Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Sezione I
Sentenza 7 novembre 2024, n. 19653

Presidente: Savo Amodio - Estensore: Petrucciani

FATTO

Con il ricorso in epigrafe è stato impugnato il provvedimento del Consiglio di presidenza della Corte dei conti del 20 settembre 2023, con cui è stato deliberato che "a decorrere dalla data del presente provvedimento, il Consigliere Nicola B. è assegnato, d'ufficio, ai sensi dell'art. 2, commi 1 e 7, della delibera n. 231/CP/2019, al posto di funzione presso la Sezione regionale di controllo per il Lazio".

Il ricorrente, consigliere della Corte dei conti, ha dedotto che, sino all'adozione del provvedimento impugnato (con il quale era stato assegnato con effetti immediati alla Sezione controllo per il Lazio), era stato in servizio presso la Sezione regionale di controllo per la Toscana, alla quale era stato a suo tempo assegnato con delibera del Consiglio di presidenza della Corte dei conti del 7 marzo 2013, n. 40.

Quest'ultimo, con nota del 16 novembre 2022, aveva comunicato al ricorrente che in data 12 marzo 2023 sarebbe venuto a compimento il decennio massimo di permanenza presso l'ufficio di appartenenza, al quale il medesimo sarebbe rimasto assegnato, anche in sovrannumero e con funzioni non apicali, con obbligo di attivarsi, entro sei mesi, in occasione delle future procedure concorsuali, onde non incorrere nell'assegnazione d'ufficio di cui al citato comma 7, presso una sede con carenza di organico.

Tale nota faceva riferimento alla deliberazione del Consiglio di presidenza della Corte dei conti n. 231 del 5 novembre 2019, recante approvazione del "Testo unico della delibera n. 140/CP/2018 coordinato con tutte le delibere successivamente intervenute in materia di nomine, promozioni ed assegnazioni a posti di funzione dei magistrati della Corte dei conti" che, all'art. 2, comma 2, stabiliva che "l'assegnazione ha la durata massima di dieci anni" e, al successivo comma 7, che "il perdente posto che non abbia ottenuto altra assegnazione anche a seguito di procedura concorsuale è assegnato d'ufficio, per un periodo non superiore a due anni, in una sede con carenza di organico".

Quindi, con nota prot. n. 1422 del 30 marzo 2023, adottata all'esito dell'adunanza del 29 marzo 2023, il Consiglio di presidenza aveva ribadito che "in data 12 marzo 2023 è venuto a compimento il decennio massimo di permanenza della S.V. presso l'ufficio di appartenenza", comunicando che il ricorrente sarebbe comunque rimasto assegnato all'attuale ufficio sino al 12 settembre 2023; con la successiva nota prot. n. 3872 del 27 luglio 2023 la segreteria del Consiglio di presidenza aveva comunicato al cons. B. che il Consiglio, nella adunanza del 25-26 luglio 2023, aveva individuato tre sedi di servizio ai fini del suo trasferimento d'ufficio ex art. 2, comma 7, del. n. 231/2019 ss.mm.ii., invitando il medesimo a scegliere una di tali sedi e avvisando che, in difetto, decorsi 15 giorni, il Consiglio lo avrebbe assegnato d'ufficio a una delle stesse.

Il ricorrente, in data 11 agosto 2023, aveva formulato motivata richiesta di riesame degli atti sopra richiamati, evidenziando la carenza di avviso di avvio del procedimento ex art. 7 della l. n. 241/1990, la trattazione della questione in adunanza segreta nonostante le contrarie disposizioni in materia, l'illegittimità del prospettato trasferimento d'ufficio per contrasto con le disposizioni operanti in materia, e comunque l'illegittimità delle modalità di concreta individuazione del nuovo ufficio di assegnazione; rilevava altresì che nessuna delle tre sedi indicate dal Consiglio di presidenza risultava di suo gradimento, indicando solo, con riserva di eventuale impugnazione, quella della Sezione controllo Lazio.

In data 20 settembre 2023, gli veniva notificato l'impugnato provvedimento, con cui era stata disposta la sua assegnazione, d'ufficio, ai sensi dell'art. 2, commi 1 e 7, della delibera n. 231/CP/2019, al posto di funzione presso la Sezione regionale di controllo per il Lazio.

A sostegno del ricorso sono state formulate le seguenti censure:

1) nullità per difetto assoluto di attribuzione, o comunque, in ipotesi, illegittimità per incompetenza e/o per violazione e falsa applicazione degli artt. 107 e 108 Cost., dell'art. 8 r.d. n. 1214/1934, dell'art. 10 l. n. 117/1988, nonché dell'art. 11, comma 8, l. n. 15/2009.

I provvedimenti del Consiglio di presidenza della Corte dei conti sarebbero nulli, ex art. 21-septies della l. n. 241/1990, per difetto assoluto di attribuzione, o, comunque, illegittimi poiché l'organo di autogoverno non avrebbe il potere di disporre il trasferimento coattivo del magistrato ad altro ufficio per il preteso superamento della durata massima dell'assegnazione, mancando una previa attribuzione di tale competenza ad opera di una fonte di rango primario.

Il Consiglio di presidenza avrebbe fatto applicazione di una disposizione da esso stesso introdotta con la deliberazione n. 243/2010 (che ha novellato la delibera n. 121/2009, recante il t.u. in materia di nomine, promozioni e assegnazioni a posti di funzione) e poi riportata in tutte le successive delibere, da ultimo quella n. 231/2019, con cui il medesimo organo ha regolamentato la materia.

Anche ai magistrati diversi da quello appartenente all'ordine giudiziario (ordinario) si applicherebbe, quale corollario della garanzia di indipendenza, la garanzia dell'inamovibilità e la conseguente inammissibilità di qualsivoglia trasferimento d'ufficio fuori dai casi (tassativi) previsti dalla legge, nel rispetto degli artt. 107 e 108 Cost.

Il trasferimento d'ufficio (i.e. coattivo, senza il consenso del magistrato) potrebbe essere disposto solo se e nei casi in cui sia previsto dalla legge; tale regula juris sarebbe sancita per i magistrati amministrativi con una disposizione (l'art. 25 l. n. 182/1986, secondo cui "I trasferimenti d'ufficio possono essere disposti esclusivamente nelle ipotesi e con i criteri stabiliti dalla legge") che esprimerebbe un principio comune applicabile anche alle altre magistrature speciali.

Per i magistrati contabili la garanzia dell'inamovibilità sarebbe contemplata dalla legge nell'art. 8 r.d. n. 1214/1934, sicché la previsione regolamentare (o pararegolamentare) sarebbe illegittima poiché in contrasto con tale disposizione.

Inoltre, tra le competenze che le norme di legge attribuiscono espressamente al Consiglio di presidenza non vi sarebbe quella relativa al mutamento di sede e/o funzione dei magistrati per presunta durata massima dell'assegnazione degli stessi con conseguente trasferimento d'ufficio ad altra sede e/o funzione;

2) violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e ss. della l. n. 241/1990; nonché degli artt. 3 e 10, comma 1, lett. b), della medesima l. n. 241/1990; eccesso di potere per difetto di istruttoria, e carenza di motivazione; eccesso di potere per disparità di trattamento.

Gli atti impugnati sarebbero comunque illegittimi per la violazione della disciplina prevista dagli artt. 7 e ss. della l. n. 241/1990, atteso che, nella specie, sarebbe mancato anche il contraddittorio procedimentale in ordine all'individuazione della terna di uffici in carenza di organico presso cui il ricorrente avrebbe potuto essere trasferito;

3) violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della l. n. 241/1990, nonché dell'art. 20 del regolamento del Consiglio di presidenza della Corte dei conti approvato con delibera n. 52 del 14 febbraio 2019 e ss.mm.ii. e dell'art. 10, comma 10, della l. n. 117/1988. Eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto di istruttoria e carenza di motivazione.

Il regolamento del Consiglio di presidenza, quanto al procedimento di trasferimento d'ufficio, non prevedrebbe alcuna deroga alla pubblicità delle sedute, che perciò, nel rispetto del principio di pubblicità e di trasparenza di cui all'art. 1, comma 1, della l. n. 241/1990, costituiva un essenziale requisito di forma degli atti, la cui mancanza ne determinerebbe l'illegittimità;

4) violazione e falsa applicazione dell'art. 2 deliberazione Consiglio di presidenza n. 231/2019; eccesso di potere per sviamento; eccesso di potere per irragionevolezza e illogicità manifesta; eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione.

Illegittima sarebbe anche la concreta individuazione della nuova sede di assegnazione, in quanto irragionevole e manifestamente illogica.

Non si comprenderebbero, infatti, i criteri in base ai quali sarebbe stata individuata la terna di uffici "con maggiore scopertura di organico", afferenti tutti all'area controllo ed a sedi regionali, nonostante le carenze organiche esistessero anche presso le Sezioni centrali, restringendo poi ulteriormente il campo ad una terna di sedi in "regione limitrofa" e, tuttavia, senza includervi la pur "limitrofa" ed anzi più vicina (all'attuale sede di servizio e di residenza del ricorrente) Sezione controllo Emilia-Romagna (che pure presentava un tasso di scopertura superiore a quello della Sezione controllo Umbria).

Si è costituita la Corte dei conti per resistere al ricorso.

All'udienza pubblica del 12 giugno 2024 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Deve, preliminarmente, essere esaminata l'eccezione di tardività dell'impugnativa, sollevata dalla Corte dei conti in relazione al fatto che, sin dalla data dell'assegnazione del ricorrente alla Sezione controllo Toscana (marzo 2013), esisteva già una disposizione identica a quella adottata con la delibera n. 231/2019, in questa sede impugnata, che aveva introdotto il limite di permanenza massima decennale nel posto di funzione (art. 2, comma 1, della del. C.p. n. 83 del 3 luglio 2012, vigente ratione temporis), mai contestata sotto il profilo ordinamentale e riproposta in maniera identica nelle più recenti delibere.

Tale eccezione deve essere disattesa, in quanto, venendo in rilievo delibere aventi contenuto generale, l'impugnazione può essere ritualmente formulata al momento dell'adozione del successivo atto delle stesse applicativo, che concretizza la lesione della posizione del ricorrente, rendendo attuale l'interesse all'impugnativa.

Nel merito il ricorso è fondato.

Con il primo motivo è stata contestata la carenza di potere del Consiglio di presidenza della Corte dei conti nel disciplinare, e quindi disporre, il trasferimento d'ufficio ad altra sede, per ultradecennalità dell'assegnazione, dei magistrati della Corte, in difetto di una normativa primaria attributiva di tale potere.

Nella specie, l'organo di autogoverno, preso atto della permanenza ultradecennale del cons. B. in un medesimo posto di funzione, ha proceduto al trasferimento impugnato in questa sede in pedissequa applicazione di quanto disposto dalla sua delibera n. 231/2019 che, all'art. 2, comma 1, ha stabilito:

"L'assegnazione dei posti, nelle sedi centrali e regionali, avviene mediante procedura concorsuale indetta, di norma, con cadenza quadrimestrale e comunque immediatamente prima delle assegnazioni di cui al successivo art. 12, integrata con i posti che si renderanno vacanti nel bimestre successivo per collocamento a riposo. L'assegnazione ha la durata massima di dieci anni".

I successivi commi 6 e 7 dell'art. 2 prevedono poi che:

"6. In tutti i casi di cui ai commi 1, 2 e 5 alla scadenza il posto è messo a concorso.

7. Il perdente posto che non abbia ottenuto altra assegnazione anche a seguito di procedura concorsuale è assegnato d'ufficio, per un periodo non superiore a due anni, in una sede con carenza di organico. Il magistrato assegnato d'ufficio può avanzare domanda di nuova assegnazione in deroga al criterio previsto dall'art. 3, comma 1".

In estrema sintesi, la delibera n. 231/2019 stabilisce che il magistrato, con permanenza ultradecennale nello stesso posto di funzione, debba essere trasferito ad altra sede di servizio che presenti carenze di organico, contemperando in tal modo la necessità della rotazione con l'esigenza di colmare le lacune presenti nella sede di destinazione.

Il ricorrente assume che un'operazione siffatta configurerebbe a tutti gli effetti un inammissibile trasferimento d'ufficio, ponendosi così in patente contrasto con il principio di inamovibilità dei magistrati, salvaguardato dalla riserva di legge prevista dagli artt. 100, 107 e 108 della Costituzione.

In particolare, l'art. 100 Cost. stabilisce che la legge assicura l'indipendenza di Consiglio di Stato e Corte dei conti e dei loro componenti di fronte al Governo; tale garanzia è ribadita dal successivo art. 108, secondo il quale le norme sull'ordinamento giudiziario e di ogni magistratura sono stabilite con legge, e la legge assicura l'indipendenza dei giudici anche delle magistrature speciali.

A completamento del sistema di tutela dell'indipendenza delle magistrature l'art. 107 Cost. prevede che "i magistrati sono inamovibili", cosicché "non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall'ordinamento giudiziario o con il loro consenso".

Al riguardo, la giurisprudenza amministrativa, in linea generale, nell'analizzare l'ambito della riserva assoluta di legge, ha affermato che la stessa opera - necessariamente - con riferimento all'istituzione degli uffici giurisdizionali ed alle modalità di svolgimento della funzione giurisdizionale, mentre, con riguardo alla specifica e concreta assegnazione dei giudici ai diversi uffici, proprio a tutela dei principi di indipendenza del giudice e di precostituzione del giudice naturale, non esclude - ed anzi richiede, al fine di disciplinare previamente casistiche e variabili che sfuggono ad una più rigida previsione di legge - l'integrazione della disciplina da parte di altre fonti coerenti con i principi costituzionali sulla posizione del giudice, integrazione che la Costituzione (con riferimento all'ordine giudiziario) e la legge (per le giurisdizioni che a quello non si ricollegano e per le quali la stessa Costituzione prevede un diverso assetto e diverse modalità di assicurazione delle garanzie di indipendenza) rimettono agli organi di autogoverno, proprio a garanzia del principio di separazione dei poteri e, quindi, di indipendenza dal potere legislativo e da quello esecutivo - altrimenti titolare della relativa potestà regolamentare (T.A.R. Lazio, Sez. I, sentenza n. 12340/2015; C.d.S., 30 luglio 2003, n. 4407).

La giurisprudenza ha anche precisato, con riferimento ai magistrati ordinari, ma con considerazioni che sono trasponibili anche nei confronti dei magistrati della Corte dei conti, che «nel sistema della Costituzione, non tutta la disciplina dello status del magistrato ordinario è necessariamente e direttamente riservata alla legge ordinaria. Si fa riferimento, in particolare, a quell'attività di carattere discrezionale, che è esercitata dal C.S.M. e che spesso si estrinseca nell'adozione di atti di carattere generale, talora configurati dai commentatori come meri atti amministrativi generali, talora come attività normativa settoriale o, quanto meno, paranormativa. Attività, questa, ritenuta ammissibile sul rilievo che lo stesso art. 105 della Costituzione prevede un sistema di garanzie articolato su diversi livelli: quello costituzionale, concernente l'assetto fondamentale della magistratura ordinaria e delle garanzie dei singoli magistrati; quello a livello di legge ordinaria, costituito innanzitutto dalla riserva di legge riguardante la materia dell'ordinamento giudiziario (istituzione e organizzazione della magistratura ordinaria: art. 102); infine quello, ulteriormente subordinato, degli atti generali, con cui il C.S.M. esercita le competenze previste dalla stessa Costituzione. Deve dunque ammettersi, in conformità del resto a quello che è il "diritto vivente" nella materia de qua, che la riserva di legge prevista dalla Costituzione non implichi che tutta la disciplina riguardante i magistrati ordinari debba essere fissata dalla legge, dovendo riconoscersi quanto meno un compito di integrazione del sistema da parte del C.S.M. Una tale conclusione parimenti si giustifica per le altre magistrature direttamente contemplate dalla Costituzione (art. 103) ... È già stato, infatti, osservato (Ad. gen., n. 58/93, cit.) come per dette magistrature, al contrario di quanto avviene per la magistratura ordinaria, manchino disposizioni costituzionali direttamente riguardanti l'organizzazione delle relative giurisdizioni e manca altresì il rinvio ad un complesso organico di norme di legge aventi tradizionalmente ad oggetto l'organizzazione della magistratura, cioè l'ordinamento giudiziario, con un contenuto ben definito; ancorché lo stesso costituente abbia poi posto una riserva di legge, concernente i principii generali degli ordinamenti giurisdizionali, anche per dette magistrature. La Costituzione ha tuttavia posto, con riferimento alle altre magistrature, proprio in considerazione della inesistenza di un corpus normativo idoneo a tratteggiarle come ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere (art. 104), alcuni vincoli al legislatore ordinario. La legge, infatti, deve assicurare, a norma dell'art. 108, secondo comma, della Costituzione, l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali. E tale obiettivo, che, come si è già osservato, non è in concreto affidato alla sola legge neppure con riguardo alla magistratura ordinaria, ben può intendersi, secondo quanto ritenuto anche da parte di autorevole dottrina, come un obbligo di risultato, perseguibile anche attraverso una serie gradata di principii e norme, nonché con particolari cautele organizzative (C.d.S., Ad. gen., n. 58/93, cit.)» (C.d.S., sent. n. 4407/2003).

Il sistema così delineato è quindi costruito sui principi fondamentali dettati dalla Costituzione (autonomia, indipendenza, inamovibilità), sulla riserva alla fonte primaria delle linee essenziali dell'ordinamento giudiziario e sull'intervento dei diversi organi di autogoverno, nel rispetto della normativa primaria, nel disciplinare in dettaglio l'organizzazione degli uffici e le modalità di esercizio delle funzioni giurisdizionali.

Con riferimento, in particolare, all'ordinamento della Corte dei conti deve poi rilevarsi che la presenza, tra le sue diverse funzioni, anche di quella giurisdizionale e l'organizzazione interna di tipo magistratuale evidenziano la sua appartenenza all'ordinamento giurisdizionale; in tale contesto, la garanzia dell'inamovibilità, già prevista dall'art. 8 del r.d. n. 1214/1934, secondo cui "I presidenti e consiglieri della Corte non possono essere revocati né collocati d'ufficio a riposo, né allontanati in qualsiasi altro modo, se non per decreto Reale, col parere conforme di una commissione composta dei presidenti e vice presidenti del Senato e della Camera dei deputati", è stata costituzionalizzata dai già esaminati artt. 100, 107, e 108 della Costituzione, che, come detto in precedenza, enunciano principi che valgono per tutte le magistrature.

La Corte costituzionale ha chiarito infatti, con riferimento in particolare all'art. 107 della Carta fondamentale, «- e precisamente a quella parte di esso che conferisce ai magistrati la garanzia dell'inamovibilità (facente parte anche in passato del loro "stato giuridico": v. il D. Lg. 31 maggio 1946, n. 511)» che «tale disposizione è espressamente posta a presidio soltanto della conservazione della "sede" e delle "funzioni", nel senso tradizionale di beni facenti parte dello "stato giuridico" del magistrato (e cioè della sede e delle funzioni alle quali egli sia stato permanentemente "assegnato" ai sensi dell'art. 105 della Costituzione). // La disposizione non esclude invece la possibilità che, anche senza il consenso degli interessati, siano adottati, per esigenze del servizio, provvedimenti di modificazione della ripartizione dei magistrati fra i vari uffici dell'organo giudiziario composito al quale sono "assegnati", come pure provvedimenti, i quali, per ragioni contingenti - volte ad assicurare la continuità e la prontezza della funzione giurisdizionale -, facciano luogo alla temporanea destinazione di un magistrato a una sede o una funzione diversa da quelle alle quali egli sia permanentemente "assegnato"» (Corte cost., sent. n. 156/1963).

La sentenza riguardava, in particolare, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 101 dell'ordinamento giudiziario (r.d. 30 gennaio 1941, n. 12), nella parte in cui dispone che un pretore o un aggiunto giudiziario può, su designazione del Procuratore generale, essere destinato, con decreto del presidente della Corte d'appello, a compiere temporaneamente le funzioni di un pretore mancante o impedito.

In base al principio testé affermato, si desume che la garanzia costituzionale dell'inamovibilità del magistrato concerne la conservazione della sede e delle funzioni stabilmente assegnate al magistrato.

Perfettamente in linea con il dettato costituzionale risulta essere, quindi, l'art. 19 del d.lgs. n. 160/2006, che regola, per i magistrati ordinari, la medesima fattispecie attualmente all'esame del Collegio.

La norma demanda al Consiglio superiore della magistratura di individuare, da un minimo di 5 a un massimo di 10 anni, il periodo massimo di servizio del magistrato presso il medesimo ufficio nell'esercizio delle stesse funzioni, prevedendo, al comma 2-bis, che "Il magistrato che, alla scadenza del periodo massimo di permanenza, non abbia presentato domanda di trasferimento ad altra funzione all'interno dell'ufficio o ad altro ufficio è assegnato ad altra posizione tabellare o ad altro gruppo di lavoro con provvedimento del capo dell'ufficio immediatamente esecutivo. Se ha presentato domanda almeno sei mesi prima della scadenza del termine, può rimanere nella stessa posizione fino alla decisione del Consiglio superiore della magistratura e, comunque, non oltre sei mesi dalla scadenza del termine stesso".

In questa ipotesi, quindi, la legge, nel demandare al C.S.M. la regolamentazione di dettaglio del principio di rotazione e temporaneità delle assegnazioni, prevede che il superamento del limite temporale di permanenza non possa giammai comportare un trasferimento del magistrato ad un'altra sede di servizio, operando unicamente con riferimento allo spostamento ad altra posizione tabellare o ad altro gruppo di lavoro all'interno del medesimo ufficio, tanto che il relativo provvedimento deve essere assunto dal capo dello stesso.

Allo stesso modo, e in perfetta analogia con quanto previsto per la magistratura ordinaria, la delibera del 18 gennaio 2013 del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa ha previsto limiti di permanenza dei magistrati amministrativi "nella medesima sezione interna" del singolo ufficio giudiziario (T.A.R. o C.d.S.), con conseguente eventuale spostamento ad altra sezione all'interno dell'ufficio, senza consentire alcuna possibilità di trasferimento d'ufficio ad altra sede.

Specularmente, quindi, pur riconoscendo al Consiglio di presidenza della Corte dei conti il potere di fissare un limite di permanenza dei magistrati contabili in una determinata sezione o funzione, giammai l'organo di autogoverno avrebbe potuto, nell'esercizio della suddetta sua competenza, disporre l'assegnazione del magistrato ad altra sede di servizio, equivalendo tale assegnazione ad un trasferimento d'ufficio al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge e, quindi, in violazione del principio di inamovibilità del giudice.

Né tale fonte può essere individuata nell'art. 10 della l. n. 117/1988, che, nel fissare le attribuzioni del Consiglio di presidenza della Corte dei conti, rinvia alle norme di cui agli artt. 7, primo, quarto, quinto e settimo comma, 8, 9, quarto e quinto comma, 10, 11, 12, 13, primo comma, nn. 1), 2), 3), e secondo comma, nn. 1), 2), 3), 4), 8), 9), della l. 27 aprile 1982, n. 186, che disciplina il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa.

Infatti, l'attribuzione della competenza di cui all'art. 13, secondo comma, n. 1), della l. n. 186/1982, consistente nel deliberare "sulle assunzioni, assegnazioni di sedi e di funzioni, trasferimenti, promozioni, conferimento di uffici direttivi e su ogni altro provvedimento riguardante lo stato giuridico dei magistrati" non può, evidentemente, ricomprendere di per sé l'ipotesi del trasferimento d'ufficio, soggetta alla garanzia costituzionale di cui agli artt. 100, 107 e 108 Cost., come sopra intesa.

Il ricorso va quindi accolto, con annullamento del trasferimento impugnato e della presupposta delibera n. 231/2019, questa nella parte in cui consente, a fronte del decorso del termine decennale di svolgimento della medesima funzione, l'assegnazione d'ufficio ad altra sede di servizio.

La peculiarità e complessità della questione controversa giustificano la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla gli atti impugnati nei sensi di cui in motivazione.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.