, non consentendo la verifica da parte della difesa.
In merito all'affermazione del P.M. che per alcuni soggetti la posizione è stata stralciata prima dell'avvio del procedimento penale, il patrocinatore ha replicato che, nei confronti dei soggetti la cui posizione è stata stralciata, in realtà la Procura aveva avviato il procedimento penale, avendo recapitato anche l'avviso ex art. 415-bis c.p.p., e solo in seguito alle puntuali difese è emersa la fallacia delle indagini condotte dalla Guardia di finanza, che non hanno consentito l'identificazione certa dei due imputati attraverso i fotogrammi.
La difesa ha ribadito che i fotogrammi non sono chiari e non presentano data certa.
Inoltre, secondo la tesi difensiva, dalla ricostruzione della Procura contabile non emerge che il sig. R., in relazione alla sua qualifica di tipografo, era tenuto per ragioni di servizio a recarsi presso uno stabile adiacente alla sede della Città metropolitana.
In conclusione, l'avv. Porcu ha insistito per l'inammissibilità dell'atto di citazione e per la sospensione del presente giudizio, e ha chiesto, qualora la Corte non ritenesse applicabile l'art. 51, comma 7, c.g.c., che venga valutata l'opportunità di sollevare questione di legittimità costituzionale per verificare l'eventuale violazione degli artt. 3 e 27 della Costituzione in relazione alla presunzione di innocenza.
DIRITTO
Prima di passare all'esame del merito della controversia, la Sezione deve esaminare le questioni pregiudiziali e preliminari sollevate dalla difesa del convenuto.
L'eccezione di inammissibilità dell'atto di citazione non merita accoglimento.
Innanzitutto, l'art. 51 c.g.c. indica quali sono considerate notizie di danno erariale idonee ad attivare l'azione della Procura contabile; tra queste, il comma 7 prevede la sentenza irrevocabile di condanna, alla cui mancanza non è, pertanto, ricollegabile alcuna nullità/inammissibilità dell'atto di citazione.
Il Collegio ricorda che, solo nel caso di danno all'immagine derivante dalla commissione di un reato contro la pubblica amministrazione, la legge impone che questo sia accertato con sentenza passata in giudicato, costituendo tale accertamento del giudice penale "il necessario antecedente dal quale dipenda la decisione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato", con conseguente applicabilità della sospensione necessaria per pregiudizialità ex art. 106 c.g.c.
Di contro, l'ipotesi di danno all'immagine prevista dall'art. 55-quater del d.lgs. 165 del 2001, ai sensi del quale il sig. R. è chiamato a rispondere, ha natura speciale rispetto alle ipotesi di danno all'immagine derivante da reato.
Per ragioni di sinteticità, il Collegio richiama l'ord. n. 6/2018/ORD/RCS del 12 giugno 2018 delle Sezioni riunite di questa Corte nella quale si afferma che, per l'esercizio della relativa azione, si prescinde dal presupposto della previa condanna in sede penale, e la costante giurisprudenza più recente.
Analogamente, non può essere accolta la richiesta di sospensione del presente giudizio in attesa della conclusione del processo penale, attualmente pendente nanti il Tribunale Penale di Cagliari e instaurato per i medesimi fatti sui quali si fonda la pretesa erariale azionata dalla Procura attrice.
Ai sensi dell'art. 106, comma 1, c.g.c. "Il giudice ordina la sospensione del processo quando la previa definizione di altra controversia civile, penale o amministrativa, pendente davanti a sé o ad altro giudice, costituisca, per il suo carattere pregiudiziale, il necessario antecedente dal quale dipenda la decisione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato".
L'unica evenienza che, secondo il legislatore, può legittimare il Giudice a ordinare la sospensione del processo è la sussistenza di pregiudizialità tecnica o giuridica, in quanto, come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex plurimis, Sez. riun., ordd. nn. 1/2017, 6/2018, 9/2018, 3/2021, 4/2021 e 16/2021), nell'ordinamento vige il principio della reciproca indipendenza dell'azione penale e dell'azione di responsabilità per danni, anche in sede civile (cfr. Cass., Sez. un., nn. 1768 e 12539 del 2011), e non è, quindi, possibile identificare nel giudizio penale, ancorché inerente all'accertamento degli stessi fatti oggetto del giudizio di responsabilità amministrativa, una causa pregiudiziale che imponga la sospensione del giudizio di responsabilità, a norma dell'art. 106 del codice di giustizia contabile, atteso che la controversia penale non è pregiudiziale in senso tecnico, non costituendo l'antecedente da cui dipende la definizione del giudizio contabile (cfr. Sez. II centr. app., sent. n. 95/2021, e giurisprudenza ivi richiamata; ex multis Sez. un., nn. 14060/2004, 10027/2012 e 21763/2021).
È possibile, infatti, che - in assenza di un rapporto di dipendenza di cause - il medesimo materiale probatorio porti a conseguenze decisionali differenti, in ipotesi essendo insufficiente per disporre una sanzione penale, ma idoneo per affermare una responsabilità erariale.
Detta soluzione ermeneutica appare, peraltro, funzionale all'esigenza di rispettare il canone della ragionevole durata del processo, di cui all'articolo 111 della Costituzione e all'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e di garantire l'effettività della tutela giurisdizionale, ai sensi dell'articolo 24 della Costituzione (cfr., da ultimo, Sez. giur. Sardegna, sentt. nn. 29/2024, 96/2024 e 104/2024).
Poiché nella fattispecie in discussione non sussiste alcuna pregiudizialità tecnica o giuridica, ma ricorre un'ipotesi di mera consequenzialità logica, la richiesta di sospensione deve essere respinta.
Alla luce di quanto sopra, appare manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalità sollevata dall'avv. Porcu in udienza, in relazione alla presunzione di innocenza, che non viene meno nel presente giudizio dato che le prove agli atti sono valutate dal Collegio nella loro interezza a fini diversi da quelli penali.
Nel merito, la pretesa risarcitoria avanzata dalla Procura erariale per il danno patrimoniale è fondata.
Secondo la ricostruzione dei fatti riportata nella parte in fatto, risulta acclarato che la vicenda all'esame del Collegio si caratterizza per la violazione di specifici obblighi e doveri rimessi al pubblico impiegato, opportunamente e dettagliatamente disciplinati dal Legislatore, che ha delineato una serie di comportamenti che, ponendosi in contrasto con i valori, normativi ed etici, naturalmente insiti nel lavoro prestato alle dipendenze della P.A., assumono particolare rilevanza, anche in considerazione del detrimento che essi recano al rispetto e al prestigio dell'Amministrazione medesima.
Ne consegue che il mancato rispetto di tali prescrizioni configura l'elusione di norme destinate, per un verso, ad assicurare che il servizio pubblico si svolga in un contesto obiettivo, diretto a finalizzare e ottimizzare l'attività posta a servizio della collettività e, per altro verso, a definire la misura della prestazione dovuta dal dipendente pubblico, in relazione all'orario e al tempo di lavoro effettivo, ai quali va commisurata la retribuzione allo stesso spettante.
Al riguardo, come già affermato da questa Sezione in casi analoghi (tra le altre, sentt. nn. 133/2017 e 111/2018) è opportuno ricordare che, a seguito della contrattualizzazione a regime di diritto privato del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti (c.d. "privatizzazione"), la materia dell'orario di servizio e dell'orario di lavoro è stata disciplinata dall'art. 22 della l. 23 dicembre 1994, n. 724 (che ha abrogato l'art. 60 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29) il quale, nel fissare regole e criteri per l'articolazione dell'orario di servizio nelle Amministrazioni Pubbliche, ha introdotto e definito i concetti dell'orario di servizio, dell'orario di apertura al pubblico e dell'orario di lavoro (e relative articolazioni), e precisato, inoltre, che "l'orario di lavoro, comunque articolato, è accertato mediante forme di controllo obiettivo e di tipo automatizzato" (comma 3).
Successivamente, diverse direttive/circolari del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio (n. 8/93 del 9 marzo 1993; n. 3/94 del 16 febbraio 1994; n. 7/95 del 24 febbraio 1995; n. 21/95 dell'8 novembre 1995) hanno ribadito che "l'osservanza dell'orario di lavoro costituisce un obbligo del dipendente pubblico, anche del personale con qualifica dirigenziale, quale elemento essenziale della prestazione retribuita dalla Amministrazione Pubblica" e che "l'orario di lavoro, comunque articolato, deve essere documentato ed accertato mediante controlli di tipo automatici ed obiettivi, come disposto dalle vigenti normative in materia".
Sempre ai sensi delle citate disposizioni regolamentari, i sistemi automatizzati di rilevazione dell'orario di lavoro devono "essere utilizzati per determinare direttamente la retribuzione principale e quella accessoria, da corrispondere a ciascun dipendente", così che "ad ogni eventuale assenza, totale o parziale dal posto di lavoro (che non sia giustificata dalla vigente normativa in materia) consegue - oltre alla proporzionale automatica riduzione della retribuzione - anche l'attivazione, da parte dei Dirigenti responsabili, delle procedure disciplinari previste dalla normativa vigente". Già dall'introduzione di dette disposizioni, anche "i permessi brevi fruiti dai dipendenti pubblici per esigenze personali", devono essere autorizzati e recuperati successivamente, secondo modalità definite dal dirigente, il quale diviene responsabile dell'osservanza dell'orario di lavoro da parte del personale dipendente, tanto che eventuali violazioni dei dirigenti responsabili e del personale dipendente, conseguenti a dolo o colpa grave, che comportano una mancata prestazione, con relativo danno erariale, concretano una violazione penale, oltre che responsabilità disciplinare e contabile.
Inoltre, sullo specifico aspetto, il d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (come modificato dall'art. 69 del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, in attuazione della delega di cui all'art. 7 della l. 4 marzo 2009, n. 15) ha previsto sanzioni disciplinari (art. 55-quater) e penali (art. 55-quinquies) nelle ipotesi in cui il dipendente attesti falsamente la propria presenza in servizio, stabilendo che il medesimo dipendente è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione, nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all'immagine subiti dall'amministrazione (cfr. art. 55-quinquies).
La giurisprudenza contabile ha affermato che, in presenza di accertata dolosa o colposa inadempienza nella dovuta prestazione lavorativa (con riferimento, ovviamente, ad assenze non giustificate), il danno è quanto meno pari alla spesa sostenuta dall'Amministrazione Pubblica datrice di lavoro per la retribuzione complessivamente erogata a favore dei dipendenti pubblici, fatti salvi comunque gli ulteriori danni che possono essere stati causati nella gestione dei servizi ai quali i predetti dipendenti pubblici erano addetti o preposti (cfr. sentenza di questa Sezione n. 22 del 1° marzo 2017, e la giurisprudenza ivi richiamata).
Alla luce del quadro ordinamentale complessivo, l'allontanamento del dipendente dal luogo di lavoro appare giustificato solo dalla presenza di predeterminate esigenze, subordinate ad autorizzazione specifica, ovvero regolamentate dalla contrattazione collettiva, e deve essere, comunque, oggettivamente rilevato e rilevabile (attraverso i sistemi automatizzati, laddove, come nel caso di specie, installati), sia nelle ipotesi in cui il tempo trascorso fuori dall'ufficio debba essere recuperato, sia nei casi contrari, essendo, come più volte specificato, la presenza nel luogo di lavoro il parametro al quale ancorare la retribuzione.
Rapportando tali principi alla vicenda in esame, dagli accertamenti effettuati dalla Guardia di finanza nel periodo ottobre 2018-marzo 2019 è emerso che il convenuto si assentava arbitrariamente dal suo ufficio durante l'orario di lavoro senza autorizzazione e senza alcuna giustificazione.
Si deve, quindi, convenire con la Procura regionale sull'irregolare ed eticamente riprovevole condotta tenuta dal sig. R., e sulla sua piena consapevolezza dell'illiceità del comportamento posto in essere, che dimostra l'intenzionalità nello stesso, indubbiamente connotato da dolo, per escludere il quale il Collegio non ritiene idonea la patologia dichiarata dal difensore del convenuto, considerato che lo stesso non era in congedo per malattia ed era evidentemente idoneo a prestare servizio presso la Città metropolitana.
Non appare rilevante a escludere il danno contestato neppure la circostanza che il sig. R. abbia svolto ore in eccesso nelle stesse giornate nelle quali si è assentato ingiustificatamente, in quanto, come correttamente rappresentato dal P.M. in udienza, non è possibile operare alcuna compensazione tra le due tipologie di orario, senza considerare il fatto che, verosimilmente, l'interessato ha utilizzato le ore in eccesso per ottenere altri istituti contrattuali (retribuzione per straordinari o recupero compensativo).
Come sopra accennato, il computo delle ore lavorative non rese è emerso a seguito del raffronto tra l'assenza del dipendente, accertata dai militari operanti (per il tramite di strumenti di registrazione delle immagini e dell'orario, posizionati al di fuori degli uffici della Città metropolitana di Cagliari, nonché attraverso un'attività di osservazione, controllo e pedinamento), e l'incompatibile registrazione formale della presenza nei fogli di rilevazione automatica, da cui è derivato il pagamento dello stipendio.
La documentazione agli atti di causa, dettagliatamente indicata nell'atto di citazione, appare perfettamente idonea e sufficiente a supportare l'accusa, non rilevando la circostanza della mancata produzione dei video dai quali sono stati estrapolati i fotogrammi relativi al convenuto.
La reiterazione di siffatte forme di assenza e la totale inosservanza delle disposizioni destinate a regolare l'uscita dal luogo di lavoro non lasciano adito a dubbi sul fatto che il convenuto sia venuto meno, con coscienza e volontà, ai suoi precisi obblighi di servizio, allorché - senza la prescritta autorizzazione e senza alcuna giustificazione - si è assentato dall'ufficio per i più vari motivi, non prestando di fatto l'attività lavorativa per l'orario contrattualmente definito, pur figurando formalmente in servizio.
Il danno patrimoniale, ancorché non elevato in termini assoluti, assume ben altra rilevanza e consistenza laddove lo si rapporti al breve arco temporale nel quale lo stesso è stato cagionato: le indagini della Guardia di finanza, infatti, sono state condotte dall'ottobre 2018 al marzo 2019, interessando un periodo di tempo di circa sei mesi.
All'esito della compiuta disamina, non può che essere ribadita l'assoluta illegittimità del comportamento tenuto dal convenuto, in contrasto con i doveri generali di correttezza e di buona fede che disciplinano il rapporto di servizio.
Il sig. Giuseppe R. va, dunque, condannato al risarcimento del danno patrimoniale per l'intero importo contestato in citazione, non potendosi accedere alla richiesta applicazione del potere riduttivo a causa della connotazione dolosa della condotta.
Con riguardo alla sussistenza del danno all'immagine e alla sua quantificazione si formulano le seguenti osservazioni.
Dai comportamenti illeciti posti in essere dal convenuto è derivato un grave vulnus al prestigio dell'Amministrazione. Indubbio, appare, infatti, che la condotta illecita in questione abbia avuto ampia risonanza sociale, come comprovato dagli articoli di stampa versati in atti.
Con riferimento alla quantificazione di questa voce di danno, si deve tenere conto della sent. n. 61/2020 della Corte costituzionale.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'ultimo periodo del comma 3-quater dell'art. 55-quater del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, come introdotto dall'art. 1, primo comma, lett. b), del d.lgs. 20 giugno 2016, n. 116, nonché, per ragioni di inscindibilità funzionale, del secondo, terzo e quarto periodo del comma 3-quater dell'art. 55-quater del d.lgs. n. 165 del 2001, per contrasto con l'art. 76 della Costituzione (cfr. Corte cost., sent. 9 gennaio-10 aprile 2020, n. 61), non abbia inciso sulla disposizione speciale recata dall'art. 55-quinquies, comma 2, dello stesso d.lgs. n. 165/2001, se non limitatamente all'ultimo periodo, che rimandava al precedente art. 55-quater, comma 3-quater, ovvero sulle modalità di stima e quantificazione del danno all'immagine; deve pertanto ritenersi che l'ipotesi di danno all'immagine nei confronti della pubblica amministrazione, derivante da false attestazioni della presenza in servizio, sia rimasta intatta e sopravviva alla sentenza della Corte costituzionale n. 61 del 2020 (cfr. Sez. II centr., n. 146 dell'8 giugno 2020 e n. 140 del 27 maggio 2020, e Sez. Toscana, sent. n. 267 del 4 settembre 2020), così come va ribadito che, per l'esercizio della relativa azione, si prescinde dal presupposto della previa condanna in sede penale (cfr. Sez. riun., ord. 6/2018/ORD/RCS del 12 giugno 2018).
Con riguardo alla quantificazione del danno all'immagine, quindi, si deve procedere equitativamente, anche alla luce del criterio (pur non direttamente applicabile nella fattispecie) posto dall'art. 1, comma 1-sexies, della l. n. 20/1994, secondo il quale "nel giudizio di responsabilità, l'entità del danno all'immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente", che costituisce idoneo punto di riferimento per una valutazione equitativa.
Nel caso de quo, considerata la gravità del fatto, le modalità di realizzazione dell'illecito, la reiterazione della condotta, ma anche il ruolo di non particolare esposizione e rilevanza ricoperto dal convenuto nell'ambito dell'Amministrazione danneggiata, nonché il fatto che l'impatto mediatico negativo non è stato considerevole, il Collegio accoglie parzialmente la richiesta di condanna del sig. R. per il danno all'immagine, reputando equa la sua liquidazione nella misura di euro 324,20, pari al doppio del danno patrimoniale, importo comprensivo della rivalutazione monetaria.
Conclusivamente, il danno erariale, nelle voci del danno patrimoniale diretto e del danno all'immagine, come sopra quantificato, va ascritto al sig. Giuseppe R.
Sulla somma relativa al danno patrimoniale è altresì dovuta la rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo indici ISTAT a decorrere dal 6 marzo 2019 (data di cessazione delle condotte lesive) e fino alla pubblicazione della presente sentenza.
Dalla data di detta pubblicazione e sino al soddisfacimento del credito sono altresì dovuti, sulla somma relativa al danno patrimoniale come sopra rivalutata e sulla somma relativa al danno all'immagine, gli interessi nella misura del saggio legale fino all'effettivo pagamento.
La condanna alle spese del giudizio, liquidate in dispositivo, segue la soccombenza ai sensi dell'art. 31 del d.lgs. n. 174/2016.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, definitivamente pronunciando, condanna Giuseppe R. a pagare a titolo di risarcimento del danno, in favore della Città metropolitana di Cagliari, la somma di euro 486,30 (diconsi euro quattrocentottantasei/30), di cui euro 162,10 (diconsi euro centosessantadue/10) a titolo di danno patrimoniale diretto ed euro 324,20 (diconsi euro trecentoventiquattro/20) per danno all'immagine, oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali da calcolarsi nel modo e con le decorrenze precisati in motivazione; condanna, altresì, il convenuto soccombente al pagamento, in favore dello Stato, delle spese processuali, che fino alla presente fase di giudizio si liquidano nell'importo di euro 194,41 (diconsi euro centonovantaquattro/41).