Corte di cassazione
Sezione III civile
Ordinanza 22 ottobre 2024, n. 27343
Presidente: Travaglino - Relatore: Tassone
FATTI DI CAUSA
1. C. Giuseppe propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza n. 65/2022 dell'11 gennaio 2022 del Tribunale di Taranto, che, in funzione di giudice di appello, ha riformato integralmente la sentenza del Giudice di pace di Taranto n. 3159/2016 del 7 ottobre 2016, ed ha rigettato, ritenendo mancante la prova, la sua domanda di condanna della Soget s.p.a. al risarcimento dei danni per il mancato uso del veicolo di sua proprietà a seguito di illegittima iscrizione di fermo amministrativo, in quanto adottato in palese violazione di un provvedimento giurisdizionale, e cioè dell'ordinanza n. 238 depositata in data 5 giugno 2013 dalla Commissione tributaria provinciale di Taranto, con cui era stata disposta la sospensione dell'esecuzione del preavviso di fermo amministrativo.
Resiste con controricorso Soget s.p.a.
2. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell'art. 380-bis.1 c.p.c.
Il Pubblico ministero non ha depositato conclusioni.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia "Violazione dell'art. 2729 c.c. ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c.".
Lamenta che, dopo aver accertato l'iscrizione del fermo amministrativo in palese violazione di un provvedimento giurisdizionale ed aver ritenuto provato il fatto che l'autoveicolo oggetto del fermo fosse l'unico a disposizione della famiglia del C., altresì affermando che "il fatto che un soggetto sia stato privato della vettura per un certo periodo di tempo comporta, in astratto, la ragionevole probabilità che un danno vi sia stato", così svolgendo un ragionamento presuntivo ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., il giudice di appello è poi - illogicamente - pervenuto a ritenere che il danno allegato non sia stato dimostrato.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia "Violazione degli artt. 832, 2043, 1226 c.c. ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c.".
Lamenta che l'impugnata sentenza è viziata dalla violazione delle norme citate nella rubrica del motivo, là dove ritiene che non esistano elementi tali da far apprezzare, sia pure equitativamente, il pregiudizio subito, ed omette di considerare che era invece stata dimostrata l'iscrizione del fermo amministrativo, e dunque il conseguente vincolo di indisponibilità che ne derivava, con conseguente lesione del diritto di proprietà del ricorrente.
3. I due motivi, che per la loro stretta connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
Questa Suprema Corte ha infatti già avuto modo di affermare, in tema di risarcimento del danno da fermo tecnico, che questo non può considerarsi sussistente in re ipsa, quale conseguenza automatica del sinistro, ma necessita, per converso, di esplicita prova, che attiene tanto al profilo della inutilizzabilità del mezzo meccanico in relazione ai giorni in cui esso è stato sottratto alla disponibilità del proprietario, tanto a quello della necessità del proprietario stesso di servirsene, così che dalla impossibilità della sua utilizzazione ne sia derivato un danno, quale, ad es., quello riconnesso alla impossibilità dello svolgimento di un'attività lavorativa ovvero all'esigenza di far ricorso a mezzi sostitutivi (Cass., 19 settembre 2022, n. 27389; Cass., 28 febbraio 2020, n. 5447; Cass., 20620/2015).
È stato inoltre precisato che l'indisponibilità di un autoveicolo durante il tempo necessario per le riparazioni è un danno che deve essere allegato e dimostrato e che la prova del danno non possa consistere nella dimostrazione della mera indisponibilità del veicolo, ma che occorra fornire la prova della spesa sostenuta per procurarsi un mezzo sostitutivo ovvero della perdita subìta per avere dovuto rinunciare ai proventi ricavati dall'uso del mezzo (Cass., 17 luglio 2015, n. 15089; Cass., 14 ottobre 2015, n. 20620; Cass., 31 maggio 2017, n. 13718).
Non trovano infatti ingresso nel nostro ordinamento ipotesi di danno in re ipsa, giacché, in primo luogo, il danno non coincide con l'evento dannoso, ma individua le conseguenze da esso prodotte, e, in secondo luogo, ammettere il risarcimento del danno per la mera lesione dell'interesse giuridicamente protetto significherebbe utilizzare la responsabilità civile in funzione sanzionatoria, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (v. Cass., 4 dicembre 2018, n. 31233). Inoltre, la liquidazione equitativa non può sopperire al difetto di prova del danno, giacché essa presuppone che il pregiudizio del quale si reclama il risarcimento sia stato accertato nella sua consistenza ontologica; se tale certezza non sussiste, il giudice non può procedere alla quantificazione del danno in via equitativa, non sottraendosi tale ipotesi all'applicazione del principio dell'onere della prova quale regola del giudizio, secondo il quale se l'attore non ha fornito la prova del suo diritto in giudizio la sua domanda deve essere rigettata, atteso che il potere del giudice di liquidare equitativamente il danno ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della sua precisa determinazione (v. Cass., 12 aprile 2023, n. 9744; Cass., 22 febbraio 2017, n. 4534; Cass., 14 maggio 2018, n. 11698).
3.1. Infine, è stato rilevato che la tassa di circolazione e le spese di assicurazione non possono reputarsi inutilmente pagate: la prima perché prescinde dall'uso del veicolo, essendo una tassa di proprietà; le seconde perché, con un comportamento improntato al rispetto di quanto previsto dall'art. 1227, comma 2, c.c., possono essere sospese su richiesta del danneggiato; è stato altresì precisato che il deprezzamento del bene non è in nesso di relazione causale con il fermo tecnico, ma con la necessità di procedere alla riparazione del mezzo (Cass., 4 aprile 2019, n. 9348).
4. La corte di merito ha pronunciato correttamente anche sotto il profilo del danno non patrimoniale, là dove ha affermato che "il C., da un lato, non ha allegato (né tantomeno dimostrato) elementi idonei ad apprezzare, sia pure con una valutazione equitativa, il danno patrimoniale asseritamente subìto e, dall'altro lato, ha genericamente descritto il danno non patrimoniale in termini insuscettibili di essere monetizzati, siccome inquadrabili in quegli sconvolgimenti della quotidianità consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro di insoddisfazione ritenuti dalle Sezioni unite non meritevoli di tutela risarcitoria (sentenza n. 26972 del 2008)".
Con la sentenza 11 novembre 2008, n. 26792, espressamente richiamata dalla corte d'appello, le Sezioni unite hanno avuto modo di affermare che il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile - sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. - anche quando non sussiste un fatto-reato, né ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni: (a) che l'interesse leso - e non il pregiudizio sofferto - abbia rilevanza costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell'art. 2059 c.c., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile); (b) che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza); (c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità.
Il principio è ormai consolidato (v., tra le successive conformi, Cass., 29 novembre 2023, n. 33276; Cass., 12 novembre 2019, n. 20296) ed è stato affermato anche in tema di fermo amministrativo illegittimo, nel senso che "Nella ipotesi di illegittimo fermo amministrativo il danno non patrimoniale, pur lamentato per supposta lesione di diritti costituzionalmente protetti, non è meritevole di tutela risarcitoria quando inquadrabile nello sconvolgimento della quotidianità della vita, che si traduca in meri disagi, fastidi, disappunti, ansie e ogni altra espressione di insoddisfazione, costituenti conseguenze non gravi ed insuscettibili di essere monetizzate perché bagatellari" (cfr. Cass., 4 febbraio 2014, n. 2370).
5. Orbene, l'impugnata sentenza, là dove ha affermato che Giuseppe C. ha prospettato il danno non patrimoniale in relazione a quegli sconvolgimenti della quotidianità consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie, in quanto tali non monetizzabili e non meritevoli di tutela risarcitoria, ha dunque fatto buon governo dei suindicati principi, con motivazione congrua e scevra da vizi logico-giuridici.
6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
7. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.600,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.