Corte di cassazione
Sezione II civile
Ordinanza 11 ottobre 2024, n. 26522
Presidente: Bertuzzi - Relatore: Papa
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso ex art. 3 l. 24 marzo 2001, n. 89 del 22 marzo 2022, Anna C. aveva chiesto alla Corte di appello di Napoli l'indennizzo per la irragionevole durata del procedimento di equa riparazione, da considerarsi unitariamente, svoltosi, quanto alla fase di cognizione, innanzi alla stessa Corte di Napoli, dal 7 ottobre 2016, data di deposito del ricorso, al 21 ottobre 2016, data di deposito del decreto monocratico e, poi, quanto alla fase di ottemperanza dinnanzi al TAR Campania, sede di Napoli, dal 20 giugno 2018, data della notifica del ricorso per l'ottemperanza al giudicato, al 27 luglio 2021, data di deposito della sentenza.
2. Il Consigliere delegato, in accoglimento della domanda, in applicazione dei principi stabiliti nella sentenza n. 19883/2019 delle Sezioni unite di questa Corte, esclusa la necessità del raccordo fra fase di cognizione ed esecutiva per essere soggetto debitore lo Stato e riconosciuta, perciò, l'unitarietà incondizionata fra le fasi di cognizione e di esecuzione ai fini della individuazione dell'irragionevole durata del processo, sebbene il giudizio di ottemperanza fosse stato proposto oltre il termine di sei mesi dal passaggio in giudicato del decreto monocratico che aveva riconosciuto l'equo indennizzo, stabilita in un anno la durata ragionevole della fase di merito, non essendosi svolto il giudizio di legittimità, e in un anno ulteriore la fase esecutiva/di ottemperanza, sottratto il tempo relativo all'inerzia che il creditore aveva mantenuto fra la definitività della fase di cognizione e l'inizio del procedimento esecutivo, quantificò la durata irragionevole in un anno, un mese e 21 giorni e liquidò, pertanto, un indennizzo di euro 450,00, oltre interessi al tasso legale previsto dall'art. 1284, comma 1, c.c., oltre spese di procedura; condannò il solo Ministero della giustizia, sebbene la domanda fosse stata proposta anche nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze.
3. Anna C. propose opposizione ex art. 5-ter l. 24 marzo 2001, n. 89, lamentando che erroneamente la durata ragionevole del giudizio presupposto di merito (di cognizione e di ottemperanza) fosse stata stabilita in due anni anziché in soli cinque mesi o, al più, in un anno e la durata irragionevole fosse stata stabilita in un solo anno invece che in due anni, otto mesi e ventuno giorni o, in via gradata in due anni, un mese e ventuno giorni; contestò altresì come incongrua la misura dell'indennizzo.
Costituendosi, il Ministero della giustizia eccepì l'inammissibilità del ricorso per mancato esperimento, nel giudizio presupposto di ottemperanza, del rimedio preventivo dell'istanza di prelievo.
4. In accoglimento di questa eccezione, con decreto collegiale n. cronol. 3301/2022, la Corte d'appello di Napoli dichiarò inammissibile il ricorso per equo indennizzo ex artt. 2 e 1-ter l. 89/2001 e revocò il d.i. opposto, condannando Anna C. al pagamento delle spese.
5. Avverso questo decreto Anna C. ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un solo motivo, illustrato da successiva memoria; il Ministero della giustizia non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l'unico motivo di ricorso, articolato in riferimento al n. 3 del comma 1 dell'art. 360 c.p.c., Anna C. ha lamentato la violazione o falsa applicazione dell'art. 1-bis, comma 2, dell'art. 1-ter, commi 3 e 7, dell'art. 2, commi 1 e 2-bis, della l. 24 marzo 2001, n. 89, nonché degli artt. 12 e 14 delle disposizioni sulla legge in generale, degli artt. 3, 10, 24, 111, commi 1 e 2, e 117 della Costituzione e degli artt. 6, paragrafo 1, e 13 della Convenzione EDU, dell'art. 47, commi 1 e 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dell'art. 6, comma 3, del Trattato sull'Unione europea: la Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuta necessaria, al fine dell'ammissibilità della domanda di equo indennizzo per la durata irragionevole di un giudizio di ottemperanza, la proposizione di un'istanza di prelievo ex art. 1-ter, comma 3, l. 89/2001, sebbene le caratteristiche di questo giudizio e, cioè, la decisione in camera di consiglio e la decisione con sentenza semplificata, già assicurino lo scopo cui tende il rimedio acceleratorio ex art. 71, comma 2, c.p.a.
Con un secondo profilo, la ricorrente ha sostenuto che l'applicazione dell'art. 1-ter l. 89/2001 ai cosiddetti procedimenti di «Pinto su Pinto», cioè alle domande di equa riparazione per violazione della ragionevole durata di un procedimento per equa riparazione, sarebbe preclusa dalla inapplicabilità in radice, a tali procedimenti, dei termini di durata ragionevole come stabiliti dall'art. 2, comma 2-bis, della stessa legge.
1.1. Il primo profilo di censura è fondato, con assorbimento del secondo profilo.
Occorre brevemente premettere che la Corte costituzionale, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale del comma 3 dell'art. 1-ter l. 89/2001 nella parte in cui prevede la necessità, ai fini dell'ammissibilità della domanda di equo indennizzo, del deposito dell'istanza di prelievo, ha chiarito che questa istanza, presentata successivamente a quella di fissazione dell'udienza di discussione e con cui la parte chiede che il ricorso venga trattato tempestivamente, ha la finalità di ottenere una deroga al criterio cronologico che regola l'ordine di fissazione della trattazione dei ricorsi e, a seguito della novella del 2005, il possibile e nuovo effetto costituito dalla definizione del giudizio in camera di consiglio, sentite le parti, con sentenza in forma semplificata.
La Corte costituzionale ha perciò rimarcato - e ciò ha fatto anche nel respingere parzialmente la questione di legittimità costituzionale del primo comma dell'art. 1-ter - che l'istanza di prelievo non ha più una funzione puramente dichiarativa, in quanto può portare alla definizione celere del giudizio attraverso l'utilizzo di un modello procedimentale alternativo, sicché costituisce uno strumento funzionale al raggiungimento dello scopo di una più rapida definizione del giudizio; non rileva, a tal fine, in senso contrario che il suo utilizzo risulti mediato dalla decisione del giudice, chiamato a stabilire se ricorrano i presupposti relativi alla completezza del contraddittorio e dell'istruttoria.
Si attua così - ha stabilito la Corte costituzionale - il giusto punto di equilibrio tra la necessità di garantire alla parte un rimedio effettivo, nei termini indicati anche dalla Corte EDU, e l'esigenza di salvaguardare il rispetto delle garanzie previste nel processo amministrativo.
Ciò precisato, deve allora considerarsi che, secondo l'art. 71-bis c.p.a., a seguito dell'istanza di cui al comma 2 dell'art. 71, il giudice, accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata: pertanto, sono la definizione in camera di consiglio e la forma semplificata della decisione gli effetti dell'istanza di prelievo che consentono realmente la più rapida definizione del giudizio.
Il giudizio di ottemperanza, tuttavia, già è disciplinato tenendo conto dell'esigenza di rapida e agile definizione del giudizio ed è già caratterizzato dai due strumenti che la attuano: l'art. 87, comma 2, lett. d), c.p.a. prevede, infatti, per tali giudizi, la trattazione in camera di consiglio e il successivo comma 3 dispone che la camera di consiglio sia fissata d'ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate; l'art. 114, comma 3, c.p.a., quindi, prevede che nei giudizi di ottemperanza il giudice decida sempre con sentenza in forma semplificata.
Risulta evidente, allora, che per sue caratteristiche strutturali il giudizio di ottemperanza non riceverebbe, dalla proposizione dell'istanza di prelievo ex artt. 71, comma 2, e 71-bis c.p.a., alcuna effettiva e diversa accelerazione e che, pertanto, l'art. 1-ter, comma 3, della l. 89/2001 non può ritenersi applicabile a tali giudizi amministrativi.
Ugualmente, in considerazione delle caratteristiche strutturali del procedimento come stabilite dal legislatore, questa Corte ha escluso sia prescritta a pena di inammissibilità, nei giudizi di equa riparazione per durata irragionevole di un procedimento presupposto assoggettato a rito del lavoro, la proposizione di un rimedio acceleratorio ex art. 1-ter, comma 1: l'art. 429, comma 1, c.p.c., infatti, già prevede che il giudice all'udienza di discussione decida la causa e proceda alla lettura del dispositivo e delle ragioni in fatto e diritto della decisione, in analogia con lo schema dell'art. 281-sexies c.p.c., sicché già assicura un modello agile e veloce di decisione (Cass., Sez. 2, n. 16741 del 24 maggio 2022).
2. Il ricorso è, perciò, accolto e il decreto impugnato deve essere cassato, con rinvio alla Corte d'appello di Napoli in diversa composizione perché riesamini l'opposizione proposta da Carla C. in conformità al seguente principio di diritto: «in tema di equa riparazione, non rientra nell'ambito di operatività dell'art. 1-ter, comma 3, il giudizio di ottemperanza, perché gli artt. 87, comma 2, lett. d), e comma 3, e 114, comma 3, del c.p.a. di cui al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, prevedendo che questo giudizio sia definito con sentenza in forma semplificata e in camera di consiglio, fissata d'ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate, già assicurano gli effetti dell'istanza di prelievo di cui agli artt. 71, comma 2, e 71-bis dello stesso codice, sicché non è configurabile alcuna iniziativa acceleratoria».
3. Il giudizio deve svolgersi anche nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze, nei cui confronti era pure stata proposta la domanda, poiché, nonostante il carattere funzionalmente unitario della sequenza cognitivo-esecutiva (che realizza il diritto all'equa riparazione) è necessario che il Giudice, ove ritenga fondata la pretesa in riferimento a ciascuna delle due fasi, deve determinare distintamente l'importo gravante su ciascuna delle due amministrazioni, in relazione all'entità del ritardo imputabile rispettivamente al giudice ordinario e al giudice amministrativo (cfr. Cass. 33764/2022).
4. Statuendo in rinvio, la Corte d'appello deciderà anche sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.